21. MARGHERITA D’AUSTRIA La Duchessa pupilla NOZZE A NAPOLI PER ALESSANDRO «IL MORO» DUCA DI FIREZE ISBN 9788872974070

In offerta!

35,00 29,00


Copertina posteriore

LA SORELLASTRA DI DON GIOVANNI D’AUSTRIA

Description

IL GENERALE DI NAPOLI. Don Giovanni d’Austria

Una giovanissima Margarita, nata da Carlo V e da un’orfanella fiamminga, viene destinata in sposa da Papa Clemente VII al nipote Alessandro de’ Medici, al quale concede anche la bacchetta ducale, per riappacificarsi con l’Imperatore.
Nata il 5 luglio 1522, in casa d’uno zio materno, e riconosciuta una rendita a Jenne, ragazza madre, passò nelle mani dei genitori adottivi di Bruxelles, dove mosse i primi passi. Svezzata e cresciuta dalla zia Maria d’Ungheria, imparò a leggere e a scrivere, e presto a parlare fluente almeno quattro lingue.
Nemmeno adolescente la ritroviamo già alle battute di caccia e a cavallo, al seguito dei parenti, avendo assimilato l’educazione di corte riconosciuta ai principi di Casa Asburgo da avviare verso la politica matrimoniale. Persa l’occasione per Ercole d’Este, Margherita, fu così ufficializzata al Duca di Firenze, tanto per ricucire i rapporti fra Papa e Imperatore, dopo il sacco di Roma. Vennero così sanciti i capitoli matrimoniali in cui si stabiliva l’educazione della pupilla alla corte di Napoli fino all’età giusta per il matrimonio, quando sarebbe stata tradotta a Firenze, a spese del marito, dopo la cerimonia dell’anello al dito da tenersi nel Regno.
E così la piccola, conobbe per la prima volta il padre e lo sposo nel 1531, prima di partire per Napoli con uno stuolo di dame, musici e prelati al seguito. Sfidando pioggia e neve sostò quindi a Cafaggiola, dove Caterina de’ Medici le mostrò il Firenze e incontrò il marito. Il fuoco delle bombarde all’Annunziata aprì i dieci giorni di festeggiamenti, con spettacoli e recite, dalle corride alle partite di calcio, ai balli e alle cene conviviali.
Giunta a Roma, ripartì finalmente per Napoli, dove restò tre lunghi anni per imparare il galateo di corte, studiare e crescere con altri piccoli nobili a palazzo reale. Qui fu seguita dalla Viceregina, che ne divenne balia e tutrice, ricevendo a corte amici, parenti e lo stesso sposo, con i suoi sfarzosi regali. Alessandro giunse nel Regno più di una volta, fra un riassetto e l’altro della città, sempre scossa dagli avversari politici, puntualmente puniti e banditi come nemici.
Alessandro era un tipo libertino, di quei principi che si ripromettono di cambiare vita, ma nel mentre corteggiano di continuo le belle donne e non mancano di avere amicizie strette, proprio come le sue. I cugini Lorenzo e Cosimo sono per lui come il diavolo e l’acqua santa, ma rappresentano un legame stretto col sangue, come egli stesso l’ebbe col Papa quando era ragazzo, crescendo alla corte di Roma. Filtri d’amore e veri avvelenamenti dei nemici, quando non sfuggono ai suoi disegni criminali, conducono così il Signore dell’ex Repubblica Fiorentina a una vita di sfarzo e di ostentazione. Né manca di maritare la sorella Caterina al futuro Re di Francia, onorando sempre le pretese dello zio Papa, e accrescendo la lista dei nemici politici, come il generale Strozzi.
L’obiettivo del Duca restò però quello di sistemarsi con la pupilla e in virtù del contratto sottoscritto seguì l’Imperatore-suocero a Napoli, appena di ritorno dalla spedizione di Tunisi. Ma l’uno fu accolto con l’arco trionfale, e l’altro con cartelloni e sberleffi dei concittadini avversari giunti in trasferta.
A Napoli furono invitati anche i fuorusciti, nella speranza di raggiungere un accordo che non venne, a cui Carlo V rispose ufficializzando la cerimonia di nozze di Alessandro e Margherita, e liberandosi definitivamente delle infinite lagne degli esuli che chiedevano l’impossibile ripristino della Repubblica e, a tratti, la testa del loro Signore.
Il 29 febbraio del 1536, finalmente, lo sposo donò l’anello nuziale alla giovane moglie.
I Cardinali e lo stuolo di Fiorentini al seguito di Alessandro avevano avuto la meglio sui fuorusciti, scambiando l’agognata amnistia per le nozze di Margherita, e la meglio sugli stessi napoletani, costretti a sottostare alle angherie del Viceré Toledo.
Al Duca non restava che andare a Roma, ringraziare il Papa, e ripartire per Firenze, sistemando la città in attesa del suocero e della sposa, per dare vita ai festeggiamenti finali con la cerimonia ducale di insediamento. La novella Duchessa, sbarcata a Pisa, fu accompagnata alla villa medicea di Poggio a Caiano, da dove si partì per Firenze il 31 maggio, diretta agli appartamenti di Ottaviano de’ Medici, e il 13 giugno, entrò nella chiesa di S.Lorenzo, ricoperta di drappi per salutare la più bella nobiltà d’Italia, accorsa alle nozze definitive sancite dal contratto.
E così, fra un bacio dato dal Duca al Vasari, e uno ricevuto dal suo Cosimo, l’investitura della città agli sposi si completò con una inaspettata eclissi, presagio della vita libertina di Alessandro che lo porterà lontano dalla moglie e dagli amici, come il Vettori, inseguendo le storie da letto e la cattiva compagnia del cugino Lorenzaccio.

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Recensioni

Recensioni

Non ci sono ancora recensioni.

Only logged in customers who have purchased this product may leave a review.

Editorial Review

 

LA FIGLIA DELL'IMPERATORE

INDICE

ricapitolazione.

1.
margherita, la promessa sposa

— La principessina nata da un’orfanella
— Il Papa al Duca: la bacchetta e la sposina
— La bambola imperiale passa per Firenze
— I capitoli matrimoniali sanciti dal contratto

2.
gli avversari fuori da firenze

— Il Duca riassetta la città e bandisce i nemici
— Filtro d’amore per il Duca: ma non è veleno
— Tutti alle nozze di Caterina: la tregua
— I fuorusciti e Strozzi invitati al dialogo
— Alessandro si fida solo di Cosimo
— L’Imperatore parte per liberare Tunisi

3.
LA CAMPAGNA D’AFRICA ECCITA IL RE

— Napoli inerme al saccheggio dei Barbari
— Spedizione di Carlo V per liberare Tunisi

4.
fuorusciti e duca: tutti a napoli

— Principi nel reame per esaltare Carlo V
— Fiorentini in viaggio: pro e contro il Duca
— Alessandro parte coi cardinali e familiari
— Il Duca al Papa: Noi dobbiamo essere amici
— Il Medici sbarca in gloria, ma è beffeggiato
— I fuorusciti non hanno intenzione di cedere

5.
margarita e alessandro sposi

— Sì a Margherita, no ai fuorusciti: lo scambio
— Nozze con Margherita il 26 febbraio
— Il Duca dal nuovo papa, seguito dal Re

6.
l’insediamento della duchessa

— Firenze si fa bella per la Pupilla
— Carlo V in Toscana da fine aprile
— Il bacio al Vasari, e un bacio da Cosimo
— Via il suocero, arriva la sposa per l’investitura
— Cerimonia ducale delle nozze in San Lorenzo
— Monna Margherita Duchessa di Firenze

7.
l’affetto delle cortigiane

— La vita libertina del Duca: stupri e adulteri
— Dazi e vita libertina: il Vettori si allontana
— Al Duca piace Cosimo, ma segue Lorenzo

