IL VICERE’ DI TOLEDO Fernando Álvarez de Toledo y Pimentel 1556-1558

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IL GENERALE CHE NON VOLEVA L’INQUISIZIONE

Contento il Re di Spagna della guerra finita presto, ordinò a Consalvo di mandare a casa capitani e fanti, ringraziando Iddio in tutte le chiese dell’Andalusia.
La qual cosa, tornato a casa, permise a Consalvo di inviargli lettere di raccomandazione per i suoi uomini migliori. Tre giorni dopo donò loro denari, broccati d’oro o d’argento lavorato, panni scarlatti e drappi di seta d’ogni qualità, colori per fare vestimenti, padiglioni, letti da campo rivenduti dai mercanti alle fiere di Cordova, Siviglia, Medina, Valenza e Granata, per un valore di 100.000 ducati d’oro al punto che si disse che il Re, per punirlo, lo voleva far fallire.
Fatto papa Leone X, Francesi e Inglesi sembravano riappacificarsi, quando Luigi sposò la sorella di Enrico. Ma il Re morì proprio durante le nozze e fu dichiarato Re di Francia il genero Francesco, marito della figlia. Come si discuteva della gloria dei castigliani, così si parlava dei fatti d’Europa e “delle crudeli nationi del mondo nuovo, e de’ spietati popoli antropophagi, poi che l’armate del re Ferrando navigato l’Oceano verso occidente avevano ritrovato quasi un’altro mondo, onde si cavava tanta quantità d’oro di perle, e di gioie, che bastavano ad arricchire in Hispagna, le facultà publiche e private”.127
Si disse che Consalvo, poco prima di morire, stesse trattando la cacciata del Re dai territori di Castiglia, facendolo arrestare verso i territori terraconesi. Sarebbe stato proprio lui a richiamare la figlia Giovanna, imprigionata in un castello come pazza, progettando di mettere sul trono delle Spagne il quindicenne Carlo figlio del fu Filippo di Fiandra (che ben ricordava i nomi degli amici del padre).
Anzi fu proprio Consalvo a trarre dalla prigione della Rocca di Xativa, il giovane Ferrando Duca di Calabria figlio di Federico I di Napoli, al quale pure aveva giurato fedeltà. Si disse che era divenuta sua intenzione rendergli il Regno paterno in cambio della mano della figlia e a condizione che riconoscesse Carlo di Fiandra a nuovo sovrano di tutti i territori spagnoli.
Ma Consalvo morì e Napoli continuò a stare nelle mani del Vicerè Cardona e del Cattolico, i quali, calmatesi le acque, ricominciarono la guerriglia con i Veneziani, alleati dei Francesi, colpendo gli ebrei, loro veri finanziatori.128
Consalvo morì il 2 dicembre 1515, a 62 anni, e sepolto in San Francesco di Granata con più di 100 stendardi, «dove con giusti onori d’essequie gli fecero il mortorio Don Ignico di Mendozza, Conte di Tindiglia e Governatore di Granata, e gli altri baroni della famiglia di Cordova». Il re mandò una umilissima lettera, quaranta giorni prima che anch’egli morisse in terra di Madrigale. Il Re Francesco di Francia era già su Milano e a Bologna al fianco dei Veneziani.
Gli ebrei continuavano infatti a stipulare contratti con mercanti di San Marco e anche a prestare danaro ai Signori del Regno di Napoli a tassi elevatissimi. Un buon inizio per riprendere la vecchia idea della Santa Inquisizione, mentre gli ebrei non smettevano affatto di fare affari provocando le ire delle “vittime”. L’abate di San Leone di Bitonto si recò perfino dal Pontefice per protestare circa una tassa vessatoria sugli affari, rivelandosi fervida l’attività ebraica.129
A Trani, il 24 gennaio 1515, l’ordine perentorio per evitare sequestro e molestie per i cristiani neofiti fu del loro allontanamento entro 20 giorni. Ma l’anno dopo si concedevano ad un certo Ramides 20 ducati d’oro per le fosse granarie nuovamente nelle mani di cristiani novelli.130
E mentre a Napoli il Vicerè perdeva tempo contro gli Ebrei, così come accaduto a Consalvo con Isabella di Spagna, un cavaliere di Francia era entrato sia nelle grazie della Regina (la cugina) che in quelle dell’amante del re (la sorella), la Contessa di Chateau-Briant: Odetto de Foix detto Lautrec.
Note Bibliografiche

1. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
2. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
3. Marco Guazzo, Historie, cit. , pagg.229-230. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, cit.
4. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta di varie Croniche, pagg.224-225.
5. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
6. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pag.231.
7. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
8. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pagg.218-223; pagg.231-232.
9. Malipiero, Annali Veneti, cit. Cfr. Adele Scandone, Giovanna III, luogotenente generale di Re Alfonso II, in: Archivio Storico delle Province Napoletane, III, pag.136 e segg.
10. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pagg.231-232.
11. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 198-225.
12. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 198-225.
13. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
14. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pagg.231-232.
15. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
16. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pagg.233-237.
17. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
18. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
19. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pagg.233-237.
20. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta di varie Croniche, pag.223.
21. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
22. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pagg.233-237.
23. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.14 in poi.
24. Marco Guazzo, Historie di Messer Marco Guazzo ove se contengono la venuta, e partita d’Italia di Carlo Ottavo Re di Franza, e come acquistò, e lasciò il regno di Napoli, e tutte le cose in quei tempi in mare, e in terra successe, con le ragioni qual dicono francesi haver la corona di Franza nel regno di Napoli, e nel ducato di milano. Opera nuova, nuovamente e non più stampata, con gratia, e privilegio del Senato Veneto. In Venetia all’insegna di S.Bernardino, 1547, pagg.237-239.
25. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta…, cit., pagg.223-224.
26. Cantalicio, in Raccolta, Le Istorie di Monsignor Cantalicio, Libro I, pagg.10-11. Cfr. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
27. Re Carlo scriveva al suo vicario del Principato essendo vacante la cappellania a lui spettante sulla chiesa di San Salvatore. Seguì Matteo Platamone, autore di un commento sul Carme di Pietro da Eboli, reggente di scuola medica salernitana in Napoli nel 1300.
28. Nel 1567 è detto Santo Salvatore della Doana vecchia, quando si ordina al beneficiato Giulio Villano di ripararlo in quanto gia sta in atto de andare tutta a ruina et da vicini ne è stata fatta istanza che se ripari, per il pericolo che vi è di cascare et cascando rovinare gli edifici contigui. Nel 1616 il vescovo ordina di non celebrare più messa e di profanare la Cappella di San Salvatore de Dogana, nel territorio Parrocchiale dei Santi Dodici Apostoli, semplice beneficio di patronato Regio. Quello dei 12 S.Apostoli e di altre alla Marina, ex Commenda maltese di Capua, era uno dei quartieri più antichi di Salerno. Era raggruppato intorno alla Chiesa parrocchiale detta dei Dodici Santi Apostoli oppure, più semplicemente, come viene accennata nel Catasto settecentesco, solo Chiesa dei Santi Apostoli, quando la stessa parrocchia aveva perso vigore, contando solo due case di benestanti proprio fuori la chiesa.
29. I piani erano quasi chiari: Consalvo sarebbe passato col governo delle genti in Sicilia e, andando contro i Turchi a Cefalonia, si sarebbe congiunto con l’armata in Puglia visto che il fratello Don Alfonso, era già a Zante, mentre s’apparecchiavano le armi per l’autunno contro il Sultano e la sua armata turchesca.
30. E ancora in Grecia Consalvo si distinse durante la carestia, quando ordinò alle donne, le quali “non sapevano” come separare la farina dalla crusca, di levarsi i veli sottili dal capo e fabbricò “picciol forni nella riva per cuocere il pane; mentre che gli altri cocevano ne’ paiuoli il fromento pesto col lardo benchè nimico a’ corpi”.
Assoldati gli Svizzeri a Milano e una grossa armata a Genova i Francesi aspettavano solo la primavera per muovere guerra, mentre Consalvo tornava carico di doni veneziani, fra “vasi d’oro e d’argento intagliati, panni paonazzi di lana, e cremisi di seta, e molti broccali d’oro” (oltre a 10.000 ducati d’oro e dieci cavalli turchi), accolto a Messina come un re dagli ambasciatori giunti da tutta l’isola. Ancora più contento fu Re Federico, il quale, sperando in un aiuto, gli spedì spesso ambasciate.
L’apprestarsi dei Francesi, legatisi a Veneziani e Fiorentini, per la congiura del Papa e di suo figlio, poteva ritorcersi anche sulla Sicilia con un imminente assalto, ignorando la congiura del cugino con Luigi XII.
31. Consalvo era consapevole, ma avrebbe ubbidito solo alla Corona di Castiglia, affinchè “non paresse che egli mancasse di fede al Re suo Signore, il cui animo per certe offese alienato Federigo s’haveva concitato contra”, convinto che Ferdinando Il Cattolico, nella sua vita, aveva trattato con Re Luigi la pace solo in cambio dell’annuo tributo, avendo difeso con le ricchezze della Sicilia il Regno di Napoli conquistato a suo tempo dallo zio Alfonso. Dalle quattro ex province angioine erano nate le due sottoprovince di Basilicata e di Terre di Bari), rette dalle Cortes provinciali dei Vicerè Catalani d’Aragona e non più dagli originari Mastri Portulani. In passato si erano cioè avuti un Vicerè per l’Abruzzo (vedi Bartolomeo III di Capua), un Vicerè in Terra di Lavoro e Molise, un Vicerè in Terra d’Otranto, un Vicerè per le Calabrie esistente da tempo immemore. Si racconta che Re Alfonso d’Aragona avesse scippato il Regno agli Angioini proprio ad un capitano, Antonio Ventimiglia Conte e Centeglia “creato suo Vicerè nelle Calabrie” per aver condotto all’obbedienza la città di Cosenza, i Casali e Grimaldo.
32. A.Della Monica, Memoria istorica…, cit., pag.605 e segg. “Fatto questo secreto concerto, il Francese fù il primo ad entrar nel Regno con esercito di mille lancie, diece mila cavalli, e con buon numero d’artigliarie, come dice il Guicciardino. La prima città, che combatterono fù Capua, della quale impadronendosene à forza d’armi con grandissima crudeltà la sacchegiorono, usando mille dishonestà, e violenze, il che diede tanto spavento alle Terre convicine, che quasi tutte alzaro le bandiere di Francia. Il misero Rè Federico riscorse per agiuto, come diansi haveva fatto, all’istesso Rè Cattolico suo parente, il quale dissimulando, mandò di nuovo Consalvo di Cordova chiamato il gran Capitano, ma con l’intento contrario, che se la prima volta andò per discacciare dal Regno i Francesi in favor degli Aragonesi, questa seconda volta vi mandò à discacciar gl’Aragonesi in favor de’ Francesi”.
33. Gli aiuti di Consalvo a Gaeta non arrivavano mai, sebbene il Re continuasse a donargli i castelli calabresi che chiedeva in cambio, nella speranza di poter presto avere un forte esercito per respingere i Francesi ed evitare l’assedio accaduto al nipote ai tempi di Carlo. Federico si fermò quindi a San Germano, attendendo inutilmente i fratelli Colonna, mentre Spagnoli e Francesi mettevano le mani sul trono di Napoli sbarcando sulle coste e celando, gli uni agli altri, la volontà di volersi appropriare delle conquiste altrui. Fu così che Luigi XII si impossessò della “sua” metà del Regno di Napoli (1501-1503) senza neppure dichiarare guerra ai Catalani Aragonesi, quanto ai baroni più testardi. Consalvo, dal canto suo, si era portato da Messina a Reggio per prendere la Calabria e aveva mandato a dire a Federico che rompeva i patti di sudditanza, rinunciando all’Abruzzo e Monte S.Angelo che gli aveva donato. Federico, ancora più signorilmente, rispose che gli rinnovava l’atto. Questo significava che i Francesi avrebbero dovuto togliere l’Abruzzo a Consalvo, il quale, restituiva ai Sanseverino e a Bernardino Principe di Bisignano i loro castelli. I Francesi attaccarono dal Garigliano con 15.000 uomini al comando di Robert Stuart signore d’Aubigny, affiancato dall’allora Cardinale e Legato Pontificio Cesare Borgia e Galeazzo Sanseverino Conte di Caiazzo, sempre con Napoli, la Terra di Lavoro, il Ducato di Benevento e l’Abruzzo sulla carta; mappa che invece assegnava al Cattolico la Calabria, la Basilicata, la Puglia e Terra d’Otranto. Per giungere su Capua, nell’estate del 1501, occuparono il Castello di Calvi, ma si ritrovarono proprio il figlio del fu Conte di Mignano, ch’essi avevano ucciso nel precedente assedio, a difendere la città. Fu infatti Ettore Ferramosca, posto a difesa del castello, a mostrare il suo valore, mettendo in fuga il nemico, sebbene ciò non servì a salvare la città. Infatti, caduta la difesa di Capua, e uccisi i Conti di Palena e di Marciano, vennero catturati sia il comandante Fabrizio Colonna e Ugo Cardona, che Guido ed Ettore Ferramosca, capitano di ventura piccolo di corpo, ma di animo grande e forza meravigliosa, tipico esempio di coraggio personale e di valoroso soldato, fu tradito da Cesare Borgia. Con i loro soldi, per la gioia di Consalvo, l’intera famiglia dei Colonnesi era dalla sua parte, quando seppe che, pagato il riscatto per la prigione, Fabrizio e Prospero si erano allineati alle idee del fratello Cardinale Giovanni, già da tempo in Sicilia, vittima anch’egli della cacciata da Roma operata da Borgia. Ora erano tutti nemici dichiarati del Papa.
34. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
35. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
36. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
37. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Questo accadde perchè quando entrarono gli eserciti in Puglia si prospettò la nuova difficoltà solo sul campo fra baroni che alzavano bandiera francese e altri che inneggiavano agli spagnoli sostenendo, gli uni e gli altri, di appartenere alla medesima provincia. Pertanto, non avendo copia dell’accordo deciso fra i due Re, per non pregiudicare nessuna delle parti, decisero di seguire un ordine, che fu quello di far alzare bandiera spagnola anche a quei castelli che avevano pensato di alzare bandiera francese, senza avanzare pretese da nessuna delle parti. Questo sebbene, secondo gli Spagnoli, ricadessero fra le loro quattro province e che quindi dovessero abbassarla. Fu quindi creata una specie di zona franca nella zona di confine, chiamata provincia di Capitanata, i cui i castelli avrebbero alzato ambedue le bandiere, nonostante che il luogotenente generale di Francia, Luigi Palau, cercò di dimostrare che per diverse ragioni la Capitanata era la verdadera Puglia. Ad ogni modo pretese che si considerasse provincia separata e che era meglio accordarsi affinché le cose di quello stato provinciale si sarebbero governate da commissari di ambedue i Re, dividendo in parti uguali le rendite. Il problema è che i Francesi mostravano interessi economici per ragione di riscossione della Dogana dei ganado, volgarmente detta delle Pecore, che si faceva in Capitanata. Per questo motivo si decise di dare al Re di Francia (per mano di un di lui commissario), allo scadere del primo anno, la metà delle entrate dell’annualità detta Dogana delle Pecore spettante al Re Cattolico (per mano di un proprio commissario) che si sarebbe riscossa nella Capitanata che a questo punto andava staccata dalla Puglia lasciandovi solo Otranto e Bari. A questo punto Luigi Palau se ne andò dopo aver accettato e deciso per la nomina di due commisari in comune che facessero alzare le bandiere di entrambi i Re in quelle quattro province, sebbene l’intenzione dei francesi era comunque quella di occuparle tutte.
38.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Cioé quella que se estiende desde el rio Fertoro, hasta el rio Aufido e che si chiamò Capitanata, desde el tiempo de los Griegos, y Normandos: y lo que antiguamente integrava la Calabria. Quindi Calabria restò tutta quella regione che includeva la marina di Baroli, Trana, Molfetta, Iuvenazo, y Monopoli, que era de la antigua, y verdadera Calabria, che poi fece capo al quella ciudad que llamaron Bario che ancora allora si chiamava Bari, il cui territorio dal mare continuava fino ai luoghi montagnosi che in origine furono abitati da Lucani, Apuli e mantenuti dai governatori del Imperio Griego Basilicata. In essa si includevano perfino Taranto e Brindisi, nell’area che poi prese nome de Hydrunto, che era il luogo principale della Terra di Otranto. L’antica Calabria stava quindi ben distinta, separata e lontano dall’attuale Calabria che per la maggior parte della sua estensione era abitata dai Bruzi. Quindi la Capitanata integrava la Calabria di Bari e la Calabria si chiamava Bruzio di Cosenza. Nella ripartizione che fecero i due Re non si tennero in considerazione i nomi antichi delle regioni (in parte ancora esistenti sotto gli angioini fino al terremoto del 1348), ma ci si riferì all’ultima divisione politica delle province sotto Federico I.
39. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220.
40. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220
41. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
42. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
43 Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
44. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
45. AA.VV, Capitani di Ventura 1458-1503, ABE, Avellino 2006.Cfr. Paolo Giovio, La vita di Consalvo Ferrando di Cordova, Torrentino, Firenze 1552.
46.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
47. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
48. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v.
49. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. D’improvviso comincia a parlare anche di Semiramis uxor Nini fuit prima inventrix braca rum, cioé di Semiramide moglie di Nino, I Re di Babilonia al tempo di Abramo, che fu la prima inventrice dei pantaloni. Poi insiste con Sam fuit filius Noé qui postanam eccepit sacerdotium mutavit nome et dictus est Melchisedech, quel Sem sul Nilo, figlio di Noé, che divenne sacerdote Melchisede. Ed ancora si rifà alle imprecazioni: – Emendamus inutilius quo ingnorantia peccavimus si subito preoccupati dum mortis queramus spatium penitentie et invenire non possum.Poi lascia la penna di filosofo latino e abbraccia quella del poeta volgare e patriottico, quasi scimmiottando il Petrarca, anzi a lui assomigliando in questo sonetto inedito proveniente dal medesimo rogito dell’Archivio di Stato di Avellino. Al foglio 294v, siamo nel solito rogito arianese, in ultima pagina, il notaio Tartaro stavolta si diverte a riportare un sonetto che stavolta cita chiaramente, essendo tratto dal Salutario Francisci Petrarce de studio, ma, guarda caso, è ancora una invocazione patriottica, il Redrentus ad Laudem Italie, che è il sonetto trecentesco conosciuto come Ad Italiam. In altra pagina trascrive proprio un sonetto del Petrarca. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. E’ totalmente in latino: Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve / tellus tuta bonis, tellus metuenda superbis, / tellus nobilibus multum generosior oris, / fertilior cuntis, terra formosior omni, / cincta mari gemino, famoso splendida monte, / armorum legumque eadem veneranda sacrarum… lui…paratis / Pyeridumque domus auroque opulenta virisque, / cuius ad eximios ars et natura favores / incubuere simul mundoque dedere magistram. / Ad te nunc cupide post tempora longa revertor / incola perpetuus: tu diversoria vite / grata dabis fesse, tu quantam pallida tandem / membra tegant prestabis humum. Te letus ab alto / Italiam video frondentis colle Gebenne. / Nubila post tergum remanent; ferit ora serenus / spiritus et blandis assurgens motibus aer / excipit. Agnosco patriam gaudensque saluto: / Salve, pulcra parens, terrarum gloria, salve.
50. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. V. passo: “L’illustrissimo pranzò e partì da Rohano in lectica accompagnato da Massimiliano Sforza detto il Moro già duca di Milano”. In: Itinerario di monsignor reverendissimo et illustrissimo il cardinale de Aragona mio signor incominciato da la cita de Ferrara nel anno del Salvatore MDXVII del mese di maggio et descritto per me donno Antonio de Beatis canonico Melfictano con ogni possibile diligentia et fede. Maggio 1517.
Il sonetto è di grande importanza perché mostra come sia avvertita ad Ariano, ex dipendenza salernitana, la voglia di libertà, essendo il popolo ormai stanco delle continue guerre in cui era stato coinvolto, ma con la solita voglia di riscatto. Il sonetto però non pare inneggiare alla sola libertà del Regno, quanto a quella dell’intera Italia, proprio come nel Trecento e nel Qauttrocento. Da qui l’ipotesi avanzata che non fosse farina del suo sacco. Ad ogni modo è onorevole che questa trascrizione, autografa o copiata, si ritrovi comunque ad essere inedita e trascritta dal notaio di Ariano. Nella sostanza si sprona il Moro Duca di Milano ad abbracciare le armi per difendere l’Italia dall’invasore spagnolo, per farlo ravvedere rispetto all’idea di esiliare a suo tempo Re Alfonso d’Aragona sostenuto dagli Sforza, giudicando indegno Re Ludovico di Francia, sostenendo che presto si sarebbero pentiti tutti. Marco, il Re di Spagna, l’Imperatore: si non si avede ognun essir fallito perché in Italia è intrato un firo basilisco. Da qui l’esortazione ad aprire le porte per far entrare chi nuovamente è partito per liberare l’Italia (l’ex Duca di Milano Massimiliano Sforza, nel 1517 era detto Il Moro).
51. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
52. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
53.Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, cit.
54. G. Coniglio, I vicerè spagnoli di Napoli, Napoli, Fiorentino 1967.
55. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.270-271.
56. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
57. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Don Innico Davalos di Castiglia (figlio di Don Ferrando Davala e ultimo della casata di Don Rodrigo) aveva seguito Re Alfonso d’Aragona nella campagna che lo condusse a Napoli, che nella “battaglia navale all’isola di Ponzo fu preso dai Genovesi col Re istesso, & nella medesima nave. Costui fra gli altri paggi era il più caro c’havesse Alfonso per l’aspettation sua gratissima, & per lo concorso di tutte le virtù. Ne molto dapoi quando Filippo Visconte con honorata liberalità d’animo grande, liberò Alfonso, & datogli doni grandi lo lasciò andare ad acquistarsi il Regno di Napoli, ottenne dal Re, che Ignico fosse lasciato appresso di se in Milano; perciocché questo giovanotto co’ suoi singolar costumi, & con la bellezza di volto dilettava talmente, & havea preso l’animo del Duca Filippo; che fu de’ carissimi ch’egli avesse. Morto che fu Filippo ritornò agli Aragonesi”. Ottimo nelle lettere e nella disciplina militare, caro a tutti, Don Innico meritò di avere una d’Aquino come nobile e ricca moglie discendente da San Tommaso e, con la dote della moglie e la sua eredità di molti castelli, fu onorato da Re Ferrando del titolo di Gran Camerlengo “e di una grandissima casa nella quale si essercita il giudicio fettemuirale” e visse una vita reale, divenendo già vecchio quando fu compagno di guerra contro i Turchi al fianco di Alfonso II, lasciando eredi i figli giovinetti della sostanza materna e della virtù paterna: Alfonso, Rodrigo II e Innico II.
58. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Si chiamò così “da Aterno terra della Puglia, & dal fiume chiaro per la morte del Grande Sforza, il quale oggi si chiama Pescara, fu padre di questo Ferrando”, cioé Ferrando Davalos era soprannominato dal padre Il Pescara, al quale sarebbe toccato “risollevare il nome della famiglia ormai scomparso per la perdita di tutti i capitani”, noto per aver anche sposato Vittoria Colonna.
Questo Marchese Alfonso Davalos, giovane di lettere e di guerre di famiglia seguace degli Aragonesi, volle misurare il suo valore nella guerra contro i Francesi che si tenne in Romagna, ma anche nella resistenza di Napoli, allorquando i Francesi al comando del loro “capitano Monsignor d’Alegri della rocca uscirono nel porto; e riempierono ogni cosa d’uccisioni, e di spavento”. Il Marchese Alfonso Davalos, “solo innanzi a tutti con incredibil virtù coperto con uno scudo da piedi, fermata la fuga de’ suoi, per le scale di dentro corte nel molo; e sprezzando ogni pericolo dell’artiglierie tributò talmente i Francesi, che ammazzarono molti, o nel fuggire precipitati in mare, e riavuta poi la Torre del Faro, il popolo napoletano in quel giorno lo chiamò Conservator della patria”.
59. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557.
60. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
61. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
62. Il 28 aprile 1503, dopo aver alloggiato in Barletta per molti mesi, Cordova fu cacciato da 3000 alemanni e assaltato dal vicerè francese, virando verso Napoli che prese e vi entrò con grandi onori: a maggio aveva preso la Cettadella e il Castelnuovo, facendo bottino a napoletani e francesi da 20.000 ducati e traendo prigionieri 2.000 uomini. Inutile fu l’intervento navale delle galee che dovettero tornare a Gaeta. Michele Riccio scrisse che il Re aveva lasciato suo legato Ludovicus Nemosii dux Armigniaci comitum Gentilis, qui legatum regis personam, vicemque sustinebat. Hispani secundis rebus elati non ita multo post Urbe Neap. Arceque quam vulgo Novam, Lucullianamque, quam a forma vocant Ovi expugnatis, Regno potiuntur. A meno di Conversano, continua Coniger, il gran Capitano nel 1503 prese tutto il regno. V. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255. Dalla metà del 1503 Apice e Ariano, già provincia di Principato Ultra e Capitanata, ora sono in territorio del Re di Spagna per la prima volta, cioé al 1° anno, come compare dagli atti notarili locali. Lo sono perché compare il Re Cattolico di Spagna, nello stesso protocollo (f.239), quando si specifica Regni Sicilie Ultra Faro sub Dominio optary Captholitum rex regis Urregna Ispania. E’ proprio l’anno 1503, Regnante Serenissimo et humilisimo et cattholicissimo domino nostro domini Ferdinando et Helisabet dei grazia rege e regina Ispania Sicilia Citra et Ultra Faro Hungaria in regno vero eus immj regni primo (Ibidem, f.239). Ma quando avvenne esattamente tutto ciò? La data esatta della conquista spagnola, avvenuta a macchia di leopardo, ci viene fornita dal notaio Mastelloni di Montefusco. E’ il 15 maggio 1503 quando il nome del Gran Capitano Ferdinando di Cordova compare sulla Montagna di Montefusco. Così l’atto: – Die quintodecimo, mensis maj, 6 indizione, in Terra Montis Fuscoli, Ferdinando di Corduba, Ducis Terre Novi e S.Angeli.
Il 15 maggio 1503, quindi, la Terra di Montefusco, che è anche chiamata Oppidum Montefuscoli, è nel possesso del Dux Ferdinando di Cordova, in nome del Re Cattolico, che però non pare possedere Napoli, perché l’intestazione proviene dal fatto che è Dux in Regno di Sicilia Citra Faro di Messina, col Re solo nel titolo di Re di Sicilia Citra, giungendo in quel momento l’esercito nel Principato Ultra, quindi al 1° anno del reame spagnolo.
Così: – Regnum Sicilie citra farum sub dominio et potestte Captholicorum Maiestatum regi et regina Ispaniae.
Anno a nativitate eiusdem Millesimo Quingentesimo Tertio regnantibus Serenisimis et iustissimis et captholicis dominis nostris dominus Ferdinando et Helizabete Dei gratia rege ac regina Ispaniea Siciliae Citra et ultra farum Ierusalemque regnorum vero huino regni anno primo feliciter amen. Ma cosa era successo quel 15 maggio? Il Dux Capitano Consalvo ufficializzava Montefusco sotto la maestà del Re Cattolico visto che in quel giorno, il Duca Luigi, viceré di Ludovico Re di Francia, andò via da Cerignola e il capitano revocò l’omaggio al Re di Francia in quel di Acerra, assoggettando i popoli della Campania. Il documento è quasi illegibile, abbiamo provato a trascriverlo. Così: – Die quintodecimo mensis maij sextae indictionis in Terra Montisfusculi exercitus ejusdem praefatarum Captholicarum Maiestatum Ferdinandi regis et Helisabettae reginae Hispaniae Siciliae Citra et Ultra farum ceterorumque regnorum sub ducte et auspicio Illustrissimi domini Don Ferdinandi De Cordova Ducis TerraNove et sancti Angeli ex magna potestate Catholicam Maiestatem oppidi Cerignole Illustrissimum Dominum Ludovicum ducem ut migravantibjt? atque Vice regem exercitusque ductorem in bellico certamine cum magna potestate exercitus cristianissimi Ludovici Regis Galliarum interemit reliquos orti infrigari poterit et eorum castra adquantum? ne havim? ? ?taur dirrupuit. Olim sub anno domini Millesimo uingentesimo Tertio ipso illustrissimo et cristianissimo Rege Ludovico regnante ex dierum? un….qbque? Neapoli et predictae sextae indictionis. Idem predictus Rey tertio? reddigit mox vero cum ad quindecim die maij ad Acerras pervenisset Capitani et omnes fere populi Campanie etiam si..ej? revocato homagio regi Francia cum dicto magnifico Capitano regni composuerunt (Ibidem, frammento).
Nel mentre anche il notaio arianese ha finito di scrivere il tomo degli atti notarili. Dopo qualche spazio, sempre nell’ultima pagina, segue un’epigrafe latina: PRAEMIA . SI . HERITIS . DONANT . CONDIGNA . SDPERNI / HIC . MERUIT . SUPERUM . POST . SUA . FATA . LOCUM. / DUM . VIXERIT . VIRTOTE . MICANS . BONUS . ATQUE . MODESTUS / SECRETUS . REGIS . CONSILIATOR . ERAT . / PUBBLICA . SEMPER . AMANS . ANTON1US . ISTE . VOCATUS / DE . PENNA . DICTUS . QUEM . TEGIT . ISTE . LAPIS. V. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v, ultimo foglio. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. Ma è sempre al notaio Angelo Tartaro di Ariano, a far data dal 1503, Regnantibus Cattolico Magnatibus Ferdinando et Helisabett re et regina Yspanie et totus Hindie, duis oppure hujus Cicilie regni anno primo. Amen. V. ASAV, Busta 78 notai di Ariano, Tartaro Angelo, f.84, anno 1503 (dopo il 10 giugno e prima del 20 luglio). Idem negli atti a seguire, nel 1504, con la medesima intestazione che loda i Regnanti Cattolici Magistati Ferdinando dei grazia regi aragona, asturie, Sicilie. V. ASAV, Anno 1504, f.139v dopo dicembre e prima del 7 febbraio 1505.
63. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
64. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
65. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., V.Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.38.
66. Arturo Bascetta, Giovanna La Pazza, cit.
67. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
68. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675, pag.5 e segg.
69. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Venido el rey, mostraron gran descontentamiento: señaladamente el príncipe de Bisiñano por el Condado de Melito: y el príncipe de Salerno, por no se le haber restituido el oficio de Almirante, que pretendía ser de su casa: y no le haber otorgado el perdón de la rebelión que el príncipe Antonelo su padre, y él cometieron contra el rey don Fadrique. Que el rey de Portugal fue requerido, que se entremetiese en la gobernación de los reinos de Castilla.
70. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
71. In questo caso sarebbe una sorella di Don Alfonso d’Aragona duca di Villahermosa e sorellastra del Re. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Mediado el mes de diciembre, Roberto de Sanseverino Príncipe de Salerno: y dejó un hijo muy niño, que hubo en la Princesa Doña Marina de Aragón su mujer: hermana de don Alonso de Aragón duque de Villahermosa, que se llamó don Hernando.
72. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto.
73. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.V.
74. Lucio Marineo Siculo, Cronica D´Aragon, eo Siculo, 1524.
75. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.V.
76. Baldassarre Castiglione, xxxv, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto.
77. Rino di Stefano, Colombo, c’è chi lo vuole figlio di un Papa, da: Il Giornale, mercoledì 7 aprile 2004.
78. F.Colombo, Historie, I Vol., Venezia 1571
79. Bartolomeo de Las Casas, Historia de las Indias.
80. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.X.
81. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.X.
82. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XI.
83. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
84. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
85. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XII.
86. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XII.
87. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XII.
88. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XII.
89. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Cfr. Da www.cittadicapua.it
90. Ivi.
91. Ivi
92. Da: www.geocities.com, N.Garofalo, La Grande Napoli. Il 14 maggio del 1507, partiti per Madrid, relegò il Gran Capitano a Granada, dove morì il 2 dicembre del 1515.
93. G.Caniglia, M.Pagliarone, T.Martorella, Bomba e dintorni – Itinerari storico-naturalistici in provincia di Chieti, Marino Solfanelli Editore. L’investitura della Contea di Matera l’aveva avuta il 1 ottobre 1497 Re Ferdinando II, detto Ferrandino, figlio di Alfonso II e succeduto a Ferdinando I, l’investitura della Contea della Città regia di Matera. Tramontano, indebitato fino al collo, raggiungerà il suo scopo solo quando il Re andrà via col Vicerè, “convincendo” il nuovo luogotenente, arrivando a chiedere 24.000 ducati per saldare il debito che aveva con il catalano Paolo Tolosa. qualche anno dopo, stanchi delle gabelle, i materani lo uccisero in un agguato (1514) dietro il Palazzo. Fu denudato e colpito con le alabarde sottratte ai suoi stessi uomini con l’infamante accusa di aver ripristinato lo jus primae noctis.Per ripristinare l’ordine fu mandato a Matera il Commissario regio Giovanni Villani, il quale fece impiccare quattro giovani, altri si riscattarono per 2.000 ducati. Villani si trovò di fronte una situazione così ingarbugliata che trovò spunto per scrivere la famosa commedia “Il Conte di Matera”. L’amministrazione comunale fu accusata di aver promosso la sommossa e invitata ad un’ammenda di 10.000 ducati, annullata su richiesta del sindaco Berlingerio De Zaffaris, il quale, il 22 giugno del 1515, spedì il notaio Franciscum Groia dal Re Ferdinando d’Aragona ottenendo l’agognato indulto generale.
94. Da. www.lamonetapedia.it. Cfr. S.Loffredo, Storia della città di Barletta, Vol.II, Trani 1893, p. 520.
95. E.Danza, De Privilegis Baronum. Ferdinando Il Cattolico concesse la Terra di Montefusco (Av) e dei suoi casali a Consalvo in data 1 gennaio 1507. E a lui restò anche il capoluogo del Principato Ultra fino alla morte, portandolo in eredità alla figlia Elvira, indi al figlio Consalvo Fernandez de Cordova (1545) che la vendette al Marchese Carlantonio Caracciolo di Vico, indi al figlio Galeazzo che divenne protestante in Svizzera, dopo aver frequentato il focolaio eretico sviluppatosi a Napoli intorno al 1535 ad opera del riformatore spagnolo Juan Valdès che formò un circolo con molte dame d’alta nobiltà, qualche intellettuale e pochi umanisti: Giulia Gonzaga, i cappuccini Bernardino Ochino e Pietro Martire Vermigli. Carlantonio supplicò quindi Carlo V affinchè restituisse al nipote Colantonio le terre confiscate al padre Galeazzo, ricevendo risposta con apposti rescritto del 5 aprile 1546.
96. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
97. M.Borretti, Il Castello di Cosenza, a cura di: R.Borretti, Tipografia Editrice MIT, Cosenza 1983.
98. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
99. Ivi.
100. Ivi.
101. Ivi.
102. Baldessar Castiglione, Il secondo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a messer Alfonso Ariosto, lxxiv.
103. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
104. Ivi.
105. Antonio de Beatis, Giornale di Viaggio, 1517.
106. Antonio de Beatis, Itinerario di Monsignor reverendissimo et illustrissimo il cardinale de Aragona, mio signor, incominciato da la cita de Ferrara nel anno del Salvator MDXVII…., pubblicato a cura di L.Pastor, Die reise des Kardinals Luigi d’Aragona…, Frigurgo in Brisgovia 1905.
107. Gennaro Toscano, Rinascimento in Normandia: i Codici della Biblioteca Napoletana dei Re d’Aragona acquistati da georges d’Amboise, Conferenza tenuta presso il Dipartimento d’Italiano dell’Università di Caen, Equipe de Recherche des Départements d’Italien et d’Espagnol, Caen 23 maggio 1990.
108. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
109. Vittorio Gleijeses, La Storia di Napoli dalle origini ai nostri giorni, Società Editrice Napoletana, III edizione, Napoli 1978.
110. ASNA, sezione Reali dispacci, vol.I, inc.4.
111. L.Giustiniani, Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, Vol.II, Napoli 1803.
112. Notar Giacomo, Cronaca di Napoli, Stamperia Reale, Napoli 1845. G. Cioffari e M. Schiralli, Il libro rosso della Università di Trani, Levante, Bari 1995. Vedasi il doc. N.26: “Item se supplica ad esso ill.mo es.or che li judei non possano astrengere li citadini et homini de quella et farli satisfare quello devono conseguire per li pigni hanno restituiti in li jorni proximi passati per spacio de cinque anni non obstante qualsevoglia promissione facta a dicti judei per li predicti, etiam medio juramento firmata: et questo circa la sorte ma che la usura li sia remessa. Placet ill.mo D.mo Pro Regi concedere dilationem eo modo et forma in debitis dictorum judeorum pro ut in precedenti capitulo continetur et quod interim durante dilatione non teneantur ad usuras”. Cfr. E. Pindinelli, Appunti e spunti sulla antica fontana di Gallipoli.
113. M.Sanudo, Diarii, III, Venezia 1902, pp. 886, 1439, 1474.
114. R. Cotroneo, Gli ebrei della giudecca di Reggio Calabria, in “Rivista storica calabrese”, XI, Sez. III, Novembre / Dicembre 1903.
115. D.Andreotti, Privilegi et capitoli della città dei Cosenza, II, Napoli 1869.
116. F.P.Volpe, Esposizione di talune iscrizioni esistenti in Matera e delle vicende degli ebrei nel nostro reame, Napoli 1844, p. 26.
117. Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, IV. In Ferorelli: “Da poj la pubblicacione de la regia pragmatica et expulsione de li judei del presente Regno remasto in la cità de Napoli con mogliere figliuoli cognata et fameglia conguidatico et salvi conducto facto per lo ill.mo don Rajmundo de Cardona vicerè et lo cuntenente generale”, ottenne con salvacondotto del 30 giugno 1512 per “li multi servicii” prestati e che “de continuo presta a la Regia Corte et per certi altri respecti” di potere con tutti i parenti e famigliari “stare in la presente cità de Napoli et Regno senza incorrere in pena alcuna et gaudere li privilegii et prerogative che gaudavano li iudei de quisto Regno in tempo de li rettori de casa de Aragona et andar fora del Regno, tornare et stare”.
118. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
119. Ivi.
120. Da www.cittadicapua.it. Ettore Fieramosca morì nel gennaio del 1515 a Valladolid.
121. L.Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892.
122. G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939. Appendice, Doc. N.27.
123. C.Colafemmina, P.Corsi, G.Di Benedetto (a cura di), La presenza ebraica in Puglia fonti documentarie e bibliografiche, Bari 1982. Archivio di Stato di Bari, Sezione A.S.Trani, Atti notarili, Notaio Carissimo de Adiutorio.
124. Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, Histoire des Français, 1807.
125. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
126. www.fucecchionline.com
127. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
128. G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939. Scrisse: “Mel de Belloinfante sacerdote ebraico, Giuseppe de Eleazer, Angelo Ziego, Daniel Ziego, Sabajus di Angelo de Trani ebrei dichiarano nella curia episcopale di Bitonto pretendono dovere esigere e conseguire dagli ebrei di qualsivogliano terre e città e luoghi conferentisi alle Mundine di S. Leone di Bitonto una gabella di grana 18 per ogni oncia di loro negozii e cose mencantili di qualunque sorte e maniera con grave pregiudizio dei privilegi alla detta Badia di S. Leone di Bitonto che esso nel detto nome e proprie spese dovesse andare a Roma e supplicare il Pontefice che detti ebrei non potessero più essere vessati sulla detta gabella dalla detta Vescovile Curia e tale causa spedisse in forma di Breve. Promettono dare al detto abate D. 16 se farà liberare con una definitiva sentenza essi e tutti gli altri ebrei dalla gravezza di tale gabella”.
129. A.Bascetta, Giovanna IV, II parte, ABE Napoli 2023.
130. V. Vitale, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, Vecchi, Bari 1912.

