20. Carlo V tra Napoli e Firenze L’ARCO TRIONFALE, IL VICERE’ e L’AMICIZIA COL DUCA

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Copertina posteriore

LE DONNE NAPOLETANE IL VIAGGIO DELL’IMPERATORE

Questo terzo libro sui fatti di Carlo III si apre con un approfondimento sulla venuta dell’Imperatore a Napoli, dopo la riconquista di Tunisi, e della sua amicizia intima con i principi di Salerno, vittime dell’attentato ordito a Roma.
La cronistoria è tratta dalle lettere del segretario dell’oscuro Viceré Toledo, che si attarda nei particolari dell’agguato mortale alla Principessa di Salerno, a cui sfuggì il Principe più amato del Regno, ma la vera novità sono le differenze con un MS inedito in corso di studio.
Per arrivare a Napoli Carlo V percorse la via Antica Major che da Salerno, risalendo Cava, e passando per Nocera e Sarno, giungeva a Pompei, che, non essendo stata rifondata, era territorio di Scafati e Castellammare, chiamata antica Stabia, per alloggiare nella futura Portici, presso l’antica Laucopetra.
L’Anonimo: — Camminò poi innanti, et vidde Nocera delli Pagani, vidde il fiume Sarno, et scoverse il gran Monte Vesuvio, famosissimo per il suo incendio anticho.
Et per la generosià delli vini grechi et latini, che producono le sue nobilissime vite, et venne alla pianura della Torre della Nunciata, et da man destra vidde le rovine dell’antica Stabia coverta dall’incendio, et dalla cenere del Vesuvio, ne ni mancorno persuni che del tutto non li dessero raguagli con gran piacere di sua Maestà et dalla Sinistra vidde il mare della Città de Castiello à Mare de Vico, et di Sorrento, et Massa, et scoverse l’isola di Capri.
Et passato che hebbe le Pietre Arse, scoverse, e vidde l’Isola d’Iyscha, Procida, Miseno, Nisita, et il bel Capo de Posilipo, et poi scoverse la bile, et gran Città de Napole con li suoi felici colli, le castella, et il Porto; ma perche li Teatri, gl’Archi, li colossi, e gl’altri apparati p er l’intrata di Sua Maestà non erano compiti, Sua Maestà per dar sodisfatione à quella Città per favorire Berardino Martirano Secretario del Regno gentilhuomo cosentino di candide, et scelte lettere, et di costumi nobilissimi ornato, et di tal favore benemerito, restò servita d’alloggiare nella sua picciola villa di Leucopietra, vuolgarmente detta Pietra bianca, et nella corte di questa dormire.
Quel delizioso luogo è presso il mare lungi da tre miglia da Napoli, di dovve se posseno vedere, et scoprire tutte le bellezze del bel sito dell’anticha Partenope, et tutto il mare craterico, anticho albergo delle favolose Sirene, ivi è vicino il Monte Vesevo dalla cui radice insino al mare e dalla destra alla sinistra have una larga e lunga pianura, che insino al fiume Sebeto se stenne, dove sono superbi edificij amenissime volle, deliziosi giardini, fruttiferose possessioni et campi fertilissimi, ove se fanno generosi vini latini, et grechi eccellenti.
Questi luoghi tutti con le pietre arse de lo anticho incendio Cesare con tutti li suoi grandissimi ch’il seguivano vidde minutamente per tre giorni intieri con molti piaceri ivi si trattene finché l’apparato de Napoli fu compito.
Poscia il giorno della Santissima Chaterina 25 di 9mbre 1535 sua Maestà a far l’ingresso nella Città se ne venne accompagnato d’infiniti Prencipi et Signori Spagnoli, Italiani, e d’ogni natione d’ambasciadori, et altri huoimini Illustri di gran conto, e d’una infinita moltitudine de gente alla Porta Capuana vestito de velluto morato con un cappello del medesimo alla Borgognona, et così il suo Tesone.
Quel giorno fu cossì chiaro e luminoso, e tiepido, che non giòrni d’inverso parve, ma di mezza primavera, come che il sole della venuta di tanto Imperatore insieme con la Città, che con sommo desiderio, et amore s’aspettava, si ralegrasse

Description

il rinascimento di Napoli e Firenze

ITALY – JANUARY 16: Milan, execution of the anointers who attempted to propagate the plague during the epidemic of 1630, coloured print. Italy, 19th century. (Photo by DeAgostini/Getty Images)

PROLOGO
Carlo V e il Consiglio dei 48 pro Cosimo I

1.
attentato al principe di salerno

— No al corsaro turco su Ponza e Maremma
— Agguato alla Principessa amata da Carlo V
— Ecco il mandante: Ascanio Colonna di Roma
— L’invasore Barbarossa, inviato di Solimano
— Il viaggio imperiale dall’Africa a Salerno

2.
sotto l’arco del merliano da nola

— Sulla Via Major Antica, da Salerno a Pompei
— Le chiavi della città e i migliori artisti
— Accoglienza sotto l’arco pel Cristianissimo
— Un tunnel decorato: il percorso di cartapesta
— Il percorso festoso fino ai sedili cittadini
— Fuochi pirici per l’arrivo a Castelnuovo
— Feste al Castello e nozze del Duca Alessandro

3.
toledo, il bluff del viceré radicale

— Don Pietro, Cosimo I e l’asse col Viceregno
— Eleonora e le altre donne del Duca di Firenze
— Burgos, fratello del Viceré e papa mancato
— I giardini di Firenze e Napoli traslati a Palermo
— Toledo: odiati a Partenope, amati a Firenze
— I tumulti di Siena evitati da Babbi e Musefilo

4.
firenze imperiale e cosimo de’ medici

— Partenza per Firenze del moribondo Viceré
— Il Duca a capo della Provincia di Toscana
— Firenze: 8 strade, 7 fortezze di Siena e 7 città
— Milizia di terra, arsenale di Pisa e galeotti
— Cavalieri di S.Stefano, Guastatori e Capitani
— Le ricchezze dei Medici
— L’erede Francesco sposerà Giovanna D’Austria

5.
i toledo rapiti dal bello di firenze

— Garcia Toledo è Viceré del Re Cattolico
— Eleonora sposata per procura da Cosimo I
— Palazzo Pitti comprato da Monna Eleonora
— Garcia, Tansillo e le canzoni di guerra
— Le donne amate dalla corte fiorentina
— Il Viceré e l’ex amante Viceregina in Toscana
— I fratelli da Carlo V: ora la deve sposare!
— L’ultimo viaggio del padre della sposa

APPENDICE

LA GUERRA DI SIENA DEL 1553
RALLENTA IL RINASCIMENTO

Strozzi coi Francesi poi battuti a Marignano
Il saccheggio turco di Massa e Sorrento
Gli equilibri: Savoia, Mantova, Ferrara e Venezia

