IL CAPOSTIPITE DI MILANO: ATTENDOLO DI COTIGNOLA. Giacomuzio Sforza nella vita di Paolo Giovio

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Copertina posteriore

IL LUNGO VIAGGIO PER NAPOLI DELLA SPOSA DI ALFONSO II

1.
MUZIO DI COTIGNOLA capitano del regno

— Giacomuzio degli Attendoli detto Sforza
— Le scorrerie nell’Umbria per Re Ladislao
— Giovanna II: la prigionia, le offese, il riscatto
— Gran Contestabile del Regno Partenopeo

2.
da generale del papa a «viceré»

— Il Gonfaloniere della Chiesa
— Il ritorno a Napoli contro gli Aragonesi
— Alla conquista degli Abruzzi e dell’Aquila
— La morte nel fiume Pescara: il gesto eroico

appendice

La Vita di Sforza Attendolo
di Paolo Giovio
[Traduzione di Massimo Fabi dal volgare di Lodovico Domenichi]
a cura di Arturo Bascetta

— I. Della nascita di Sforza
— II. Di quel che si ragionò del suo nascimento
— III. Dell’ascendente, geniture e nome di lui
— IV. Della divinazione degli astrologi
— V. Della creanza e principio suoi
— VI. Della prima milizia di lui
— VII. Dell’altezza d’animo e desiderio di gloria
— VIII. Di Giovanni Aucuto capitano inglese
— IX. Di Broglia, Biordo ed Alberigo capitani grandi

— X. Come Alberigo ritrovò gli uomini d’arme
— XI. Del soprannome ch’egli s’acquistò per effetto
— XII. De’ suoi primi compagni alla guerra
— XIII. Dei condottieri amati da lui pel loro valore
— XIV. Dell’amicizia ch’egli ebbe con Braccio
— XV. Delle cagioni perchè ruppe l’amicizia con Braccio
— XVI. Della cagione della inimicizia con Tartaglia
— XVII. Della prima condotta ch’egli ebbe di cavalli
— XVIII. Dell’arma che gli fu donata dall’imperatore Roberto
— XIX. Della più onorata milizia sua
— XX. Della morte di Ottone Terzo
— XXI. Di quel che diversamente si ragionò della morte di Ottone
— XXII. A quai prìncipi egli servisse
— XXIII. Di Lodovico II e degli onori della regina Giovanna
— XXIV. Quante volte Sforza ebbe vittoria e quante fu rotto

— XXV. Come Agnolo dalla Pergola fu rotto da lui
— XXVI. Del re Ladislao vinto da lui al Garigliano
— XXVII. Della vittoria ch’egli ebbe all’Aquila
— XXVIII. Di Tartaglia vinto a Toscanella
— XXIX. D’una battaglia combattuta al ponte del Sebeto
— XXX. Della città di Roma rimessa in libertà e del Piccinino…
— XXXI. Del re Alfonso rotto in battaglia
— XXXII. Della rotta ch’egli ebbe a Viterbo
— XXXIII. La rotta ch’egli ebbe a Grotta
— XXXIV. La rotta ch’egli ebbe a Capua

— XXXV. Quante volte fu preso in battaglia e per agguato
— XXXVI. Della battaglia fatta a Casalecchio
— XXXVII. Come egli fu preso a tradimento
— XXXVIII. In che modo fu preso a Benevento
— XXXIX. Come Jacopo di principe fu chiamato re…
— XL. Con quai condizioni Sorza fuggisse la morte
— XLI. Del castigo ch’ebbe Giulio Cesare, e della felicità di Sforza
— XLII. Della regina, quando fu preso il re, liberata
— XLIII. Delle ingiurie punite per giudicio di Dio
— XLIV. Della morte dell’Alopo

— XLV. Della morte di Giulio Cesare, di Peretto e di Cecolino
— XLVI. Della calamità del re Jacopo
— XLVII. Della morte di Sergiano gran siniscalco
— XLVIII. Della vituperosa morte di Nicolò Orsino
— XLIX. Di Paolo Orsino morto per insidie di Braccio
— L. Del supplicio d’Armalerio traditore
— LI. Dell’infelicità della parte Braccesca, e sorte della Sforzesca
— LII. Della ferita ch’egli ebbe a Viterbo
— LIII. De’ pericoli ch’egli ebbe nell’assalto di Capitone
— LIV. Del pericolo della vita ch’egli ebbe in Roma

— LV. Delle insidie da lui valorosamente schivate al fiume Calore
— LVI. Delle insidie vinte da lui con astuzia al fiume Sarno
— LVII. Del pericolo ch’egli passò facilmente a Gaeta…
— LVIII. Della temprata liberalità e astinenza sua…
— LIX. Di due sue concubine
— LX. D’Antonia Salimbeni sua moglie
— LXI. Di Catella Alopa seconda sua moglie
— LXII. Di Maria Martiana, terza sua moglie
— LXIII. De’ figliuoli ch’egli ebbe di Lucia Terzana
— LXIV. Dei parentadi ch’egli fece con gran prudenza

— LXV. Della clemenza e severità verso i suoi
— LXVI. Di Martino Pasolino salvato da lui
— LXVII. Della clemenza verso Biso
— LXVIII. Dell’inusitata sorte di pene
— LXIX. Del supplicio di Graziano
— LXX. Dell’umanità sua verso Brandolino conte
— LXXI. Dell’odio che s’acquistò per la morte di Tartaglia
— LXXII. Della natura dell’animo suo
— LXXIII. Della disciplina domestica e militare
— LXXIV. Del vestire e mangiar di lui

— LXXV. Della divozione sua verso Dio e i Santi
— LXXVI. Dell’amore verso la patria
— LXXVII. Dell’amor verso i parenti
— LXXVIII. Dei precetti che diede a Francesco suo figliuolo
— LXXIX. Della prudenza che s’acquistò dai giudìcj
— LXXX. Del candor dell’animo e della memoria di lui
— LXXXI. Dello studio delle lettere toscane
— LXXXII. Della generosità dell’animo suo verso i nemici
— LXXXIII. Della fortezza di lui in sopportare il dolore
— LXXXIV. Della piacevolezza sua

— LXXXV. D’una facezia sua
— LXXXVI. D’uno arguissimo suo motto
— LXXXVII. Della statura del corpo suo
— LXXXVIII. Della destrezza de’ suoi membri
— LXXXIX. Dell’infelicità della morte sua
— XC. Del giudicio e della lode di Braccio verso il morto…
— XCI. Dei segni i quali significarono la morte di lui