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LA RICERCA CERTOSINA DELLE FONTI

Presentazione di Angelo Cillo +

Presentare un testo storico di Cuttrera e Bascetta è sempre una emozione. Colpisce innanzitutto la ricerca certosina delle fonti, le più svariate e miracolosamente rinvenute dalla pazienza infinita. Si sa. La storia è ricerca, continua e costante. E quella di Arturo è una vera e propria indagine, attenta e scrupolosa, dei fatti e degli avvenimenti storici, analizzati in modo diligente, esaminati con quella curiosità che è la base per conseguire risultati fecondi e fruttuosi.
Tale tipo di ricerca, affrontata con grande cura e impegno, è caratteristica precipua del Nostro. Il suo è un vero e proprio scandaglio tra le numerosissime fonti esistenti nei luoghi più impensati che la sua sagacia riesce a scoprire, perchè guidato da un fiuto storico invidiabile e che sbircia nei cunicoli degli archivi e delle biblioteche delle varie città d’Italia e dell’Europa, testimonianze spesso sfuggite anche a storici di professione.
Cuttrera, in tutti i suoi scritti storici, è il primo ad assaporare la vera cognizione della storia per trarne un nuovo sapore e trasmetterlo in tutta la sua intensità ai lettori. Le azioni, i fatti, gli eventi sono dei veri ritratti che evidenziano una visione della storia precisa e attuale. Tratta il tutto senza alcuna pietà. Senza alcun falso moralismo. La sua storia è come una ventata di aria fresca, aperta, quasi violenta. Attira e sconvolge.
Tutto ciò si coglie in questo brillante volumetto dall’emblematico titolo. Un caleidoscopio di persone e fatti, non facilmente rinvenibili in storie di “spessore”. Troviamo innanzitutto notizie precise e documentatate, insieme a quelle sull’intero Mezzogiorno d’Italia e di Napoli in particolare, su luoghi, vicissitudini e fatti di diverse province.
Il libro pone in rilievo, con onestà intellettuale e scavo delle fonti, interrogate sui loro più terribili segreti, tirando fuori fatti e personaggi da altri abbandonati all’incuria del tempo, all’oscurità, se non proprio alla morta gora, la palude dell’Inferno. Fatti, avvenimenti, personaggi trattati in modo chiaro e, a volte, con linguaggio aulico, derivante direttamente dall’opera originale consultata, sia nei loro pregi che nei loro difetti, sia nelle loro ragioni che nei loro torti, sia negli atti di valore che in quelli meschini.
Sfilano dinanzi ai nostri occhi vicerè, conti, baroni, marchesi, nobili cardinali che fanno il bello e il cattivo tempo sulla pelle dei sudditi, dei più deboli e miseri della società. E nello stesso tempo ribellioni eroiche del popolo oppresso dalle angherie, dalle ingiustizie e dallo sfruttamento feroce che riducevano la gente alla miseria e alla fame.

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta,

Cuttrera

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Editorial Review

 

L'indice dei capitoli e delle nota

Capitolo 1 / I Gonzaga di Mantova a Duchi di Ariano
De Guevara e lo Statuto di Apice

— A Gonzaga i feudi confiscati al Principe di Salerno
— Si sfalda il Ducato di Ariano: il ritorno dei de’ Guevara
— Uno Statuto feudale beneventano: le Capitolazioni di Apice
— La Magna Carta di Carovigno per regolare giochi e caccia

Capitolo 2 / I figli di Toledo padroni di Napoli e Firenze
Una spagnola napoletana in Toscana

— Eleonora Alvarez di Toledo sposa Cosimo I de’ Medici
— Due fiorentini inviati dal Gran Duca alla Corte del Viceré
— Toledo si riprende, ma il fratello non diventa Papa
— I giardini di Firenze e Napoli prendono la via di Palermo

Capitolo 3 / Alchimisti ignoranti e intellettuali
L’Accademia dei Sanseverino

— Gli intellettuali insorgono stancati dalle guerre
— Tasso e Manso a spasso per i feudi: i nobili diventano poeti
— Avvocati col pallino da scrittore: le cause di Eliseo Danza
— La banda di Benevento è armata, e c’è una femmina!
— Il processo di Summonte: non c’è omicidio, senza cadavere!
— Donna Vittoria e le cinque ragioni dell’adulterio
— Luigi Tansillo diviso fra Donna Vittoria e Don Garsia Toledo
— L’Accademia dei Segreti del Principe di Salerno
— La magia del “7” per la Filosofia segreta salernitana
— Natura, scienza e filosofia studiate in una sede isolata
— Il fallimento della Chiesa rimasta ai filosofi del 1200

Capitolo 4 / Fra Giulio Nardonense a S.Angelo a Scala
L’Incoronata del Monte «Vergene»

— L’espansione dei Carafa nel Beneventano
— Dal romitorio al santuario famoso
— Giulio Nardonensis confuso con Giulio di M.Vergine
— Il più potente monantero coronense
— La distruzione nei secoli successivi

Capitolo 5 / Paolo IV alla massima potenza
Gli ultimi anni di Papa Carafa

— Un pontefice beneventano pronto all’Inquisizione
— Castità, ubbidienza e povertà: era la regola
— Indice sulle streghe, falò per eretici e marrani

Appendice Documentaria
UNO DEI QUARTIERI SPAGNOLI
«Giornata Settima, San Carlo all’Arena»
di Gaetano Nobile*