note bibliografiche testo

1. Giovanni Boccaccio, Libro Di Messer Giovanni Boccaccio Delle Donne Illustri, Giunti, Firenze 1596, pag.364. Così Boccaccio; - E perché egli per tempo fu di vita tolto, ella rimasta vedova, fu data per moglie a Ottauio Farnese Du ca di Parma, a cui a vna portata partori felicemente due figliuoli mafchi, vno de quali fu Alessandro, che poi diuenne valorosissimo Capitano, ilquale nelle guerre di Fiandra, e di Francia,e principalmente nella efpugnazione di Mastrich,e d'Anuerva diede più volte faggio del va lore, e della prudenza fua. Ma di lui fi parlerà ad altro tempo. Margherita dunque fu figliuola d'vn de maggior Imperadori, che fieno stati già molti fecoli, e nuora d'un figliuolo de maggiori, e piu prudenti,e radi Pontefici, che habbia hauu to la Chiesa di Dio, efu moglie, e madre, e sorella d'invitti Eroi, ed ella fu ripiena di tal senno, e di tanta prudenza».
2. A.Ademolo, Misteri dell'Acqua tofano, Tip. dell’Opinione, Roma 1881. Vi si legge la ricetta. Vedasi anche Salvatore Marino, L'Acqua Tofana, Palermo 1882.
3. Lodovico Antonio Muratori, il quale, al volume 10 dei suoi Annali d'Italia dal principio dell'era volgare fino all'anno 1750, Tomo X, parte I, eredi Babriellini, Roma 1754. Cfr. Barbone, cit. Cfr. Le Grand D'Aussi, Hist. de la vie privée des Francois, T. III. pagg.198-199. Cfr. Tomasino de Bianchi, detto de Lancillotti, Cronaca ModeneseFiaccadori, Parma 1866. In: Monumenti di storia patria delle provincie modenesi, Volume 4, Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi.
4. Alfredo Reumont, Margherita d'Austria Duchessa di Parma: Memoria di Alfredo Reumont, Cellini, Firenze 1880. Egli dice che il De Leva, nella Storia documentata di Carlo V, cita la minuta, esistente nella collezione dei Mss. della R. Accademia di Storia di Madrid, dell'atto di legittimazione di Margherita, in data di Barcellona 9 Luglio 1529. Ma l'atto matrimoniale steso a Napoli nel 1536, e quello di Roma del 1538, qualificando Margherita l'uno figlia naturale, l'altro figlia senz'altro dell'Imperatore, e il Vandenesse nel Sommario dei viaggi di Carlo V, cui si fa menzione a pag. 23, chiamandola, in occasione del matrimonio Farnese e altrove « fille bastarde de Sa Majesté », convien credere la legittimazione essersi meditata bensì o proposta, ma non veramente realizzata, dimodochè non c'è da meravigliarsi del silenzio di tutti gli storici, non escluso lo Strada, mentre l'Odorici, il quale la dice legittimata nel 1529, non cita autorità.
5. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de' suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864.
6. Rastrelli. Cfr. Sitografia: https://villegiardinimedicei.it/villa-medicea-di-cerreto-guidi/
7. Alfredo Reumont, Margherita d'Austria Duchessa di Parma: Memoria di Alfredo Reumont, cit.
8. Enrico Montazio, I prigionieri del Mastio di Volterra, 1478-1558: cenni storici e biografici, tipografia Eredi Botta, Firenze 1869. Cfr. Giuseppe Ninci, Storia Dell'Isola Dell'Elba, Portoferraio 1815. Cfr. Barbone: Dalle memorie manoscritte conservate nell'Archivio comunale di Piombino.
9. Varchi, cit. Così il contratto: - Scritta matrimoniale fra Margherita d'Austria, e il Duca Alessandro de' Medici», redatta fra procuratori e non certo di mano propria degli sposi.
Nel nome del Signore
Endo ordinato questo legame, e vincolo del matrimonio santo dal grande Iddio, acciò si crei l'uomo, nel quale conseguentemente sia stabilito, che il marito, e moglie sua, due soli, sieno in una medesima carne; e siccome da questo ne sorge per necessità ne' descendenti scambievolezza, e consanguinità di sangue, quale si corrobori, e si unisca con quei congiunti nodi di affinità moltiplicatamente, così per conseguenza per fondamento stante tal matrimonio spesso si apporta per quello la congiunzione degli animi, ed è radice, fomento, e unione dell'amore, estinzione della discordia, unità delle volontà, e unisce il volere col non volere insiememente.
Ed essendosi già detto, e pensato circa il farsi parentado, e matrimonio infra l'Illustrissimo Sig. Duca Alessandro de' Medici Duca della Penna, Nipote della Santità di Nostro Signore Papa Clemente Settimo da una, e la Illustrissima Signora Margherita d’Austria, figliuola naturale del sacratissimo, e invittissimo Signor Don Carlo V, per grazia di Dio eletto Imperadore de' Romani per sempre degno di lode, e della Spagna, e di tutta la Sicilia Re Cattolico.
Dall’altra parte, acciocchè per l'avvenire infra Sua Santità già detta, e il prefato sacratiffimo Carlo Cesareo, perseveri l'unione degli animi, e dell’amore, e stabilità dell’amicizia con più stretti legami corroborata, e a tutti sia manifesto che l'istesso Cefareo Carlo, non solamente abbia preso per debito suo proprio la protezione di Sua Santità, e della Chiesa Apostolica, ma ancora della famiglia sua Medicea, e cura della sua posterità, volendo ancora pigliare la cura, il sostento, e l'accrescimento di quella, perciò costituiti dinanzi a me sotto segnato Notaro, e all’infranominati testimoni il Rev. in Cristo Padre il Sig. Girolamo Seledo Vescovo di Vasione, Maestro di Casa di S. Santità, e Nunzio Apostolico, con potestà de latere mandato allo stesso Cesare, ed in questa parte Procuratore, e come Procuratore, ed in nome del prefato Illustre Sig. Alessandro Medici Duca della Penna: il tenore della quale procura di parola in parola è di sotto registrato, da una parte, e gl’Illustrissimi, e Magnifici Signori,
Sig. Marchese Mercurio di Gattinara, Romagnano Gran Canc. di Cesare, Lodovico da Handria Soldato, e Sig. di Prato Ciambellano, e Consigliere, Niccolò Pezzenoto Dottore, M. LL. Signore di Gran Vela, Consigliere, e Maestro delle LL. MM. II.
Come Procuratori, e Procuratori nomine del detto Carlo Cesareo padre e legittimo amministratore della detta Illustre Sig. Margherita d’Austria sua figlia pupilla, e di minore età; per la quale S. M. si fece forte, e promesse de rato; siccome si legge nella sua Procura, il tenore della quale è scritto ancora disotto di parola in parola.
Dall'altra parte scambievolmente infra di loro d'accordo, per il bene della pace soprattutto, fecero, e conclusero gl’infrafcritti Capitoli matrimoniali, patti, e convenzioni, quali seguono; sotto li modi, forme, e condizioni in quelli contenuti, e descritti.
In prima fu stabilito, e concluso infra li prefati Procuratori, in detti nomi, e convenuto, che per lo predetto matrimonio da contrarsi a suo tempo infra detto Illufre Sig. Alessandro Medici Duca della Penna, e la Illustre Donna Margherita d'Austria ancora pupilla, e che non à ancora finito gli otto anni di sua età, la quale di presente se ne fà in Fiandra sua patria appresso l'Illustre Donna Margherita Arciduchessa d'Austria, e Duchessa di Burgundia, vedova fu di Savoia, zia paterna dell’istesso Cesare; il detto Illustre Sig. Alessandro personalmente, o per lo mezzo di suo Procuratore, costiuito, e fatto per questo effetto sufficientemente, e legittimamente, con buona procura infra sei mesi dal dì del prefente istrumento p. s., vada, o trasmetta alla detta Arciduchessa zia paterna di Cesare, e alla presenza di lei, e dei maggiori di sua patria quivi assistenti, si esibisca parato, e pronto contrarre tutto quello si richiede nello sposare la detta Ill. Sig. Margherita d'Austria, figlia di Cesare; e infatto la spoferà, e giurerà, e prometterà, che venendo lei all’età della pubertà, e atta al matrimonio, e così compiti li anni XII di sua età, di contrarre il matrimonio per verba de prasfenti, secondo l'ordine di S. Madre Chiesa, e quello dipoi conforme al solito costume, e modo della Chiesa solennizzare nel luogo, e tempo insrascritto.
E dall'altra banda il prefato facratissimo Carlo Cesareo, come padre, e legittimo amminiftratore della detta sua figlia pupilla, procurerà, e con effetto farà (ogni eccezione rimossa) che la detta, Illustre Donna Margherita d'Austria sua figlia, in detto luogo, e tempo, e in presenza di quei di sopra, sarà pronta, e parata sposarsi col detto Sig. Alessandro Medici Duca, e in fatto si spoferà, e parimente procurerà, che lei quando havrà compito l'età sua d'anni XII, contrarrà tal matrimonio con il detto Duca Alessandro per verba de praesenti anche a questo scambievolmente acconsentendo secondo l'ordine della S. M. Chiesa, e quello dipoi a suo luogo, e tempo solennizzerà in faccia della Chiesa, secondo il dovuto, e folito modo.
Ancora si convenne, e fu concluso, che seguito il detto spofalizio, il prefato sacratiffimo Cesare infra altri sei mesi allora futuri, (per maggior sicurtà del prefato matrimonio da contrarsi, e acciocchè questa sposa infrattanto più comodamente, e ogni volta possa essere dal suo sposo visitata, e conservata nel suo amore, e acciocchè dalli teneri suoi anni sia instrutta in quei costumi della sua patria, e ancora per maggior contento di S. Santità, la quale grandemente desidera sopra di ogn'altra cosa vedere) faccia che sia condotta a sue spefe la detta Ill. Sig. Margherita sua figlia infino al Contado Tirolense, e faccia che sia consegnata in potere de' Serenissimi Re, e Regina d'Ungheria, acciocchè di quivi quanto prima, e da quel luogo che ordinasse il Serenissimo Re d' Ungheria, il prefato Illustre Sig. Alessandro Duca, personalmente, o per idoneo Procuratore sufficientemente ordinato, sia tenuto a spese sue condurre in Italia la detta Illustre Sig. Margherita, e infino a Roma alla presenzadella Santità di Nostro Signore, a spese del prefato Illustre Sig. Duca Alessandro e con quella custodia, e compagnia di gentildonne, che a S. C. M. parrà doversi, la quale quanto prima arrivando in tal Città, baciati i piedi a S. S., e fattagli quella reverenza che se li deve, tosto si deva lei dare in potere, e custodia della Illustre Sig. Francesca da Montebello, Contessa dal Monte, e Principessa di Sulmona, già Vice Regina di Napoli, vedova, moglie già dell'Illustre Carlo di Lanoy Principe di Sulmona, del detto Regno Vice-Rè, e Capitano Generale.