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Cuttrera

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Editorial Review

 

L'IMPERATORE

Note Bibliografiche

4. Lettere, cit.; cfr. Pietro Giannone, Istoria civile. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
5. Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, a cura di: G.Gravier, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, Gravier, Napoli 1770. Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Biblioteca Brancacciana (III, A, 9); Capasso, Codice Vaticano latino (11 -735), Ristoria delli rumori di Napoli; Salvatore Nigro, Dizionario Biografico degli Italiani.
6. Anonimo, Manoscritto inedito. Estratti in copia di autore ignoto, fedeli all’originale e pubblicati per la prima volta a stampa. Stesura c.a. anno 1580. D’ora in avanti: Anonimo, Manoscritto inedito. Esso è simile, ma differisce in alcuni particolari inediti, dalla copia letta da Gravier e firmata da Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Ma l’inedito non è stato scritto dalla stessa persona, perché il linguaggio da diurnale dell’Ignoto appare antecedente a quello del copista Castaldo di circa 50 anni, seppure manomesso e storicizzato da Gravier. Pertanto, allo stato, risulta non esatto dire che Ignoto e Castaldo siano state la stessa persona. Ragione per cui, il MSS inedito, da noi consultato in copia originale, certamente differisce per terminologia e orientamento politico (chi è filofrancese, chi filospagnolo) e pertanto si resta dell’opinione che il testo dell’Anonimo, precedente e più genuino, non possa essere stato scritto dal Castaldo, il quale, sicuramente da esso attinge in un secondo momento.
C’è da aggiungere, infine, che il MSS primario può non essere neppure quello dell’Ignoto, il quale, come Castaldo, attinge gli episodi più antichi da altri, essendo state rinvenute in successioni copie di diverse cronache più o meno simili. Cfr. Capasso, Ristoria delli rumori di Napoli, Mss, in: Codice Vaticano latino (11 -735), ex Biblioteca Brancacciana (III, A, 9).
7. Ivi. Cfr. Anonimo Manoscritto inedito. Estratti in copia di autore ignoto, fedeli all’originale e pubblicati per la prima volta a stampa. Stesura c.a. anno 1580. D’ora in avanti: Ignoto, Manoscritto inedito. Esso è simile alla copia letta da Gravier e firmata da Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Ma l’inedito non è stato scritto dalla stessa persona, perché il linguaggio da diurnale dell’Ignoto appare antecedente a quello del copista Castaldo di circa 50 anni, seppure manomesso e storicizzato da Gravier. Pertanto, allo stato, risulta non esatto dire che Ignoto e Castaldo siano state la stessa persona. Ragione per cui, il MSS inedito, da noi consultato in copia originale, certamente differisce per terminologia e orientamento politico (chi è filofrancese, chi filospagnolo) e pertanto si resta dell’opinione che il testo dell’Ignoto, precedente e più genuino, non possa essere stato scritto dal Castaldo, il quale, sicuramente da esso attinge in un secondo momento.
C’è da aggiungere, infine, che il MSS primario può non essere neppure quello dell’Ignoto, il quale, come Castaldo, attinge gli episodi più antichi da altri, essendo state rinvenute in successioni copie di diverse cronache più o meno simili. Cfr. Capasso, Ristoria delli rumori di Napoli, Mss, in: Codice Vaticano latino (11 -735), ex Biblioteca Brancacciana (III, A, 9).
8. Ivi.
9. Dominici, cit. Così Dominici: «Negli ultimi tempi, fra le giovani leve, s’era imposto Giovanni, figlio di Giuseppe Merliano e Lionora Cortese, nato nel 1478. Il padre era nel settore del cuoio e esercità l’arte del calzolaio mandando però a scuola il giovane sperando che imparasse l’artitmetica per portare a lui i conti, ma questi seguì la sua inclinazione e si diede alle lettere, a Napoli, dove restò alla morte del padre per terminare gli studi. A 12 anni entrò quindi in una scuola di pittura, applicandosi nel disegno , modellando con facilità la creta e scolpendo il legno, ma «non potendo a questi per niun modo acconciarsi, con tutte le forze del suo grande ingegno, alla scoltura si diede» seguendo il maestro Fiore, che si intendeva anche di architettura, ma senza applicarsi ai «lavori di marmo, ma solamente a quei di legno» per la chiesa dei calzolai. Perciò dalla bottega fece uscire le statue dei Santì Crispino, e Crispiniano che, grazie allo zio calzolaio, «ne acquistò allora molla laude, a cagion dell’età giovanile, in cui egli quelle figure con i loro ornamenti scolpito avea; e questa fu la cagione, che mosse i maestri della chiesa della SS. Nunziata ad impiegarlo in un gran lavoro di bassorilievo».
E da lì fu tutto un crescendo, aggiustando la sepoltura di Carlo Pignatelli, venendo a morte il suo maestro, dedicandosi alla tomba di Francesco Carrafa in S.Domenico Maggiore, famiglia per la quale lavorò e creò l’icona dell’Incoronata di S.Angelo a Scala, feudo natio di Papa Paolo IV, famiglia che forse lo introdusse a Roma, dove si innamorò dei lavori di Michelangelo.
La sua fama incominciò a essere tale che, divenuto Carlo V imperatore, «nell’anno ventesimo dell’età sua: per la qual cosa, ad emulazione delle altre città a lui soggette, anche la nostra Napoli ne fece feste bellissime , che molti giorni durarono, anzi maggiori se ne apparecchiavano: perciocché era insorto un grido, aver l’ imperadore dichiarato, ch’el sarebbe venuto in Italia, ed avrebbe dimorato specialmente in Napoli, per goder di quelle delizie di cui cotanto abbonda; laonde questo grido precorso anche in Roma , servì di sprone al naturai desiderio di Giovanni di rivedere la patria, e con tale opportunità farsi anche conoscere per virtuoso (se mai la fortuna avesse propizia) dal medesimo imperadore. La venuta però di Carlo V non accadde se non nel 1535; ma con tutto ciò Giovanni credendola prossima (com’é proprio di chi desidera) si affrettò al ritorno con istraordiuaria sollecitudine».
Riprese nel mentre a lavorare per il cavalier Massimo Stanzione, ma completò il sepolcro di Francesco Carrafa, cominciato da lui prima di andare in Roma, indi una statua di S.Giovanni per Luigi Artaldo, realizzando l’altare maggiore sul modello del Rossellino, nella cappella degli Olivetani.