Note bibliografiche

1. Il primo Vicerè dell’Abruzzo di cui si ha notizia, insediato prima del 1383, fu Rinaldo Orsini, Raynaldo delli Orsini Conte di Tagliacozzo. Patrizio rettore del patrimonio di San Pietro, signore di Orvieto (1380), Spoleto (1383) e Pescara (1388), era già stato Governatore dell’Aquila, città assegnatagli nel 1381 dalla Regina Giovanna I di Napoli. Nel 1383 si diede a Re Luigi I d’Angiò, indi, alla sua morte (11/9/1384), al successore Re Luigi II d’Angiò, finendo assassinato nel 1390. Lo seguì (1383-1390) Bartolomeo di San Severino della Marca. Nominato Viceré da Re Carlo III di Napoli, Bartolomeo di San Severino della Marca, entrò in provincia il 17 luglio 1383, ma penetrò in L’Aquila solo il 14 aprile 1390 mentre il governatore Rainaldo stava complottando con familiari e servitori nel convento di S.Francesco, poco prima della morte del fratello Gianni Orsini, già senatore di Roma, che era al suo seguito, avvenuta il 31 agosto 1390, giorni in cui sarebbe stato assassinato anch’egli, dopo che furono tradotti in casa del Conte di Montorio. Il Viceré liberò l’Abate di Montereale. Fu poi la volta, nel 1392, di Francesco del Borgo detto Cecco del Cozzo. La ribellione dei Sanseverino, che seguirono Margherita Durazzo col piccolo Re Ladislao, avvenne nel 1392 quando, appoggiati dal papa, insediato un Duca in Bari, si scontrarono col principe di Taranto Raimondello Orsino, e fecero prigioniero Luigi d’Angiò che si dichiarava Re di tutta la Sicilia. Fu Cecco del Borgo a cacciare dall’Abruzzo Raimondello e quindi fu nominato Viceré (1392) da Ladislao. Cfr. Arturo Bascetta, Isabella de Clermont da Lecce. Le Regine di Napoli, ABE, Napoli 2010. Seguì (1414-1415) il Conte da Carrara. Conte fu Obize da Carrara della famiglia dei Carraresi fu uno dei più potenti capitani di ventura. Padre di Ardizzone e Obizzo fu da re Ladislao I di Napoli fatto Viceré dell’Abruzzo e poi premiato con il Principato di Ascoli ereditato dai figli. Fu nominato Viceré da Re Ladislao I di Napoli dopo essere entrati insieme in L’Aquila. Dimorò in Paganica odierna frazione de L’Aquila prima di stabilirsi ad Ascoli Piceno dove morì e fu tumulato dai figli nel Duomo. Nel 1415 toccò a Giacomo Caldora, il quale fu viceré di tutto l’Apruzzo nominato dalla Regina Giovanna II di Napoli dopo essere stato governatore dell’Aquila l’anno prima. Nel 1420 seguirà Cristoforo Gaetani, che fu viceré dopo l’incoronazione di Giovanna II a Regina di Napoli, indi (1437-1440), Antonio Caldora.Avuto la nomina a Viceré di tutto l’Abruzzo (1 delle 4 parti/regioni del regno) dalla Regina Isabella di Lorena (luogotenente vicaria a Napoli durante la prigionia dei tre anni del marito Re Renato d’Angiò), liberò e inglobò la Valle Caudina del Principato Ultra di Montefusco, provincia rientrante anch’essa nella parte/regione del Regno che era appunto il Viceregno degli Abruzzi, quando il padre Giacomo Caldora sedeva nel palazzo di Vasto. Nel 1440 era ancora tale, visto che aveva eletto a suo governatore di Bari Marino da Norcia, pretese ed ebbe Sulmona da Re Renato, ma appena lui tornò dalla prigionia a sostituire la Regina a Napoli, fu raggiunto ed arrestato il 1 giugno 1440 per tradimento sebbene mantenne il titolo di Duca. Dal 1460 al 1463 toccò a Pietro Lalle Camponeschi. L’Aquila non riconobbe il neo Re Ferrante d’Aragona (seguito ad Alfonso I) e tornò con Renato d’Angiò, già Re di Napoli, per mano del figlio Duca Giovanni, in nome del quale la città alzò le bandiere angioine il 1 gennaio 1460 facendovi Viceré Petri detto Lallo Camponisco. Il 2 aprile accolse con il pallio Giovanni d’Angiò, “cui furono consegnate le chiavi” della città (né rialzò più quelle aragonesi fino all’arrivo di Alessandro Sforza il 20 agosto del ‘63), confermando a Viceré Pietro detto Lallo Camponesco. Cfr. Arturo Bascetta, Isabella de Clermont da Lecce. Le Regine di Napoli, ABE, Napoli 2010; Arturo Bascetta, Joanna II la Nova. Giovanna d’Angiò di Durazzo, ABE, Napoli 2009.
2. Arturo Bascetta, Joanna II la Nova. Giovanna d’Angiò di Durazzo, ABE, Napoli 2009.
3. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
4. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769.
5. Frammenti degli Annali di Spoleto di Parruccio Zampolini dal 1305 al 1424. Anno 1411.
6. Ibidem
7. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769.
8. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
9. Frammenti degli Annali di Spoleto di Parruccio Zampolini dal 1305 al 1424. Anno 1411.
10. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
11. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769. Angelo Di Costanzo nacque circa nel 1507 e morì nel 1591.
12. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pag.93.
13. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XIII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769. Angelo Di Costanzo nacque circa nel 1507 e morì nel 1591.
14. Compendio de le Historie del Regno di Napoli, composto da Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, Michele Tramezzino, Venezia 1543, pagg.165-169. Cfr. Prima parte del Compendio dell’Istoria del Regno di Napoli, di M.Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, Colle Annotazioni, e Supplementi di Tommaso Costo. In: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’Istoria Generale del Regno di Napoli, Tomo XVII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1770, pagg.305-306.
15. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
16. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pag.99.
17. Amaury Duval, Mémoires, Tome Premier, Chez Chasseriau et Hécart, Parigi 1819, pagg.230-233.
18. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442. Crivelli dice che Orso era stato fatto incarcerare da Ladislao, mentre le cronache vogliono che l’ordine partì da Giovanna, per salvarlo dalla decapitazione chiesta espressamente dal Re sul punto di morire, sebbene gli fu detto che fosse stato decapitato.
19. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791.
20. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XIII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769. Angelo Di Costanzo nacque circa nel 1507 e morì nel 1591.
21. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pag.99.
22 Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XIII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769. Angelo Di Costanzo nacque circa nel 1507 e morì nel 1591.
23. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
24. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pag.99.
25. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XIII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769. Angelo Di Costanzo nacque circa nel 1507 e morì nel 1591.
26. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
27. Ibidem
28. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XIII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769. Angelo Di Costanzo nacque circa nel 1507 e morì nel 1591.
29. Ibidem
30. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
31. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XIII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769.
32. Prima parte del Compendio dell’Istoria del Regno di Napoli, di M.Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, Colle Annotazioni, e Supplementi di Tommaso Costo. In: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’Istoria Generale del Regno di Napoli, Tomo XVII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1770, pag.308.
33. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pag.100.
34. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
35. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Libro XIII, Nella Stamperia di Giovanni Gravier, Napoli 1769. Queste le parole di Giovanna riferite dal Costanzo. La frase riportata invece dal successivo Crivelli è già più italianizzata: – Ecco che ora a questo signore, cui ho dato potestà sopra la mia persona, dò potere reale; e chi sente affetto per me e per la mia casa, deve averlo e servirlo qual re. V.: Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
36. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791.
37. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
38. Meserai, Histoire de France, Tomo II, pag.627. In: Pierre Bayle, Dictionnaire Historique et critique, Tomo XI, Desoer, Libraire, Rue Christine, Parigi 1820, pag.17.
39. Compendio de le Historie del Regno di Napoli, composto da Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, Michele Tramezzino, Venezia 1543, pagg.165-169.
40. Brantome, Vies des Dames Illustres, pagg.384-386. V. anche anno 1435, nr.3. In: Pierre Bayle, Dictionnaire Historique et critique, Tomo XI, Desoer, Libraire, Rue Christine, Parigi 1820, pagg.17-25
41. Amaury Duval, Mémoires, Tome Premier, Chez Chasseriau et Hécart, Parigi 1819, pagg.233-234.
42 Pandolfo Collenuccio, Historia del Regno di Napoli, Libro V, fogli 92-93.
43. Varillas, Anecdotes de Florence, pag.35. In: Pierre Bayle, Dictionnaire Historique et critique, Tomo XI, Desoer, Libraire, Rue Christine, Parigi 1820, pag.25.
44. Francesca Santuccu, Virgo Virago. Donne fra mito e storia, letteratura ed arte, dall’antichità a Beatrice Cenci, Edizioni Akkuaria, 2008. Da: www.italiamedievale.org/sito_acim/personaggi/giovanna_II.html
45. Frammenti degli Annali di Spoleto di Parruccio Zampolini dal 1305 al 1424. Anno 1417.
46. Ibidem
47. Prima parte del Compendio dell’Istoria del Regno di Napoli, di M.Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, pagg.165-169.
48. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.138-143.
49. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791, pag.295
50. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
51. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.142-143.
52. Regesti Angioini.
53. Prima parte del Compendio dell’Istoria del Regno di Napoli, di M.Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, pagg.165-169.
54. Ibidem
55. Ibidem
56. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791, pagg.296-297.
57. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli.
58. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.145-146.
59. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791, pagg.296-297.
60. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.145-146.
61. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791, pagg.296-297.
62. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
63. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
64. G.B. De Cristoforis, Sergianni Caracciolo. Dramma storico, Tipografia Vignozzi, Livorno 1830.
65. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
66. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.148-149.
67. Pierre Bayle, Dictionnaire Historique et critique, Tomo XI, Desoer, Libraire, Rue Christine, Parigi 1820, pag.17.
68. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791, pagg.297-298.
69. Ibidem
70. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.148-149.
71. Amaury Duval, Mémoires, Tome Premier, Chez Chasseriau et Hécart, Parigi 1819. Révocation de l’adoption d’Alphonse par Jeanne II , et adoption de Louis d’Anjou (Castro Aversa, 14 settembre 1423). Così la pergamena: In nomine Domini nostri Jesu Christi amen…
72. Compendio de le Historie del Regno di Napoli, composto da Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, Michele Tramezzino, Venezia 1543, pagg.170-185. Opera di Pandolfo Collenuccio di Pesaro (1444-1504) commissionata da Ercole I d’Este e pubblicata postuma, nel 1539.
73. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.148-149.
74. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791, pagg.297-299.
75. Compendio de le Historie del Regno di Napoli, composto da Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, Michele Tramezzino, Venezia 1543, pagg.170-185. Opera di Pandolfo Collenuccio di Pesaro (1444-1504) commissionata da Ercole I d’Este e pubblicata postuma, nel 1539.
76. Ibidem
77. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.148-149.
78. Ibidem
79. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442.
80. Ivi
Bibliografia del Fabi
 
