Charles de Valois, L’INVASORE DI PARIGI E IL BOTTINO DI CARLO VIII RE DI NAPOLI isbn 9788872973905 – 19bis..

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Copertina posteriore

il regno francese diviso con gli spagnoli

1. I Francesi si danno prigionieri ai Leccesi
2. La Spagna vuole la Sicilia per contropartita
3. Il Viceré resta a Napoli, il papa ci ripensa
4. Si tratta per la Sicilia e la Calabria
5. Ultimi giorni dei Francesi a Napoli e Aversa
6. Ferrante dà la Sicilia al Viceré spagnolo
7. Napoli pronta a tornare con «Ferro!»

1.
il tradimento di re alfonso ii

— Il Principe di Salerno si ribella
— Carlo vuole la Sicilia, Napoli sfama Firenze
— Giovanna III non si ritira: è luogotenente
— Il Re Cattolico tarda, Francesi sulle Alpi
— Carlo VIII invade Roma: è Imperatore

2.
alfonso in esilio, FERRANdO è RE

— Addio alla libreria, la bella cosa d’Italia
— Alfonso abdica per il figlio: il II Ferrante
— L’ex se ne va nel monastero di Mazara
— Monopoli e San Germano, le prime a cadere

3.
la corte fugge a di Ischia

— Il Re a Castel dell’Ovo, ma brucia l’arsenale
— Parte la «Recuperazione» in provincia
— Regine a Ischia senza Isabella del Balzo
— Situazione grave: il Re scrive alla Cattolica

4.
l’invasione del re di francia

— L’entrata di Carlo VIII in Capua e Aversa
— L’ingresso a Napoli del 20 febbraio
— Sosta a Poggioreale, poi a Castelcapuano
— Fuoco amico: ucciso il fratello del Gran Turco
— Carlo accorda il Papa e gli regala Benevento
— Preso Castelnuovo, Spagnoli in Sicilia
— Ai Francesi piacevano le donne napoletane
— Federico tratta col nemico, Re tradito a Ischia
— Il Regno torna nelle mani di Donna Juana
— L’ultima a cadere fu Gaeta
— Carlo è ormai padrone e ordina le giostre

5.
CARLO VIII prende e lascia NAPOLI

— Federico fa festa in Puglia,Carlo sta sul trono
— L’incoronazione a Re di Napoli
— Il giuramento dei baroni e le tasse
— Valois se ne va senza pagare gli alleati
— Il Viceré Lesparre si stanzia a Lecce
— Fanti fermi a S.Maria del Tempio di Otranto
— La spartizione segreta solo nel 1500
— Accordo francese senza Capitanata e Basilicata
— Province mutate: Salerno ex Regno di Puglia