«Cresciuta per queste belle opere la fama di Giovanni da Nola, molti lavori gli furono commessi, e primieramente ei fece vari bassi rilievi, infra i quali contasi la deposizione del Signore, nell’avanti altare della cappella de’ Teodori, nella nostra chiesa cattedrale, ove altresì lavorò la sepoltura di Angelo Gambacorta, con alcune statue, assai bene e diligentemente condotte».
Altri lavori seguirono in S.Giovanni Maggiore e la cappella Coppola eretta in S.Maria la nuova, e una statua «presso la porta minore della reai chiesa di S.Chiara, e fu doppiamente arricchito questo marmo e dallo scarpello di Giovanni da Nola», fino a ideare «i tre mausolei tutti di bianco marmo, sostenuti da sode basi, ed ornati di pilastri e cornici, e di statue in cima di ciascheduna» nella chiesa dei Sanseverino, e altre statue in San Domenico e Monteoliveto, e «il miracolo di S. Francesco di Paola, allor che fece cavar vivi di sotto le ruine coloro, a’ quali il monte era caduto addosso».
Detto ciò, «non é maraviglia, che essendo venuto in tanta stima appresso ogni persona della città di Napoli, gli fusse addossato il peso dell’ apparecchio delle feste, e la direzione di esse, oltre all’ opere di sua mano, che far si doveano per la venuta dell’Imperador Carlo V, che da più anni venir doveva in Italia» e per questo gli fu affidato il compito di celebrarlo.
Lo storico: — Aveva in questo tempo l’Imperador Carlo V conquistalo il Regno di Tunisi, con altri luoghi di Barbaria, e di nuovo riposto nel suo trono Muleaseu, con farlo suo tributario: per la qual cosa si fecero in Napoli feste d'illuminazioni, di Cavalcate, e di Tornei; e più si accrehlie l'allegrezza, per la novella, che l'Imperadore veniva a Napoli; laonde si ordinaveno dagli eletti della Città gli apparaiti necessarj, per ricevere un cosi glorioso loro monarca, acciocché non vi fusse preparamento, che non fosse tutto magnificenza, e ricchezza.
10. Anonimo, cit. Così invece Dominici: «Fecero adunque Giovanni e Girolamo, con la solita gara, due gran colossi di stucco, situati su due gran basi; l’un de’quali a man destra, in sembianza di vaga’ donna dal mezzo in sù, teneva in atto di sonare una lira, e nel resto d'aquila con l’ale dorate, rappresentava la Sirena Partenope, la quale con volto giolivo e ridente, parca che cantando dicesse a Cesare questo verso latino, che a piè teneva scritto:
— Expectale venìs, spes o fidìssima nostra».
11. Cfr.Agostino Cesaretti, Istoria del Principato di Piombino, T.I, Stamperia della Rosa, Firenze 1788, Ristampa a cura della Arnaldo Forni Editore, Vol.93. Cfr. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857, pag.266. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870.
12. Anonimo, cit.
13. Dominici, cit. Cfr. Anonimo, cit.
14. Ivi.
15. Dominici. Così invcece l’Anonimo: - Vidde Sua Maestà dalla finestra il Castello Capuano, castello de dilitie, più che di fortezze, ove erano Signori e Dame infinite, et dalla destra vidde un anfitetaro, o dir si voglia un arco trionfale, nell’una faccia del quale, che guardava verso la porta, erano quattro colonne con quattro quadri, in uno era dipinto un cumulo d’armi maritime, che se brugiavano, ciò venir arberi, antenne spezzate, anchore et pezzi de rostri de galere con questo detto:
Ex punica nota esapsa.
Nel secondo era una Africa minuta e mesta con il fiume Bagraito appresso con le corna rotte, e col capo senza girlanda con queste parole:
Lesus solatia victor.
Nel terzo erano molte pecore bianche inghirlandate con una fascia negra per il mezzo de li crini avanti uno altare, et vi erano queste parole:
Zephyris, et Fortune reduci.
Nel qaurto erano diverse arme moresche, archifaretre, turbata, e pezzi di maglie con tal detto:
- Jam toto surget gens aurea mundo.
Sopra la cornice di queste colonne in alto eran o quattro colossi o statue, in uno era qeuella del maggior Scipione Africano con un detto tale:
Tibi decentius Africae nomen.
Nel secondo quella d’Anibal Cartaginese, et haveva qieste parole:
Te major Princeps nullus in orbe fuit.
Nel terzo era quella d’Alesandro Magno, che haveva tal detto:
Quantum Colles Precedit Olimpus.
Nel 4° quella di Giulio Cesare, che diceva:
- Nostra Spes Maxima Roma.
Et prefatto queste imagine era un tal verso:
O Lux nostri Deus et Gloria Mundi.
Erano cinque quadri sopra le porte di detto Arco, et in questo che stava in mezo maggior degl’Altri quattro, vi era la descritione di tal Arco à Cesare con belissime inscrittione, e negl’altri quadtri vi era dipinta l’almata di Cesare alla Goletta l’accamparsi intorno à questa, la presa d’essa, la fuga di Barbarossa, et la presa de Tunisi, sopra la sommita di tal’arco erano quattro immagine da quattro Imperatori della casa d’Austria.
Il Primo era Sigismondo con queste lettere:
Generis spes ultima nostri.
Nel 2° d’Alberto con tal detto:
Maioribus maius Deus ipse futuris.
Il 3° di Federico, et il suo scritto era tale:
Attollens nostros super Astra Napole.
Nel 4° di Massimiliano con questo detto:
Sic Pelea Vicis Achilles.
L’altra era una donna tutta ristretta in una veste piccola mostrando non so che di timore havuto, ma rivolta verso Cesare pareva fatta fatta sicuro che il suo verso diceva:
— Te Duce timor omnis abest.
Et molti interpretavano, che tal statua dimostrasse l’Italia paurosa se non essere signoriggiata dall’altri Re, che da Cesare.
Et giunto al Seggio di Montagna vidde due altre statue l’una d’Atlante, che sugli humeru sustentava il cielo con questo detto:
— Maiora tuarum pondera laudum.
L’altra d’Hercole coronata di populea fronna con le colonne in spala, et il suo motto diceva:
— Extra anni solisque vias.
Nel seggio di Nido erano due altre statue, una di Marte, che pareva, che se spogliasse dele sue arme, e ne facesse un cumulo sopra il suo scudo per volerle donare a Cesare con questo verso:
— Mars hac ut redas spolijs orientis o nustris.
L’altra era della Fama tutta alata,e pien d’occhi, e da lingue con un torto antico nella destra mano mostrando con quelli voler chiudersi la bocca , et haveva tal inscrittione:
— Nil ultra tam progrediatur, habet.