La quale farà quivi personalmente, e dipoi sotto la sua custodia, e governo, similmente a spese di Cesare, dovrà condursi a Napoli, e quivi come si conviene allevarsi fino che venga agli anni della pubertà.
In quel tempo durante sia lecito ancora al detto Ill. Duca Alessandro, appresso di lei avere, e tenere in suo nome una onesta matrona, la quale assista all'istruzione, e alla educazione della detta Illustre Sig. Margherita sposa, e la inclini ad amare, e reverire il suo futuro marito.
E seguita la pubertà della detta Illustre Sig Margherita, il detto Illustre Sig. Duca Alessandro si ritrovi personalmente nella detta Città di Napoli, e mandi ad effetto intieramente detto matrimonio, solennizzando quello come di sopra in faccia della Chiesa, e allora la prefata Illustre Sig. Margherita come vera moglie sarà consegnata in potere del detto Illustre Duca Alessandro da condursi a casa sua a sue proprie spese.
Ancora fu convenuto, e stabilito, che a contemplazione del detto matrimonio, e per li carichi di esso il detto sacratissimo Carlo dia, e dare sia tenuto al detto Illustre Sig. Duca Alessandro per dote, e in nome di dote, e fondo dotale della detta Illustre Signora Margherita tanti beni immobili, e feudi, che rendano l'anno di entrata ducati ventimila larghi d'oro, in oro, oltre le gioie, masserizie, e altri mobili condecenti alla qualità sua per parte di sua dote, e così si convenne come sopra.
Che il sacratissimo Cesare darà, e sarà tenuto dare al prefato Illustre Duca Alessandro uno Stato nel Regno di Napoli, che abbia titolo di Duca, o di Marchese, ne' luoghi, e beni in detto Stato devoluti legittimamente alla Regia Corte, e ad essa spettanti, che renda scudi 12 mila l'anno smili, e per il restante di detta dote, tanti altri feudi, ed altri beni immobili, i quali altrove in Italia fuori di detto Regno di Napoli si troveranno, e li quali legittimamente si devolveranno, o s’intendano devoluti all’istesso Cesare, che rendano d'entrata ducati ottomila simili, e così tutta la dote sia ducati ventimila larghi d'oro nel modo, e forma sopradetta; e le cose predette sempre s' intendano per ragione di detto feudo, e in feudo per se, suoi eredi, e successori dell' uno, e l'altro sesso, che descenderanno di matrimonio tale, e altrimenti secondo le costituzioni del Regno, e gli ordini feudali di esso; e per supplimento di detti beni fuori del Regno di Napoli, in qualunque luogo da farsi nell'Italia, Carlo sacratissimo derogherà, e sarà tenuto derogare a qualunque decreto, statuto, ordini, costituzioni, e consuetudini, in qualunque modo disponessero in contrario, ancora che di essi fosse necessario farsi menzione in fpecie, de verbo ad verbum, e minutamente, ficcome sono distese, e nominate le predette cose; e a tutte quelle che ostassero il sacratissimo Cesare per motu proprio, e animo deliberato per certa scienza, e pienezza di potestà Imperiale derogherà, e a derogare sia tenuto.
E che il presato Cesare creerà l'Illustre Duca Alessandro cittadino in amplissima forma, come se' egli fosse originario di quella Città, o Stati, nella quale, e quali occorresse dare il detto supplimento, acciocchè il prefato Illustre Duca possa più pienamente usare, e godere li beni da darsegli, e assegnarseli, come disopra; le quali tutte cose date per dote si devono solamente tenere per ragione di dote durante tal matrimonio, e col carico in ogni cafo della restituzione di detta dote, secondo la costituzione di detto Regno.
E all’incontro l'Illustre Duca Alessandro darà, e sarà tenuto dare per dotario, e autisato di detta Illustre Signora Margherita d' Austria, in caso di restituzione di dote, tanti beni immobili nel Regno di Napoli, che rendano l'anno di entrata ducati d'oro 666, e così la terza parte di detta dote, questo nel Regno di Napoli, secondo gli ordini, e consuetudini di esso, per se, suoi eredi, e successori, come sopra; e caso che da' beni di detto Duca esistenti nel Regno, non si potesse interamente consegnare tutto il dotario, quello che mancasse si supplirà in altri beni del detto Illustre Duca Alessandro, che di ragione se gli aspettassero nell'Italia, fuori di detto Regno: e tali costituzioni di dote, dotario, e autifato in specie realmente, e con effetto si devono dichiarare, confegnare, e darsi e intorno a quelli concedersi qualunque privilegio, e istrumento, con le debite investiture in buona forma, e a senno di savio di ciascuna delle parti, nel tempo che si celebrerà, e effettuerà il detto matrimonio, e in più sicura, e valida forma, che dare, o pensare si possa.
Ancora li detti Procuratori in detti nomi scambievolmente l'uno all'altro promesiero, e promettono per virtù di questo istrumento, che i loro principali costituenti, per più fermezza, e osservanza delle convenzioni predette, daranno l'uno all'altro la caparra dello sposalizio, che ascenda alla fomma di ducati 20mila d'oro larghi; quali caparre solamente vadano per se, per quella parte che permettesse tal matrimonio non avere effetto; e applicate sieno all'altra parte che sia pronta ad adempire quello; e seguito che sia il matrimonio, svaniscano, e sieno di nessun valore.
Ancora che tali capitoli matrimoniali, quanto per ora sia possibile, sieno ratificati da ciascuna delle parti, cioè dal prefato Illustre Duca Alessandro, infra il sopraddetto tempo, che seguirà lo sposalizio, e dalla detta Illustre Margherita d' Austria, infra il tempo che si corroborerà al matrimonio, dopo che avrà finiti gli anni dodici di sua età, e lo stesso sacratissimo Cesare, non solo come padre, e contraente, ma ancora come Re, e diretto padrone de' feudi, detto Regno, approverà, e ratificherà tutte le predette cose come sopra convenute, é da ora come allora, e quelle confermerà, e a quelle acconsentirà, interponendo la sua autorità, e a suo tempo mentre che tal matrimonio non si celebrerà, concederà ( con supplire ancora a qualunque difetto, e solennità, tanto di ragione, quanto di fatto, e massime nelle cose notate nella legge, si paclo quo poenam, codice de pactis ) tutti i privilegj, e investitura in buona forma, nella qual legge vien dispofto, che quello che promette, che il minore quando farà di età legittima, ratificherà, non è tenuto, non volendo tal minore ratificare, sendo lui enormemente leso; alle quali tutte cose in forma pienissima si deroghi come per Sua Santità, e per il facratissimo Carlo, non cone padre, ma come Re, e Imperadore.
Ancora si concluse, e convenne che il presente Istrumento, e massime il patto delle caparre si confermi per Sua Santità, come legge, e per lo facratissimo Cesare non come contraente, ma per se, come Re, e Imperadore, nonostante qualunque legge, che in qualsivoglia modo disponesse in contrario, e massime al Capitolo de sponsalibus, e al paragrafo Obligatio, e a tutte quelle cose che ivi notate sono: alle quali tutte cose, e a ciascuna di esse, con motoproprio, e con animo deliberato per certa scienza, e pienezza della potestà sua si deroghi e così li detti contraenti in detti nomi promessero, e promettono, che la Santità Sua, e il sacratissimo Carlo approveranno quanto sopra.
Le quali tutte cose, e ciascuna di esse li detti Procuratori in detti nomi, promessero e promettono singolarmente adempire, e inviolabilmente osservare, nè a quelle in modo alcuno contravvenire, di ragione, o di fatto, direttamente, o indirettamente, tacitamente, o espressamente, e per indubitatissima fede, e cautela si convenne:
- Che Sua Cesarea Maestà sia tenuta ratisicare, confermare, e approvare di presente questa capitolazione, (la quale vollero, e vogliono che abbia forza d'Istrumento,) per lettere patenti di S. M., soscritte di sua propria mano, e roborate col suo solito sigillo in tutto e per tutto, siccome sono scritte: le quali lettere, e mandato di S. M. consegnare si devano nelle mani del prefato Sig. Nunzio, e Procuratore; e ancora deva, e sia tenuto fimilmente fare questo il detto Duca Alessandro, e infra dieci giorni dal dì che li saranno quelle consegnatë, e presentate le lettere della confermazione come di sopra nelle mani del Magnifico Sig. Ambasciatore di S. C. M. appresso Sua Santità; il prefato Sig. Nunzio, e Procuratore deva di presente consegnare l' Istrumento di sua Procura alli detti Procuratori di S. C. M. e similmente li detti Procuratori di S. G. M. consegnino, e di presente consegnano, le lettere del loro mandato in propria mano di detto Reverendissimo Sig Nunzio: li quali tutti Procuratori, tanto del prefato Duca Alessandro, quanto della Cesarea Maestà, per fede di quanto di sopra, di loro proprie mani sottoscrissero la presente capitolazione, e convenzione, e quella robororno con i loro soliti sigilli nella Città di Barcellona in casa dell’Illustre Cancelliere Cesareo sotto li 23 di Giugno dell'anno 1529, alla presenza degl'infrascritti Testimoni fottoscritti.
Io Girolamo Vescovo Vassionense Nunzio , e Procuratore fottoscriffi di propria mano.
lo Mercurio Gattinara Cancelliere della Cesarea Maestà, e Procuratore.
Io Lodovico de Prato in questa parte, Procuratore.
Io Alfonso Valdesio Segretario di Sua Maestà Cesarea fui prefente a quanto sopra.
Io Bernardino Jutazio Segretario di detto Monsignor Nunzio fui presente a quanto sopra.