Note bibliografiche

1. Maria Sirago, Luigi Tansillo, il “poeta soldato”. Maria Sirago è docente di Italiano, Latino e Greco presso il Liceo Classico Statale “Sannazaro” di Napoli. Cfr. J. Merrien, La vie quotidienne des marins au moyen age. Des Vikings aux galeres, Hachette, Paris 1969. V. anche J. F. Guilmartin JR., Gunpowder and galleys. Changing technology and Mediterranean warfare at sea in the XVIth century, Cambridge, University Press, Oxford 1974. Da: www.simonescuola.it.
1 bis. Aa.Vv., Apice nel Regno di Napoli, con Chiese e costumanze fra 1494 e 1734, ABEdizioni, Avellino 2006.
2. Aa.Vv., Apice nel Regno di Napoli..., cit.
3. “Ferrante rimase profondamente amareggiato dall’accaduto. Aveva rinunciato al governo di Milano nel 1554 e, dopo la sentenza imperiale, decise di ritirarsi a vita privata. Accettò comunque di servire Filippo II, dopo l’abdicazione di Carlo V. Nell’agosto del 1557 partecipò alla battaglia di San Quintino e morì poco dopo, il 15 novembre, a Bruxelles, vittima delle fatiche della guerra e dei postumi di una caduta da cavallo. Il suo corpo, fu trasportato a Mantova e ora riposa nella sagrestia della cattedrale. Ferrante ebbe numerosi figli legittimi e una figlia naturale. Il primogenito Cesare, marito di Camilla Borromeo, sorella di San Carlo, fu il capostipite della linea genealogica di Guastalla; due, Francesco e Gianvincenzo, divennero cardinali”. Da “p.be”, in: http://www.itis.mn.it/gonzaga/files/gonzaga/9_gonzaga/ferrante.html.
4. Aa.Vv., Apice nel Regno di Napoli..., cit.
5. Aa.Vv., Apice nel Regno di Napoli..., cit.
6. Ivi. Pietro (+1487) Conte Ariano e Apice - Antonio, II Conte di Potenza e Apice
/
Francesca - Eleonora - Covella - Innico C.d’Apice (+1523) - Giovanni III Conte di Potenza
/
Antonio (+ m. a 20 anni per difendere il padre) - Carlo IV Conte di Potenza
7. ASNA, Inventario n.16, Regia Camera della Sommaria, Spoglio delle Significatorie ei Relevi (Apice), Pag.130, tergo, libro V, foglio 62, Principato Ultra, Apice. “Nel detto Registro, folio 62, è registrata significatoria di Ducati 1145.3.13 significati per la Camera à 12 Febraro 1547 contro l’Illustre Conte di Potenza per lo Relevio per esso debito alla Regia Corte per morte dell’Illustre Cubella de Guevara Contessa d’Apice sua avita per l’intrafeudali del Contado d’Apice liquidate in Ducati 2291.2.7...”.
8. Pedro Vélez de Guevara Signore di Onate sposa Costanza, figlia di Sancho Fernandez de Tovar e di Teresa de Toledo (+ dopo il marito).
9. In ogni caso veniva permessa almeno una rotazione in quanto le più alte cariche comunali spettavano comunque a persone ricche, di bona e matura conditione, cioè di bona qualitate, e per questo, intenzionalmente, meno predisposte alle ruberie. Ad esse era permesso di utilizzare anche parole vili a danno degli uomini di bassa condizione sociale, senza che questo venisse considerato un atto ingiurioso perseguibile dalla Corte. Lo stesso Capitano della Terra, però, doveva osservare alcune norme, onde evitare abusi di sorta sulle tariffe del prezzo del pane e della carne o sul salario del calzolaio e del sarto. In caso di eccessi, comminava multe già predisposte, volte a snellire la procedura delle punizioni, dall’ingiuria all’accusa di traditore delli Signuri equiparata a quella di omicida. I Capitoli della Terra di Apice sono una esemplare raccolta di regolamenti, i Capita institutiones municipia et mores Universitatis terre Apitij, et per più chiarezza, et intelligenza comune, et anchora per tollere ogni suspittione, dubio et errore dello parlare literatto li detti Capitoli, Statuti, Leggi municipale, et usanze in Apice osservate, et ordinate et concluse per megliorare narrarli per vulgare lingua, et annotare.
In realtà i Capitoli della Terra di Apice sono una raccolta di leggi comunali dettate dal feudatario “scripte in Apice per li tempi dà venire ad fidelitate dello Illustrissimo signor Conte Don Carlo de Guevara Conte de Potentia, Apici, et Gran Siniscalco et Capitano di Gente d’arme di sua Maestà Cesarea Don Carlo de Austria quinto Imperatore de Roma, et tranquillo stato et guberno prospero delli homini et terra de Apice sopradetta”.
In essi si stabilisce che il sindaco deve riunire il Parlamento ogni anno fra l’ultimo giorno di agosto e l’otto settembre, quando, su licenza ed in presenza del Capitano, coi quattro officiali dello Regimento de Apice, indice il Consiglio generale ò Parlamento generale de li homini de Apice, per eleggere giudici e capitano, gli altri ufficiali e i giurati che servono la corte et l’università et che l’eletti siano huomini de bona e matura conditione, e li più sagaci e sapij.
Al secondo punto è detto del giuramento di fedeltà al loro Conte, mentre al terzo punto li quattro sono invitati ad adunarsi almeno uno dì ò la domenica de la settimana.
Stando al 25° Capitolo ogni dohaniero debbia dare piso e misura e pagasi per decina denari dui e per bestia cioè per salma grano uno e per collato pistachio uno chi lo portasse reservato che in Ariano li homini di Apice pagassero manco et così manco pagano li homini di Ariano in Apice ò vero se li homini di Apice non pagassero in Ariano così li homini di Ariano non pagano in Apice.
Così il 26°, che chiarisce il rispetto degli eletti per lo Capitano eletto et deputato per lo Ill.mo S.re sia reverentemente ricevuto et acceptato e il 27°, in cui si specifica che lo Capitano faccia lo suo officio civilmente et equalmente et justitia, e nel 28° è detto che faccia dare il bando per bono regimento et guberno dela terra de Apice. Secondo il 29° e 30° si ordina a non far bestemmiare e giocare d’azzardo, cioè che in primo faccia bannire et comandare che nulla persona de ciascuna conditione qualitate stato e luogo se sia ausa nè presuma biasfemare nè parlare brutte parole e dishoneste ò fatte iniuriare lo nome del eterno Dio e ardisca de iocare à iochi ad àzora nè presti dadi.
I giovani sono invitati ad evitare schiamazzi (48), facendo romore ò questione qualche iovene ò garzone ò homo de bassa conditione, gli amministratore a vigilare sugli apprezzatori (49), affinchè facciano li quinterni et scrivano li huomini et robbe mobile bestiame et stabile secondo ogni homo have affinchè (50) possano dare sacramento ad ogni persona che si mette in apprezzo (51) stando attenti a che nessuno fraudasse l’apprezzo (52).
Inoltre che i matrimoni siano celebrati secondo (53) le solemnitate dela Santa Madre Ecclesia et dela Constitutione delo reame altramente se iudica lo numero secondo la lege canonica la constitutione delo reame et la lege longobarda comanda e (54) pronunciandosi sulla dota una volta consumato licitamente per copula carnale (55) facendo anche in modo che lo marito sia tenuto di constituire la quarta alla mogliere e che (56) le dote e le cose dotale se possono adimandare per la mogliere e da sua parte allo herede dello marito premorto e che (57) le doti si restituiscano secondo una forma ben precisa. Così sui figli (58) sugli acquisti e vendite dei forestieri (59), sui contratti de permutatione (60) e altri diritti (61) e permute (62). Sul macello (63), sull’uccisione degli animali e maiali (64), sui resti (65), sulla vendita (66) della carne infetta (67) con relative multe (68), così come per la carne del ayno (69) e distribuzione (70), sulla pulizia di chianche e macelli (71) lontano (72) dalla piazza publica dove era vietato vendre anche carne selvaggina ad piso se non è infetta (73).
Così sugli acquisti dagli stranieri (112) in orari diversi (113) e che ogni pescatore venda lo pesce infra di che carne grana due e mezzo e la quatragesima ò vigilia e li jorni che non si mangia carne (114) così per le anguille da vendersi al frisco in piazza et non in altri luochi.
Bisogna denunciare i delitti (128) e difende le padule antiche (129) ben recintate (130) evitando pene (131) severe, terminando sulle ammonizioni affinchè alcuna persona si rechi alli fossi ò a le ripe de li fossi intorno la terra nè scarrupe nè guaste, ricordando pene severe da pagare per chi contrare ogni singolo capitolo di quelle che possiamo considerare leggi severissime più che regole comunali.
Per il Regolamento completo V. Aa.Vv, 4.Principato Ultra, Apice nel 1753, VIII Catasti Onciari del Regno di Napoli, ABEdizioni, Avellino 2004,
10. V. Aa.Vv, 4.Principato Ultra, Apice nel 1753, VIII Catasti Onciari del Regno di Napoli, ABEdizioni, Avellino 2004, pag.138. Cfr. ASNA, Capitoli dell’Università della Terra di Apice / 1546, Archivio privato di Tocco, Busta n. 32, ff.277-304, ex registro del Conte di Montaperto Leonardo di Tocco, entrato nel possesso del feudo di Apice dal 1639. V. elenco capitoli riportati in lingua originale. Il documento è riportato in un atto notarile firmato dal notaio del successore feudatario Don Leonardo Tocco in quanto “fateor ego notarius Felix Palumbus suprascriptam copiam predictorum capitolorum universitatis Terre Apitij fuisse per me extractam à quondam libro dicte universitatis in carta pergamena coperto cum tabulis et coiro nigro mihi predicto notario exhibito ad finem presentem copiam exemplandi et exibenti restituto et facta collatione concordati meliori revisione semper salva Luc. e die 17 febraurij 1604. Locus signi. Extracta est presens copia ad alia mihi exhibita per Eccellentissimum Dominum Comitem Montisaperti D.Leonardum Tocco eidemque exibenti restituta cum qua concordat meliori collatione semper salva et in fidem segnavi requisitus. Neapoli die 30 novembris 1665”: Notarius Carolus Nicolaus Crotenutus de Neapoli.
10 bis. A.Bascetta, Carolineo dei Franchi, Carovigno dei Normanni, ABEdizioni.
11.Cfr. Wikipedia, L’enciclopedia libera, da: it.wikipedia.org.
12. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 23, Lettera di Cosimo I al Viceré di Napoli, Fiorenza alli XIIII di Gen.o 1553: “Poi che il S. Don Garzia è già vicino con le genti al Stato senese, si degni far expedir’ in buona forma tale salvaguardia...”.In: Luigi Zangheri, Il giardino dimenticato di don Luigi di Toledo.Da: www.noplan.it.
13. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 49; Governi di città e luoghi soggetti, f. 2634, lettera dell’agosto 1552. Ivi, f. 23, Lettera di Cosimo I al viceré di Napoli, 15 gennaio 1553: “Mando all’Ex. V. Carlo da Spelle curato mio per ottener da lei una salvaguardia generale per tutti e’ bestiami de mia Cittadini et Vassalli che si trovano nel Dominio senese...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
14. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 23, c. 478r., Lettera di Cosimo I da Firenze a Bernardo Giusti a Napoli del 15 gennaio 1553, “La Duchessa et di Cosimo lo fa rimanere ancora al servizio del Vicerè di Napoli e Francesco si procura una casa per un anno...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
15. ASF, Mediceo del principato, Lettera di Francesco Babbi da Napoli del 1° ottobre 1549 a Cosimo a Firenze, “Il Sig. Vicerè si sta ancora con un poca di febbre; e ragiona, come sia guarito, andar a visitare il Regno, avendo gran bisogno della presenzia dell’Ecc. sua; e credo che abbi a esser subbito fatta la festa d’Ognissanti...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
16. ASF, Mediceo del principato, Lettera di Francesco Babbi da Napoli a Cosimo I del 11 novembre 1549, “L’Ecc. V. mi scrisse pochi giorni sono, che disegnava che io restassi da queste bande, e dovessi seguitar l’Ecc. del Sig. Vicerè nella visita che aveva in animo di far per il Regno. Adesso essendo nato questo accidente della morte del Papa, si può credere che non possi né debbi partir più punto da questa città per qualche mese. Io mi ero stato così con masserizie a costo;e non punto nel modo che vorrei per onore e commodo mio. Adesso avendo presa una casa per un anno, che qui non si danno per manco, e andandoci qualche dozzina di ducati per finirla un poco, desidero che la mi facci grazia di avvisarmi se è della medesima opinione che io resti, acciò mi possi levare da questi interessi, e quietare l’animo per l’avvenire più di quello che ho fatto per il passato. Non prima si intese la morte del Papa, che le strade non solo in questo Regno, ma per tutto fino a Roma, sono rotte di sorte, che è impossibile senza una compagnia almeno di cento cavalli, che si possi andare di qui là, e che già si sono sentiti infiniti danni. Il Sig. Vicerè sta benissimo, e il Sig. Don Grazia differirà la sua gita di Puglia qualche giorno”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