Volto poi sua Maestà con la comitiva, che ho detto verso la Vicaria Vecchia ove li prigioni, affacciati nelle cancelle di veder Cesare, aspettavano, et ivi gionto l’Imperatore, indi da tutti gridare gratia, gratia, libertà, libertà, et il Marchese del Vasto, che ivi era, fermatosi al quanto ridendo se voltò all’Imperatore, il quale guardando li prigioni con benigno viso non fe’ altro segno e passò via, pervenuto accanti la Chiesa di Santo Agostio, ove il governo del Populo congregava si suole, vidde il simulacro della fede, quale era una donna vestita de bianco con la mano sinistra coverta, e la destra additava, che quel luogo era il ero albergo, et stanza per sempre osservata fedeltà del Popolo con questo verso:
— Hic mihi certa domus tuta hic mihi Numinis Àra.
Venne poi alla Piazza della Sellaria, in mezo della quale ove oggi è la fontana, era uno monte altissimo fatto de cartoni, ove si vedevano statue grandissime di quei superbi favolosi giganti, che per far guerra al cielo posero nudi sopra monti, che con monti in spalla parevano di voler salire in alto, e nel passar, che fe’ S.M. furno da una Aquila, che lor sopra stava fulminati, si che rovinorrono in giù con li monti addosso, che fu un bello artificio à vedere con queste parole:
— Sic per te superis gens inimica ruat.
Al Seggio di Porta Nova era la statua di Bifronte Jano, che nella mano sinistra teneva le chiave, e nella destra un bastone sopra del quale se appoggiava con il tempio chiuso con questo detto:
— In manibus utrunque tuis.
Et un altra statua che era un Furore incatenato iracondo, et la spuma alla bocca, con questo detto:
— Cui tanta homini per missa potestas.
Nel seggio di Porto trovò due altre statue. Una era di Portunno Dio del mareno, con una ancora nella mano destra, e con una bella conca marina nella sinistra. Il detto suo diceva cossì:
— Husquam abero et tutum sempre et lietore sistam.
L’altra era della Fortuna con l’ale tagliate, e con un serpente in circolo, et una rota in mezo in atto di donarle, et porgerla à Cesare e statua con li piedi fermi sopra le due base, e nel sopra la spalla con tal detto:
— Nec satis hoc fortuna pretat.
Similmente venne la strada larga dell’Incoronata, dove concorse tanta moltitudine de gente, che fu meraviglia a vederla.
Sua Maestà si fermò subbito, che fu avanti al Castello, et ecco, che parve il Cielo, e la hevva tremare all’horribile e spervenarsi trovò di tanta artegliaria, che se sparorno, e nel Castello novo, et in quella di Santo Hermo, e dalle navi, et galere del Moli Grande siche la caligine, et il fumo non faceva vedere cosa alcuna.
Alla fine essendo hore 23 sonate S.M. entrò nel Castello Novo ricevuto da Don Ferrante d’Alarcone Marchese della Valle, et castellano di quelli con le ceremonie delle chiave, et alquanto honore è ricevuta fu possibile mostrare in quell’atto à tanto Imperatore onde da S.M. se licentiorno, infino alle oto hore di notte tennero le strade piene di lumi risplendenti come di giorno fusse stato.
Questo anno parve che il Cielo e il tempo gioissero per l’allegrezza di Napoli, però che dal dì che S.M. entrò in questa Città per poi di doi mesi e mezzo continui sempre li giorni furono chiari, e luminosi, er il sole tepido, si che l’astagione era in modo adolcito, che non pami inverno, ma una quiete, e dolce primavera però che li freddi, e le piogge si delegnorno in modo che si fiori d’aranci, e le rose si vedevano a mazzetti come se fusse d’Aprile.
16. Dominici, cit. E così continua, dicendo che «avea alcuni anni innanzi lavorato Giovanni la statua della B.Vergine tutta tonda, col bambino in braccio, a quei della famiglia Gualtiera, i quali l'aveano situata nella loro cappella, eretta nella chiesa di S. Maria delle Grazie, de' Padri Eremitani detti di S. Girolamo, o del B.Pietro da Pisa, presso le mura della città.
Or considerando questa scultura due cittadini nobili ed onorati, vennero a ragionamento del valore di Giovanni e di Girolamo Santacroce; il quale a cagion della statua di S.Giovanni, fatta al marchese di Vico, per la sua cappella in S.Giovanni a Carbonara, e per altre opere eccellentemente condotte, ed ultimamente per le statue e gran colossi lavorati in occasion delle descritte feste, era venuto in grandissima stima, e riputazione.
Ed accadde, che siccome virtuosa gara erasi accesa tra questi insigni artefici, così parimente sorgesse virtuosa disputa fra questi amici, a qual de' due il primo luogo fusse dovuto.
Per far dunque novella pruova della virtù di questi maestri, determinarono di ergere due cappelle nell'anzidetta chiesa, e farvi lavorare due tavole di basso rilievo, con copiose figure, una per ciascheduno da' suddetti scultori; ed in tal modo vedere quale di essi fusse per riportare il primo vanto.
Laonde in esecuzione di quanto fra di loro avean determinato, il gentiluomo della famiglia Senescalla, oggi estinta, commise al Santacroce la storia di S.Tommaso apostolo, che pone il dito nella piaga del Redentore, in presenza degli altri apostoli, la quale fu da Girolamo egregiamente condotta a perfezione.
E l'altro gentiluomo della casa Giustiniani, commise a Giovanni il deposito del Signore, con le Marie, la B.Vergine, S.Giovanni, Giuseppe eNicodemo, con altri assistenti al doloroso mistero.
Or qui sì, che la gara fece l’ultime pruove dell’arte».
Conclude Dominici: — Scolpì dunque Giovanni questa marmorea, e bianca tavola con figure di più che mezzo rilievo, ed avendo espresso il Cristo morto in atto doloroso, e divoto, espresse la Vergine madre dolorosissima, e le Marie piangenti, con si viva espressione, che nulla può farsi di meglio; esprimendo nei Santi amici Giuseppe e Nicodemo pietà , e divozione nel doloroso uffizio di seppellire il Signore, nel mentre S. Giovanni si sforza di consolare la Vergine semiviva.
Insomma non v'è in questa fattura cosa che non desti compassione, nè compassione, che non facci maraviglia; vedendosi espressa in quel marmo la tenerezza, e il dolore: cosa che partorì allora, e partorirà sempre un divoto stupore ne’ riguardanti.
Ed ambidue questi artefici ebbero, ed averanno laudi immortali per così bell’opere, senza decidere a qual dei due si debba il primato.Seguiamo lo studioso nella sua ricostruzione. «Avendo piena notizia ed esperienza del sapere di Giovanni da Nola, per le bellissime invenzioni e statue fatte nella pomposa entrata dell’Imperadore, diede a lui la cura di condur questa fabbrica, dopo aver veduto ed approvato i disegni, e il modello, col parere ancora degl’intendenti di architettura.
Stabilito adunque il tutto, e fatto il fondo di annui ducati 6300, per la spesa, sopra il soldo degli officiali nazionali, ed italiani, oltre alla pia liberalità del Toledo, si diede principio alla fabbrica.