note bibliografiche

1. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia, Vol. 2, pag.229, in: A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
2. Marino Sanuto, I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879.
3. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
4. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
5. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
6. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
7. Fra’ A. Della Monaca, Memoria Historica dell’antichità della città di Brindisi pubblicato in Lecce 1674, a pagg.580 e segg.
8. Ivi.
9. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese.
10. Ivi. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733.
11. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.221.
12.Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
13. Ivi.
14. Ivi.
15. In: A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
16. Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, De Simone Editore, Napoli, 1982.
17. V. Glaijeses, Napoli attraverso i secoli, Soc. Ed. Nap., 1985.
18. Gallo, Diurnali, cit.
19. Ivi.
20. Memorie della Societa medico-chirurgica di Bologna, 1892.
21. Sanuto, cit.
22. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
23. Ivi.
24. Sanuto, cit.
25. Giovio, Le vite di dicenoue huomini illustri, trad. a cura di Domenichini, cit.
Paolo Giovio · 1561
26. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.222.
27. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851.
28. Marino Sanuto, I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879.
29. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi. Cfr. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733.
30. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
31. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
32. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pagg.222-223.
33. Ivi.
34. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
35. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore. Cfr. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
36. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg: 170 e segg.
37. AA.VV, Capitani di ventura. Regno di Napoli in più epoche (1458-1503), ABE, 2006. Cfr. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879. I Diarii, cit. Così continua: “Pertanto, volendo farne qualche memoria, quivi, lassiato ogni altro ordine dil compore, sarà descripte tute le nove verissime venute. Et succincte, comenziando nel primo dil mexe di zenaro 1495, al costume nostro veneto, perfino che si [6] vedrà la quiete de Italia, a Dio piacendo andarò descrivando: prometendo a li lectori, in altro tempo, havendo più ocio, in altra forma di parlare questo libro da mi sarà redutto; ma quivi per giornata farò mentione di quello se intendeva, comenciando da Alexandro pontifice romano sexto.
38. Marco Guazzo, Historie, cit.
39. Raffaele Castagna, da: https://www.ischialarassegna.it/rassegna/Rassegna2004/rassegna1/rass01-04.pdf
40. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
41. Lorenzo Conti, Le memorie di Filippo di Comines, caualiero, & sig. d’Argentone, presso Bartlolomeo Fontana, Brescia 1613. Cfr. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.180-182.
42. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.182-183.
43. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.190-217.
44. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.184-185.
45. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.184-185.
46. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136. Cfr.Curia, II, 10.
47. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
48. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 186-198.
49. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
50. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
51. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.76-78.
52. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
53. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
54. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
55. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.77-78.
56. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.185.
57. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 186-198.
58. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.79-80.
59. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
60. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 136 al 315, cap.II, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
61. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.185.
62. Marco Guazzo, Historie, cit, pagg.80-82.
63. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.186-187.
64. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
65. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 280 al 310, cap.II, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
66. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.220.
67. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
68. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 198-224.
69. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.186-187.
70. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
71. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
72. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.186-187.
73. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.93-99.
74. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Cfr. Raffaele Castagna, Isola d’Ischia – tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000). Cfr. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).
75. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.186-187.
76. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 135 al 352, cap.II, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
77. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 355 al 480, cap.II, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
78. A.Bascetta, Isabelle de Baucio. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2012.
79. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 480 al 700, cap.II, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
80. A.Bascetta – A.Maietta, Quattrocento napoletano. Lo Balzino di Ruggiero de Pacienzia. Nella fine degli Aragonesi di Napoli con re Federico e Isabella del Balzo, ABE, 2012.
81. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 1 al 620, cap.III, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
82. A.Bascetta – A.Maietta, Quattrocento napoletano. Lo Balzino di Ruggiero de Pacienzia. Nella fine degli Aragonesi di Napoli con re Federico e Isabella del Balzo, ABE, 2012.
83. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. cit. Cfr. .BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
84. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.99-102.
85. Paolo Giovio, La prima parte delle Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera, tradotte per M.Lodovico Domenichi, Venezia 1555.
86. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.220; Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.99-102.
87. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi; Paolo Giovio, La prima parte delle Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera, tradotte per M.Lodovico Domenichi, Venezia 1555.
88 Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 198-224.
89. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.. Cfr. Passaro, cit., pag.66.
90. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.188-189.
91. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
92. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.102-104.
93. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769. Dopo l’allontanamento del Mansella venne alcun poco meno in Benevento lo spirito di fazione, onde il Pontefice Alessandro VI successore d’Innocenzo con sue lettere de’ 20 Luglio 1493 ebbe a rallegrarsi col maestrato de’ Consoli per aver inteso da Giovanni Asega Veneziano suo notajo e Governatore allora della città, di essersi calmate le civili discordie, non senza speranza di dar opera ad una stabile e sicura pace (T.2 n.69 Arch.Benev.).
94. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.188-189.
95. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
96. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.108-112.
97. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.188-189.
98. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.220.
99. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.113-115.
100.Faraglia, Codice Diplomatico Sulmonese, pag.358, doc. n.300. Cfr. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
101. D’Elia, Documenti pel Regno di Ferdinando II, in: Rivista Storica Salentina, II; n.5-6. Cfr. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
102. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.189.
103.Passaro, cit., p.72. Cfr. 4. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
104. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pagg.220-221.
105. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.118-119.
106. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
107. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.190. Cfr. Marco Guazzo, Historie, cit., pagg.119-121.
108. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 620 al 768, cap.III, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
109. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.190.
110. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.221.
111. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
112. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.191-192.
113. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
114. Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 2 voll. Edizioni di storia e letteratura, Roma 1982, pag.83; Gatta, Carlo xiii ad Antonello Sanseverino, pag.276 e segg.
115. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.192. Cfr. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pagg.221-222.
116. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.8 in poi.
117. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
118. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136.
119. I piani erano quasi chiari: Consalvo sarebbe passato col governo delle genti in Sicilia e, andando contro i Turchi a Cefalonia, si sarebbe congiunto con l’armata in Puglia visto che il fratello Don Alfonso, era già a Zante, mentre s’apparecchiavano le armi per l’autunno contro il Sultano e la sua armata turchesca.
120. E ancora in Grecia Consalvo si distinse durante la carestia, quando ordinò alle donne, le quali “non sapevano” come separare la farina dalla crusca, di levarsi i veli sottili dal capo e fabbricò “picciol forni nella riva per cuocere il pane; mentre che gli altri cocevano ne’ paiuoli il fromento pesto col lardo benchè nimico a’ corpi”.
Assoldati gli Svizzeri a Milano e una grossa armata a Genova i Francesi aspettavano solo la primavera per muovere guerra, mentre Consalvo tornava carico di doni veneziani, fra “vasi d’oro e d’argento intagliati, panni paonazzi di lana, e cremisi di seta, e molti broccali d’oro” (oltre a 10.000 ducati d’oro e dieci cavalli turchi), accolto a Messina come un re dagli ambasciatori giunti da tutta l’isola. Ancora più contento fu Re Federico, il quale, sperando in un aiuto, gli spedì spesso ambasciate.
L’apprestarsi dei Francesi, legatisi a Veneziani e Fiorentini, per la congiura del Papa e di suo figlio, poteva ritorcersi anche sulla Sicilia con un imminente assalto, ignorando la congiura del cugino con Luigi XII.
121. Consalvo era consapevole, ma avrebbe ubbidito solo alla Corona di Castiglia, affinchè “non paresse che egli mancasse di fede al Re suo Signore, il cui animo per certe offese alienato Federigo s’haveva concitato contra”, convinto che Ferdinando Il Cattolico, nella sua vita, aveva trattato con Re Luigi la pace solo in cambio dell’annuo tributo, avendo difeso con le ricchezze della Sicilia il Regno di Napoli conquistato a suo tempo dallo zio Alfonso. Dalle quattro ex province angioine erano nate le due sottoprovince di Basilicata e di Terre di Bari), rette dalle Cortes provinciali dei Vicerè Catalani d’Aragona e non più dagli originari Mastri Portulani. In passato si erano cioè avuti un Vicerè per l’Abruzzo (vedi Bartolomeo III di Capua), un Vicerè in Terra di Lavoro e Molise, un Vicerè in Terra d’Otranto, un Vicerè per le Calabrie esistente da tempo immemore. Si racconta che Re Alfonso d’Aragona avesse scippato il Regno agli Angioini proprio ad un capitano, Antonio Ventimiglia Conte e Centeglia “creato suo Vicerè nelle Calabrie” per aver condotto all’obbedienza la città di Cosenza, i Casali e Grimaldo.
122. A.Della Monica, Memoria istorica…, cit., pag.605 e segg. “Fatto questo secreto concerto, il Francese fù il primo ad entrar nel Regno con esercito di mille lancie, diece mila cavalli, e con buon numero d’artigliarie, come dice il Guicciardino. La prima città, che combatterono fù Capua, della quale impadronendosene à forza d’armi con grandissima crudeltà la sacchegiorono, usando mille dishonestà, e violenze, il che diede tanto spavento alle Terre convicine, che quasi tutte alzaro le bandiere di Francia. Il misero Rè Federico riscorse per agiuto, come diansi haveva fatto, all’istesso Rè Cattolico suo parente, il quale dissimulando, mandò di nuovo Consalvo di Cordova chiamato il gran Capitano, ma con l’intento contrario, che se la prima volta andò per discacciare dal Regno i Francesi in favor degli Aragonesi, questa seconda volta vi mandò à discacciar gl’Aragonesi in favor de’ Francesi”.