Alegiani, Vita della Beata Serafina Feltria Sforza. Roma 1754. Dello stesso autore abbiamo la vita del B.Gabriele Sforza, Arcivescovo di Milano. Roma 1763. In queste due operette, trovansi qua e là buone notizie storiche. L’Alegiani era in Roma l’avvocato delle cause dei santi. – Del Beato Gabriele Sforza vedesi ancora il monumento nella chiesa dell’Incoronata in Milano.
Bianchi Giovini, La Repubblica di Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti. Milano 1848. L’autore è abbastanza noto. In questo libro trovansi minutamente descritti tutti i fatti che riguardano Francesco Sforza, del 1447 al 1460, epoca in cui si fece proclamare duca di Milano.
Burriel, Vita di Caterina Sforza Riario. Bologna 1785, tre volumi. L’autore è spagnolo e gesuita; vi si trovano buone notizie storiche.
Capella, De rebus pro restitutione Francisci II Mediolani ducis, ecc. Milano 1531. L’autore è un gentiluomo milanese, che visse alla corte di Francesco II Sforza. – Questo libro, scritto con molta critica e verità, venne tradotto da Francesco Philipopoli fiorentino, e stampato a Venezia dai Gioliti nel 1539. L’edizione latina fu più volte riprodotta, ma l’italiana non mai, ed è quindi assai rara.
Carli Attilio, L’ultimo degli Sforza, studio storico pubblicato nel 1837 in una strenna intitolata, “Il Presagio”: è di 55 pagine; lavoro accurato.
Carranti Pier Matteo, Ludovici Sphortae captivitas, ecc. Bologna 1507. – L’autore è di Cotignola. Il suo lavoro comincia dal tradimento degli svizzeri nel 1499, alla battaglia di Novara, in cui Lodovico il Moro venne fatto prigioniero, e continua fino al 1507. E’ scritto con molta libertà, ed è veridico, soprattutto nel quadro riguardante gli ultimi anni di Lodovico Sforza: molto raro.
Crescenzi, Anfiteatro romano nel quale con le memorie dei grandi si rappilogano in parte l’origine e le grandezze dei primi potentati d’Europa, ecc. Milano 1648. Di quest’opera non venne pubblicata che la prima parte, la seconda giace tuttora inedita presso la fam. Belgiojoso. E’ un arsenale di notizie, messe alla rinfusa, e con molti errori.
Galucci Agostino, Vite delle beate Felice e Serafina Sforza, monache di S.Chiara nel “Corpus Domini” di Pesaro. Pesaro, 1637. L’autore è un minore osservante della Marca d’Ancona: libro mediocre.
Giovio, Vita Sphortiae ducis carissimi. Roma 1559. Edizione principe. Fu ristampata più volte. Domeniche ne fece la traduzione italiana, e la pubblicò la prima volta in Firenze nell’anno 1549. Venne parecchie volte ristampata. Questa versione è quella che pubblichiamo. V. La Prefazione al presente volume.
Litta, Famiglie celebri italiane. I fascicoli che trattano della casa Sforzesca, sono sei fogli di testo e nove tavole in rame compresovi una tavola che rappresenta il ducato di Milano nella sua maggiore estensione al tempo degli Sforza. Lavoro importantissimo: del merito dell’autore abbiamo già fatto cenno nella Bibliografia Viscontea.
Lo Monaco Francesco, Vite degli illustri Capitani d’Italia. Milano 1804. Tre volumi: nel secondo di essi trovasi la vita di Sforza Attendolo, e nel terzo quella di Francesco II. Lo Monaco è napoletano, a ventun anni venne fatto professore di storia nell’Università di Pavia, ma le cabale de’ suoi nemici lo spinsero alla disperazione, e giovanissimo si affogò nel Ticino. Le sue opere sono scritte con generosi pensieri, ma molte volte volendo imitare Plutarco, si perde in inutili declamazioni.
Loschi, Compendi storici. Venezia 1652. Articolo, Dello Stato di Milano e dominatori di esso. Non è che un’imitazione del Sansovino; libro di cui poco si può fidare.
Minuti, Vita di Muzio Sforza. Codice nella Biblioteca del marchese Trivulzio in Milano. L’autore è piacentino; la scrisse nel 1458. lo stile non è certamente colto, dice Pompeo Litta, ma egli, come contemporaneo, merita fede, ed il suo lavoro è ben condotto ed assai particolarizzato.
Nicolini G. B., Lodovico il Moro, tragedia con note illustrative, stampata più volte in Italia e fuori. Il nome solo dell’autore vale più di qualunque elogio.
Olivieri, Memorie di Alessandro Sforza, signore di Pesaro. Pesaro 1785. L’autore è buon letterato e buon critico. Fu di Pesaro, e fondò la Biblioteca olivierana in quella città. – Di lui abbiamo una lettera sopra un medaglione di Alessandro Sforza di Pesaro, stampata nella stessa città nell’anno 1781.
Ratti, Della famiglia Sforza. Roma 1794. Due vol. Questa è la più compita storia Sforzesca che si conosca. Oltre d’averla l’autore corredata di documenti inediti e interessanti, svolge con buona critica varj punti contestati di storia italiana. – Ratti è romano e del medesimo abbiamo le memorie sulla vita di quattro donne illustri e quella del cardinale Cesarini. Roma 1783. Forse questo primo lavoro, dice il mentovato Litta, fe nascere all’autore l’idea di pubblicare la storia di casa Sforza.
Ricotti Ercole, Storia delle compagnie di ventura in Italia. Torino 1845. Quattro volumi: il secondo e terzo trattano diffusamente di Sforza Attendolo e Francesco II. Questa storia è scritta con molto criterio, e serve di commentario a buona parte di quella delle repubbliche italiane del Sismondi.
Rusca, Vita d’Ascanio Sforza cardinale e commendatario di s. Ambrogio Maggiore e del Monastero di Chiaravalle. Sta nella descrizione che questo autore fece dell’abbazia di Chiaravalle, stampata a Bergamo nel 1626. Questo libro rarissimo, rimasto sconosciuto al Litta, contiene molti fatti curiosi.
Sansovino, Famiglie illustri d’Italia. Venezia 1609. Articolo Sforza. Libro di qualche pregio; Sansovino fu il primo che trattasse simili argomenti.
Simonetta, Commentarj rerum gestarum Francisci Sphortiae Mediolanen. Ducis. Milano 1480. L’autore era napoletano, fratello dello sfortunato Cecco Simonetta, decapitato per ordine di Lodovico il Moro. Giovanni Simonetta era impiegato alla corte di Francesco I Sforza, del quale scrive con sincerità le militari gesta. Venne tradotta in italiano da Sebastiano Fausto, pubblicata l’anno 1545 a Venezia.