Ed essendosi ottenuto breve da Paolo Terzo, e licenza dall’Imperadore, vi fu buttata la prima pietra agli 11 giugno dell’anno 1540, dall’arcivescovo di Capua D. Tommaso Caracciolo, il quale era in quel tempo cappellan maggiore». I lavori dureranno 9 anni e diventerà, questa, una delle più belle chiese, «a gran contento della nazione Spagnuola, dei Napoletani, e di tutti quei che la videro; essendo una delle meglio intese, e più magnifiche chiese che facciano ornamento alla nostra città; avendola architettata Giovanni con le ottime regole de’ Greci e Romani antichi maestri, e bandite all'intutto le secchezze della gotica architettura, per la qual cosa moltissime laudi da ogni ceto di persone gli furon date». Cfr. Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana,cap.XXII del libro III. Una lettera di questa signora si legge tra le Lettere di molte valorose donne stampate in Vinegia presso Gabriele Giolito de Ferrari al 1549: e nella Biblioteca Nazionale di Napoli si conservano parecchie lettere autografe indiritte da questa principessa a Geronimo Seripando. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675. Cfr. Carlo Padiglione, La biblioteca del Museo Nazionale nella certosa di S.Martino in Napoli, Giannini, Napoli 1876. Cfr. Giannone, op. cit. Lib. trigesimosecondo; De Renzi, op. cit. Pag. 55. Baldacchini, op. cit. Pag. 178.
17. Dominici, cit. Cfr Anonimo. Così l’Anonimo: - Per Capuana era eletto Hettorro Minutolo VSD.
Per Nido Francesco Carrafa di Carrafello.
Per Montagna Aurelio Pignone, e Francesco Rocco, che per lunga usanza quel seggio crea dui eletti per governo anticamente havvi due seggi, uno alla Montagna, e l’altro à Forcella.
Per Porto Antonio Macedonio, e per Porta Nova Pietro Moccia.
L’eletto del Popolo fu Gregorio Russo prencipe de tutti li notari del suo tempo, et cittadino di gran qualità.
Il Minutolo porse le chiavi della Città all’Imperatore in nome di tutta la Città, lo salutà pregando Nostro Signore Iddio, che quel giorno esser dovesse è à Sua Maetsà Cesarea, et alla città perpetuamente fausto et felice, elargendo con gran parole l’inesplicabile allegreza universal per la sua venuta.
Al quale S.M. diede benignamente nresposta, dicendo, che non meno egli si ralegrava vedendo tanti fideli, et amorevoli suoi vassalli, e tornandole le chiavi disse, che assai ben guardate stavano in mano loro, la cui somma fedeltà cossì verso d’esso Cesare, come de li predecessori Re d’Aragona gl’era notissima.
Saliti dungi à cavallo l’eletti, vennero cinque Signori de li sette, che hanno carico de li setti offici del Regno, cioè il Gran Marchese del Vasto Alfonso d’Avolo Gran Camerlingo Ascanio Colonna Gran Contestagile, Ferrante Spinelli Duca de Castrovillari, et Protonotario, vi fu il Duca d’Amalfi come Gran Giustitiero perche era al Governo di Siena, seguì poi il Principe di Salerno come sindici, non vi fu Don Carlo de Guevara conte di Potenza Gran Siniscalco per l’inimicitia che haveva con il Marchese del Vasto, havendogli il marchese ammazzato il figlio primogenito, seguì Antonio Gattinaria Legnano Conte de Castro Gran Cancelliero, e dopoi di lui Don Fernando di Cardona Duca di Somma et Almirante del mare, quasi fanciullo bionno e bello come un’angelo.
Costoro salutata S.M. et fatte le cerimonio solite, se posero ad ordine nel cavalcare innanti a S.M..
L’ordine fu questo innanti all’Imperatore era il Marchese del Casto Gran Camerlingo con veste convenniente al suo officio, ma ornatissimo di gioie, et oro sopra un bravo corsiero, tenendo dalla destra una gran spada nuda, innanti a lui andava Ascanio Colonna, avanti a questo era il Duca de Castrovillari, avanti al Duca er il Principe di Salerno vestito d’una veste de velluto pardo con pontali d’oro, et con una soperba barretta di molte gioie ornata, et portava appogiato alla staffa destra un stendardo; avanti il Principe andava il Gran Cancelliero, eta avanti a tutti, ma più degli altri lontani di S.M. il Grand Admirante spra una achinea biancha, e che da staffieri era mantenuta in sella ch’andava con tanta gratia et gravità, ch’innamorava ogn’uno.
Cossì intrò Cesare la Porta Capuana havendo diventati, et d’ogni torno moltitudine infinita d’altri Signori e Cavalieri.Cfr. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588.
18. Anonimo, cit. Cfr. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, a cura di Gravier, Napoli 1770. In: Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Cfr. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571.
19. Dominici, cit. «Indi assistendovi i deputali, e governatori, creati per dirigere cosi allora la fabbrica, come poi la chiesa, ed assistendovi spesse volte lo stesso Viceré in persona, fu alla perfine compiuta nel 1548, come si sa dagl’istrumenti rogati per vari contratti, che dovettero farsi per la suddetta fabbrica; e fu la chiesa dedicata a S.Giacomo apostolo, e consegrata con molta solennità nel 1549».
20 A.Bascetta, Carolineo dei Franchi, Carovigno dei Normanni, ABEdizioni. Cfr. Wikipedia, L’enciclopedia libera, da: it.wikipedia.org. Questi i Vicerè e i Luogotenenti pro tempore del Viceregno di Napoli sotto Filippo II:
1. Bernardino Mendoza (1555-1556)
2. Ferdinando Alvarez di Toledo, Duca d’Alba (1556-1558)
3. Giovanni Manriquez di Lara (1558)
4. Cardinale Bartolomeo della Cuera (1558-1559)
5. Don Pedro Afan de Rivera, Duca d’Alcalà (1559-1571)
6. Antonio Perento, Cardinale di Granvela (1571-1575)
7. Don Imigo Lopez de Mendoza, Marchese di Mondejar (1575-1579)
8. Don Juan de Zuniga (1579-1582)
9. Don Pedro Tèllez Giròn, Duca d’Ossuna (1582-1586)
10. Don Giovanni de Zuniga, Conte di Mirando (1586-1595)
11. Don Enrico di Guzman, Conte di Olivares (1595-1599).
21. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588. agg.1r.v.-13r.Cfr. A.Bascetta, La rivolta di Fucillo, ABE Napoli 2024. Summonte, Historia della città e regno di Napoli, Vivenzio, Napoli 1748. Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 2 vol., Roma 1982, Edizioni di storia e letteratura; Cfr. Ferorelli, cit. A.Bascetta, Salerno nel 1755. Il Catasto Onciario, ABEdizioni, Avellino 2006.
22. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS originale inedito. Cfr. Camillo Tutini, Dell'origine e fundazione de'seggi di Napoli, Napoli 1754.