10. Lettere, cit.; cfr. Pietro Giannone, Istoria civile. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
11. Rastrelli. Cfr. Silvio et Ascanio Corona, Successi tragici et amorosi, MSS. in copia.
12. Sigismondo de’ Sismondi, Histoire des republiques italiennes du Moyen Age, traduzione, tomo 10, Capolago cantone Ticino, Tipografia e libreria Elvetica, 1846.Le scritture originali vengono riportate da Benedetto Varchi: questa, dice egli, ebbe molto credito in Italia, 1. XIV, p. 229-230. Cfr. Benedetto Varchi, 1. xiv, p. 259. Cfr.Bernardo Segni, 1, p.192-198. Filippo de' Nerli, I. x1, p. 283, 285. Cfr. Storia di Giovan Battista Adriani, 1, p.11. Continua l'Adriani le storie del Guicciardini, che finiscono alla morte di Clemente VII. V. Benedetto Varchi, cit. l. xiv, p. 143-219 e 224.
13. Lettere. Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, cit. Cfr. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de' suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864. «Probabilmente questa del Marini è una napoletanata bella e uona. Non si era più ai tempi in cui un libro costava tanto che per comprarlo bisognava vendere un podere, come accadde all'erudito Antonio Panormita».
14. Lettere. Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, cit. Virgili. Cfr. Giuseppe Ninci, Storia Dell'Isola Dell'Elba, cit. Cfr. Francesco Inghirami, Storia della Toscana, in sette epoche distribuita, Volume 12, Tipografia Fiesolana, Firenze 1843.
In una lettera a Carlo V, in particolare, i fuorusciti di Firenze alencarono minutamente gli eccessi del Duca, compresa l’accusa ben precisa di aver fatto avvelenare «Bernia, poeta perchè rifiutò di portare il veleno a Salviati», a opera del Cardinale Cibo, indi il Cardinale Innocenzo de’ Medici mentre stette per raggiungerli, eliminando fisicamente i parenti avversari.
Dice Virgili che «tra le lettere del Busini al Varchi ne è una, il cui autografo si conserva nella Biblioteca Nazionale di Firenze, codice 88, palchetto III de' manoscritti Magliabechiani, da carte 150 a 153 del Codice stesso. In cotesta lettera si narrano minutamente le accuse date dai fuorusciti fiorentini contro il Duca Alessandro de' Medici, a Napoli, nel 1536, alla presenza dell'Imperatore. E tra le altre particolari accuse che a me non importano, si legge nella detta lettera questa: «L'avere fatto avvelenare il cardinale Cibo il Bernia poeta perchè rifiutò di portare il veleno a Salviati».
Vedasi ora se io ebbi ragione di dire che una non so quale fatalità sembra avere avuto fin qui la sua parte a nascondere il vero di questa bella e nobile morte del Berni. Della quale poco mancò non facesse perdere l'anno una lettera del Casa, per esserne stata letta male e male stampata la data: lo stesso presso a poco è accaduto di questa preziosa testimonianza del Busini, la quale dava tanta luce sul modo, sulle ragioni e sugli autori della morte medesima. Debbo innanzitutto premettere che l'autografo di questa lettera è molto difficile a leggersi, non tanto per il carattere, quanto per l' inchiostro di mala qualità che in qualche punto è quasi affatto scomparso.
La lettera fu per la prima volta pubblicata nel 1861; e non potè non essere bene stampata, avendo cura di quella edizione una egregia persona, di queste cose dottissima, e a cui, con quello che fin qui si sapeva del Berni, nessuno vorrà certamente far carico, se le sfuggì che in quelle poche parole intorno al Berni medesimo era proprio la chiave del mistero che ha per più di tre secoli e mezzo avvolto la morte di lui. Il fatto è che la lettera, bene intesa e bene stampata in ogni altra sua parte, in quel punto proprio dove si tocca del Berni fu stampata così: « L'avere fatto avvelenare il cardinale Cibo; il Berni poeta, perchè rifiutò di portare il veleno a Salviati. Quel punto e virgola, che non è sull'autografo, fa del reverendissimo Cibo una vittima invece di un boia, com' egli in questo caso fu veramente; quel punto e virgola costringe ad intendere che tra le accuse date al duca Alessandro fosse anche quella di aver fatto avvelenare prima il cardinale Innocenzo, poi il Berni poeta, e via discorrendo. La mala sorte del Berni doveva proprio perseguitarlo, come ognun vede, lunghi anni, e speriamo che d'ora innanzi non lo perseguiti più. Ved. l'Avvertimento premesso alle Lettere di Giambattista Busini a Benedetto Varchi ec. per cura di Gaetano Milanesi, Firenze, 1861. Nel quale Avvertimento si riporta, a pag. v e segg., la supplica del Busini presentata al duca Cosimo dal vescovo Cibo.
Quanto poi al tentativo del vescovo stesso contro il duca Alessandro, ne parlano tutti gli storici fiorentini, e più distesamente il Varchi (Lib. XIV, §50), il quale dice essere stato scoperto nell'agosto 1535. Il Berni era già morto da tre mesi, e conoscendo l'animo suo e come se la passasse in questi mesi col cardinale Ippolito, diventa affatto impossibile ch'ei fosse a parte di quel tristo disegno, come pure alcuno ha voluto alla cieca accennare.
15. Relationi politiche diverse di Napoli, Sicilia, Malta, Ferrara, Florencia, Genova, Venecia y Savoya [Manuscrito], pag.55, BNE. Relatione del clarissimo Lorenzo Priuli, tornato ambasciatore dal Duca di Fiorenza serenissimo Principe, et Eccellentissimi Signori. Così Priuli: - Sendo nella legatione di Fiorenza commessami per gratia della Serenità Vostra, et delle Signorie Vostre Illustrissime le diedi conto per mie lettere degli offitij fatti, et di tutto ciò ch’all’hora m’occorre, hora per adempire l’ultima parte di essa mia legatione in osservanza dei Santissimi ordini della serenità vostra, è necessario ch’io l’esponga brevemente quel tanto ch’io ho potuto intendere delli stati di quel delle sue forze, et di tutte quelli altre qualità, et conditioni, che possono venire in consideratione per servitio suo, la qual relatione per nuova, et di nuovo Prencipe, et per continer in se molto gravi considerationi, cossi come sarà alla Serenità Vostra, et alle Signorie Vostre Eccellentissime, per quanto io credo utile, et gratia, così sarà riferito le cose di quel Prencipe in questo luogo, et havedo ancora havuto poco tempo d’informarmee in una cosa ben prometto di sodfisfare cioè nella brevità, perché quanto più succintamente potrò, dimostrerò prima con che forze, et con che consiglio governi S.E. quel stato, poi con considerandolo in rispetto degli altri potentati, discorrirò sopra l’intelligenze che egli ha con gli altri Prencipi, et finalmente sopra la dispositioone dell’animo suo verso questa Serenissima Repubblica.
16. Vincenzo Fedeli, Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, MSS inedito. Cfr. Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS. Capponi, Cod. I, pag. 209-315. Il Moreni cita questa Relazione come stampata dal Cambiagi nel 1775. A me, in Firenze, non è venuto fatto di rinvenire un solo esemplare di tale edizione. Cfr. Pietro Giannone, Istoria civile. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255. Cfr. Aldo Manuzio, Vita Di Cosimo De'Medici, Primo Gran Dvca Di Toscana, Firenze 1586.
17. Aldo Manuzio, Vita Di Cosimo De'Medici, Primo Gran Dvca Di Toscana, Firenze 1586.
18. Baccio Baldini, Vita di Cosimo Medici: primo gran dvca di Toscana, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18. Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18.
Cosimo sarà eletto Duca della Repubblica Fiorentina, allorquando, compiuti i 17 anni, il suo signore fu ucciso di nascosto da chi sosteneva la fazione avversa, composta da molti esiliati, tornati e unitisi ai ricchi avversari, favoriti di nascosto dai mercanti siti in altri stati, a loro volta aiutati da Papa Paolo III a sollevare la città quanto prima. Ma per il «Senato doue si ritrovaua anche il Cardinal Cibo, cio che fusse da fare per la saluezza della Città in si pericoloso et travagliato stato di quella prestamente con consentimento concorde tutti dissero che non si poteva trovare ne migliore ne più ficuro rimedio per trarre la Città di quei pericoli nei quali ella all'hora si ritrovava che far Prencipe di quella il Signor Cosmo, et così nel palagio dei Medici fù eletto Duca della Republica Fiorentina da tutti quei Senatori che all'hora gl'eran presenti ad una voce il Signor Cosimo di sopradetto con allegrezza et uniuersal contento di tutta quanta la nostra Città, et vscì della stanza nella quale era ragunato il Senato M. Francesco Guicciardini che era uno de i Senatori et lo venne à trovare nella stanza dove e gl'era & glidisse che il Senato l'haveva eletto Prencipe della patria sua, et quindi lo condudde nella stanza dove egli havea lasciato il rimanente del Senato». E fattolo sedere su una sedia «apprestata pur perciò, et dal Cardinal Cibo gli fù confermata per parte di tutto il Senato l'elezione» e «fattogli prometter con giuramento l'osservanza de gl'ordini et delle leggi della Città».
19. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS in originale.
20. Francesco Inghirami, Storia della Toscana, in sette epoche distribuita, Volume 12, Tipografia Fiesolana, Firenze 1843.
21. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore.
22. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Alessandro morì poco dopo, quando, fidandosi di Lorenzo de Medici, «andando con lui di notte a suoi amori, s’assicurò di mettersi in letto solo, in casa di detto Lorenzino», ma «fu da lui assalito, e morto, e in suo luogo, dagli amici di quella casa fu eletto Cosmo de Medici».
23. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.214; ivi, pag.X e segg. V. nota. Cfr. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733,
24. Summonte, cit., pag.232 e segg.; Summonte, cit., pag.65 e segg., Summonte, cit., pag.84 e segg. Il primo moto insurrezionale del Sud, fomentato dall’idea di libertà lanciata dai Francesi, era stato quello dei fratelli Imperatore (1523), fallito nell’intento di togliere la Sicilia alla Spagna per consegnarla a Marcantonio Colonna. Soffocata la congiura, coi capi mandati alla tortura, le acque del Mare Inferiore si erano calmate per dieci anni, prima di alimentarsi nuovamente all’arrivo di Lautrec nel Regno di Napoli. Fallita la spedizione francese, durò a lungo la vendetta degli Spagnoli contro chi si era schierato a favore del nemico. Il conte Enrico di Venafro venne accerchiato nel suo castello da 300 cavalieri. Condotto a Napoli, sarà decapitato nel 1528. Il popolo abruzzese dell’Aquilano, stanco delle continue vessazioni giungerà alla rivolta (1528), soffocata (1529) dal Vicerè d’Orange, accampatosi presso Fossa con un esercito di 2.500 Lanzichenecchi. Arresasi, la città di Ocre, dovette sottostare al Tallione, ossia all’obbligo di dover pagare 120.000 ducati. Subì l’impoverimento proprio dai saccheggi contro cui si era ribellata non essendo in grado di pagare il riscatto, costretta a ricorrere al prestito di ricchi mercanti, tra cui Francesco Incuria ed Angelo Sauro, sfruttatori di molte popolazioni aquilane. A seguito della “invasione et occupatione del regno da Francesi” si era inasprito anche il rapporto con gli Ebrei, i quali, non avendo più il tempo necessario per il dialogo, “foro perseguitati et sachigiati et andaro dispersi che non posseano stare securi né fare loro industrie”; Summonte, cit., pag.84 e segg. Il Vicerè Don Pedro da Toledo arriverà ad emanare un editto (1533) per stabilire l’espulsione entro sei mesi per chi non si convertiva; in caso contrario comandava di emigrare a “maschuli et femine, piccholi et grandi, non exceptuandone alcuno”, minacciando di farli diventare schiavi con la confisca dei beni mobili ed immobili. Città e sudditi del Regno, che avevano necessità degli usurai ebrei per far fronte ai debiti contratti per il riscatto, non mancarono di protestare per difenderli, asserendo che dal 1520 essi campavano più “modestamente et subvenuto li populi in loro necessità”, grazie ad un primo compromesso, quando la delegazione delle giudecche pugliesi insieme ai proti della giudecca di Napoli, capitanata da Don Samuele Habravanel e dal procuratore Vitale di Maestro Iosep della giudecca di Giovinazzo, sottopose una proposta di accordo al Regio Collaterale Consiglio ai fini della permanenza nel Regno. www.comunediocre.it. Ocre stessa nel 1530 deve pagare a Francesco Incuria 1.600 ducati. Oltre alle conseguenze economiche appena descritte all’Aquila viene tolta la giurisdizione dei castelli del contado che vengono infeudati, e quello di Ocre viene concesso dal 1529 al 1554 per 250 scudi all’alfiere del Marchese del Guasto, Domingo Lopez d’Azpeitia; Summonte, cit., pag.84 e segg. Nel 1534 il viceré di Napoli don Pedro di Toledo conferma, per 20.000 ducati, la vendita del feudo concesso dal principe d’Orange, al barone d’Ocre Lopez d’Azpeitia dandogliene il possesso dei castelli, degli uomini, delle case, delle vigne, delle terre coltivate ed incolte, dei boschi, dei pascoli, dei forni, dei macelli, della caccia, delle acque, dei mulini, dei passaggi, dei pedaggi, delle fide, dell’imposizione di gabelle e dell’amministrazione della giustizia nelle cause di prima e seconda istanza; N.Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, Torino 1915; La presenza ebraica in Puglia, cit. Doc. N.43. Gli ebrei della giudecca di Bari nominano Vitale di maestro Iosep, abitante in Giovinazzo, loro procuratore con l’incarico di recarsi a Napoli e lì insieme con Samuel Habravanel e i proti della giudecca di Napoli, negoziare con il Vicerè o con il Regio Collaterale Consiglio le condizioni per la loro permanenza nel Regno di Napoli; Summonte, cit., pag.84 e segg.
25.Privilegii et capitoli, cit. Geronimo de Albertini è regio auditore provinciale di Capitanata e Comitato Molisio nel 1530. Nel 1535 il Marchese del Vasto è Principe di Salerno e Bisignano con Pedro de Toledo Viceré del Regno, Duca Dalve Conte di Benevento ed altri, Marchese del Vasto, Principe di Molfetta, Principe di Melfi, Duca di Gravina, Duca de la Tripalda, con “Sindaci delle provintie città & Terre demaniali, riuniti in San Lorenzo per il parlamento generale del Viceregno. Fra gli elettori da presentarsi in parlamento l’imperatore Carlo dové vistare anche una sentenza emessa dalla magna curia di cui faceva parte anche il milite consigliere regio Giacomo Antonio Cesarino di Civitate Nola e il magistro giustiziario Giovanni de Pascali e Martolomeo Maxus Vid e consigliere anch’egli davanti alla magna curia napoletana, sotto Alfonso d’Aganona de Piccolomini magister justizia, dux Amalfi e Marchio Capistrano e Celano nel 1338 e Comes Regio Cola. che sottoscrive l’atto.
26. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007. Il Viceré iniziò le riforme (dando il via all’espulsione degli ebrei), proprio come quelle a cui diede vita Papa Paolo IV riformatore a cui seguì, nel 1555, la decisione dell’imperatore di dividere tutto fra i figli: il trono a Ferdinando, la Spagna e Napoli a Filippo II. Cfr. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769,pagg.422-425. Opere primarie in Napoli furono il nuovo Palazzo Reale dell’architetto Domenico Fontana, il Palazzo degli Studi (attuale Museo Archeologico Nazionale), i rinascimentali palazzi Orsini, Marigliano, Corigliano, la completa trasformazione della Certosa di S.Martino, il barocco Palazzo Donn’Anna, la chiesa del Gesù Nuovo ricavata dal Palazzo rinascimentale dei Sanseverino e decine di nuove chiese barocche nate dalle ceneri di precedenti edifici. “Le trasformazioni urbanistiche dell’età vicereale consistettero in un ampliamento della città soprattutto verso occidente, il che richiese nuove mura la cui costruzione, iniziata nel 1533, continuò oltre il 1547.
Del programma del vicerè Pedro de Toledo fece parte il tracciamento della via che porta il suo nome, l’edificazione degli adiacenti “quartieri spagnoli”, insediamento a scacchiera, destinato all’alloggiamento delle truppe vicereali. Furono inoltre previsti la ristrutturazione del porto e dei sistemi idrico e fognario. Altro importante fenomeno fu il sorgere, a dispetto del divieto imposto dalle prammatiche reali del 1566, di una serie di borghi extramurari: S. Antonio Abate e Loreto ad Est, i Vergini a Nord, l’Avvocata a Nord-Ovest e Chiaia a Sud-Ovest”. Don Pedro, morirà a Firenze il 2 febbraio 1553 e sarà sepolto in quel Duomo, senza poter riuscire a vedere per l’ultima volta il monumentale sepolcro fatto costruire nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli in piazza del Castello.
