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IL POETA DEI PRESEPI
PRESENTA L’INCANTESIMO DEI PASTORI
“Te piace ‘o presepio?” Con questa iconica domanda, Luca Cupiello, alias Eduardo De Filippo, nell’intramontabile commedia “Natale in casa Cupiello” esorta più volte il figlio Tommasino, (Luca De Filippo) non solo a rispondere per ricevere un elogio e compiacersi del lavoro svolto nel riprodurre la commovente scena della natività, ma a riporre le proprie speranze d’ uomo, afflitto dalle vicende famigliari, nella incoscienza fanciullesca, che trascende i malesseri della vita creando un “submondo” in grado di alleviare i dolori e le incertezze del piano esistenziale.
La domanda stessa pone l’uomo dinanzi a un bivio da cui non può sottrarsi; Sei disposto a sacrificarti per amore, o preferisci voltare le spalle ai sentimenti, per il solo ego personale? Detto così, Luca Cupiello appare egoista, un uomo che discerne i problemi, ma finge di non vederli. In realtà il suo è un atto di fede, la fede in un bambino nato al freddo e al gelo in una grotta dimenticata dal tempo e dagli uomini, ma non da Dio, che intenerisce i cuori persino degli stolti. Luca è semplicemente un uomo umile e l’umiltà rende umani, ed il presepe è forse uno dei più tangibili atti d’umiltà intrapresi dall’uomo nel mondo artistico e soprattutto col presepe napoletano si è ripresa con prepotenza l’idea di un Dio incarnato in mezzo agli uomini, più di quanto la Chiesa stessa abbia mai saputo annunciare in due millenni di storia. Napoli e il suo popolo, con pregi e difetti, virtù, bellezze e nefandezze, Santi e peccatori, riuniti in una scena di vita quotidiana, mentre il Salvatore geme, sorride, piange, tra le braccia e il seno di Maria, pronto al sommo sacrificio che da li a pochi anni sarebbe inesorabilmente sopraggiunto.
Chi ama il presepe quindi, non può che essere un uomo d’amore, (Luciano De Crescenzo docet) un uomo appassionato, sincero, semplice, che antepone avidità e cupidigia, all’ amore per il prossimo, attingendo la propria gioia da questo intenso vortice di emozioni positive, scaturite dal donare più che dal ricevere.
Presepolis nasce sotto la mia buona stella cometa, archetipo di quella inseguita dai magi, che ha viaggiato lungo l’arco della mia vita, consegnandomi frammenti di luce artistica:
I già citati, Natale in casa Cupiello, il presepe napoletano, ed anche la Cantata dei pastori e pochi ricorderanno un film d’animazione datato 2003, Opopomoz, ambientato a Napoli, laddove due bambini tramite una formula magica, entrano in un presepe per sottrarre al diavolo il piano malefico di evitare la nascita del Divin Bambino. Ricordo una delle colonne sonore cantata da Peppe Barra, intitolata “Chesta felicità”, felicità che viene e va e solo un uomo generoso può sperimentarne il senso profondo che prescinde dai beni materiali. Perfino il “Canto di Natale” di Charles Dickens ha lasciato in me i suoi proseliti, rinvenendo il commovente cambiamento avvenuto nel protagonista, Ebenezer Scrooge, che messo dinanzi al triste commiato della sua avida esistenza da tre spiriti, (del Natale passato, presente e futuro) si ravvede per redimersi e modificare il corso degli eventi.
Sono vari e tutti interconnessi gli elementi fondanti di questa fiaba napoletana, lungi da me paragonarla ad una di queste o a ritroso, a quelle del Basile, ma ho cercato e ricercato per lunghi tre anni, uno stile tutto mio, che rendesse affascinante la storia, disponendo elementi dal sapore teatrale sette/ottocentesco, dai sentori Petitiani, volti a rendere la lettura leggiadra, spassosa, irriverente, finanche drammatica e di morale certamente Cristiana, nella quale mi riconosco fieramente. Sovente ho adoperato figure originali che ho trovato nelle opere d’arte presepiali dei fratelli Scuotto e la loro Scarabattola. Il mio è un omaggio vero e proprio ai prestigiosi capolavori oramai conosciuti in tutto il mondo, e ho fatto capo all’amicizia quasi decennale che mi lega ad essi, principalmente a Raffaele, il quale si è espresso entusiasta del suo diretto coinvolgimento nei fatti narrati, definendo il racconto di Scarpettiana memoria.
Quattro i personaggi principali, come si denota dalla copertina stessa: un pescatore, (Geretiello) un’acquaiola, (Teresina) Pulcinella e il Diavolo. Devo aprire una parentesi sui nomi dei primi due protagonisti, ispirati da una celebre poesia di Totò, “L’acquaiola” in cui Teresina è la morosa di un pescatore di nome Geretiello. Di questa poesia ne ho tratta addirittura una scena presepiale napoletana che posseggo da alcuni anni, dalla quale ho tratto ispirazione per le vicende in cui i due spasimanti sono coinvolti lungo l’arco del racconto.
L’eterna lotta tra il bene e il male, tra anime pezzentelle agguerrite più che affrante, miti e leggende napoletane rielaborate dai fratelli Scuotto, sacro e profano a confronto e una Napoli settecentesca che torna poderosa e affascinante, luogo in cui i protagonisti sono catapultati alla ricerca dell’amore perduto. Tutto ciò descritto in un napoletano ricercato, arcaico, verace, popolare.
Insomma non date nulla per scontato, archè sono certo che l’intera fiaba non solo vi sorprenderà, ma sarà in grado di lasciarvi un sorriso, un pensiero, una domanda e forse una certezza.
Gaetano Iodice
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