23. Ivi.
24. Così conclude il passo sulla Duchessa sposa amata finché fu in vita: «Vedendosi chiaramente, che dapo’ la morte di lei, le cose di Sua Eccellenza sono passate, ne con quella dignità, ne con quella sodisfatione de sudditi, che passavano innati. Soleva il Duca far molte gratie al tempo della Duchessa, hora è rigidissimo, che non ne concede mai una, talmente che ogn’uno vive disperato, et quasi arrabbiato per usar quelle medesime parole con le quali sogliono essi manifestare questo doloroso affetto degli animi loro». Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS. Capponi, Cod. I, pag. 209-315. Il Moreni cita questa Relazione come stampata dal Cambiagi nel 1775. A me, in Firenze, non è venuto fatto di rinvenire un solo esemplare di tale edizione.
25. Ivi.
26. Su Lorenzo Priuli, v. Eugenio Alberi, Cenno biografico intorno a Lorenzo Priuli, in: Relazioni Degli Ambasciatori Veneti Al Senato, pag.291, vol.X, Serie iI, Tomo IV, Società Editrice Fiorentina, Fireze 1857. Così l’Albèri: «Lorenzo figliuolo di Giovanni di Zaccaria Priuli e di Laura di Alvise Donà nacque nel 1538 a' 9 di agosto. Studiò a Padova ne' primi suoi anni; poscia per acquistar pratica nelle Corti si acconciò con alcuni Veneti ambasciatori; e ritornato in patria fu approvato per l'ingresso nel Maggior Consiglio nel 1559. Del 1563 rimase Savio agli Ordini, ed essendo tuttavia in carica, fu nel 10 novembre 1565 eletto ambasciatore al Granduca Cosimo per congratularsi delle nozze di Francesco suo figliuolo con Giovanna Arciduchessa d'Austria figlia di Ferdinando I. Fu del 1567 podestà e capitano a Belluno; del 1572 provveditore del Comune, nel quale officio trovandosi, gli fu conferita a' 4 di giugno dello stesso anno la legazione ordinaria a Filippo II re di Spagna, legazione da lui con molto onore esercitata nei tempi della Lega contro i Turchi. Da questa ritornato, fu eletto nel 1575 della Giunta del Pregadi; nel 1576 Savio di Terraferma; nel 1577 podestà e capitano a Cremona; e di nuovo nel 1578 Savio di Terraferma, carica che ottenne anche altre volte. Gli fu data nel maggio 1579 l'ambasceria ordinaria ad Enrico III re di Francia, nella quale stette mesi 33 con molto splendore e con soddisfazione del re e della Repubblica, e riportò da quello il grado di cavaliere. Del 1583, alli 11 di giugno, fu inviato ambasciatore a papa Gregorio XIII, succedendo a Leonardo Donato (Succeduto a Giovanni Corraro, ma del quale ci manca la Relazione). In questo istesso anno era stato anche provveditore alle Fortezze, e nel 1586 ebbe il consiglierato della città pel sestiere di Santa Croce, e fu riformatore dello Studio di Padova. Nel successivo 1587 ebbe il saviato del Consiglio, e la carica di provveditore in Zecca; e nel 1588 fu uno de' destinati a decidere nelle differenze insorte circa la fabbrica del celebre ponte di Rialto; e venne ballottato nell'anno stesso a provveditore di S. Marco de citra, ma non rimase. Nel 1590 era podestà a Brescia, quando considerata dai Padri la integerrima vita sempre tenuta dal Priuli in tanti pubblici incarichi, lo elessero nel 4 agosto a patriarca di Venezia, la qual dignità egli assunse nel 27 gennaio 1591. Tanta fu anche dappoi la saggezza, prudenza e dottrina spiegata da lui nel nuovo suo ministero, che meritò di essere creato, a' 5 giugno 1596, cardinale da Clemente VIII. Come patriarca emand utilissime costituzioni a regolare la disciplina della Veneta Chiesa; rifece nel 1594 a sue spese la facciata della chiesa di S. Pietro di Castello, allora sua cattedrale; e finalmente, essendo vissuto anni 61, mesi 5, giorni 17, piamente morl nel 26 gennaio 1600, e fu nella cattedrale seppellito.
Oltre i dispacci di varie fra le ambascerie sostenute, esistenti nel Veneto Archivio, abbiamo di lui:
-1. Relazione di Firenze del 1566, stampata a pag. 57 e segg. del Vol. II di questa serie delle Relazioni. A pag. 380 del Vol. I de' MSS. Italiani Parigini del Marsand, si cita una Orazione del Priuli fatta in questa occasione al principe Don Francesco nel 1565.
-2. Relazione di Spagna, letta in Senato il 28 giugno 1576, la quale per ragion d'epoca non ha ancora avuto luogo nella nostra raccolta.
-3. Relazione di Francia, letta in Senato il 5 giugno 1582, la quale sarà da noi pubblicata a suo luogo.
-4. Relazione di Roma, presentata li 2 luglio 1586, ed è questa che ora pubblichiamo.
-5. Synodus Veneta ab illustr. et reverendissimo D. D. Laurentio Priolo patriarcha venetiarum secundo anno sui patriarchatus celebrata diebus 9, 10 et 11 septembris MDXCII.
-6. Synodus Veneta secunda ab illustr. et reverendissimo D.D. Laurentio Priolo patriarcha venetiarum dalmatiaeque primate quarto anno sui patriarchatus celebrata diebus 15, 16 et 17 novembris 1594. Queste due scritture furono ristampate nel 1668 in Venezia dal Pinelli insieme con altre».
27. Ivi.
28. Ivi.
29. Ivi.
30. ASF, Mediceo del principato, Lettera di Francesco Babbi da Napoli a Cosimo I del 11 novembre 1549, “L’Ecc. V. mi scrisse pochi giorni sono, che disegnava che io restassi da queste bande, e dovessi seguitar l’Ecc. del Sig. Vicerè nella visita che aveva in animo di far per il Regno. Adesso essendo nato questo accidente della morte del Papa, si può credere che non possi né debbi partir più punto da questa città per qualche mese. Io mi ero stato così con masserizie a costo;e non punto nel modo che vorrei per onore e commodo mio. Adesso avendo presa una casa per un anno, che qui non si danno per manco, e andandoci qualche dozzina di ducati per finirla un poco, desidero che la mi facci grazia di avvisarmi se è della medesima opinione che io resti, acciò mi possi levare da questi interessi, e quietare l’animo per l’avvenire più di quello che ho fatto per il passato. Non prima si intese la morte del Papa, che le strade non solo in questo Regno, ma per tutto fino a Roma, sono rotte di sorte, che è impossibile senza una compagnia almeno di cento cavalli, che si possi andare di qui là, e che già si sono sentiti infiniti danni. Il Sig. Vicerè sta benissimo, e il Sig. Don Grazia differirà la sua gita di Puglia qualche giorno”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