123. Gli aiuti di Consalvo a Gaeta non arrivavano mai, sebbene il Re continuasse a donargli i castelli calabresi che chiedeva in cambio, nella speranza di poter presto avere un forte esercito per respingere i Francesi ed evitare l’assedio accaduto al nipote ai tempi di Carlo. Federico si fermò quindi a San Germano, attendendo inutilmente i fratelli Colonna, mentre Spagnoli e Francesi mettevano le mani sul trono di Napoli sbarcando sulle coste e celando, gli uni agli altri, la volontà di volersi appropriare delle conquiste altrui. Fu così che Luigi XII si impossessò della “sua” metà del Regno di Napoli (1501-1503) senza neppure dichiarare guerra ai Catalani Aragonesi, quanto ai baroni più testardi. Consalvo, dal canto suo, si era portato da Messina a Reggio per prendere la Calabria e aveva mandato a dire a Federico che rompeva i patti di sudditanza, rinunciando all’Abruzzo e Monte S.Angelo che gli aveva donato. Federico, ancora più signorilmente, rispose che gli rinnovava l’atto. Questo significava che i Francesi avrebbero dovuto togliere l’Abruzzo a Consalvo, il quale, restituiva ai Sanseverino e a Bernardino Principe di Bisignano i loro castelli. I Francesi attaccarono dal Garigliano con 15.000 uomini al comando di Robert Stuart signore d’Aubigny, affiancato dall’allora Cardinale e Legato Pontificio Cesare Borgia e Galeazzo Sanseverino Conte di Caiazzo, sempre con Napoli, la Terra di Lavoro, il Ducato di Benevento e l’Abruzzo sulla carta; mappa che invece assegnava al Cattolico la Calabria, la Basilicata, la Puglia e Terra d’Otranto. Per giungere su Capua, nell’estate del 1501, occuparono il Castello di Calvi, ma si ritrovarono proprio il figlio del fu Conte di Mignano, ch’essi avevano ucciso nel precedente assedio, a difendere la città. Fu infatti Ettore Ferramosca, posto a difesa del castello, a mostrare il suo valore, mettendo in fuga il nemico, sebbene ciò non servì a salvare la città. Infatti, caduta la difesa di Capua, e uccisi i Conti di Palena e di Marciano, vennero catturati sia il comandante Fabrizio Colonna e Ugo Cardona, che Guido ed Ettore Ferramosca, capitano di ventura piccolo di corpo, ma di animo grande e forza meravigliosa, tipico esempio di coraggio personale e di valoroso soldato, fu tradito da Cesare Borgia. Con i loro soldi, per la gioia di Consalvo, l’intera famiglia dei Colonnesi era dalla sua parte, quando seppe che, pagato il riscatto per la prigione, Fabrizio e Prospero si erano allineati alle idee del fratello Cardinale Giovanni, già da tempo in Sicilia, vittima anch’egli della cacciata da Roma operata da Borgia. Ora erano tutti nemici dichiarati del Papa.
124. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
125. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
126. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
127. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Questo accadde perchè quando entrarono gli eserciti in Puglia si prospettò la nuova difficoltà solo sul campo fra baroni che alzavano bandiera francese e altri che inneggiavano agli spagnoli sostenendo, gli uni e gli altri, di appartenere alla medesima provincia. Pertanto, non avendo copia dell’accordo deciso fra i due Re, per non pregiudicare nessuna delle parti, decisero di seguire un ordine, che fu quello di far alzare bandiera spagnola anche a quei castelli che avevano pensato di alzare bandiera francese, senza avanzare pretese da nessuna delle parti. Questo sebbene, secondo gli Spagnoli, ricadessero fra le loro quattro province e che quindi dovessero abbassarla. Fu quindi creata una specie di zona franca nella zona di confine, chiamata provincia di Capitanata, i cui i castelli avrebbero alzato ambedue le bandiere, nonostante che il luogotenente generale di Francia, Luigi Palau, cercò di dimostrare che per diverse ragioni la Capitanata era la verdadera Puglia. Ad ogni modo pretese che si considerasse provincia separata e che era meglio accordarsi affinché le cose di quello stato provinciale si sarebbero governate da commissari di ambedue i Re, dividendo in parti uguali le rendite. Il problema è che i Francesi mostravano interessi economici per ragione di riscossione della Dogana dei ganado, volgarmente detta delle Pecore, che si faceva in Capitanata. Per questo motivo si decise di dare al Re di Francia (per mano di un di lui commissario), allo scadere del primo anno, la metà delle entrate dell’annualità detta Dogana delle Pecore spettante al Re Cattolico (per mano di un proprio commissario) che si sarebbe riscossa nella Capitanata che a questo punto andava staccata dalla Puglia lasciandovi solo Otranto e Bari. A questo punto Luigi Palau se ne andò dopo aver accettato e deciso per la nomina di due commisari in comune che facessero alzare le bandiere di entrambi i Re in quelle quattro province, sebbene l’intenzione dei francesi era comunque quella di occuparle tutte.
128.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Cioé quella que se estiende desde el rio Fertoro, hasta el rio Aufido e che si chiamò Capitanata, desde el tiempo de los Griegos, y Normandos: y lo que antiguamente integrava la Calabria. Quindi Calabria restò tutta quella regione che includeva la marina di Baroli, Trana, Molfetta, Iuvenazo, y Monopoli, que era de la antigua, y verdadera Calabria, che poi fece capo al quella ciudad que llamaron Bario che ancora allora si chiamava Bari, il cui territorio dal mare continuava fino ai luoghi montagnosi che in origine furono abitati da Lucani, Apuli e mantenuti dai governatori del Imperio Griego Basilicata. In essa si includevano perfino Taranto e Brindisi, nell’area che poi prese nome de Hydrunto, che era il luogo principale della Terra di Otranto. L’antica Calabria stava quindi ben distinta, separata e lontano dall’attuale Calabria che per la maggior parte della sua estensione era abitata dai Bruzi. Quindi la Capitanata integrava la Calabria di Bari e la Calabria si chiamava Bruzio di Cosenza. Nella ripartizione che fecero i due Re non si tennero in considerazione i nomi antichi delle regioni (in parte ancora esistenti sotto gli angioini fino al terremoto del 1348), ma ci si riferì all’ultima divisione politica delle province sotto Federico I.
129. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220.