Dedica del Giovio e Dedica del Domenichi riportate dal Fabi

Al Reverendissimo ed Illustrissimo Monsignor GUIDO ASCANIO SFORZA1
Cardinale di Santafiore, e CamerlIngo della Chiesa
Paolo Giovio, Vescovo di Nocera

Dappoi che voi e per gloria della virtù e per splendore della famiglia così singolarmente mantenete l’onore e la dignità del cardinalato, il quale a voi ancor ben garzone l’avolo vostro materno (papa Paolo III) con singolar giudizio, ma forse più per tempo che voi non avevate sperato, v’ha conferito; che ben parete degno d’assai maggior fortuna: ho giudicato che vi debba esser cosa molto grata, se a voi, il quale abbracciate la virtù con animo ardente, avessi aggiunto nuove facelle derivate dagli esempi de’ vostri maggiori, e specialmente di Sforza bisavolo vostro, il quale con somma lode per le grandissime cose ch’ei fece, diede immortal cognome alla famiglia vostra. Perciocchè io con una diligente investigazione che ho fatto da diversi, e spesse volte goffi scrittori d’istorie, ho ridotto in un breve compendio i detti e i fatti di questo valorosissimo guerriero, acciocchè al suo ritratto onorato per la sua bellissima apparenza, il quale avendo dipinto in casa si spesso contemplate, ragionevolmente ancora s’aggiunga la sembianza dell’animo suo reale espressa collo stile alla sua vera effigie. Sforzatevi dunque, monsignor Guido Ascanio, Sforzatevi dico grandemente colla virtù e collo studio delle lettere, d’agguagliare e di vincere la fama del sangue paterno e materno, e non vi paja molto difficile; perciocchè bella cosa sarà e molto onorata, che un uomo sacro fra così grandi lumi de’ suoi maggiori, lontano dall’invidia abbia mostrato grandissimo splendore di religione e di lettere. State sano.

ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNOR MUZIO SFORZA Marchese di Caravaggio2
Lodovico Domenichi
Tanto è il desiderio, che io ho di piacere e di servire a V.S., e di acquistarne per ciò la grazia di lei, che dì e notte sto intento ad ogni occasione, la quale mi si presenti per arrivare a questo mio lodevole intento, il quale è di maniera continuo ed officioso, che senza por mente alle nobilissime condizioni vostre, ed alla indegnità mia, tutto quello che può fare, benchè sia poco e vile, riferisce nondimeno all’idolo suo, che siete voi, Illustrissimo Signore, e crede anco indotto a ciò dalla sua verso voi infinita affezione, che debba piacere e gradire a voi, come cosa di pregio e di valore. Avendo io dunque letto la Vita di Sforza capitano valentissimo e progenitor vostro, scritta elegantemente in latino dal molto reverendo monsignor vescovo Giovio, e riputando farvi cosa grata, dandola a leggere ancora in questa lingua allo universale degli uomini Italiani, come che queste fatiche oggidì per l’infinito numero di coloro che si son posti a farle con assai poco giudizio, siano mal gradite, ho voluto ridurla nell’idioma nostro, acciocchè buona parte di quei che non posseggono il latino, traggano qualche frutto dalla lezione dei valorosi fatti di questo eccellentissimo guerriero.
E benchè io sappia certo che a V.S. non fa punto bisogno tale interpretazion mia, per lo avere ella piena cognizione delle lettere latine, ho pensato però fargliene dono, come di cosa che a lei molto conviene per contenere la sua generosa origine fondata nella sola virtù, che è la propria e sincera nobiltà; e pervenuta poi al colmo della sua perfezione coi doni della fortuna, e colle grazie del cielo. Le quali essendosi oggi accumulate in lei, la fanno amare e riverire non pure da chi di continuo la vede, ma da coloro ancora che non l’hanno mai veduta.
Or vegga V.S. quanto può il valore, che non pure colla vista de’ suoi leggiadri lumi infiamma all’amor di sè stesso gli animi di quei che lo mirano, ma siccome il sole coi vivi raggi penetrando là ove mai non s’aggiorna, empie il terreno di quegli spiriti ardenti d’amore ond’egli produce i cari frutti, così quello manda il divino suo splendore sì di lontano, che benchè di fuori nell’aspetto altrui non si dimostri; nondimeno dentro nella mente così chiaro fiammeggia, ch’ella ad amarlo e riverirlo s’accende.
Nè solamente colla pura sua luce per gli occhi entrando nell’animo risplende, ma di lungi col suono della fama per gli orecchi giungendo nel cuore alteramente risuona. Il che, come che per antiche prove sia manifesto, io novellamente in me stesso il provo; imperocchè la vostra chiarezza, la quale già nata non tanto del favor della fortuna, il cui versò voi beneficio essendo in sè grande, ai meriti di tante e sì rare vostre virtù è picciolo quanto dei nobilissimi doni dell’animo e dell’ingegno, non pure con sommo onore dappresso si riguarda, ma ovunque ella riluce e giugne per fama, da tutti onorevolmente si vede ed ode.
Avendo io dunque di questo mio verso lei riverente affetto fatto già testimonio per altri, quali e’ si siano scritti miei, porto fermissima opinione che non le dispiacerà punto vedermi continuare in esso, anzi di buon cuore accettando questa mia seconda fatica si degnerà tenermi nella da me desiderata sua grazia, e dell’illustrissima signora Violante sua degnissima madre. Ed io farò qui fine umilmente baciando le mani di quelle.
A. XX di luglio MDXLIX. Di Fiorenza.
Note del Fabi alle dediche e al testo

