li cunti de lo cunto: nuova collana di poesie e racconti
Racconti di uno scanzonato
E’ da qualche anno che guardo al presente in modo disincantato. Ho vissuto un grande e proficuo passato e ho delle difficoltà a guardare al domani. E’ questo il refrain che ascolto sempre più spesso nelle passeggiate lungo il Corso della città. Ho riscontrato che tale ritornello accomuna tutta la società più sensibile e preoccupata del futuro della nuova generazione. Nemmeno la fascia medio alta, economicamente intesa, è scevra da questi timori. Anzi, strano a dirsi, chi ha paura di perdere qualcosa è più esasperato di colui che appartiene alle fasce più deboli.
In genere lungo la strada si parla in modo più franco e questo perché si tratta di persone e amici che hanno condiviso tutta una serie di esperienze, di aspettative, di ricordi, di aneddoti e di vita vissuta. Anche l’ipocrisia, ormai acquisita agli onori degli altari, ha difficoltà e vive momenti difficili. Come si fanno a nascondere certi comportamenti a chi ha condiviso tanto degli anni trascorsi? L’ego diventa più labile e certi risultati frutto di amicizie, di scelte elettorali, di servilismo e di compromessi, acclarati ed acquisiti, appaiono il risibile gioco degli insoddisfatti, dell’uno contro l’altro, armati è vero, ma con la buffecchia (termine usato in un comune della Provincia per indicare un’arma caricata a salve).
Tutti sanno tutto di tutti ed allora perché continuare a mettere in scena commedie ormai stantie? Ci sono tanti genitori, gratificati negli anni, che sperano ancora di poter attingere al personaggio di turno o al benefattore e suggeriscono ai propri figli di aspettare, tanto, prima o poi un Santo in Paradiso si trova.
E la città? Muore di indolenza. E’ offuscata, nel migliore dei casi, dai fumi dell’alcol, dai miraggi che tanta gente incamera attraverso i media. Per fortuna c’è la miglior parte di essa che non vuole il peggio e si ribella dentro, con tanta voglia di riscatto.
Una volta si diceva facciamo rumore così ci sentiamo vivi.
Oggi qualcosa di più grave sta occupando gli spazi, sempre con maggiore violenza e con una capacità penetrativa imprevedibile. Sembra l’antefatto dello svolgimento del compito che il professore ha assegnato agli alunni: ed è vero. Quanto su riportato è nient’altro quello che quotidianamente, fra un inciampo e un altro frutto di una pavimentazione precaria, viene rimarcato. Ma la vita continua e si sopravvive.
Purtroppo qualcuno non ce la fa e allora ecco lupi famelici in perenne fibrillazione, continuamente protesi alla notizia di prima mano, imbonitori, già imboniti a loro volta, gerarchie assenti, certezze esistenziali nulle, poteri sempre più complessi e pervasivi e cittadini… in costante confusione!
A volte mi vedo alle elementari, dinanzi alla lavagna, con il maestro pronto a cancellare ogni traccia della precedente interrogazione e chiamare alla cattedra un altro bambino.
Allora c’era una missione da compiere e tutti, dal maestro all’usciere, si adoperavano per raggiungere l’obiettivo. Le famiglie dal canto loro, erano fiduciose e puntualmente si schieravano con i docenti, veri punti di riferimento, e quasi mai con i propri figli.
Oggi le cose sono cambiate ed il mantello della famiglia copre ogni momento della vita e della crescita del ragazzo. I loro giudizi sono insindacabili, le loro considerazioni sono inoppugnabili, la loro esperienza non ha confini. E i docenti? Il loro ruolo è cambiato radicalmente.
Dalle varie riforme si è sviluppata una figura che sembra geneticamente modificata.
Ci troviamo dinanzi ad impiegati che dedicano molto del loro tempo ad espletare compiti quasi amministrativi.
Non si riesce più a distinguere la bravura di un giovane che rispetta pedissequamente le indicazioni ministeriali, giustamente supportato dal docente, dalla intelligenza di un giovane che non ha bisogno di gabbie per esprimersi ma solamente di suggerimenti ed interventi mirati. Anche il capo d’Istituto, una volta preside, quasi sempre figura colta ed integerrima, oggi diventa “dirigente”.