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IL MARIUOLO DI PARIGI: VOLEVA SOLO IL BOTTINO

Sulla carta tutti volevano aiutare Ferrante II d’Aragona a riconquistare il suo reame, ma nessuno immaginò che la spartizione segreta con gli Spagnoli fosse già avvenuta. Lo avrebbero fatto con la sollevazione della stessa Napoli, a cui Carlo di Valois si apprestava a concedere privilegi e esenzioni da 200.000 ducati, sperperando le casse del Regno senza prudenza e senza oculatezza. I Francesi, «parte per incapacità, parte per avarizia, confusono tutte le cose».
Nella fretta, insomma, non si riuscì a creare il collante con la nobiltà, neppure con i tanti premi feudali, per via delle difficoltà a entrare in contatto con la corte. Le camere per le udienze del Re furono un’utopia anche per i grandi, perché non veniva «fatta distinzione da uomo a uomo, non riconosciuti se non a caso i meriti delle persone, non confermati gli animi di coloro che naturalmente erano alieni dalla casa d’Aragona»
Per non parlare delle «interposte difficoltà e lunghezze alla restituzione degli stati e de’ beni della fazione angioina e degli altri baroni che erano stati scacciati da Ferdinando Vecchio».
L’odio contro gli Aragonesi, inoltre, andava via via spegnendosi con la sopraggiunta compassione per il giovane Ferrandino, il quale, mentre Carlo VIII meditava di rimandare l’acquisto della sua metà del Regno, preparò la riscossa. Partito da Ischia per la Sicilia Ferrandino si unì quindi allo zio e alle truppe spagnole di Consalvo, ingrossando le fila coi Calabresi che mai lo avevano tradito mantenendo viva la fortezza di Reggio.4
Anche l’armata veneziana tornava sulle coste pugliesi guidata dal Capitano Antonio Grimanno. Tutto ebbe dell’incredibile, compreso l’ardore con il quale il Re di Francia e la sua Corte fecero un inatteso dietrofront.
Quel giorno il Re cavalcò per la città con la corona, ma senza gioie in testa, con gran trionfo sotto il pallio di broccato riccio che sfilò per i seggi, così come promesso dal parlamentino cittadino. Carlo VIII portava 400 arcieri avanti tutti con una divisa arrecamata de argentana, portava delli sette offici cinque, l’altri non ci erano, vestiti di scarlato con li vaii attorno alle coppole, et barrette, et dereto si portava la guardia delli gentilhomini di sua casa tutti con lancie in mano: l’arcivescovo avanti a pede con la processione di tutte le religioni di questa città et multi ingegni. La memorabile cavalcata di Carlo VIII su Napoli è riportata nel Vergier d’honneur che descrive il suo ingresso nella chiesa madre per assistere alla miracolosa liquefazione del sangue di San Gennaro, promettendo franchigie e libertà.
Così nella cronaca: — Fut mené en la grande et maitresse eglise de Napples au maistre autel. Et sur l’autel de la dicte eglise estoit le chef de monsieur Sainct Genny et son precieulx sang de miracle, qui avoit este autrefosi monstré au Toy, comme cy devant a este declare assez au long. Et en icelle eglise devant le dit autel le Roy fist le serment a cieulx de Napples, c’est assavoir de les gouverner et entretenir en les droits, et sur toutes chose ils luy prierent et requirent franchise et liberte ce qu’il leur octroya et donna, dont les dictis seigneurs se conterent a merveilles et firent de grans solenitate tant pour sa venue que pour le bien qu’il le faisont.111
Carlo VIII intanto nel suo secondo giorno napoletano diede bando che ogni barone spogliato potesse andare a riprendersi il suo stato. Giunta notizia a Lecce che Napoli si era data ai Francesi, tutto il popolo si rivoltò saccheggiando il castello dove si erano rifugiati i giudei coi loro beni per mettersi in salvo, saccheggiando la giudea ma senza fare morti.
Domenica 16 maggio Re Carlo volle che si giurasse e prestasse giuramento del ligio e omaggio, chiedendolo sia a quelli del popolo che ai nobili cittadini.
Alcuni gentiluomini risposero che pochi erano del popolo, cittadini e gentiluomini, e che tutti gli altri erano forestieri di multi paisi, et che non erano neapolitani. Possibile che a Napoli fossero tutti forestieri? Il sovrano non si capacitava, restando stupito che tale cita non havesse citadini se non ientilomini. Un altro giorno, però, passò per S.Lorenzo messere Carlo Mormile, gentiluomo di Portanova, el quale fo per Baptista Pirozo armatario citadino neapolitano, il quale diceva che avevano apontato con la Chriastianissima maestà’ dei capitoli e ordinanze della città.
Ma il nobile: — Che havite da fare vuy de questa Terra nui simo ientilomini et citadini de Napoli et vuy non vence havite ad impazare in alcuna cosa, vermi de cani fetenti.
Al ché Baptista andò ad tucti citadini et mercanti famosi della città e fece sapere la cosa a tutti. Il giorno seguente, giusto in tempo, furono in 600 gli uomini togati in coppia che, adui adui andaro al castello de Capuana et essendo in la Corte et asopectandono di parlare col sovrano.
Il Re si affacciò alla finestra e vedendo tanti togati chiese chi fossero e gli fu risposto che erano i cittadini del popolo di questa città. Poi si voltò sdegnato verso Carlo Mormile e Lancellotto Agnese ed altri suoi consiglieri che li haveano decto che in Napoli non nce erano citadini, et allora se demostrava essere lo contrario….