1. Guido Ascanio Sforza nacque nel 1518. All’età di 16 anni fu eletto cardinale dall’avo papa Paolo III. Venne creato Patriarca di Alessandria nel 1541, indi Legato in Ungheria per la guerra contro il Turco. Paolo IV lo fece incarcerare come troppo partigiano di Spagna e per aver avuto parte nel trafugamento delle galee di suo fratello Carlo. Morì nell’ottobre del 1564. Fu gran mecenate degli uomini dotti; di Michelangelo soprattutto, e si servì di lui per l’erezione della cappella dell’Assunta in S. Maria Maggiore, ov’è sepolto. – Questo Guido è del ramo degli Sforza, dei conti di Santa Fiora.
2. Ebbe per padre Giampaolo, il quale era figliuolo naturale di Lodovico il Moro. Dopo segnalati servigi venne fatto marchese di Caravaggio da Carlo V nel 1532. Giampaolo morì, come credesi, di veleno nel suindicato anno. Muzio Sforza fu buon soldato, si ammalò nell’assedio di Metz, e trasportato a Strasburgo vi morì nel 1552.
3. Intendi Francesco II Sforza, duca di Milano, che morì nel 1535.
4. Cioè: il Castello di Milano. Non mal si apponeva il Giovio nel chiamarlo a’ suoi tempi: il più maraviglioso che si ritrovi nel mondo: venne costrutto nel 1368 da Galeazzo I Visconti, e demolito nell’anno 1378 alla morte del suddetto. Non passò però gran tempo che suo figlio Giovanni Galeazzo lo riedificò nel medesimo luogo, e assai più forte di prima. Ma nel 1447, alla morte di Filippo Maria, ammutinatasi la città con pensiero di reggersi da sè sola in repubblica, lo atterrò. Entrato poi in possedimento del ducato di Milano Francesco I Sforza, lo fece rialzare per la terza volta, e vi spese (a detta del Coiro) un milione d’oro, volendo forse intendere un milione di ducati o fiorini d’oro. Gli Spagnuoli vi aggiunsero parecchie fortificazioni le quali vennero demolite nel 1801 dai Francesi, lasciandovi solo quel che si vede al presente. Dopo la rientrata in Milano degli Austriaci, nel 1848, costoro vi aggiunsero alcuni fortini, e in varie parti lo riattarono. Chi fosse vago di vedere la pianta, ed una minuta descrizione dello stato di questo castello anteriormente al 1801, legga le opere del Giulini, del Lattuada e del Torre.
5. Vale a dire: Jacopo Pontano, napoletano, distinto letterato del secolo XVI.
6. Cajo Mario, famosissimo capitano romano, nacque da oscuri e poveri parenti. Passò la prima sua gioventù nel coltivare la terra, abituandosi così alla vita frugale e laboriosa, simile all’antica educazione romana. Vedi Plutarco: Vita di Cajo Mario.
7. Vedi la storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo di S. Sismondi al capitolo 48.
8. Vedi intorno alla genealogia della famiglia Sforza, le tavole quinta e sesta dell’opera: Famiglie celebri italiane del Litta, articolo Sforza Attendolo.
9. L’astrologia era a’ que tempi in grande venerazione. Gli stessi re, imperatori e pontefici teneansi sempre a fianco un astrologo, che loro predicesse il futuro. A’ nostri giorni Napoleone consultò qualche volta la famosa madamigella Le Normant di Parigi. Le scienze occulte, dimentiche per quasi un secolo, ritornano oggidì in voga. Vedi Peisse: Histoire des sciences occultes. Parigi 1840.
10. Cioè: Boldrino da Panicale; Panicale villaggio nel distretto di Faenza. “Boldrino da Panicale venne ucciso in Macerata (1393), nella festa di un solenne convito, dal marchese di quella città, e fratello del Papa. Tosto i suoi soldati che seppero la morte del Boldrino in numero di 400 aveano promesso l’un l’altro sotto terribili giuramenti di prenderne stupenda vendetta. Questa vendetta fu differita per lo spazio di due anni, ma nel disfarsi della compagnia di S. Giorgio le soldatesche del morto Boldrino si avviarono risolutamente contro Macerata sotto la guida di Biodo de’ Michelotti e di Azzo da Castello, che acconsentirono di pigliar parte nella loro intrapresa. I Maceratesi, prima che vinti, distrutti spietatamente ne’ proprj averi, s’affrettarono a implorar pace dagli assalitori”. Risposero i 400: “di pace non si parlasse, finchè forse vivo l’iniquo che aveva ucciso il loro amato condottiero; perciò lo consegnassero alla compagnia, ovvero aspettassero l’ultimo sterminio”. E per verità con tal costanza facevano seguitare alle minacce i fatti, che il marchese si sarebbe trovato a cattivi partiti, se gli oratori di Firenze non si fossero interposti, e non avessero terminato la lite in un accordo, nel quale la città s’obbligò a pagare alla compagnia 12,000 fiorini, e restituirle coi debiti onori le ossa di Boldrino. Avresti pertanto veduto nel dì stabilito spalancarsi le porte di Macerata, uscirne a processione il popolo, gli oratori delle città amiche, il clero e le matrone scarmigliate e piangenti colle spoglie del condottiero, e la compagnia di fuori riceverle in gran pompa e non senza mestizia. Quindi le chiusero in una preziosa bara, e questa per lungo tempo servì come insegna alle ricordevoli soldatesche. Vedi Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, Tom. 2, pag. 199.
11. Illustre capitano della città di Chieri, che si rese celebre segnatamente nelle guerre di Lombardia.
12. Ossia Giovanni Hawkwood, nato in Inghilterra, da padre mercatante. Era desso di natura fierissimo. Ne’ suoi primi anni si esercitò nel mestiere delle armi (quantunque altri dica che li passasse nella bottega di un sarto) presso un suo zio in Francia, ove sorse in fama di valorosissimo guerriero. Calato con una banda d’Inglesi in Lombardia, si pose al servigio dei Visconti coi quali imparentossi sposando Donina, figlia naturale di Barnabò. Vedi altri particolari sopra questo capitano nella nota alla pag. 193 delle Vite dei Visconti del Giovio, da noi pubblicate.
13. Cioè nel Duomo di Firenze.
14. Erra il Giovio parlando del Broglia, col dirlo savoino, cioè savojardo, essendo, come già dissi, nato in Chieri. – Vedi la Storia di questa città del cav. Luigi Cibrario.
15. Cioè Assisi.
16. Questa parte degli Stati Pontificj corrisponde ora alla delegazione di Spoleto, altri vi comprendono anche quella di Perugia. – Vedi la nota a pag.174 delle Vite dei Visconti.
17. Alberigo da Barbiano nacque nel borgo di Barbiano, negli Stati Pontificj, distretto di Ferrara. Nel secolo decimoquarto gl’Italiani aveano interamente abbandonata l’arte della guerra; tutti gli eserciti loro erano composti di soldati stranieri, e lasciavano desolare le loro provincie e tradire i loro sovrani da formidabili bande di Tedeschi, Francesi, Inglesi, Ungheri, ecc. che si chiamavano compagnie di ventura. Alberigo, signore di alcune castella e conte di Barbiano, mutò al tutto lo stato delle cose militari, chiamò presso di sè tutti gl’Italiani che servivano gli stranieri nelle diverse armate, e ne formò un drappello, cui diede il nome di Compagnia di S. Giorgio, la quale divenne la grande scuola dell’arte militare in Italia. Vi ascrisse tutti i suoi parenti, e quei soldati che giudicava degni un giorno di comandare alle armate. Da questa compagnia uscirono Ugolotto Biancardo, Jacopo del Verme, Facino Cane, Ottobuono Terzo, il Broglia, Braccio da Montone, Ceccolino, Sforza Attendolo ed altri molti. I suoi precetti e il suo valore si propagarono fino all’epoca del Ferruccio, e non finirono che nel 1555 all’assedio e alla rovina di Siena, ultimo baluardo della libertà italiana dopo la caduta di Firenze nel 1530. Alberigo da Barbiano morì nel 1409.
18. Termine di milizia antica. – Soldato a cavallo gravemente armato, che differiva dal Catafratto nell’armatura del petto e della schiena, la quale era tutta d’un pezzo a foggia d’un arnese di ferro che i Romani chiamavano Clibano, mentre l’ordinaria de’ Catafratti era fatta a squame od a maglia.
19. Chiamavasi Andrea Braccio dei conti di Montone, perugino di nobile stirpe; nacque un anno prima dello Sforza. Dal furore dei partiti gli venne tolta la patria, gli averi e gli amici, e con due gravi ferite l’una nel braccio, l’altra nel piede, si gettò a ramingare nel mondo qual soldato di ventura finchè la fortuna lo coadjuvò, essendo stato arruolato nella gran Compagnia di S. Giorgio di Alberigo da Barbiano. Da quest’epoca divenne uno dei più celebri capitani del suo tempo. Morì nel 1424. Il suo corpo venuto nelle mani del papa, lo fece gettare in una fossa presso Roma, e quivi esso stette qualche anno; venne a levarnelo a viva forza Nicolò Fortebraccio per recarlo a Perugia dentro un apposito monumento. – V. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura. Tom. 2°.
20. Cioè Aquila villaggio tra Soana e Orvieto.
21. V. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura, Tom. 2°.
22. Vedi lo stemma sforzesco. [“Sforza Attendolo nelle sue insegne portava il Pomo cotogno, che era l’emblema del Comune di Cotignola, ov’era nato. L’imperatore Roberto diede nel 1401 il Leon d’oro rampante a Sforza, allorché sorpreso dal valore e dalla bellezza delle sue truppe, con cui venne in nome dei Fiorentini a soccorrerlo contro il duca di Milano, gli disse: Io ti voglio donare un Leone degno della tua prodezza, il quale colla man sinistra sostenga il cotogno, e minacciando colla destra il difenda; e guai a chi lo tocchi! Il Diamante in punta legato in un anello, fu dato a Sforza dal marchese di Ferrara pei servigi prestati nella guerra, contro di Ottobono Terzi, nel 1409. Il Drago alato, che termina colla testa d’uomo, è il cimiero particolare della casa Sforza”. Lo stemma è riportato sul retro della copertina, nda.]