31. ASF, Mediceo del principato, Lettere di Francesco Babbi da Napoli del 16 novembre e 13 dicembre 1549, “Qui si ha per fermo il Cardinale come persona molto vecchia e buona, e senza passioni... Qui si sta aspettando con grandissimo desiderio questa elezione del Papa; e tanto più, poi che si è inteso che il Reverendiss. ed Illustriss. Burgos vi è stato ed è ancora così vicino, che a Dio piacci che sia, secondo che le virtù sue, santa ed ottime qualità ricercano. Il Sig. Vicerè, per la buona speranza che ne tiene, è ringiovanito dieci anni, e sia oggi meglio e più giovane che io l’abbi mai visto poi son qui…”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
32. ASF, Mediceo del principato, Lettera del febbraio 1550 inviata dal Babbi a Cristiano Pagni allegata alle lettere di F.Babbi da Napoli del 16 novembre e del 13 dicembre 1549 che così conclude: “E con questo fine, bacio le mani di V. S., di Messer Lorenzo, del Guidi, di Mess. Angelo e del Grasso”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
33. Beni che dovrà restituire non avendo estinto il debito. Nè pagò i 4.400 scudi per altre 10 case, trasformate in “Casone”, acquistate (1571) di fronte San Sebastiano che appartenevano all’Opera di San Giovanni ed erano amministrate dall’Arte dei Mercanti di Calimala. ASF, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, Convento n. 108, f. 122, c. 44v. Nella filza 121, c. 76v si ricorda che il podere venne valutato al prezzo di fiorini 22 a stioro, per un totale di scudi 2.200; a c. 77v si precisa che «fino a tanto non saranno rinvestiti duemila dugento scudi sia tenuto ogni anno dare al monastero per e frutti cento scudi, et dette monache habino sempre il dominio sopra detti beni sino a tanto non ci ricompensano altrove». Nella filza 122, c 39r «Ricordo come per insino adi 15 d’ottobre 1574 s’è compero 90 colonne di castagno dal Sig.Don Luigi da Toledo, e per lui da Pier Pagni suo agente a y quattro l’una di danari che noi avevamo havere del fitto del giardino, in tutto y 320». A.S.F., Arte dei Mercanti di Calimala, f. 132, cc. 23rv. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
34. G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Milano, 1966, VIII, p. 51; V. anche: A.Rinaldi, Ideologia e tipologia del giardino urbano a Firenze tra XV e XVI secolo: il giardino come rappresentazione della natura e la costruzione della città autre di ordine rustico, in Il Giardino Storico Italiano. Problemi di indagine fonti letterarie e storiche, Firenze 1981, p. 142145; A.Tagliolini, Storia del giardino Italiano, Firenze 1988, pp. 175-176. Cfr. C.Conforti, L’isola nel giardino: genealogie, modellí, archetipi, in Boboli 90 Atti del Convegno Internazionale, Firenze 1991, II. V. anche: A.S.F., Fabbriche Medicee, f. 48 che registra i conti della «Illustrissima Signora Duchessa Signora Nostra», tra i quali figurano quelli occorsi «a1 giardino del Signor Don Luigi di Toledo per servizio di detto giardino» nel marzo-luglio 1562, tutti «su polizza di Bartolomeo Ammannati». In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
35. C.J.H. Sanchez, Los jardines de Nàpoles en el siglo XVI. Naturaleza y poder en la corte virreinal, in: C.Anon, J.L. Sancho, cit., 1998.
36. A.S.F., Mediceo del Principato, f. 327, c. 71, lettera di Cosimo I del 1.9.1562. A c. 90r si conserva un’altra lettera di Cosimo I al Papa datata 2.10.1562, in cui lo informa di una visita di don Luigi. V. anche: G. Pieraccini, La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, Firenze 1924, II, p. 55. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
37. J.L. Sancho, Guida de visita. Real Sitio de Aranjuez, Madrid 1997. V. anche: A.S.P, Real Segreteria, n. 1, 8 gennaio 1573, il contratto è riportato per esteso in S. Pedone, cit., 1986. V.anche: L. Russo, La fontana di Piazza Pretoria in Palermo, Palermo 1961, p. 16; M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo, Palermo 1984, p. 60. Don Luigi la fece smontare trasportare a Palermo, dove le sculture che la componevano giunsero il 26 maggio 1574 in 644 pezzi, dei quali 112 imballati in 69 casse 21. V.anche: L. Russo, cit., 1961. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
38. S.Pedone, cit., 1986, p. 22, il quale riprende da G.C. Capaccio, Historiae neapolitanae, Napoli 1771. P.Navascues Palacio, La Abadia de Caceres: espejo literario de un jardin, in ‘Jardines y Paisajes en el Arte y en la Historia’, Madrid 1995. Sul basamento della scultura appare la scritta «1555 Franco Camilani Fiorentino opas». Il Navascues Palacio ipotizza l’appartenenza della statua di Andromeda alla seconda fonte realizzata dal Camilliani per il giardino di Firenze. V. anche: Marquesa De Casa Valdes, Spanish Gardens, Valencia 1987. Cfr. V.L.Canal, Los jardines de la nobleza, in: C. Anon, J.L. Sancho, cit., 1998. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
39. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 23, Lettera di Cosimo I al Viceré di Napoli, Fiorenza alli XIIII di Gen.o 1553: “Poi che il S. Don Garzia è già vicino con le genti al Stato senese, si degni far expedir’ in buona forma tale salvaguardia...”.In: Luigi Zangheri, Il giardino dimenticato di don Luigi di Toledo.Da: www.noplan.it.
40. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 49; Governi di città e luoghi soggetti, f. 2634, lettera dell’agosto 1552. Ivi, f. 23, Lettera di Cosimo I al viceré di Napoli, 15 gennaio 1553: “Mando all’Ex. V. Carlo da Spelle curato mio per ottener da lei una salvaguardia generale per tutti e’ bestiami de mia Cittadini et Vassalli che si trovano nel Dominio senese...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
41. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 23, c. 478r., Lettera di Cosimo I da Firenze a Bernardo Giusti a Napoli del 15 gennaio 1553, “La Duchessa et di Cosimo lo fa rimanere ancora al servizio del Vicerè di Napoli e Francesco si procura una casa per un anno...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
42. ASF, Mediceo del principato, Lettera di Francesco Babbi da Napoli del 1° ottobre 1549 a Cosimo a Firenze, “Il Sig. Vicerè si sta ancora con un poca di febbre; e ragiona, come sia guarito, andar a visitare il Regno, avendo gran bisogno della presenzia dell’Ecc. sua; e credo che abbi a esser subbito fatta la festa d’Ognissanti...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
43. Corona, cit.