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

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Editorial Review

premessa storica

Il Regno diviso tra rossi e bianchi:
accordi segreti di Spagna e Francia

di Arturo Bascetta

 

 

La frantumazione politica del Regno di Sicilia Ultra e Citra gettò Napoli nell’abbandono. Ovunque regnava il caos. Palazzi abbandonati, case diroccate e cloache a cielo aperto erano il brutto biglietto da visita di una metropoli soggiogata, derubata e affranta dalle guerre.
L’ex capitale era allo sconquasso e, perduto il trono aragonese nel 1501, subì la falsa amicizia spagnola del prorex Cordova, che scippò mezzo reame alla «regina triste» in nome di Ferdinando il Cattolico, come già deciso da quest’ultimo sulla carta, essendo in combutta con Re Luigi XII il Cristiano, al quale andò l’altra metà, avallata dai baroni avversi.
Toccarono quindi agli Spagnoli del «la Calavria, Basilicata, Terra di Otranto e tutta la Puglia». Furono dei Francesi del «Re Luigi, il Ducato di Benevento, di Abruzzo, Campagna, e la Città di Napoli», sempre più vuota e abbandonata al suo destino e senza più un solo popolo, diviso fra rossi e bianchi.
La conseguenza fu che al cambiare della casacca si moltiplicarono i luoghi di confine delle antiche province, a causa dello spostamento forzoso voluto da abati feudali e signori di diverso partito. E il risultato fu che si rifondarono ancora una volta paesi di qua e di là, costringendo alla migrazione le piccole popolazioni di servi della terra da un capo all’altro della linea immaginaria se non era gradita ora a questo e ora a quel feudatario.
Con un Viceré a Levante e uno avverso a Ponente, «essendo così divisi, ne nacque anco la divisione de' cuori de li poveri baroni e città del Regno: imperciò che i vassalli de lo spagnuolo si chiamavano Spagnuoli, e seguivano la lor insegna rossa; e i vassalli del francese si chiamavano Francesi, e seguivano la lor insegna bianca: e era forzato spesse volte lo infelice figliuolo esser francese, essendo il suo miserabil padre legittimo spagnuolo», e viceversa.
La cosa non poté certo reggere e, «venendo a rotta l'una nazion con l'altra, bisognò anco, che gagliardamente si oprassero rovinar l'un l'altro». E non solamente, a quel tempo, «fu consumato il Regno da la guerra, ma anche da continua pestilenza, e da incomportabile carestia. Per le quali calamità restò quasi voto di gente e di danari; gli edificii rovinati, i campi disfatti, la giustizia inferma, e la religione quasi che morta: e in questa pessima disposizione era anche la Città di Napoli pervenuta», rimasta divisa in due fazioni. Lo scontro infatti non terminerà con l’invasione lampo del Re di Francia. L’Anonimo, Guerra e gli altri cronisti delle Historie di Napoli «dicol che dopo la venuta di Carlo Ottavo Re di Francia nel Regno, il quale à guisa de fulgure venne in Italia, acquistò il Regno, e partissi, fu mandato da Luigi Re di Francia spano monsignor d’Obegni ad invaderlo, il quale fe’ gran progressi, et acquisti nelle provincie di quello».1
Scriveva Carlo Denina che «niuna parte né di antica, né di moderna storia si troverà dai più gravi, e più autorevoli scrittori trattata, che quella, di cui ora prendiamo a parlare, che è la spedizione di Carlo VIII. Filippo Comines signor d'Argenton, e Francesco Guicciardini, non indegni d'esser chiamati l'uno il Tacito della Francia, l'altro d'Italia, che ne parlano a lungo, vissero amendue in quel tempo, e in condizione tale da poter essere informati d'ogni rilevante particolarità. Comines accompagnò in Italia lo stesso Re, e fu da lui mandato ambasciatore a Venezia per gli emergenti di quella spedizione. E Guicciardini, che già vivea, e che fu poi personaggio di grande affare verso la metà del secolo XVI, in molte delle maggiori faccende, che si trattassero in Italia, ebbe quanto agio egli volle di saper a minuto tutto ciò, che s'era trattato, e fatto negli anni di sua gioventù. Bernardino Corio storico, anch' esso di chiaro nome, finisce col racconto di questa guerra, di cui fu testimonio di vista, le sue storie Milanesi; e Paolo Giovio, che scrisse con più eloquenza, che veracità, la storia dei tempi suoi, ne prese il principio dalla venuta in Italia di Carlo VIII, che è forse la miglior parte delle opere di quel prelato, perché ebbe minor motivo d'immascherarne la verità».
Lo stesso Corio dice che «Filippo di Comines e Francesco Guicciardini, che sono forse i migliori osservatori del secolo, fanno di Carlo il più svantaggioso ritratto; il primo lo dice molto giovane e appena uscito dal nido, mal provveduto d'intelletto e di denaro, di debole persona, ostinato nei propri consigli e non accompagnato da uomini prudenti. Dice l'altro che questo giovane, in età di ventidue anni e per natura poco intelligente delle azioni umane, era trasportato da ardente cupidigia di signoreggiare e da appetito di gloria e ciò piuttosto per leggerezza d'animo ed impeto che per maturità di consiglio, e prestando, o per propria inclinazione o per l'esempio e ammonizioni paterne poca fede ai signori ed ai nobili del regno. Dacché era uscito dalla tutela di Anna duchessa di Borbone sua sorella, non udiva più i consigli dell'ammiraglio e degli altri, i quali erano stati grandi in quel governo, ma si reggeva col parere di alcuni uomini di piccola condizione allevati al servizio della persona sua che facilmente erano stati corrotti. L'aspetto di Carlo VIII corrispondeva a tanta debolezza di spirito e di carattere, era di bassa statura, aveva grossa la testa e corto il collo, petto e spalle larghe e sollevate, coscie e gambe lunghe e gracili». Carlo VIII cominciò a governare dopo il 1492, stipulando con gli ambasciatori di Ludovico il Moro un trattato di convenienza, secondo cui il Duca di Milano, in cambio della propria autorità e della difesa dei suoi stati, era obbligato a dargli il passo. Anzi, a sue spese, avrebbe lo fatto accompagnare da cinquecento uomini d'armi, essendo libero di armare quanti vascelli volesse a Genova, e prendendo in prestito da quella città duecentomila ducati, già prima di partire dalla Francia. «La guerra che per invito di Lodovico Sforza, mosse Carlo VIII re di Francia ad Alfonso II è stata cotanto bene descritta da Filippo d'Argentone, scrittore contemporaneo, e che fu da Carlo adoperato nei maneggi più gravi di quella spedizione; da Francesco Guicciardini e da monsignor Giovio ai quali potremmo mandare i nostri lettori, ma poichè non fu da principe savio mossa guerra alcuna, che insieme non si procurasse farla apparire giusta, non