23. Vale a dire Rubbiera, terra sulla via Emilia, tra Modena e Reggio.
24. Vedi lo stemma sforzesco.
25. Intendi Ponte Corvo, città degli Stati Pontificj, delegazione di Frosinone, vicino al reame di Napoli.
26. Una delle antiche divisioni del reame di Napoli, corrispondente ora alle provincie di Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto.
27. Cioè Calabria.
28. Intendi la fortezza di Castelnuovo, una delle più formidabili per la difesa della città di Napoli, innalzata da Carlo d’Angiò nel 1280: essa comunica col palazzo reale.
29. La via Aurelia cominciava da Roma alla sommità del Gianicolo ove in oggi è la porta S.Pancrazio, e conduceva a Civitavecchia, poi costeggiando la spiaggia del Mediterraneo protraevasi fino a Gravisca oggi Montalto. I Romani amavano molto le grandi e belle strade: avevano la via Appia, la Cassia, l’Emilia, ecc., che attraversavano l’Italia in più sensi. Esistono ancora porzioni di queste strade colle loro antiche denominazioni.
30. Veste militare di molti antichi popoli e particolarmente dei Romani, più lunga della tonaca, aperta sul davanti, ove si congiungeva talvolta con una fibbia, di panno grosso che si sovrapponeva alle armi e ad ogni altra veste. Si usava non solamente dalla plebe in tempo di tumulto civile e dai soldati in tempo di guerra, ma dai capitani supremi altrsì, dai tribuni e dai centurioni. Il sajo era ai tempi di Roma antica indizio e segno di guerra, come la toga di pace. Questa voce viene anche adoperata da alcuni scrittori ad esprimere genericamente ogni soprabito militare moderno per similitudine dell’uso antico. Si dice pure Saione. Vedi il Dizionario militare di Giuseppe Grassi. Torino 1833, tom.4.
31. In oggi è chiamato Castiglione della Pescaja che sta in Toscana nel compartimento di Grosseto.
32. Monte Cassino è una bellissima e antichissima abadia a 50 miglia da Napoli, fondata da Benedetto Anicio; da essa ebbe principio quell’illustre ordine di monaci al quale l’intera Europa è debitrice della conservazione delle scienze, lettere ed arti. I monaci Benedettini, soprattutto quelli di Francia, pubblicarono ne’ secoli XVII e XVIII opere importantissime di storia, di filosofia, di letteratura, di religione, ecc.
33. Questo Alopo era prima un vile famiglio, il quale essendo bello della persona piacque alla regina Giovanna che lo creò gran siniscalco.
34. Questi è quel Francesco che per le sue virtù militari acquistossi l’affezione di Filippo Maria fino a dargli la sua figlia Bona, e che tradendo la fede data alla repubblica ambrosiana, si fece proclamare duca di Milano.
35. Il Sebeto è un fiumicello che ha le sorgenti sulle colline di Nola: passa sotto il ponte della Maddalena e gettasi nel mare verso la parte est di Napoli. Questo fiume era prima rimarchevole, ma la grande eruzione del monte Vesuvio succeduta l’anno 79 di Cristo (epoca fatale per Ercolano e Pompei) fece una tale rivoluzione nella sua sorgente, che interamente ne disparvero le acque; dopo qualche tempo ne ricomparve una porzione nel luogo che conserva il nome di Bulla, specie di laghetto distante 6 miglia circa da Napoli, dal quale si trae pure dell’acqua per le città. Il Sebeto, volgarmente chiamato Fornello, si divide in due rami nel luogo detto Casa dell’acqua. Parte di essa va a Napoli per via d’acquedotti, e del resto si fa uso per bagni, per irrigare giardini e simili.
36. Cioè Martino V.
37. Vale a dire Ser Gianni o Giovanni Caracciolo.
38. Il castello dell’Ovo sta presso Napoli sopra un isolato scoglio; è unito alla città mediante un ponte: fu eretto nel XII secolo da Guglielmo I duca di Puglia; il nome di questo castello gli deriva dalla configurazione dell’isola sulla quale è costruito. Vi è una sorgente d’acqua dentro il castello il quale alla sua estremità orientale ha una gran batteria galleggiante di cannoni.
39. Preneste cioè Palestrina, antichissima città a 24 miglia da Roma.
40. Il lago di Bolsena situato nella delegazione di Orvieto, contiene due isolette dette Bisentina e Martana, le quali sono abitate. Nell’isola Bisentina Teodato re dei Goti affogò in un bagno Amalasunta figlia di Teoderico.
41. O meglio castello Capuano: è un isolato palazzo gotico, costruito da Guglielmo I. Fu residenza dei re di Napoli fino a Ferdinando I; poi vi si collocarono i tribunali di giustizia e le prigioni, oggi chiamasi semplicemente il Palazzo dei Tribunali.
42. La quale era pur sua madre. Luigi III d’Angiò volendo ricuperare il reame di Napoli, strinse d’assedio la città. La regina Giovanna per avere qualche ajuto, adottò Alfonso V d’Aragona come successore del regno, era dunque un figlio adottivo.
43. Questa battaglia avvenne nell’anno 1423. Vedi il Giannone, Storia civile del regno di Napoli, lib. 25, cap. 4.
44. Vale a dire Bagnorea, città nella delegazione di Viterbo.
45. Feronia era un’antichissima città della Campania, con un tempio dedicato alla dea Feronia. Questa divinità presiedeva agli orti, giardini e boschi; gli schiavi liberi l’avevano eziandio per loro protrettrice, perchè era sopra il di lei altare che prendevano i segni della loro libertà. La dea Feronia aveva perciò in tutti i luoghi d’Italia dei templi, delle feste, dei boschi sacri. Vi sono delle medaglie d’Augusto colla testa di questa divinità.
46. Cioè le isole Martana e Bisentina.
47. Questa grotta è lunga più di un miglio, e vi passano due carrozze di fronte, si crede fatta da Marco Coccejo, architetto di Augusto: dicesi scavata in 15 giorni mediante l’opera di 100.000 uomini. La Grotta di Posillipo è una delle meraviglie dei dintorni di Napoli.
48. Casale del Principe, borgo della Terra di Lavoro.
49. Vale a dire il fiume Agno.
50. Cioè della Signoria.
51. Qui il Giovio capovolge la cronologia; questo fatto avvenne allo Sforza molti anni prima della battaglia ch’ebbe col re Alfonso.
52. Il Bayle va più innanzi, dicendo che lo Sforza divideva il letto colla regina Giovanna.
53. Catella è un abbreviamento di Caterinella.
54. Questo Francesco divenne poi duca di Milano. – Intorno ai particolari di Catella moglie di Sforza, vedi il cap.LXI.
55. Vale a dire Giacomo di Borbone. Bisogna osservare che qui il Giovio parla sempre di Giovanna seconda regina di Napoli.
56. Vale a dire Pietrafitta.
57. Fu decapitato insieme al suo segretario sulla piazza del mercato, l’anno 1416. Vedi Giannone, Storia del reame di Napoli, lib. 25, cap. 1.
58. In questo mese avvenne che il re avendo dato licenza alla regina d’andare a desinare in un giardino d’un mercante fiorentino, quando per la città s’intese che la regina era uscita, vi accorse un gran numero di nobili insieme, e di popolani che andarono a vederla; e la videro in maniera, che a molti mosse a misericordia, ed ella ad arte, quasi con le lagrime agli occhi e sospirando, benignamente riguardava tutti, e pareva che in un compassionevole silenzio domandasse a tutti ajuto. Erano allora tra gli altri corsi a vederla, Attimo Caracciolo, unito con Avichino Mormile gentiluomo di Porta nuova, che aveva grandissima sequela dal popolo. Questi accordati tra loro di pigliare l’impresa di liberare la regina, andarono a conciliare la nobiltà e la plebe, e con grandissima moltitudine di gente armata ritornarono a quel punto, che la regina volea porsi in carretta, e fattosi far luogo dai cortigiani, dissero al carrettiere che pigliasse la via dell’Arcivescovado. La regina ad alta voce gridava: Fedeli miei, per amor di Dio non mi abbandonate, ch’io ponga in poter vostro la vita mia ed il regno; e tutta la moltitudine gridava ad alta voce: Viva la regina Giovanna! I cortigiani sbigottiti fuggirono tutti al Castelnuovo a dire al re il tumulto, e che la regina non tornava al castello. Il re dubitando di essere assediato al Castelnuovo, se ne andò al Castel dell’Ovo. Fu grandissima la moltitudine delle donne, che subito andarono a visitar la regina, ed i più vecchi nobili di tutti i seggi si strinsero insieme, e parendogli che non conveniva che la regina stesse in quel palazzo, la portarono al castel Capuano, e fecero che il castellano lo consegnasse alla regina. La gioventù tutta amava questa briga, e gridava che si andasse ad assediare il re; ma i più prudenti di tutti i seggi giudicavano che questa infermità della città era da curarsi in modo, che non si saltasse da un male ad un altro peggiore, perchè prevedevano che la regina vedendosi libera d’ogni freno, darebbe sè ed il regno in mano a qualche altro adultero più insopportabile. Perciò cominciarono a pensare del modo da tenersi, per reprimere l’insolenza del re, e tenere alquanto in freno la regina; onde fecero deputati d’ogni seggio, che andarono a trattare col re l’accordo. Il re non sperando da’ suoi alcun pronto soccorso, fu stretto di pigliarlo in qualunque maniera, che gli fosse proposto, e furono conchiuse queste capitolazioni: Che sotto la fede de’ Napoletani venisse egli a starsi con la moglie; che concedesse alla regina, come a legittima signora del regno, che si potesse ordinare e stabilire una corte conveniente, e fosse suo il regno come era già stato capitolato dal principio che si fece il matrimonio; ch’egli stesse col titolo di re, ed avesse 40 mila ducati l’anno da mantener sua corte, la quale per lo più fosse di gentiluomini napoletani. E così fu fatto.