Dopo un esame, lungo, faticoso, costato tante notti insonni, persino umiliante lì dove si è cercato l’intervento del deus ex machina di turno, diventi dirigente. Poi l’attesa estenuante della sede, quindi l’allontanamento forzato dalla consolidata permanenza acquisita a furore di continuità, ed infine l’obiettivo tanto agognato ed il conseguente riposo del guerriero. In questi casi c’è il ministero in tanti altri invece gli spazi vengono occupati da organizzazioni secolari che decidono anche in nome e per conto dello stato.
Ci sono palazzi di potere che si sostituiscono in toto a quello centrale, negli interstizi scoperti si insediano in maniera famelica e si presentano anche come umili servitori dello stato.
Nella società italiana si parla da anni di carenza di figure professionali importanti: medici, infermieri, ingegneri… e così via. Ebbene noi cittadini subiamo anche qualche sottile ricatto: mancanza di operatori determinano scarsi servizi, questi ultimi creano malumore, rabbia e qualche volta violenza.
Al pronto soccorso si rischia e pare sia anche poco redditizio economicamente. E allora? Pochi accettano, preferiscono altre sortite più gratificanti. D’altronde è un mestiere come un altro e se il corrispettivo non mi soddisfa vado all’estero, anche in Arabia Saudita. Non per tutti è un mestiere per fortuna e noi come ci attrezziamo? Cerchiamo figure dall’estero a costi inferiori che provengono da realtà dove tutto è statale, compresa la professionalità.
Con il libero accesso all’Università, si era sperato in uno sviluppo economico sociale inimmaginabile. La burocrazia ha colmato i vuoti legati al semi analfabetismo consentendo l’inserimento a tante persone, qualche volta impreparate e molto spesso accompagnate, sperando che potessero garantire almeno una parte di servizi. Si sono create figure apicali perché senza questo supporto il castello creato rischiava di crollare e non ci siamo resi conto che si è creata una ulteriore zavorra che ha generato invidie ostruzionismo e pruriginosità varie.
E’ davanti agli occhi di tutti il danno arrecato ma mai un responsabile! Il pnrr rischia di naufragare perché nelle piccole realtà non si trova personale specializzato e allora o si fanno investimenti già previsti e senza alcuna finalità o si restituiscono i fondi. Amare considerazioni!
La strada è vita e sollecita anche qualcosa di importante e la conferma viene proprio da una accesa discussione avvenuta in una giornata uggiosa all’interno di un portone. Non nascondo la mia simpatia per le persone intelligenti anche se non acculturate e così un usciere, diventato col tempo capo, chiede perché lo Stato non liberalizza le facoltà e permettere la copertura di figure necessarie. Nel giro massimo di sette/otto anni potremmo raggiungere l’autosufficienza e avere un servizio tecnico e sanitario all’altezza. L’intelligente di turno e concordo con lui, manifesta le difficoltà che comunque bisognerebbe affrontare nell’immediato post laurea. In Italia non è sufficiente superare i test d’ingresso, essere laureati, nemmeno con il massimo dei voti e nel rispetto dei canonici anni di studio. Ogni categoria ha il suo albo di turno, qualcuno lo definisce il ricatto finale delle lobby o la spada di Damocle che pende sul futuro inserimento nel mondo lavorativo.
Qualcuno stanco, umiliato e deriso decide di andare all’estero e comprarsi il definitivo pezzo di carta.
Di solito si chiude la passeggiata per il Corso con qualche fresca risata e a volte la gravità dei temi affrontati ci rende tristi ed incapaci di sorridere anche. Ci salutiamo allora con la promessa, sempre mantenuta, di ritrovarci l’indomani e ripetere questo stantio “struscio” in attesa di qualche importante novità.
E che cosa di diverso può succedere in questa città! Boh! Si spera, ma è, e sarà sempre, alla miglior parte della società che bisogna guardare. E’ quella che avrei voluto raccontare in questo viaggio fantastico, ma poi ho preferito il racconto al raccontato.
Ho pensato che fosse stato più savio far parlare le piante, i fiori, gli uccelli, incontrati nel corso delle mie giornate trascorse ora in serra ora in campagna. Ma è sempre lì, alla terra natia, alla mia Greci, che penso per alimentare il mio diario, anche se poi, essendo frutto di fantasia, resta un colloquio interiore, il solito soliloquio a cui nessuno ha dato ascolto.
Antonio Sasso
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