avendo i suddetti scrittori palesate le ragioni onde i baroni francesi per tale la dipinsero al loro Re, non rincrescerà ai lettori sentire alcune parole intorno a ciò. Prima di mover la guerra e dopo gli inviti del Moro furono esaminate le pretensioni del Re con solenne scrutinio e trovatele sussistenti, persuasero al Re essere del suo conto somma giustizia di poter unire alla corona di Francia il Regno di Napoli. Essi appoggiavano la pretensione sopra questi fondamenti. Renato d'Angio, perduto il Regno avea lasciato a Giovanni suo figliuolo la speranza di ricuperarlo dalle mani di Ferdinando I d'Aragona. Mentre visse Giovanni non potè veder lieto esito di quella guerra, poichè Ferdinando, dopo la morte di Alfonso suo padre, sebbene fosse stato allevato da lui e da baroni del suo regno, nulla meno seppe così ben difendersi che non ebbe più a contendere coi suoi avversari. Morì finalmente Renato e non lasciando di sé figliuoli maschi, ma solamente una femmina da cui nacque il Duca di Lorena, fece erede in tutti i suoi stati e ragioni Carlo, figliuolo del Conte di Maine, suo fratello».2
[Questa figlia era Violante la quale si maritò con Feryy II, di Lorena conte di Vaudemont, dal quale matrimonio nacque Renato Duca di Lorena che fu invitato da Innocenzo VIII all'impresa del Regno. Lasciò Renato padre di Violante un’altra figlia eziandio per nome Margherita rimasta vedova del Re d'Inghilterra, alla quale nel suo testamento lasciò le rendite del Ducato di Bari; ma a Renato figliuolo di Violante lasciò il Ducato stesso di Bari. Siccome si legge nel suo testamento fatto in Marsiglia nell'anno 1474 che leggasi in Lunig, Tom. 2. Anzi in questo suo stesso codice diplomatico si legge ancora un istromento di donazione che fece la vedova Regina d’Inghilterra Margherita al suddetto Renato suo padre di tutte le sue ragioni che avea sul Ducato di Bari, le quali furono trasferite a Renato di Lorena suo nipote in virtù del suo testamento, e poichè allegava che suo avo non potesse negli altri suoi stati posporlo a Carlo conte di Maine, ch’era collaterale come figlio di suo fratello, quando era egli nella cima discendente essendo figliuolo di sua figlia; perció pretendeva appartenersegli, nemmeno il Ducato di Angiò e la Contea di Provenza che il Regno stesso di Napoli e di Gerusalemme.
Per tale pretesa i Duchi di Lorena discendenti da Renato fra gli altri titoli presero ancor quello di Duchi di Calabria, e nelle loro armi inquartarono eziandio quelle di Sicilia e di Gerusalemme, siccome si può osservare dalle loro monete impresse del Balcicourt nel Traité Historique et critique sur l'origine et Généalogie de la Maison de Lorraine.
Il qual autore notò assai a proposito che i duchi di Lorena prima di questo maritaggio di Violante con Fernes di Lorena conte di Vaudemont, non inquartavano le armi di Sicilia e di Gerusalemme né s’intitolavano duchi di Calabria siccome fecero da poi i suoi discendenti. Carlo morì poco di poi senza lasciar figliuoli ed istituì suo erede Lodovico XI Re di Francia ch’era figliuolo di una sorella di Renato.
Molte clausole di questo testamento che fu fatto da Carlo in Marsiglia a 10 dicembre 1481 si leggono nel primo tomo della Raccolta de'trattati delle paci dei re di Francia con altri principi di Federico Lionard, stampato in Parigi l'anno 1693, dove istituisce suo erede universale Lodovico, che chiama perciò suo consobrino, e dopo lui Carlo il Delfino di Francia figliuolo di Luigi, nel quale non solo ricadde come a suo supremo Signore il ducato d'Angiò, nel quale per esser membro della corona non succedono le femmine, ma entrò nel possesso della Provenza, e per vigore di questo testamento ricadevano in lui anche i diritti e le ragioni che gli Angioini aveano sopra il Regno di Napoli.
Ma Luigi fu sempre avverso alle cose d'Italia, e contento della Provenza non inquietò il Regno. Morto Luigi essendo continuate queste ragioni in Carlo VIII suo figliuolo, giovine avido di gloria, confortato dal Moro, si accinse al conquisto di quel regno per sostenere i propri diritti].3
E così Corio, cronista milanese contemporaneo di potere, «dopo aver dipinto a vaghi colori la felicità di Milano sotto la reggenza assennata e liberale di Lodovico, e detto con ostentazione da quattrocentista, che Venere e Minerva, ossiano i piaceri e la dottrina, se ne contendevano l'impero, comincia ad entrare nelle pratiche più o meno copertamente condotte dal Moro per trasferire in sé i diritti alla successione del nipote, sposando a Massimiliano la Bianca con quattrocento mila fiorini, sollecitando contemporaneamente Carlo VIII all'impresa di Napoli».
Commenta il De Magri che «forse riusciva a Lodovico di riparare all’imprudenza di aver chiamato giù dall’Alpi le armi francesi, saldando cioè con una condotta prudente, ma sincera, quella confederazione la quale si era presto rannodata fra gli stati d'Italia al prevalere di Carlo VIII: di che era nata in costui la necessità di abbandonare la facile conquista e di ridursi di là dei monti». E conclude sostenendo che «la discesa di Carlo VIII segnò la rovina dell'indipendenza italica e della casa sforzesca».4
In realtà più che una improvvisata, quella di Carlo VIII, appare una dichiarazione di guerra annunciata all’Imperatore, al Papa, sl Senato parigino, e a mezza Italia, tranne che all’interessato nemico. Stando a Corio il sovrano di Francia ha bisogno di entrare nel Regno di Napoli per arrivare a occupare l’Ortiente, essendo Re dei Cristiani, e quindi a sconfiggere i Turchi.
Così Carlo VIII: — Maturatamente habbiamo deliberato entrare nella guerra Napolitana, poi superare il Tiranno, et anche non si vegga noi negligere la ricca provincia lasciata per i nostri maggiori, et à questi tempi saluberrima al nome Christiano, facendoui intendere, che tutti quei popoli più non ponno sopporrare la sceva tirannia.
E questo nostro apparato del tutto è precipuo fondamento; imperoche ricuperato il debuto Reame, il camino s'ara aperto a confligere il Turco.
Insomma era solo questa la santissima cagione, ne induce alla necessaria speditione, il motivo per cui invitata i suoi a questa strana crociata, come se i Napoletani fossero diventati amici del Gran Turco.