59. Dopo che Giacomo fu re di Napoli fece pigliare Pandolfo Alopo, o come il Giannone lo chiama Pandolfello, e condotto nel castello dell’Uovo, dove fu atrocemente tormentato, confessando tutto quello che il re volle sapere, e condannato a morte, e nel dì primo di ottobre 1416 menato al mercato ove gli fu mozzo il capo, e dappoi il corpo fu trascinato vilissimamente per la città, ed alfine appiccato per i piedi.
60. Il re Giacomo venne fatto prigioniero dalla regina stessa, mediante i consigli di Ser Gianni. V.Angelo di Costanzo, Storia di Napoli, lib. XIII.
61. Ecco l’avvenuto raccontato da Pietro Giannone. – Venuto il dì deputato alla festa, che fu ai 17 agosto di quest’anno 1432, e quello passatosi in balli e musiche, e parte della notte in una cena sontuosissima, il gran siniscalco scese all’appartamento suo, e postosi già a dormire, Ottino e gli altri congiurati avendo corroto un mozzo di camera della regina chiamato Squadra, di nazione tedesco, lo menarono con loro, e fecero che battesse alla porta della camera del gran siniscalco, e che dicesse che la regina sorpresa da grave accidente apopletico stava male, e che voleva che salisse allora. Il gran siniscalco si levò, ed incominciandosi a vestire, comandò che s’aprisse la porta della camera per intender meglio quello che era. Allora entrati i congiurati, a colpi di stocchi e di accette l’uccisero. La mattina sentendosi per la città una cosa tanto nuova, corse tutta la città a vedere quello spettacolo miserabile, non piccolo esempio della miseria umana, vedendosi uno che poche ore innanzi aveva signoreggiato un potentissimo regno, tolti e donati castelli, terre e città a chi a lui piaceva, giacere in terra con una gamba calzata e l’altra scalza (che non avea potuto calzarsi tutto) e non essere persona, che avesse pensiero di vestirlo, e mandarlo alla sepoltura. La duchessa di Sessa, vedendo il corpo morto, disse: Ecco il figliuolo d’Isabella Sarda che voleva contender meco; poco dopo quattro padri di S. Giovanni a Carbonara, dov’egli aveva edificata con gran magnificenza una cappella, che ancor si vede, vennero, e così insanguinato e deformato dalle ferite il posero in un cataletto, e con due soli torchj accesi vilissimamente il portarono a seppellire. Trojano suo figliuolo, dappoi nella cappella istessa, gli fece ergere un superbo sepolcro colla sua statua, e Lorenzo Valla, famoso letterato di quei tempi, vi compose quella iscrizione che si legge. La regina ancorchè restasse malcontenta della sua morte, pure ordinò che fossero confiscati tutti i suoi beni, come ribelle; e concedette ampio indulto ai congiurati, che fu dettato da Marino Boffa; e narrasi che quando innanzi a lei si leggeva la forma dell’indulto, quando si venne a quelle parole che dicevano, che per l’insolenza del gran siniscalco, la regina avea ordinato che si uccidesse, avesse risposto in pubblico, che mai non ordinò tal cosa, ma solamente che si carcerasse.
62. Vale a dire la città di Orvieto.
63. Villaggio nella delegazione di Spoleto.
64. Questa statua vedesi anche oggidì sulla piazza della chiesa di S. Giustina; essa è opera del celebre Donatello.
65. Il Concilio di Costanza ebbe luogo nel 1414, per togliere lo scisma della Chiesa e frenare il torrente delle libere opinioni religiose di Giovanni Hus e Girolamo da Praga. In questo concilio venne eletto papa, Ottone Colonna, che si chiamò Martino sul V, quale correva un motto fiorentino: Papa Martino, non vale un quattrino. – Fu questo pontefice che consacrò il primo altare del Duomo di Milano, ed alla cui memoria si vede una statua di marmo. Vedi le Vite de’ Visconti del Giovio da noi pubblicate.
66. Vale a dire Marsciano, borgo nella delegazione di Perugia.
67. Antonia Salimbeni fu di animo virile, e difese con intrepidezza la vita del primo marito, Francesco Casali. Morì a Milano nel 1411.
68. Qui il Giovio dirigesi a Guido Ascanio Sforza, al quale è dedicata questa vita.
69. Ossia del cardinale Ascanio Sforza, il quale ebbe gran parte nelle guerre d’Italia sotto Carlo VIII e Lodovico XII , re di Francia, e fu altresì fratello di Lodovico il Moro. Vedi la di lui vita, scritta da Roberto Rusca.
70. Questa seconda moglie, che come già dissi chiamavasi Caterinella o Caterina, quantunque fosse, a detta del Giovio, leggiadra e di rara bellezza, tuttavia era balbuziente. Morì nel 1418, senza che gli storici dicano in qual luogo.
71. Il lago di Fucino sta nella provincia dell’Abruzzo ulteriore secondo, e supera tutti i laghi d’Italia, eccetto il Verbano, nella sua estensione, siccome questo lago non ha emissari, e correndo d’altronde a mettervi foce varj fiumi, il suo livello sempre va innalzandosi e sommergere terreni e paesi circonvicini. Volendosi provedere a si fatta calamità, ideossi fin sotto l’imperatore Claudio di aprire un acquidotto che sboccasse nel fiume Liri, per indi portar le acque al mare. Ma coll’andar degli anni questo artificiale emissario si distrusse. Nel 1844 furono ripresi i lavori sopra questo lago, il quale essendo posto in mezzo, a quella parte d’Italia, ed in un luogo appunto ove trovasi molto ristretta, si pensa di usarne per mettere in comunicazione l’Adriatico col Mediterraneo; se ciò va ad effetto, sarà questa una delle opere idrauliche più straordinarie del secolo presente.
72. Gabriele Sforza venne tratto dal monastero per ordine di papa Pio II. Fu uomo di santa vita, e morì nel 1453. Gli Agostiniani l’annoverano tra i Beati del loro Ordine. Abbiamo il suo bellissimo monumento di marmo bianco nella chiesa dell’Incoronata di Milano, e del quale si può osservare il disegno nelle Famiglie celebri italiane del Litta. E’ gran peccato che si faccia poco conto degli antichi monumenti, per cui quello dello Sforza sia cacciato in un oscuro cantuccio di quella chiesa, quasi invisibile al meno curiosi.
73. Questo Francesco divenne duca di Milano. La madre di lui nomavasi Lucia Terzana o di Torsciano (che è un castello della delegazione di Perugia). Morto il Fogliani, secondo suo marito, ella visse gli ultimi suoi anni col figliuolo Francesco, dal quale era amatissima. Morì in Milano nel 1461. – Vedi per altri particolari il cap. LIX.
74. Questo è un antico popolo che faceva parte dei Sanniti, di cui la capitale chiamavasi Hirpion, ed abitavano gli attuali distretti di Avellino, di Conza, di Candida e di Benevento.
75. Cioè Filippo Maria Visconti. – Schiavetto, capitano valoroso, ma di mala fede, servì molto tempo Filippo Maria nelle guerre che ebbe coi Veneziani, ma essendosi scoperto che teneva segrete corrispondenze coi nemici, fu chiamato a Milano, tostamente giudicato e mozzagli la testa sulla piazza de’ Mercanti; giusto compenso dei traditori della patria!
76. Chi si volesse dilettare di aneddoti di simil foggia e casi diversi di uomini illustri, legga la seguente opera di Lodovico Domenichi intitolata: Detti e fatti notabili di parecchi principi ed uomini privati moderni. Venezia 1556, in 4°, e 1564, in 8°, con varie aggiunte. Quest’ultima edizione porta il titolo di Storia varia. Meriterebbe di essere riprodotta colle stampe.
77. Vale a dire Giovanni Antonio Campano, il quale scrisse in latino la vita di Braccio Fortebraccio detto da Montone, di cui era quasi contemporaneo. Questa vita venne tradotta e stampata a Venezia nel 1572 insieme a quella di Nicolò Picinino e di Giovanni Battista Poggio.
78. All’epoca di Sforza Attendolo trovavasi in Italia gran numero di romanzi cavallereschi, come I Reali di Francia, Buovo d’Antona, l’Istoria di Carlo Martello, l’Innamoramento di Carlomagno, La Tavola Rotonda, ed altri.
79. Freccia a foggia di piccolo spiedo da lanciare con mano o colle balestre; era in uso nei primi tempi della milizia Italiana.
80. Quelli che abitavano l’attual parte dell’Abruzzo Citeriore.
81. Morì il 4 gennaio del 1424.
82. Ortona è bella città negli Abruzzi presso la sponda dell’Adriatico.
83. Questa fu la fine d’un capitano ch’era stato pronto in deliberare, prontissimo in eseguire, destro a fuggire, ardito a seguire i pericoli, non mai nemico di alcuno all’impensata, nè per insidie; ma disdicendo prima l’amicizia, per muover guerra con virtù, non fraude; in gioventù pieno di franchezza, ma in vecchiaja, pe’ tanti tradimenti sofferti, simulatore e dissimulatore; non vanaglorioso di ciò che aveva acquistato con fortuna, ma di quanto si avea procacciato col coraggio, la qual vanagloria se non è lodevole, non è degna di biasimo. A tal segno spregiator delle ricchezze, che fuggiva più del serpe coloro che delle ricchezze si rendessero servi: onde si dilettò di veder le città arrese, ma conservate, non combattute e disfatte. Se con questo tesoro di ottime doti fosse stato libero nel vivere, e non trastullo de’ sempre matti cervelli de’ padroni, avrebbe eseguito cose superiori all’invidia. Ma tra gli uomini facendo altri da martello, altri da incudine, egli far volle da incudine mentre potea far da martello; segno manifesto che non avea l’animo veramente regio. Sicchè in mezzo alle tante solenni vittorie visse schiavo, e morì da soldato, non da capitano; onde bravo e non grande. Questa vita mostra che la umana virtù si deturba nelle straniere corti, come le limpide acque del Giordano nel lago di Asfaltide. – Vedi Lomonaco, Vite dei famosi Capitani d’Italia, tom. II.