44. Lorenzo Priuli, Relationi politiche diverse di Napoli, Sicilia, Malta, Ferrara, Florencia, Genova, Venecia y Savoya [Manuscrito], pag.55. Cap. Relatione del clarissimo Lorenzo Priuli, tornato ambasciatore dal Duca di Fiorenza, indirizzata ai Serenissimo Principe, et Eccellentissimi Signori di Venezia.
45. Ivi. «Sendo nella legatione di Fiorenza commessami per gratia della Serenità Vostra, et delle Signorie Vostre Illustrissime le diedi conto per mie lettere degli offitij fatti, et di tutto ciò ch’all’hora m’occorre, hora per adempire l’ultima parte di essa mia legatione in osservanza dei Santissimi ordini della serenità vostra, è necessario ch’io l’esponga brevemente quel tanto ch’io ho potuto intendere delli stati di quel Duca, delle sue forze, et di tutte quelli altre qualità, et conditioni, che possono venire in consideratione per servitio suo, la qual relatione per nuova, et di nuovo Prencipe, et per continer in se molto gravi considerationi, cossi come sarà alla Serenità Vostra, et alle Signorie Vostre Eccellentissime, per quanto io credo utile, et gratia, così sarà riferito le cose di quel Prencipe in questo luogo, et havedo ancora havuto poco tempo d’informarmee in una cosa ben prometto di sodfisfare cioè nella brevità, perché quanto più succintamente potrò, dimostrerò prima con che forze, et con che consiglio governi S.E. quel stato, poi con considerandolo in rispetto degli altri potentati, discorrirò sopra l’intelligenze che egli ha con gli altri Prencipi, et finalmente sopra la dispositioone dell’animo suo verso questa Serenissima Repubblica».
46. Ivi. Aggiunge che il Duca possiede tutto «lo stato di Toscana cioè la maggior parte d’essa, la più nobile, la più bella, la più ricca, ne voglio qui scendere à raccontare quelle antichità, et particolarità di molte guerre esterne, et civili, et delle spesse mutationi di governo che ha fatto la Repubblica di Fiorenza capo di tutta questa nobilissa Provincia di Toscana, perché si possono leggere questo ndell’Historia, come ancora perché sarebbe cosa di molta fatiga, et de poco frutto in quello che hora trattiamo, essendo le cose ridotti a termine, et à stato molto diverso. Ma volendo parlare solamente della sua difesa, del sito, della grandezza et altre cose fatte qualità».
47. Ivi. «Non starò hora particolarmente à descrivere alla Serenità vostra, per che vi si spenderia molto tempo, et forse con poco frutto, le dirò solamente, che queste fortezze sono tutte imperfette, perché à tale manca il terrapieno, a tal altra le mura, et quale è circsondata da muraglia vecchia, et quale è senza fosso, et da questo Vostra Serenità, et Vostre Eccellentissime Signorie possono far giuditio quanto restano deboli; et imperfette, poiché Fiorenza, che tra l’altre è riputata fortissima, ha anco essa molte di queste imperfettioni, però che è circondata la maggior parte da muraglie vecchie et ha in pochi luoghi le fossi, tal che la Serenità Vostra può conoscere da questo la fortezza del suo stato, poiché vede, che sono stimate quelle fortezze, che per niun conto possono state al paragone delle sue....Tiene poi alla guardia di qualche rocca di Castello dove diece, et dove quindeci fanti, talmente che in queste guardie spende pochissimi denari.
Oltra queste fortezze le quali guardano d’ogni intorno lo stato di Sua Eccellenza; fa il Duca in tempo di guerra una utile provisione per maggiori sicurtà, perché essendo il Sanese paese fertilissimo, et per non dar commodità al nemico di vittovaglie, ordina et fa inviolabilmente osservare, che tutte le biane d’ogni sorte siano condotti nella Città, et luoghi forti, dovendo il contado poi traherne per giornata quella quantità, che fa bisogno, il che si ben torna d’incommodo al contado, e però di gran servitio al Prencipe, et di molta sicurtà allo stato, non lasciando commodità al nemico di vettovaglie».
48. Ivi.
49. Ivi.
50. Ivi.
51. Ivi.
52. Ivi
53. Bruce Edelstein, Eleonora di Toledo, Encyclopedia of Women in the Renaissance: Italy, France, and England, eds. D. Robin, A. Larsen & C. Levin, Denver 2007, p. 363. In: Eleonora di Toledo: vita di una duchessa, 31 marzo 2023, I Medici, storia. Cfr. https://www.guide meflorence.com /it/2023/03/31/eleonora-di-toledo/#_ftn1.
54. Bruce Edelstein, Eleonora di Toledo and the Creation of the Boboli Gardens, Livorno 2022, p.30. In: Eleonora di Toledo: vita di una duchessa, 31 marzo 2023, I Medici, storia. Cfr. https://www.guide meflorence.com /it/2023/03/31/eleonora-di-toledo/#_ftn1.
55. Jacopo Giunta, Esequie del divino Michelagnolo Buonarrati: celebrate in Firenze, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1875.
56. Domenico Tesoroni, Il Palazzo di Firenze e l'eredità di Balduino Del Monte, Stabilimento tipografico dell’Opinione, Roma 1889.
57.Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici, a cura di Scipione Volpicella, libreria di Dura, Napoli 1870.
58. Albéri, Relazioni degli ambasciatori veneziani, Firenze, 1841, in-8°, serie II, vol. II, pag.77.
59. Ivi.
60. Ivi.
61. Anonimo, Cronica di Napoli, d’incerto autore, che comincia l’anno 1452, e fenisce l’anno 1534, In: Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780.
62. Ivi.
63. Pompeo Litta, Caracciolo, in Famiglie celebri italiane, vol. 39, Giulio Ferrario Editore, Milano 1837.
64. Marco Donnarumma, Relazione, v. https://trasparenza.provincia.salerno.it/moduli/downloadFile.php?file=oggetto_allegati/202801456290O__Or13_-_relazione_paesaggistica.pdf.
65. V. Corona, cit.
66. Pompeo Litta, Caracciolo, in Famiglie celebri italiane, vol. 39, Giulio Ferrario Editore, Milano 1837.
67. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS originale inedito.
68. Ivi.
69. Ivi. Cfr. Camillo Tutini, Dell'origine e fundazione de'seggi di Napoli, Napoli 1754.
70. G.B. Adriani, Istoria dei suoi tempi (dal 1536 al 1583), Firenze, 1583. S. Benci, Storia di Montepulciano, Edizioni Lessi, 1896. S. Brigidi, Le vite di Filippo Strozzi e di Piero e Leone suoi figli, Montalcino, 1880. Cfr. bibliografico v. Wikipedia.
71. G.Bianchini, Piero Strozzi e la rotta di Scannagallo, Arezzo, 1884. R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1962. G. B. Del Corto, Storia della Val di Chiana, Arezzo, 1898. Cfr. bibliografico v. Wikipedia.
72. Antonino Castaldo, Historia, Gravier, Napoli 1769.
73. Ivi.
74. Ivi.
75. Ivi.
76. Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, MS inedito, ff. 1-71 v.