17. ASF, Mediceo del principato, Lettere di Francesco Babbi da Napoli del 16 novembre e 13 dicembre 1549, “Qui si ha per fermo il Cardinale come persona molto vecchia e buona, e senza passioni... Qui si sta aspettando con grandissimo desiderio questa elezione del Papa; e tanto più, poi che si è inteso che il Reverendiss. ed Illustriss. Burgos vi è stato ed è ancora così vicino, che a Dio piacci che sia, secondo che le virtù sue, santa ed ottime qualità ricercano. Il Sig. Vicerè, per la buona speranza che ne tiene, è ringiovanito dieci anni, e sia oggi meglio e più giovane che io l’abbi mai visto poi son qui…”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
17 bis. ASF, Mediceo del principato, Lettera del febbraio 1550 inviata dal Babbi a Cristiano Pagni allegata alle lettere di F.Babbi da Napoli del 16 novembre e del 13 dicembre 1549 che così conclude: “E con questo fine, bacio le mani di V. S., di Messer Lorenzo, del Guidi, di Mess. Angelo e del Grasso”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
18. Beni che dovrà restituire non avendo estinto il debito. Nè pagò i 4.400 scudi per altre 10 case, trasformate in “Casone”, acquistate (1571) di fronte San Sebastiano che appartenevano all’Opera di San Giovanni ed erano amministrate dall’Arte dei Mercanti di Calimala. ASF, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, Convento n. 108, f. 122, c. 44v. Nella filza 121, c. 76v si ricorda che il podere venne valutato al prezzo di fiorini 22 a stioro, per un totale di scudi 2.200; a c. 77v si precisa che «fino a tanto non saranno rinvestiti duemila dugento scudi sia tenuto ogni anno dare al monastero per e frutti cento scudi, et dette monache habino sempre il dominio sopra detti beni sino a tanto non ci ricompensano altrove». Nella filza 122, c 39r «Ricordo come per insino adi 15 d’ottobre 1574 s’è compero 90 colonne di castagno dal Sig.Don Luigi da Toledo, e per lui da Pier Pagni suo agente a y quattro l’una di danari che noi avevamo havere del fitto del giardino, in tutto y 320». A.S.F., Arte dei Mercanti di Calimala, f. 132, cc. 23rv. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
19. G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Milano, 1966, VIII, p. 51; V. anche: A.Rinaldi, Ideologia e tipologia del giardino urbano a Firenze tra XV e XVI secolo: il giardino come rappresentazione della natura e la costruzione della città autre di ordine rustico, in Il Giardino Storico Italiano. Problemi di indagine fonti letterarie e storiche, Firenze 1981, p. 142145; A.Tagliolini, Storia del giardino Italiano, Firenze 1988, pp. 175-176. Cfr. C.Conforti, L’isola nel giardino: genealogie, modellí, archetipi, in Boboli 90 Atti del Convegno Internazionale, Firenze 1991, II. V. anche: A.S.F., Fabbriche Medicee, f. 48 che registra i conti della «Illustrissima Signora Duchessa Signora Nostra», tra i quali figurano quelli occorsi «a1 giardino del Signor Don Luigi di Toledo per servizio di detto giardino» nel marzo-luglio 1562, tutti «su polizza di Bartolomeo Ammannati». In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
20. C.J.H. Sanchez, Los jardines de Nàpoles en el siglo XVI. Naturaleza y poder en la corte virreinal, in: C.Anon, J.L. Sancho, cit., 1998.
21. A.S.F., Mediceo del Principato, f. 327, c. 71, lettera di Cosimo I del 1.9.1562. A c. 90r si conserva un’altra lettera di Cosimo I al Papa datata 2.10.1562, in cui lo informa di una visita di don Luigi. V. anche: G. Pieraccini, La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, Firenze 1924, II, p. 55. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
22. J.L. Sancho, Guida de visita. Real Sitio de Aranjuez, Madrid 1997. V. anche: A.S.P, Real Segreteria, n. 1, 8 gennaio 1573, il contratto è riportato per esteso in S. Pedone, cit., 1986. V.anche: L. Russo, La fontana di Piazza Pretoria in Palermo, Palermo 1961, p. 16; M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo, Palermo 1984, p. 60. Don Luigi la fece smontare trasportare a Palermo, dove le sculture che la componevano giunsero il 26 maggio 1574 in 644 pezzi, dei quali 112 imballati in 69 casse 21. V.anche: L. Russo, cit., 1961. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
23. S.Pedone, cit., 1986, p. 22, il quale riprende da G.C. Capaccio, Historiae neapolitanae, Napoli 1771. P.Navascues Palacio, La Abadia de Caceres: espejo literario de un jardin, in ‘Jardines y Paisajes en el Arte y en la Historia’, Madrid 1995. Sul basamento della scultura appare la scritta «1555 Franco Camilani Fiorentino opas». Il Navascues Palacio ipotizza l’appartenenza della statua di Andromeda alla seconda fonte realizzata dal Camilliani per il giardino di Firenze. V. anche: Marquesa De Casa Valdes, Spanish Gardens, Valencia 1987. Cfr. V.L.Canal, Los jardines de la nobleza, in: C. Anon, J.L. Sancho, cit., 1998. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
24. Questi i Vicerè e i Luogotenenti pro tempore del Viceregno di Napoli sotto Filippo II:
1. Bernardino Mendoza (1555-1556)
2. Ferdinando Alvarez di Toledo, Duca d’Alba (1556-1558)
3. Giovanni Manriquez di Lara (1558)
4. Cardinale Bartolomeo della Cuera (1558-1559)
5. Don Pedro Afan de Rivera, Duca d’Alcalà (1559-1571)
6. Antonio Perento, Cardinale di Granvela (1571-1575)
7. Don Imigo Lopez de Mendoza, Marchese di Mondejar (1575-1579)
8. Don Juan de Zuniga (1579-1582)
9. Don Pedro Tèllez Giròn, Duca d’Ossuna (1582-1586)
10. Don Giovanni de Zuniga, Conte di Mirando (1586-1595)
11. Don Enrico di Guzman, Conte di Olivares (1595-1599).
25. Manso fu grande amico di Torquato Tasso. A lui dedicò l’ultimo dei dialoghi, intitolato Il Manso o vero De L’Amicizia, nel 1592. Tasso quando scrisse questo dialogo inviò una breve lettera al Manso, poi riportata da Cesare Guasti, nella stessa prefazione ai Dialoghi come Lettera di Torquato Tasso a Gio Battista Manso. Ecco il testo: Le manderò dunque il dialogo de L’Amicizia ec, e il consacrerò a la memoria immortare di Vostra Signoria; quasi un tempio, nel quale possa ricoverarmi ne l’avversa fortuna (BPA, Fondo Del Balzo, I Dialoghi, Prefazione di Cesare Guasti, 4 settembre 1592. A dire dello stesso Guasti il Manso ne scrisse eziandio la vita; la quale, sebbene tenuta in poco conto dal Serassi per le non poche inesattezze, è ricca di aneddoti che solo il Manso poteva sapere e narrare per la molta e lunga familiarità che ebbe con Torquato (BPA, Fondo Del Balzo, I Dialoghi, Prefazione di Cesare Guasti, 4 settembre 1592). Nella prefazione che fa Tasso al dialogo specifico dedicato a Manso, da egli stesso detto Giovanbattista Manso marchese della Villa, ne fa un elogio per la cortesia e l’ospitalità. Questa la prefazione al dialogo Il Manso di Torquato Tasso a Giovan Battista Manso: Il signor Giovan Battista Manso con la nobiltà del sangue, con la gloria dei suoi antecessori, con lo splendore de la fortuna, ha congiunta per lunga consuetudine tanta cortesia e tanta affabilità ne la conversazione, ch’a ciascuno è più agevole interrompere i suoi studi, che a lui medesimo quelli de’ suoi domestici e famigliari: e quantunque egli sia desideroso d’imparare ed intendere sempre cose nuove, è nondimeno ne le belle lettere e buone lettere ammaestrato, ed avvezzo ne la lezione de gli ottimi libri, e di sì alto intendimento, che ne’ luoghi più oscuri e ne’ passi più difficili de la filosofia e de l’istorie è simile a coloro i quali caminano per via conosciuta; laonde non hanno bisogno fi guida, ma possono fare la scorta a gli altri. (BPA, Fondo Del Dalzo, Dialogo di T.Tasso, Il Manso, Prefazione di Torquato Tasso, 1592). Il reciproco rispetto spinse il Manso a scrivere un libro sulla vita e sulle opere del Tasso, Vita di Torquato Tasso scritta da Gio: Battista Manso napolitano Sig. della città di Bisaccio e di Pianca, edito a Venezia nel 1621. In questa opera sono riportate due lettere del Tasso al Manso nelle quali viene espressa a chiare lettere la stima del poeta per il marchese di Chianche. Questa la lettera di Torquato Tasso inviata da Roma a Gio Battista Manso: Verrò, nè senza speranza di riaver la salute in quello patrio cielo, ove hebbi il principio della vita, ò pure nell’aria natia di Surrento, ma molto più nel veder voi mio Illustrissimo Padrone, e singolarissimo amico, per non dimenticarmi nè il debito della mia servitù, nè il dono che mi havete fatto della vostra amicizia (BPB, Manso, Vita del Tasso. Venezia, 1621). Questa, invece, la lettera di Torquato Tasso a Gio Battista Manso: In me possono più i comandamenti di VS che i prieghi di qualunque altro, e più le sue persuasioni, che l’altrui ragioni, quantunque accertate e credute da me, ma niuna cosa credo più certamente di quella che VS sia tanto prudente per se stessa quanto amorevole verso di me, che io non posso errare nell’ubbidirla. Verrò dunque quanto prima (BPB, Manso, Vita del Tasso. Venezia, 1621). Dal passo che riproduciamo si parla del viaggio di Tasso e Manso nella città di Bisaccia, della cui aria salubre il poeta aveva gran bisogno per rimettersi dalla sua cattiva salute: Torquato prese opportunità d’irsene con Giò Battista Manso, nella sua città di Bisaccio, ove egli andava per non molti giorni per rassertare alcune gravi discordie nate fra quei suoi vassalli, come il Manso medesimo scrisse al Còte, nella lettera da noi sopraddotta quando favellammo dello spirito, che a Torquato pareva di vedere. Qui egli se ne stiè lietamente tra diporti delle caccie, e delle danze (come nella stessa lettera si racconta) e molto più dell’improvviso poetare di quegli, che colò chiamano Opponitori, e altrove Improvvisatori si dicono; i quali sopra qualunque materia, che lor sia data, al suono di lira, o d’altro stormento pianamente cantando compongono repente i versi loro; e le più volte fra essi a gara con premi stabiliti a sentenza del Giudice, acciò eletto a chi più attamente di lor verseggia. Di questi Improvvisatori produce gran dovitia la Puglia, onde molti ne concorsero dal Manso, assai amato in quella Provincia, e di essi Torquato prende un mirabil piacere invidiando loro quella prontezza nel versificare di cui diceva egli essergli stata così avara la Natura. Ma essendosene egli nella fine dell’Autunno ritornato col Manso in Napoli. Una suggestiva tradizione locale, riportata da Gianpiero Galasso ne I Comuni dell’Irpinia parlando di Bisaccia, vuole che nel 1588 nel castello fu ospitato dal marchese Giambattista Manso il poeta Torquato Tasso, in quel tempo già infermo di mente. Sappiamo anche di una conversazione che in una nevosa serata d’inverno fu tenuta dalla contessa di Aversa, Maria di Padiglia, il vescovo di Bisaccia Antonello Folgore, il Tasso e il Manso: presenti quattro damigelle che accompagnavano la contessa. Alcuni storici hanno però negato la presenza del Tasso a Bisaccia, in quanto da atti notarili di età rinascimentale si ricava che fin dal 1571 il feudo non era più del Manso e nel 1588 apparteneva a Ferrante II Conzaga (G.Galasso, I Comuni, WM Edizioni). Sicuramente, invece, come risulta dagli stralci del libro del Manso che abbiamo riportato, Tasso e Manso furono insieme prima del 1588, proprio a Bisaccia, quando Manso era signore di Bisaccia e di Pianca.
26. Secondo alcuni Basile nacque in Giugliano nel febbraio del 1566. Secondo altri era di Avellino, dove sarebbe nato nel 1575. Dopo il servizio militare a Venezia, Basile fu infatti governatore di diversi feudi del Viceregno, ma soprattutto di Avellino per conto dei Caracciolo. In onore del Principe Marino Caracciolo di Avellino, da poeta, avrebbe composto in lingua solo l’idillio L’Aretusa (1618), e, dedicandola a Domenico Caracciolo Marchese di Bella, buttato giù una struggente storia d’amore e di morte Il guerriero amante (1619).
Versatile e brillante, fece parte dell’Accademia degli Stravaganti e dell’Accademia degli Oziosi. Anche la sorella Adriana divenne una nota cantante di corte.
Lo Cunto de li Cunti, altrimenti detto Pentamerone, è la sua opera più conosciuta, attingendo dalle tradizioni dall’entroterra napoletano a quello casertano e salernitano, ma soprattutto avellinese e lucano.