Fra i suoi uomini migliori vi fu sicuramente Giangiacomo d’Acaya, esperto in architettura e matematica, al quale “vengono riconosciute brillanti intuizioni di tattica militare, grande esperienza in problemi balistici e di strategia equestre e approfondite conoscenze della nuova tecnica delle fortificazioni bastionate che si andavano sempre più sviluppando con i progressi della artiglieria, dopo l’invenzione della polvere da sparo”.
L’opportunità per affermarsi definitivamente Giangiacomo la colse nel 1528 quando i francesi erano penetrati nel Salento. Si oppose all’invasione con 500 mercenari albanesi alla guida del Marchese Castriota, unitamente ad altri signori locali, offrendo “uomini, cavalli e spada”. La sua vittoria fu così eclatante che Carlo V volle incontrarlo a Napoli, lasciando incompiuto il viaggio sotto l’arco trionfale di Lecce, perchè aveva saputo del suo efficace metodo di fortificazione. Il fiore all’occhiello era proprio nel suo feudo di Segine, dove aveva sviluppato una nuova tecnica difensiva contro i Turchi, mettendo in pratica gli studi sulle fortificazioni e divenendo Ingegnere Generale del Regno. Peccato che finirà i suoi giorni da prigioniero, proprio nelle segrete del Castello di Lecce che egli stesso aveva costruito. T. Megale, Sic per te superis gens inimica ruat. L’ingresso trionfale di Carlo V a Napoli (1535), Atti del Convegno Carlo V Napoli e il Mediterraneo, Archivio Storico per le Province Napoletane, Napoli 2001; www.regionecampania.org. L’architetto Francesco Grimaldi rifece le chiese di S.Paolo Maggiore, dei SS.Apostoli, S.Maria degli Angeli a Pizzofalcone, seguito da Cosimo Fanzago (chiesa dell’Ascensione a Chiaia, S. Maria degli Angeli alle Croci, di S. Ferdinando, S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone, di S. Giorgio Maggiore, di S. Giuseppe delle scalze a Pontecorvo, di S. Teresa a Chiaia), da Arcangelo Guglielmelli (S.Giuseppe dei Ruffi e la Biblioteca dei Gerolomini) e da Frà Nuvolo (chiesa di S.Maria di Costantinopoli, di S.Maria della Sanità e di S. Sebastiano). Per una biografia del Vicerè, cfr. www.geocities.com, Nicola Garofalo, La Grande Napoli. Toledo aveva trasformato la vecchia Segine in una fortezza inespugnabile, con baluardi, fossati e un nuovo castello ribattezzato col suo nome in Acaya, a lavori ultimati, nel 1536, quando il Vicerè gli affidò la fortificazione costiera (1537) insieme ad Alarcon Marchese della Valle Siciliana e Melfi, nonché Capitano Generale del Regno. Ai due era stato affidato il compito di ispezionare, unitamente al Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, i castelli di Napoli, Aversa, Capua, Nola, Pozzuoli, Baia, Ischia e Capri. Per Ferrari Carlo V riteneva Giangiacomo “uomo di alto ingegno, e valore, e per buonissimo architetto”, elevandolo, come scrive Don Vittorio de Prioli ad “ingegnere generale del Regno di Napoli e già in Napoli stessa si vedono le sue fortificazioni e per tutte le marine di questo regno”.Acaya, insieme ad Escrivà e Menga, realizzò le nuove mura di Castro, Barletta, Copertino, Mola, Galatina, Molfetta, Parabita e Gallipoli, dove si vede una sala ennagonale, come quella del castello di Acaya, giungendo a Lecce nel 1539, divenuto nuovo capoluogo, redigedo un apposito progetto per la nuova fortezza, affidando l’esecuzione dei lavori a Guarino Renzo, e (1548) per l’Ospedale dello Spirito Santo e l’Arco Trionfale di Porta Napoli. Ma i suoi impegni furono soprattutto per Castel S.Elmo a Napoli, Sorrento, Capua e Cosenza e alla muraglia di Crotone, su indicazioni del Vicerè che lo utilizzò fino alla morte, quando si ritirò nel suo feudo di Acaya si ritira, attorniato dai nobili locali, dal Governatore Loffredo e dai figli, due dei quali, Francesco Maria ed Isabella, vengono spediti rispettivamente nel monastero delle chiariste e nel convento di francescani di Lecce, mentre, proprio ad Acaya edifica per gli osservanti il monastero di S. Maria degli Angeli ai quali finisce poi per cedere anche il suo palazzo di Lecce, finito indebitato per una fideiussione messa (1570) a favore dell’esattore doganale di Puglia e Basilicata delle imposte sugli oli e sui saponi, portandolo, per la gravosa insolvenza, perfino prigioniero nelle segrete del Castello di Lecce che egli stesso aveva realizzato e dove sarebbe morto. V. Mario Mangione, da: www.acquaricadilecce.it.
27. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg. 47-53.
28. Summonte, cit., pag.145 e pag.90 e segg.
29. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg.53-54.
30. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.70.
31. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.XI e segg.
32. Antonio Doria, Cit., pagg. 58-59.
33. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
34. Antonio Doria, Cit., pagg.58-59.
35. Summonte, cit., pag.232 e segg.; erorelli, cit.; Summonte, cit., pag.98 e segg.
36. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
37. Così comincia uno dei due sonetti di Torquato Tasso. A.F.Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.XI e segg.
38. Camillo Minieri Riccio, Catalogo di MSS della Biblioteca di Camillo Minieri Riccio, vol. I e vol. II, presso Giuseppe Dura, Napoli 1868. Contenuti relativi al libro n.33
39. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de' suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864.
40. Celio Malespini, Ducento nouelle del signor Celio Malespini, fu pubblicata in Venezia nel 1609.
41. Giovanni Boccaccio, Libro Di Messer Giovanni Boccaccio Delle Donne Illustri, Giunti, Firenze 1596.
42. Modesto Rastrelli, Storia d'Alessandro de' Medici primo duca di Firenze, II, dato alla stamperia di Antonio Benucci e compagni per Luigi Carlieri, Firenze 1781.
43. Ivi.
44. Gino Capponi, Carlo Milanesi, Catalogo Dei Manoscritti Posseduti Dal Marchese Gino Capponi, Galileiana, Firenze 1845.
45. Rastrelli, cit.
46. Ivi.
47. De Nerli, cit.
48.Iacopo Nardi, Istorie della città di Firenze di Iacopo Nardi, 2, Volume 2, Firenze 1838-41. Cfr. Varchi, III, a cura di Lelio Arbib, cit. V.Orazione de' Fuorusciti Fiorentini a Carlo V, in Napoli.
La Repubblica Fiorentina ti saluta, invittutimo Imperadote come giusto arbitro de' Cristiani Reggimenti, e della nostra Repubblica particolarmente eletto, ti visita, e prega reverentemente Tua Maestà, e umilmente a quella supplica, che come in memoria dei tempi passati, cosa più che altro degna d'un Principe generoso qual sei tu, il quale in questi secoli, più che alcun altro di ciò il grido porti, e come benigno, e clemente degni le giuste sue querele udire, le quali con somma brevità raccontare intendiamo alla tua Maestà, non tanto per nostro comodo, quanto per giustificazione delle molte calunnie a quella Repubblica attribuite, e con astuzia, e arte a tua Maestà referite da colui il quale occuparla insendeva, come ha mostro il fuccesso della cosa.
Onde noi ti preghiamo, clementissimo Cesare, che con animo libero, e benigno ti degni le nostre giustificazioni udire; perocchè per ciò Iddio due orecchie ne ha concesso, acciocchè con una udiamo le accase, e coll’altra le giustificazioni, Laonde se tua Maestà giudica esser lecito a quelli i quali sono incolpati giustificarsi, desideriamo impetrare da quella, che a noi sia permesso di mostrare quanto la nostra Città sia a torto in estrema necessità di miseria condotta, e come noi da quella fossimo ingiustamente cacciati, e come senza giusta causa siamo continuamente perseguitati.
La qual cosa narrare intendiamo, non per notare alcuna persona, nè per disputarla in questo luogo, ma per muovere con qualche cagione il benigno animo di tua Maestà a compassione dello insortunio nostro, e della forte miserabile della nostra Città.
Dappoi questo, intendiamo dimostrare a tua Maeftà il grande onore che è per rifultare della salute di quella Repubblica e della nostra restituzione alla patria, e conseguentemente tanta utilità, che di gran lunga supera l'onore; e se i pochi son quelli che questo dicono, e che credono, rispondiamo: a pochissimi è data la cognizione del vero in quelle cose, le quali in se ritengono alcuna ombra di difficoltà; siccome ascoltandoci tua Maestà ci rendiam certi, quella come capacissima di ragione, e ella per sua benigna natura inclinata, dovere sodisfatta rimanere.