Così Corio: — L'elegantissimo parlare di Carlo tutti gli astanti con lieto animo havendo inteso, li resero gratie immortali, che seco havesse participato un sì grande, e santissimo proposito, il quale in tutto vedeano sicuro, e che niente della loro fede dovesse dubitare, non mancandoli d'ogni aiuto; e quando anco la forte gli necessitasse, il proprio sangue erano per spargere in testimonio della fede, e benevolenza c'haveano verso di lui. Mentre che queste cose si-agitavano in Francia, Alfonso nel prossimo giorno doppo i funerali del padre fu salutato Re, e tutti i Prencipi del Reame, et oratori degl'italiani potentati andarono à lui condolendosi della morte di Ferdinando, et anche per congratularsi della sua assontione, e Fiorentini doppo per i suoi Legati seco fermarono la medesima confederatione, c'haveano col defonto Rè, con tal legge però, che Alfonso dovesse esibire per la Republica Fiorentina, et in ciaschedun bisogno le sue copie, e non manco la propria persona.
Ricorfermato il governo a Firenze, Re Alfonso II, giunse a Roma per sollecitare una Lega a farsi dal Pontefice affinché accondiscendesse al soccorso Napolitano, qualora ne avesse avuto bisogno, «facendogli intendere se mai havesse à venerare la Gallica potenza, poteva pensare il suo conseglio esser l'ultima eversione d'Italia», chiude Corio.
Così il sovrano: — Io concedo che la prima giattura sarebbe la mia, e d'indi con maggior severità loro me seguitarebbono. Di tanto male Lodovico Sforza è stato la cagione, contra del quale mai per me è stato perpetrato cosa alcuna. Anzi lui gouernando, Isabella mia figliuola hò data per moglie à Giovanni Galeazzo suo nepote.
E se pur esso si persuade essere da me offeso, non ricuso di stare al giudicio di questo venerando, e sacro concistoro de' Cardinali, Fiorentini, et Venetiani, e quando ancora Lodouico non moslo per alcuna ragione, contra di me concita questi Barbari, vi priego che vogliate abbracciare questa mia giustissima causa, e non lasciarmi opprimere dall’arme esterne, le quali finalmente si haveranno rivoltarsi contra di voi.
E così, «queste cose agitandosi, Lodovico Sforza in Francia sollecitava Carlo, che volesse accelerare l'espeditione, e non volesse lasciare Ascanio, e gli altri confederati in tanto manifesto pericolo, conciosia cosa che Alfonso si sforzava corrompere con ricchissimi doni per impulsione di Guglielmo Brisonetto, il quale sperava havere il Cardinalato, i Proceri di Francia, e Baroni à differire l'impresa in altro tempo». Miolano, Cordes, Serva, il Prencipe di Lorigia, il Marescalco di Gie, e altri «dimostravano a Carlo l'impresa essere ardua, e difficile à pigliare in quei tempi propinqui all'inverno, il perche niuno proficuo si potrebbe fare contra del potentissimo Rè, il Pontefice, e Fiorentini insieme confederati, la Francia mancare di denari, e di cavalli, e l'Italia esser'abondante del tutto, e soggiungevano, dove metteremo noi le nostre legioni, non havendo ancora occupato alcuna Città?». Carlo ebbe poi la conferma dall'oratore Spagnolo a «voler dar luogo à quanto s'apparteneva havere à fare nella Sicilia, mentre che il suo Rè con giuramento consentisse all'impresa di Napoli. Temeva il Rè di Spagna che Carlo quando havesse occupato il Reame Napolitano anche non rivolgesse l'animo alla Sicilia, quale li pretendeva dover essere sua per ragione. Il perche ogni cosa lasciandosi in concussa, Carlo al tutto deliberò il passare in Italia. Adunque Alfonso poi che vide niente poter giovare in resistere all'arme Francese, le quali ancora gli nemici non haveano à ponto, e parimente l'armata a Genova esser'imperfetta, deliberò prevenirgli. E così di subito Ferdinando suo figliuolo con Nicolao Orsino, Zangiacobo Triultio, et altri Capitani, con bellicoso essercito mandò à Favenza, con proposito di passar più oltra, e con l'aiuto della lega, e Bolognesi, quali con gran follecitudine ricercavano à confederarsi seco, poi entrare nel Parmegiano, et in tutto deturbare lo stato a Lodovico, il quale di subito havendo ragunato le memorate cinquecento lanze, sotto il governo di Giovan Francesco Sanseverino, le mandò per oviate al furore degli nemici, in modo che à lunghe giornate cavalcando per quel di Parma, e passato il ponte di Lenza pervennero nel Regiano, dove à Cantalupo si congiunse seco Eberardo degli Obigni con mille cavalli Francesi, e d'indi per infino à Sant'Agata andarono contra le genti di Alfonso, e quelle quanto poteuano si sforzauano con leggiere scaramuzze tenere in tempo, per fino à tanto che giungesse in Italia il compito essercito di Carlo».5
Sulla carta tutti volevano aiutare Ferrante II d’Aragona a riconquistare il suo reame, ma nessuno immaginò che la spartizione segreta con gli Spagnoli fosse già avvenuta. Lo avrebbero fatto con la sollevazione della stessa Napoli, a cui Carlo di Valois si apprestava a concedere privilegi e esenzioni da 200.000 ducati, sperperando le casse del Regno senza prudenza e senza oculatezza. I Francesi, «parte per incapacità, parte per avarizia, confusero tutte le cose». Nella fretta, insomma, non si riuscì a creare il collante con la nobiltà, neppure con i tanti premi feudali, per via delle difficoltà a entrare in contatto con la corte. Le camere per le udienze del Re furono un’utopia anche per i grandi, perché non veniva «fatta distinzione da uomo a uomo, non riconosciuti se non a caso i meriti delle persone, non confermati gli animi di coloro che naturalmente erano alieni dalla casa d’Aragona». Per non parlare delle «interposte difficoltà e lunghezze alla restituzione degli stati e de’ beni della fazione angioina e degli altri baroni che erano stati scacciati da Ferdinando Vecchio».
L’odio contro gli Aragonesi, inoltre, andava via via spegnendosi con la sopraggiunta compassione per il giovane Ferrandino, il quale, mentre Carlo VIII meditava di rimandare l’acquisto della sua metà del Regno, preparò la riscossa. Partito da Ischia per la Sicilia Ferrandino si unì quindi allo zio e alle truppe spagnole di Consalvo, ingrossando le fila coi Calabresi che mai lo avevano tradito mantenendo viva la fortezza di Reggio. Anche l’armata veneziana tornava sulle coste pugliesi guidata dal Capitano Antonio Grimanno. Tutto ebbe dell’incredibile, compreso l’ardore con il quale il Re di Francia e la sua Corte fecero un inatteso dietrofront.
Con la vana promessa di ritornare, Carlo si fece rendere l’omaggio feudale dai Signori e, messa la Corona del Regno sul capo per mano di Giovanni Ioviano Pontano in nome del popolo napoletano, il 22 maggio 1495, si nominò Re di Napoli e ripartì.
Lo raffreddò la decisione di Ludovico il Moro di approntare una Lega con papa, imperatore e veneziani contro i turchi, pronti a calare sulle coste. Perciò, con gran fretta, in quel 24 maggio 1495, Carlo VIII sloggiò, mentre Ferrandino, presa Reggio, si scontrava a Seminara con D’Aubigny, cadendo e rischiando di essere ucciso per l’imperizia delle forze alleate spagnole.6