Secondo Benedetto Croce, deluso dalla pochezza della classi dei nobili, diede voce al popolo: quello della cucina napoletana della Taverna del Cerriglio, come alle fiabe di Creta, ma gli piacque soprattutto l’aria dei cortigiani, fra cui trascinò anche il fratello, specie presso la corte del Principe Luigi Carafa, dov’era anche la sorella e al quale dedicò Le avventurose disavventure (1611), una favola erotico-mitologica in cui arricchita con gli ambienti dei pescatori. Così come fu alla corte del Duca Vincenzo Gonzaga a Mantova, fino a quando non sposò Flora Santora di Giugliano.
Nel 1621diede alle stampe “Immagini delle più belle dame napoletane ritratte da’ loro propri nomi in tante anagrammi”, scritto durante i viaggi fra Irpinia e Lucania, in cui non mancano la sciarada e il rebus.
Alla corte del Viceré Don Alvares di Toledo insieme alla sorella, gli dedicò cinquanta Ode per la riconoscenza del ricevuto incarico di Governatore di Aversa. Passò poi alla Corte di Galeazzo Pinelli Duca d’Acerenza, il quale lo nominò Governatore feudale di Giugliano, dove morì nel 1632.
Basile viene studiato perchè molti racconti, come Cenerentola, La Bella addormentata nel bosco e Il Gatto con gli stivali, sono dei veri adattamenti originati dai suoi racconti tradotti in tedesco appena un secolo dopo, come il “Cunto”, che influenzò favolisti del calibro di Perrault, Gozzi, Wieland.
27. Pietro Giannone (Ischitella di Puglia 1676 - Torino 1748) fu giurista e uomo politico. Nel 1694, dopo i primi religiosi, si trasferì a Napoli alla scuola di Domenico Aulisio, ottenendo il dottorato e dedicandosi all’avvocatura. Pubblicò l’Istoria civile del Regno di Napoli, sulle origini di leggi e costituzioni, sottolieando gli abusi del potere ecclesiastico verso i sovrani, e le violazioni della Curia romana in materia di exequatur, diritto di asilo, immunità e privilegi, attaccando l’accumulazione dei patrimoni da parte della Chiesa e la iniqua istituzione del Tribunale dell’Inquisizione. Scappò all’estero per la scomunica e rientro in Italia nel 1737, quando Carlo Emanuele III lo fece prigioniero e morì in carcere.
28. Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli, Cap.1, XIV.
29. Eliseo Danza nacque a Montefusco il 20 maggio 1584 e fu battezzato nella parrocchia di S.Pietro dei Ferraris, ora scomparsa, come si legge nel libro dei Battezzati: Anno Domini 1584 die martis quae fuit 22 mensis mai ego Philippus Nardone Parochus Ecclesiae Sancti Petri de Ferrariis Terrae Montis Fuscoli Baptizavi Eliseum - Filium - Legitimum et Naturalem - Magnifici - Notarii - Donati - Danza et Magnificae - Camillae Tora - Dictae Terrae; Natus die Dominica quae fuit 20 eius dem mensis; Meneca Pennino eum de Sacro Fonte Levavit (morì nel 1660 ca).
Eliseo Danza fu giureconsulto e scrittore di vasta notorietà al suo tempo, ricoprendo la carica di avvocato dei poveri nelle regie Udienze di Basilicata e di Principato Ultra e nella Gran Corte della Vicaria di Napoli. Fu anche sindaco di Montefusco, paese nativo, e autorevole membro di molte Accademie tra le quali quella Degli Offuscati nella stessa Montefusco, quando le accademie erano cenacoli di varia cultura e mezzo principale di diffusione del sapere. Danza scrisse svariate opere, tutte di argomento giuridico, che si possono trovare nella Biblioteca Nazionale di Napoli e in quella Provinciale di Avellino. I suoi lavori di maggiore impegno e mole sono il De Privilegis Baronum e il De Pugna Doctorum. De Privilegis Baronum, come vademecum e punto di riferimento grazie alla sua rapida consultazione legale. La prima edizione napoletana (1651) fu seguita dal De Pugna Doctorum, opera in tre grossi volumi dei quali i primi due furono editati a Montefusco (1636) da un tipografo ambulante e il terzo a Napoli (1648).
30. Ho detto sopra che in virtù della Prammatica emessa dal Vicerè Duca d'Ossuna l’11 aprile 1584, per aversi una banda armata ( armatio per campaneam ) si richiede che sia composta almeno da quattro persone... Il Bouadilla riferisce che alcune donne usano questo stratagemma per liberare i loro mariti rinchiusi nei carceri; col pretesto di visitare i mariti carcerati si introducono, fingendo mestizia e dolore, nel carcere indi fanno indossare ai mariti le loro vesti femminili ed esse si vestono degli indumenti loro e così, mentre i mariti se ne escono inosservati, esse rimangono nel carcere, come fece la contessa Donna Sancia moglie di D. Alfonso e il Re non solo non la punì ma la rimandò libera. Ora, per tornare alla donna della quale stiamo parlando, questa Grazia fu così disonesta, sfrenata, libidinosa, senza nessun timore di Dio, che non esitò ad aggregarsi in campagna ai banditi e perchè? Non certo per una innocente battuta di caccia, ma per commettere delitti. Perchè mutò il suo aspetto, il suo stato, la sua condizione e volle diventare uomo? per poter meglio delinquere. Io dico allora che questo caso si deve includere nella Prammatica e in virtù di essa si deve imporre a tutti e quattro la pena di morte (Ivi, II, 155). Estratto da: P.Savoia, Qualche pagina di Eliseo Danza, Rassegna Storica dei Comuni, Anno VI, N.5-6, 1974.
31. E’ sempre il Danza per un fatto accaduto nel mese di novembre del 1633 (Ivi, II, 350). Le “tre facce dell’avvocato” sono nel De Pugna Doctorum (II, 573). Il brano è riportato in un libello sul Danza, estratto da: Palmerino Savoia, Qualche pagina di Eliseo Danza, Rassegna Storica dei Comuni, Anno VI, N.5-6, 1974.
32. In: P.Savoia, Qualche pagina di Eliseo Danza, cit.
33. Ciò fu chiesto “nel celebre Tribunale di Apollo da D. Vittoria Colonna la quale a nome di tutto il femineo sesso si lamentò della facoltà data dalla legge al marito di poter uccidere, nelle sopradette circostanze, la moglie, mentre tale facoltà non è concessa alla moglie contro il marito adultero”. Ecco Boccalini: L’eccellentissima Signora Donna Vittoria Colonna, Principessa di esemplar castità, tre giorni or sono comparve nell’Udienza di Sua Maesta e a nome di tutto il sesso femminile disse che le donne tutte, tanto amavano l'eccellenza della pudicizia, la quale per particolarissima virtù erab stata data loro, che punto non invidiavano la fortezza, virtù attribuita al sesso virile, perchè benissimo conoscevano che una signora senza l’anima della castità, che la rende odorifera al mondo, è un fetente cadavere. Ma che solo pareva loro di potersi con molta ragione dolere della grandissima disuguaglianza che tra il marito e la moglie si vedeva nel particolare della pena dell'adulterio; non potendo le donne quietarsi che gli uomini maritati talmente se ne stimassero liberi che nè meno la pena della vergogna, che agli uomini honorati suol essere di tanto spavento, potesse raffrenarli dal commettere verso le mogli loro i bruttissimi mancamenti di scelleratissime libidini, nei quali disordini, disse, che eglino tant’oltre erano passati che molti mariti, non solo non si vergognavano di pubblicamente tener la concubina in casa, ma che alcune volte avevano ardito d’ammetterla con la medesima moglie nel sacrosanto letto coniugale. Tutti eccessi che si commettevano perchè dalle leggi con quelle stesse severe pene non si era provveduto all'impudicizia dei mariti le quali erano state fulminate e si vedevano praticate contro la moglie adultera, et che in questo particolare di modo le leggi si erano mostrate favorevoli agli uomini che a loro che trovavano le mogli loro in adulterio fino s'erano contentate che con le mani loro si fossero vendicati di quell'ingiuria. Per li quali molto notorii aggravi il sesso femminile era stato violentato ricorrere al chiarissimo fonte della retta Giustizia al fine che nella parità del medesimo delitto, pubblicandosi pene uguali, competente rimedio si desse all'oppressione loro. Et che se ciò a Sua Maestà non piaceva, che rimanesse almeno servito di concedere nello adulterio la stessa licenza al sesso femminile che pretendevano godere gli uomini. E che simile licenza chiedeva non già perchè havessero le donne animo di servirsene, ma per poter con lo spavento di tener a freno i libidinosi mariti loro. Alla domanda della signora Vittoria Colonna rispose il Tribunale di Apollo che la legge della fedeltà tra il marito e la moglie doveva essere uguale: a questa risposta di honorato rossore si tinsero le bellissime gote della Signora Donna Vittoria la quale con romana ingenuità a Sua Maestà confessò la semplicità della sua domanda e disse che al sesso femminile scorno troppo grande sarebbe stato se nel pregiato dono della castità si fosse lasciato vincere dagli animali bruti. Boccalini in Eliseo Danza, De Pugna Doctorum, I, 525, estratto da: P.Savoia, Qualche pagina di Eliseo Danza, Rassegna Storica dei Comuni, Anno VI, N.5-6, 1974. E ancora: Aggiunse il Tribunale che il difetto di chi la violava non meno meritava d'esser punito nell'uno che nell'altra, ma che nelle mogli si desiderava più perfetta pudicizia per il rispetto grande di quella certezza dei figliuoli per la quale al sesso femminile fu data la prestante virtù della pudicizia mercè che nella procreazione del genere umano, così ai mariti era necessaria la certezza della prole, che senza la virtù della castità delle madri, i figliuli loro non meno perdevano l’eredità che l'affezione dei padri loro, cosa cotanto vera che la stessa sapientissima natura a tutti gli animali della terra, dove il maschio concorre alla fatica di covar l'uova o di nutricare i loro piccoli figliuoli, haveva data la moglie pudica, tutto al fine che li stenti dei padri, impiegati per la salute dei figliuoli loro, fossero dolci dispendi, consolazioni et guadagni grandi. A questa risposta di honorato rossore si tinsero le bellissime gote della Signora Donna Vittoria la quale con romana ingenuità a Sua Maestà confessò la semplicità della sua domanda e disse che al sesso femminile scorno troppo grande sarebbe stato se nel pregiato dono della castità si fosse lasciato vincere dagli animali bruti i quali ancor chè niun’altra cosa propensatamente seguono che il diletto, per non togliere nondimeno con le libidini loro il prezioso padre ai loro figliuoli, religgiosissimamente osservavano la castità e che per la potenza della cagione perchè i mariti desideravano le mogli loro pudiche, la legge dell'adulterio verso le maritate lascive troppo era stata piacevole, perchè la ferita dell’impudicizia dei mariti alle mogli solo forava la pelle, ma che le maritate con l'adulterio loro col pugnale d’una eterna infamia uccidevano i mariti et vituperavano i propri figliuoli.
33 bis. Paolo Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, Libro VIII, Esamine de’ canoni del matrimonio, Firenze 1966.
34. Al Dott. Antonio Albertino Regio Uditore nella Udienza di Montefusco. (Intus)- Ho inteso le differenze che sono state rappresentate per il coscino della signora sua moglie quando assiste la signora Donna Bice Caracciolo, moglie del Preside, e comunicatele con persone di qualità et esperienza che amano la quiete, sono state di parere che non possa tener coscino nessuna persona in concorrenza di detta signora moglie del Preside et in questa conformità si servirà V.S. far osservare che per servirla non si domanda la decisione di S.E. Alla Signoria Vostra priego da Nostro Signore il colmo di ogni felicità et grado maggiore. Napoli 28 agosto1643. Il Duca di Caivano servitore osservantissimo di V.S. Arrivata questa lettera, l'Uditore Albertino e la moglie non ritennero di farne conto per molti motivi e specialmente perchè non proveniva dal Signor Vicerè che ha il potere di decidere e di comandare, infatti nella lettera non figurava la formula solita ad apporsi "d'ordine di Sua Eccellenza”. In: Palmerino Savoia, Qualche pagina di Eliseo Danza, Rassegna Storica dei Comuni, Anno VI, N.5-6, 1974.
35. Vittoria Colonna, figlia di Fabrizio Colonna, nacque nel 1490 nel Castello di Marino. Nel Castello d’Ischia, invece, nel 1509, sposò Ferrante Francesco d’Avalos, Marchese di Pescara, il quale, nel 1521, diverrà Capitano generale delle truppe imperiali, lasciando questo mondo nel 1525, quando Vittoria frequentò conventi e cenacoli intellettuali per innalzare lo spirito. Raffaele Castagna, Un cenacolo letterario del Cinquecento sul Castello d’Ischia. Cfr. Rodolfo Renier che studiò il Carteggio di Vittoria Colonna: «Dei convegni d’Ischia e dei rapporti che legavano i minori di quei poeti con Vittoria poche notizie si hanno, ed il Reumont ne parla appena e malamente. Vi accenna il Morpurgo, ma non sa darne nuove e particolari notizie. Forse chi avesse agio di esplorare a fondo le biblioteche di Napoli, in cui v’è da pescare ancor tanto, aggiungerebbe dell’altro». E ancora: Suzanne Thérault, in Un Cénacle humaniste de la Renaissance autour de Vittoria Colonna châtelaine d’Ischia, pubblicato nel 1968 dalle Edizioni Sansoni Antiquariato di Firenze e dalla Librairie M. Didier di Parigi.