Description

MUZIO PRECURSORE E ANTESIGNANO DELLA PROGENIE DEGLI SFORZESCHI

Attendolo Sforza, anzi, Giacomuccio alias Muzio detto Sforza, della famiglia degli Attendoli, era rimasto per molti anni a fare il caporale. Il suo nuovo lavoro, abbandonata la zappa, divenne quello di saccheggiare ed occupare Terre, essendo spesso al soldo di piccole città per sfamare la nutrita figliolanza e la folta parentela al seguito, tutti provenienti dalla natìa Cotignola.
L’ascesa del ‘caporale’ Sforza cominciò dopo l’occupazione di Roma da parte di Re Ladislao, il 25 aprile del 1408. Il Re di Napoli si spinse fino a Perugia e all’Aquila, città dove ripristinò la carica di Viceré degli Abruzzi, province soggette al Regno Partenopeo.1
Il sovrano, nominatosi Re d’Italia, non riuscendo a debellare i caporali più insidiosi che gli impedivano di espandere i confini del Regno, cominciò ad assoldarli direttamente, non essendo riuscito neppure a farli uccidere. L’amicizia fra i due ebbe inizio ebbe inizio quando uno dei nuovi papi, Alessandro V, dichiarando non valida l’investitura di Clemente VII, aiutato dai Fiorentini, riconobbe al suo posto il Duca di Provenza Luigi II d’Angiò.2
Fu infatti Papa Alessandro ad assoldare in massa, per la prima volta, gente d’arme famosa, come Braccio da Montone, Sforza da Cotignola e Paolo Orsino, elevati al rango militare di capitani. Fu il primo tentativo di milizie organizzate, da pagarsi con il denaro che Re Luigi avrebbe dovuto ottenere dai Fiorentini, secondo il patto stretto da una santa Lega. Ma la morte di Alessandro V, il 3 maggio 1410, fece indietreggiare i toscani, lasciando senza paga i caporali mercenari, in quanto il nuovo Papa, il napoletano Giovanni XXIII, si accordò con i Genovesi e perse l’interesse di cacciare Ladislao dalla sua Napoli, frenato anche dalla peste che aveva già ucciso la vecchia Regina Margherita.3

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Cuttrera

Editore

ABE Napoli,

ABE Torino

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Editorial Review

 

 

Dell’infelicità della morte sua

Essendo egli giunto finalmente agli anni cinquantacinque dell’età sua, e già parendo che in lui tutte le virtù, le quali convengono a un singolar capitano, avessero ricevuto quasi perfetta maturità, l’insolente fortuna gli ruppe a un medesimo tempo il corso delle vittorie e della vita. Perciocché essendosi posto Braccio con fatale ostinazione all’assedio della città dell’Aquila, e ritornato poi in Ispagna il re Alfonso, il quale indarno l’aveva richiesto di soccorso alle sue cose poste in travaglio, Sforza fatto capitan generale di grandissimi principi in Italia, si partì di Puglia per liberar l’Aquila dall’assedio, a instanza di papa Martino, della regina e di Filippo Visconte, per andarsene poi in Toscana con speranza di far cose grandi. Erano nell’esercito suo sette mila cavalli, e una grossa banda di fanteria.
Avendo dunque cacciato le genti di Braccio fuor della città di Lanciano e di Millionico, giunse a Ortona. Quivi avendo tenuto dodici giorni in riposo i soldati e avendo con gran devozione celebrato le feste della Natività di nostro Signor Gesù Cristo, giunse al fiume Aterno, il quale oggi si chiama Pescara, per la terra che gli è appresso.
Era venuto Braccio ai popoli Marucini,80 avendo lasciato la metà dell’esercito all’assedio dell’Aquila, per non lasciar passare Sforza. Perciocché avendo piantato nella riva di spessi e molto acuti rami d’alberi, e legato a quelli un naviglio con grosse funi, e messovi sopra alcuni arcieri, guardava il luogo dove era più certo il guado. Aveva anco messo la guardia di due compagnie di fanteria e di quattrocento cavalli ai ripari del ponte di pietra alla terra di Pescara. In quella difficoltà di passare, Sforza fece drizzare l’insegne a man destra verso le foci, dove il fiume entra in mare. Quivi tentato il guado Micheletto, Santoparente e Francesco figliuolo di Sforza, armati e cogli elmi in testa, con altri seicento cavalli passarono il fiume, seguitandoli poi Sforza. Francesco felicemente scaramucciò coi Bracceschi, i quali erano usciti di Pescara per cacciar i nemici della riva, di maniera che avendone morti e presi molti, ributtò gli altri dentro la porta della Terra.
Non fu mai cosa che più dilettasse agli occhi, né all’animo di Sforza di quello spettacolo. Perciocché dalla maraviglia del valore ch’egli vide nel figliuolo, se ne prese incredibil piacere parendogli che felicemente adempisse la grande speranza ch’egli aveva già concetto della sua matura riuscita. In questo mezzo soffiando il vento di maestro, e per l’onde del mare che lo percuotevano, il fiume cominciò a gonfiare, di maniera che sull’altra riva si vedevano le bande de’ cavalli i quali stavano sospesi e dubbiosi, né per alcun segno si potevano indurre che volessero entrare nell’altissimo fiume. Allora Sforza spinto dal suo destino, cacciò un’altra volta il cavallo nel fiume per far animo a quei ch’avevano paura coll’esempio suo.
Quivi porgendo egli la mano a un ragazzo il quale annegava, per aiutarlo, mancandogli sotto il guado fangoso, il suo cavallo benché fosse gagliardo mancò delle gambe di dietro: e così egli, aggravandolo l’armi, si affogò. Dicesi ch’egli alzò due volte la man destra armata, né però alcun gli diede ajuto, essendo giunta l’ora della sua morte....