36. Raffaele Castagna, Un cenacolo letterario del Cinquecento sul Castello d’Ischia, pag.37. Castagna scrive che “Angelo Di Costanzo (Napoli 1507 - 1591) fu educato nell’ambito culturale della Napoli del primo Cinquecento. Iacopo Sannazaro lo esortò a scrivere una Storia del Regno di Napoli che uscì nel 1582 e gli valse molti elogi. Ebbe duri contrasti col viceré don Pietro di Toledo, sicché fu costretto a passare alcuni periodi di esilio (nel 1540 e nel 1547) nel suo feudo di Cantalupo. Secondo alcune ipotesi avrebbe amato Vittoria Colonna, entrando appunto in rivalità col viceré nell’ambire all’affetto per la poetessa. Angelo Di Costanzo, appartenente ad una delle famiglie più nobili e signorili di Napoli, nacque verso il 1507. In età di 20 anni, essendosi trasferito a Somma, per fuggire la peste che crudelmente infieriva nel Regno, insieme con Iacopo Sannazaro e Francesco Poderico, fu confortato da loro a por mano a scrivere le Storie di Napoli. Dopo averne pubblicato un saggio nel 1572, completò nel 1582 l’opera che vide la luce col titolo di Istorie del regno di Napoli. Se in questa parte degli studi, Di Costanzo ebbe come primi direttori il Sannazaro e il Poderico, fu il celebre Berardino Rota che gli diede poi stimolo e gli fu guida nella poesia latina e italiana, in cui così eccellente ei divenne (da Le Rime di Angelo Di Costanzo - Venezia, 1759).
37. Danza, op. cit., ivi. In realtà tale privilegio spettava solo alla moglie del Preside, perchè così fu disposto dalla Regia Udienza di Montefusco. Ma l’Uditore Albertino non prese in considerazione l’invito che gli verrà dal Duca di Caivano (1643), nonostante la minaccia di ricorso regio, “specialmente perchè non proveniva dal Signor Vicerè che ha il potere di decidere e di comandare, infatti nella lettera non figurava la formula solita ad apporsi d’ordine di Sua Eccellenza”. Per cui il litigio delle due dame continuò per il nuovo appello della signora Caracciolo.
37 bis. C.Rubino, Tansilliana - La vita, la poesia e le opere di Luigi Tansillo, Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli 1996. Cfr. L.Tansillo, Il Canzoniere, Liguori, Napoli 1996. V. anche: L.Tansillo, Sonetti per la presa d’Africa, Napoli 1551. Cfr. C.J. Hernando Sanchez, Castilla y Nápoles en el siglo XVI. El virrey Pedro de Toledo. Linaje, estado y cultura (1532-1553), Junta de Castilla y Leon, Salamanca 1994. V. anche: G.Rosalba, Nuovi documenti sulla vita di L. Tansillo, Giannini, Napoli 1903; M.Sirago, I Doria signori del mare ed il sistema dell’”asiento” nella costituzione della flotta napoletana all’epoca di Carlo V, Atti del Convegno Carlo V e il Mediterraneo, Archivio Storico per le Provincie Napoletane, Napoli 2001; L.Tansillo, Capitoli giocosi e satirici, a cura di S.Volpicella, Libreria Di Dura, Napoli 1870, cap. III; G.Petrocchi, La letteratura del primo e del tardo Rinascimento, in Storia di Napoli, ESI, Napoli 1980, II Ed., VII; G.Ruscelli, Le imprese illustri con espositioni et discorsi, De Franceschi, Venezia 1580, in: Maria Sirago, Luigi Tansillo, il “poeta soldato”.Da: www.simonescuola.it.
37 ter. L.Tansillo, Canzoniere, cit., I, Introduzione. Cfr. M.Mafrici, Mezzogiorno e pirateria nell’età moderna - Secoli XVI –XVIII, ESI, Napoli 1995; C.Manfroni, Storia della Marina Italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Forzani, Roma 1897; L.Tansillo, Sonetti, cit., Napoli, 1551. Toscano, op. cit.. L.Tansillo, La Clorida. Stanze al viceré di Napoli, Napoli 1547, in: Rubino, cit.; L.Tansillo, Canzoniere, cit., II, sonetto CXCI; J. De Dios Blanca, Don Garcia de Toledo. In: Revista General de Marina, Madrid 1945, in: Maria Sirago, Luigi Tansillo, il “poeta soldato”.Da: www.simonescuola.it.
38. Girolamo Ruscelli, Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtu, Vinegia 1567. La trascrizione è di Massimo Marra. Il testo di Girolamo Ruscelli (1500-1566) esce postumo a Venezia nel 1567, dopo la morte dell’autore, celatosi dietro l’identità del misterioso Don Alessio Piemontese in decine di edizioni tradotte in italiano, latino, tedesco, inglese e francese di un prototipo di fotunati “libri di secreti”, una raccolta di ricette e di Secreti, fra cui il Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtù, di importante valore storico e documentario, che testimonia l’esistenza di una Accademia alchemica nel Regno di Napoli, quando, intorno al 1541, il Ruscelli si trasferisce dalla corte romana del Cardinale Grimani a quella del Marchese Alfonso D’Avalos. Eamon collega il Ruscelli all’ambiente intellettuale e scientifico raccolto intorno alla corte del Principe di Salerno Ferrante Sanseverino, alleato dei D’Avalos contro il viceré spagnolo Pedro da Toledo, che si accosta all’Accademia Dei Segreti fondata e diretta a Napoli, intorno al 1560, da Giovan Battista Della Porta. In: V. M.Marra, Il Pulicinella Filosofo Chimico – uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del viceregno, Mimesis, Milano 2000. Cfr. W. Eamon, La scienza e i segreti della natura. ECIG, Genova 1998. N. Badaloni, Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, vol V tomo 1 pp.641689, Napoli.
39. Ivi. Così continua: Ora, la detta casa o Filosofia nostra, per aver tutte le sopradette qualità & comodità, fu fabricata in questa maniera. Primieramente dalla parte davanti che era nella strada più larga, & si è detto che tira cinquanta piedi, vi erano tre porte. L’una in mezo più grande di tutte & due dalle teste, minori che quella di mezo ma equali fra loro, & erano fatte tutte con bellissima forma et fattura come è ancor fatta tutta la facciata. Et dalle bande di queste tre scale & fra l’una & l’altra erano poi camere bellissime, grandi & ottimamente proporzionate d’ogni ornamento & comodità possibile. Et sopra questo secondo solaro ne era un terzo, tutto corrispondente a esso secondo o di mezo, se non che era alquanto più basso... L’altra quarto, giustamente tanto lungo & largo quanto tutto il già detto palazzo primo, era conceduto ad un cortile o chiostro scoperto, ove da una banda erano tre scale benissimo collocate che ancor quindi conducono al detto palazzo, cioè al solaro di mezo, accioché quei che stavano in detto cortile & quei che stavano in detto solaro potessero comodamente salire et scendere a talento loro. Oltre che quelle porte, onde poi s’entrava dalle scale nelle lor Sale, davano loro gratia et bellezza maggiore. In questo cortile all’altra facciata del muro che era incontra o dirimpetto a quello del palazzo, erano tre porte, l’una maggiore e l’altre minori, che dirittamente rispondevano alle tre porte che il palazzo haveva nella strada come s’è detto. Ma erano fatte d’altra guisa per variare, & bellissime ancor’esse con haver quel muro facciata bellissima di cornice, di fenestre & d’altri ornamenti, che anco a chi stava nella strada quando le porte del palazzo s’aprono, si potessero vedere”.
Fra le porte del Palazzo, nella seconda facciata del cortile v’erano anche dei “murelli o pozzetti & seggi di pietra bellissimi, sopra i quali erano fatti alcuni orticelli d’erbe gentili, & nella parete a certi luoghi convenevoli erano fenestre a gabbia d’uccelli con altre cose molto vaghe, & in mezzo vi era una maravigliosamente bella tavola di marmo lunga otto braccia & larga tre & mezo. Et in capo & in piede di detto cortile erano poi due altre tavole ad otto facce, di noce l’una & l’altra d’ebeno, rimesse dalle bando con avorio & legni di diversi colori, & queste dai serventi si rimettevano dentro al coperto per non lasciarle guastar dall’acqua & dal sole, & solamente si mettevano fuori a certi giorni solenni fra noi, o quando vi veniva qualche personaggio che si voglia onorare & dargli dilettatione & spasso, & così vi erano di continuo sedie per ogni qualità di persone”.
40. Ivi. Così conclude: I lettori stiano di buon animo che non troveranno i questo libro cosa che non sia più vera et sperimentata più volte. Et li secreti sono l’infrascritti.
41. Ivi.
42. Ivi.
43. Appendice all’edizione del 1599 del Della trasmutazione metallica sogni tre, di Giovanni Battista Nazari bresciano, Brescia, tra il XVI ed il XVII secolo. Le parti trascritte da Massimo Marra occupano da pag. 211 a pag. 231 dell’edizione citata, e sono il Libro Chiamato Novo Lume, il Libro chiamato Magisterio et Allegrezza e la Epistola dell’autore al Re di Napoli.
44. V. Epistola dell’Autore al Re di Napoli, nella quale parla dell’Alchimia: ...il foco è il nutrimento dell’istesso lapis, & questo è uno delli segni evidenti a conoscere il lapis, il che intendi bene...
45. Così conclude: “Et nota che col detto composito vi è quello che mortifica, & vivifica l’istesso composito, & con l’istesso medesimo si fa bianco, & l’istesso composito si fa rosso senza aiuto di sorte alcuna estranea, parimente avertisci, che il foco nel principio dell’opera deve essere lento, nel secondo mediocre, nel terzo forte, cioè accrescendo a poco a poco il foco, si che il detto lapis si faccia bianco & ultimamente rosso”.
46. A.BASCETTA: Pietrastomina: origini, vicissitudini, speranze. Avelline”, WM Editrice, 1987. A.BASCETTA: Là dove l’acqua scorre: S.Angelo a Scala storie per un libro, Ro.Ma. Editrice, 1987. Cfr. Tranfaglia, pag. 8.
47. A.TRANFAGLIA: II beato Giulio. Avelline, tip. Pergola, 1922.
48. La statuetta che raffigura la Madonna Incoronata viene attribuita allo scuoltore Giovanni da Noia, detto il Merliano (1478-1558).
49. L.ISPANO: Romualdina seu eremitica Montis Coronae Camaldulensis Ordinis historia, in quinque libros partita. In Eremo Ruhensis, in agro Patavino, 1587, ff. 171 e segg.
50. A.MASTRULLO: Chronologia virorum illustrium et rerum exmiarum Congregationis Montis Virginis Ordinis Sancti Benedicti. Napoli, 1656.
51. Annali Camaldolesi, in Tranfaglia pag. 10.
52. Tranfaglia, pag. 11.
53. G.MONGELLI: II beato Giulio da Nardo. 1981, pagg. 70-71.
54. Registri dei capitoli generali di Montevergine, I, 201.
55. Vedi pag. 45.
56. Mongelli, pag. 64.
57. Atto capitolare del 10 luglio 1593, in Lugano, nota 2, pagg. 276 e segg.
58. Archivio di Montevergine, busta 199.
59. G.B. MITTARELLI - A. COSTADONI: Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti. Venezia, 1764, Tomo Vili.
60. Zigarelli, pag. 338. Cfr. P.LUGANO: La congregazione camaldolese degli eremiti di Montecorona dalle origini ai nostri tempi. Frascati, 1908.
61. Archivio di Stato di Napoli, Fondo monasteri soppressi.
62. Zigarelli, pagg. 271, 336.
63. Insurrezioni e brigantaggio nel Principato Ultra, di F.Barra, in Samnium, nota 3, pagg. 214, 215.
64. G.ZIGARELLI: Viaggio storico artistico al Reale Santuario di Montevergine. Napoli, 1860, pag. 338.
65. Vedi nota 18.
66. Le citazioni che seguono si riferiscono a documenti inediti dell’Archivio di Stato di Avellino, Fondo Intendenza, busta 1070.
67. Tranfaglia; Iannacchini: “quivi erasi il maggiore altare che oggi abbella il duomo di Avellino”.
68. Zigarelli, pag. 336.
69. A.BASCETTA: Là dove l’acqua scorre: S.Angelo a Scala storie per un libro, Ro.Ma. Editrice, 1987.
70. Tranfaglia.Cfr. A. M. IANNACCHINI: Topografia storica dell’Irpinia. Napoli, 1889. Cfr. A.BASCETTA: Pietrastornina, ricerche storiche, Opinioni 1999.
71. A. CARACCIOLO: Vita et gesti di Paoli Quarto. Manoscritto. A. CARACCIOLO: Collectanea historica de vita Pauli IV. Colonia, 1612. C. BROMATO: Storia di Paolo IV. Voi. II, Ravenna, 1748-53.
72. L. PASTOR: Storia dei papi. Trad. MERCATI, Roma, Desclèe, 1912-22. F. M. MAGGIO: Vita della V. M. Maria Carafa. Napoli 1670.
73. G. M. MONTI: Ricerche su papa Paolo IV Carata con 108 documenti inediti. Benevento, coop. Tipografi, 1925.
74. G. DURUY: Le Oardinal Carlo Carafa, Paris, 1882. O. PANVINIO. Vita del sommo pontefice Paolo IV. Venezia 1562.
75. A. F. VEZZOSI: I scrittori de’ Chierici regolari detti Teatini. Roma, 1780.
76. G. M. MONTI: Papa Paolo IV, profilo. Tipi Istituto Maschile, Benevento, 1926. Cfr.A.BASCETTA: Pietrastomina: origini, vicissitudini, speranze. Avelline”, WM Editrice, 1987. A.BASCETTA: Pietrastornina, ricerche storiche, Opinioni 1999. A.BASCETTA: Là dove l’acqua scorre: S.Angelo a Scala storie per un libro, Ro.Ma. Editrice, 1987. Cfr. Tranfaglia, pag. 8. Cfr.A.TRANFAGLIA: II beato Giulio. Avellino, tip. Pergola, 1922.