Non è nostro propofito in questo luogo l'essere solleciti intorno all'onorato parlare, o curiosi in ricercare vocaboli squisiti, come molti fanno; ma siccome filosofi veramente quello dimostrare intendiamo che a tua M. sia glorioso, e utile, piuttosto che come oratori lusinghevolmente con adulazione quello che a nostro benefizio, e comodità resulterebbe persuadere la Repubblica Fiorentina, la quale noi sappiamo da te essère amata, giustissimo Imperadore, e la quale tu forte pensi, che regni perchè così apparve, e manifestamente si vede, che fu la volontà tua, quando nell'arbitrio di tua Maestà essersi rimessa intendessi, ti fa noto come non solamente non le è stato osservato, nè patto nè convenzione alcuna di quelle che per i tuoi Agenti, e Ministri con tanta solennità furono tra lei, e il Papa, che di Clemente mai altro che il nome ritenne, ragionate, e confermate, perocchè non dimenticò come promesso aveva le offensioni, secondo che a lui pareva ricevere, fe offensioni si devono chiamare le assezioni della patria, la dolcezza della libertà, l'amor de' figliuoli, l'onor delle donne, la conservazione delle proprie sostanze: ma come prima la potè comandare non dubitò le sacrate mani nel sangue imbrattare de' giusti cittadini con tante pene e tormenti, straziati, più che Falari, Messenzio, o Dionisio crudeli tiranni che giammai credo usassero simili; dopo questa scelleratezza si volse al duro esilio, e quanti ingiustamente sieno stati dalla patria cacciati, e de' loro beni miseramente spogliati, perchè tutto il mondo li ricetta, non prenderemo cura di raccontarli.
Molti altri però furono alcun tempo confinati, li quali benchè avessero pazientemente obbedito, e appieno i confini osservato, furono nondimeno dinuovo confinati, e con peggior condizione, e maggior pregiudizio, che prima non erano aggravati, per farli morire, come è intervenuto a dimolti; ma non riuscendo di tutti volse Alessandro l'atroce animo fuo a un crudelissimo, e barbaro disegno, e del tutto inumano di farci morire di morti violente, promettendo per bandi pubblici grandissimi premi a chiunque alcuno di noi, o con ferro, o con veleno ammazzasse; presso a questo si gettò alle rapine delle altrui sostanze, in che è stato tanto strabocchevolmente rapace, e empio, che la innocenza de' piccolini fanciulli non ha in lui avuto forza alcuna di muoverlo a pietà pur di tanto patrimonio, che possano vivere: anzi è tanto avanti proceduto, che alle misere femmine usurpato há le doti, dando a loro una piccola dispensa per la vita, e tanta poca, che appena si possono sostentare, cosa non mai per l'addietro udita, non che usata; perchè gli antichi tiranni ancora che crudeli fossero, e senza religione, non però si trova che fossero tanto inumani, che assicuratisi de' padri perseguitassero gl' innocenti figliuoli, e che spenti li mariti, le doti usurpassero alle donne povere, e miserabili, usate sempre d'essere avute in compassione, e protezione; nè sazio per queste, e per altre simili crudeltà, quali per non infastidire le grate orecchie di tua Maestà passiamo con silenzio, tu meglio che alcun altro hai potuto conoscere il miserabile animo suo, secondo la potenza tua.
Benchè invano da lui più volte ricerca di quelle cose, le quali non che convenienti state fossero a un Papa metterle a effetto, come disegnava, ma sarebbono state in qualunque scoperto tiranno pure a pensarle inique, e crudeli giudicate al cui disonesto desiderio, non avendo tu come giusto Imperadore voluto confentire, si volse secondo sua natura alla fraude, tentando con astuzia, e arte per il proposito suo nuovi favori, lasciando te, e accostandosi ad un altro, il quale dipoi lasciato avrebbe, e ritornato a te, come per lo passato più volte fatto aveva, secondo che meglio l'intento suo credeva conseguire; e tanto precipitosamente si lasciava dallo sfrenato suo appetito trasportare, che per faziar quello, non si ricordava, come ingrato, de' molti benefizi dalla tua M. ricevuti, nè teneva conto della promessa fede, come quello che informato di una certa opinione volgare usava dire, che il desiderio in qualunque modo ottenuto era laudabile, e che la fede delle leggi fu da principio trovata per la obbedienza, e osservanza dei popoli, e non perchè tra loro se ne dovesse tener conto.
E chi altrimenti se ne governava, viveva all' antica, come che li uomini valenti, e buoni meritano manco laude e manco si debbono apprezzare, che li valenti, e cattivi.
Finalmente morì, e con sodisfazione di tutto il mondo, a cui è successo nella misera Città nostra uno che per natura, e per costumi non è punto a lui difforme, ma è bene in tanto peggior grado, in quanto che lui non può dire chi suo padre fosse, e la madre per sua viltà non vuol conoscere.
Anzi l'ha si grandemente in odio, che pur della vita necessaria non si degna sovvenirla, sendo lei di tutti li bisogni poverissima.
Costui seguitando le vestigia del Papa, che voleva dall'inclemente essere chiamato Clemente, tanto è di lui più crudele, e inumano, quanto di tiranneggiare ha manco sperienza che non era in quello.
Costui, o umanissimo Imperadore, ha condotta la più bella Città d'Italia in termine, che di Città no le resta più altro, che il nome; conciosiachè di civiltà non vi sia più segno alcuno; perocchè de' cittadini una parte ne ha crudelmente morti, e continuamente ne ammazza, una parte ne ha cacciati, è quelli che vi restano talmente ha sbigottiti, e avviliti, impoveriti, e disuniti, che pure tre non ardiscono di ragunarsi insieme a ragionare.
L'autorità pubblica tutta l'ha ridotta in se quivi non si riconosce nobiltà, non è stimata virtù, anzi quelli che per qualche buona qualità sopra gli altri appariscono, sono maggiormente perseguitati.
Quelli che più s'affaticano per loro, sono manco apprezzati, e più ributtati; quivi finalmente non si pensa, che ad abbassare la nobiltà, e spegnere la virtù, la Città rovinate: l’entrate pubbliche servono al comodo suo proprio, e anche peggio; e perchè quelle alle smoderate spese sue non suppliscono, le sostanze private continuamente per molti modi straordinari, e violenti usurpa, e rapisce, calunniando oggi uno, e domani un altro, o di pratiche tenute co' fuorusciti, o di congiare contro di lui immaginate, in tanto che essende allevato in vita rapace, non li mancano mai cagioni d'occupare quel d'altri, e ch'è maggior cosa e propriamente diabolica, che d'alcuno vuole indovinare i segreti del cuore; onde per forza di tormenti ha costretto molti a confessare quei delitti che da' suoi Ministri sono slati messi loro in bocca, talchè ne hanno perduto la vita, e di eredi la roba, o per minor male sono stati condannati alle Galere, o hanno sopportato perpetua carcere; e quanto uno è più ricco, tanto è maggiormente la sua rovina procurata, di maniera che molti per salute della vita, volontariamente lasciano la roba, e abbandonano la patria con intenzione più per niente tornarvi, mentre che Alessandro la comanda.
49. Cicogna, cit. «Per avere una fedelissima traduzione di questo libro ebbi ricorso al cortese amico mio sig. Luigi Frollo interprete della lingua tedesca presso l'I. R. tribunale di appello generale». Cfr. Celio Malespini (1531-1609?), Ducento novelle del Sr Celio Malespini, nelle quali si raccontano diversi avvenimenti cosi lieti come mesti et stravaganti, con tanta copia di sentenze gravi, di scherzi e motti, Venezia 1609, pagg.278-280.
50. Silvio e Ascanio Corona, cit., pagg.280-330
51. L.Domenichi, Istoria varia, in Venezia, Giolito, 1565, 1. XII; Lodovico Domenichi, Historia di m. Lodouico Domenichi, di detti et fatti notabili di diuersi principi, et huomini privati moderni, Gabriel Giolito de Ferrari, Venezia 1556.
52. Modesto Rastrelli, Storia d'Alessandro de' Medici primo duca di Firenze, II, dato alla stamperia di Antonio Benucci e compagni per Luigi Carlieri, Firenze 1781.
53. Varchi, cit.
54. Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, a cura di: G.Gravier, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, Gravier, Napoli 1770. Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Biblioteca Brancacciana (III, A, 9); Capasso, Codice Vaticano latino (11 -735), Ristoria delli rumori di Napoli; Salvatore Nigro, Dizionario Biografico degli Italiani. Anonimo, Manoscritto inedito su Antonino Castaldo. Estratti in copia di autore ignoto, fedeli all’originale e pubblicati per la prima volta a stampa. Stesura c.a. anno 1580. D’ora in avanti: Anonimo, Manoscritto inedito. Esso è simile, ma differisce in alcuni particolari inediti, dalla copia letta da Gravier e firmata da Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Ma l’inedito non è stato scritto dalla stessa persona, perché il linguaggio da diurnale dell’Ignoto appare antecedente a quello del copista Castaldo di circa 50 anni, seppure manomesso e storicizzato da Gravier. Pertanto, allo stato, risulta non esatto dire che Ignoto e Castaldo siano state la stessa persona. Ragione per cui, il MSS inedito, da noi consultato in copia originale, certamente differisce per terminologia e orientamento politico (chi è filofrancese, chi filospagnolo) e pertanto si resta dell’opinione che il testo dell’Anonimo, precedente e più genuino, non possa essere stato scritto dal Castaldo, il quale, sicuramente da esso attinge in un secondo momento.
C’è da aggiungere, infine, che il MSS primario può non essere neppure quello dell’Ignoto, il quale, come Castaldo, attinge gli episodi più antichi da altri, essendo state rinvenute in successioni copie di diverse cronache più o meno simili. Cfr. Capasso, Ristoria delli rumori di Napoli, Mss, in: Codice Vaticano latino (11 -735), ex Biblioteca Brancacciana (III, A, 9).
V. Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, a cura di: G.Gravier, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, Gravier, Napoli 1770. Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Biblioteca Brancacciana (III, A, 9); Capasso, Codice Vaticano latino (11 -735), Ristoria delli rumori di Napoli; Salvatore Nigro, Dizionario Biografico degli Italiani.
Dice l’Anonimo trascrittore di Castaldo che nel corso della cerimonia delle nozze di Alessandro e Margherita accadde il primo contrasto ufficiale dei nobili di Napoli con il Viceré. Così raccontra: - Il Marchese del Vasto ordinò a Don Antonio d’Aragona suo cognato, che con le donne se ne stesse in guardia di quelle, ma il Viceré che haveva del convita cura andando in volta, trovò Don Antonio staersene tra quelle donne, gli disse, che non era bene, che un huomo solom con tante donne se ne stesse è parì chi d’indi se levasse. Rispose Don Antonio che cossì dal Machese s’era stato ordinato, il Viceré replicò comandandoli che se levasse, Don Antonio replicò, che non se levaria, il Viceré disse, che lo manderebbe prigione.
Buon Re tengo vicino, soggiunse D.Antonio, che me potrà liberare, questi contrasti de parole venne alle orecchie del Marchese, il quale vi corse subbito, et voltandosi al cognto disse, che cosa ciè, Don Antonio rispose, il Viceré vole ch’io mi levi di cqua, allora il Marchese al Viceré rivolto con ira disse: non se levarà mai, il Viceré a lui: Sì; be si levarà.
Il Marchese portò la sua mano al pugnale, e mezzo sfrondandolo irato, le replicà. Don Pietro Don Pietro, a cui il Viceré rispose con la mano anche egli col pugnale, Marchese Marchese!
In questo entrò l’Imperatore e ripreso l’uno e la’ltro, lor comandò che s’acquetassero, la quale fu salemente estrinsecò, però che l’odio ne li cuori d’ammidoi perpetuamente rimase.
Pochi giorni dopoi li Signori del Regno quasi tutti congiuntali con ogni sforzo procurorno, ch’il Viceré fusso tolto via dal governo del Regno, fra li quali il Marchese del Vasto, et il Principe di Salerno non senza aiuto, et consiglio del Principe Antonio d’Oria, ci attendevano molto et questo perché il Toledo sempre ne le cose di questi doi Signori s’era mostrata difficile, e contrario, oltre che haveva lor tolto sotto pretesto de quisto governo nostro da la lloro potenza e libertà fu veramente granne l’autorità dell’adversarij del Viceré appò l’Imperatore.
Ma venute le feste de la Natività del Signore e creato eletto del Popolo Andrea Stinca attuale de la regia Camera vechio savio o che da volontà del popolo ciò fusse, o ch’egli dal Viceré ne fusse rechiesto, e sollecitato, ottenuta odienza particolare sa solo a solo di quella sentenza parlò a sua Maestà.
Il tuo popolo napolitano Cesare, la cui fedeltà verso Sua Maestà, e de li predecessori Re d’Aragona, in tante revolutioni, e turbulentie di guerre per tanti e tanti anni sempre fu chiara, et illustre, onde senza dubbio veruno la Città nostra tiene il titulo de fedelissima, ò de sussurrare, che li Signori nobili del Regno si sforzano di fare opra con la Maestà Vostra, che sia rimosso dal governo di questo il Viceré Toledo, dubitando di questo ha mandato me a li piedi di V.M. supplicandola resti servita d’intendere prima le poche cose, che ne occorreno, e per quelle deliberi, ciò che comanda, Già è cosa chiara e nota come per li tempi passati il popolo de Napoli sia stato daligrandi, e nobili spoverito, e mostratto, si insolenza de questi, sia detti con licenza di V.M. non solo nel Popolo, ma ne li capitanij de Giardia, e ne li satelliti della corte d giustitia, anzi insino a noi Viceri, e luogotenenti s’è tal nostra difesa con temeraria superbia, intanto, che tenendi arme infinite nei portici de le loroc ase, non temevan persequitare l’alguzzini, servili, e mostrarsi, et reciderli, e da loro mani li malfattori a forza volerli, e liberarli tener huomini di lane à fare ne le loro case a danno di questo, e di quello pubblicamente et alimentarli e defenderli dalla giustitia, li quali poveri artegiani conculcare, ingiuriare, ferire et in tutto e per tutto ogni giustitia dispregiare.
55. Dominici, cit. «Indi assistendovi i deputali, e governatori, creati per dirigere cosi allora la fabbrica, come poi la chiesa, ed assistendovi spesse volte lo stesso Viceré in persona, fu alla perfine compiuta nel 1548, come si sa dagl’istrumenti rogati per vari contratti, che dovettero farsi per la suddetta fabbrica; e fu la chiesa dedicata a S.Giacomo apostolo, e consegrata con molta solennità nel 1549».
56. De Nerli, cit.
57. Varchi, cit.
58. Ferrai. Cfr. Varchi; Segni, Rastrelli.
59. Luigi Alberto Ferrai, Lorenzino de'Medici e la società cortigiana del cinquecento. Cfr. Lett. di G.Vasari a Pietro Aretino del maggio 1536; ed altra lettera di lui de' 15 marzo a Rafael dal Borgo a S.Sepolcro. In: Opere di G.Vasari, Firenze Audin, libraio 1823 vol. VI, pag. 336 e segg. Per la descrizione delle feste celebratesi in Firenze per la venuta di Carlo V, cfr. anche la lunga lettera di Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, pubblicato da Cesare Gusti nel Giornale Storico degli Archici Toscani, vol. III, pag. 288 e segg».
60. Ivi.
61. Rastrelli, cit.
62. Ferrai, cit.
63. De Nerli, cit.
64. Ferrai, cit.Da un diario d'anonimo in un manoscritto del principio del sec. XVII, ms. Magliab. II, I, 313. «A dì 15 di maggio 1536 entrò in Firenze l'Imperatore Carlo Vo per la porta a S. Pier Gattolini, chè veniva da Roma, sendo alloggiato la sera dinanzi al Monastero della Certosa, dove l'andarono a incontrare tutti i Quarantotto, ed altri assai cittadini e cavalli, tutti vestiti con veste di drappo lunghe in sino in terra, e perchè con il Duca Alessandro andò Lorenzino de' Medici, non vi andò il signor Cosimo. Per il che l'Imperatore domandò dov'era il figliuolo del signor Giovanni. Il Duca disse che era restato a dietro; et mandò subito per lui.
65. De Nerli, cit.
66. Paolo Giovio, Istorie Del Suo Tempo, tradotta per messere Lodovico Domenichi, Volume 2, Domenico dei Farri, Venezia 1556, pagg.500-505. «Al 6 di Gennaio in Fiorenza da Lorenzo de' Medici fu commesso un delitto d'inusitato tradimento, et di gran crudeltà, havendo egli crudelissimamente ammazzato il Duca Alessandro, per il che io ho pensato, che sia necessario secondo l'instituto dell'opera mia raccontar brevissimamente quanto io potrò la cagione, e il modo di questa horribile impresa».
67. Ivi.
68. Rastrelli, cit.; De Nerli, cit.
69. Ivi. Cfr. Francesco Carlo Pellegrini, Gauthiez, Lorenzaccio. In: Archivio Storico Italiano, V serie, tomo 35, Presso Vieusseux, Firenze 1905. Cfr. Pierre Gauthiez, L'Italie au XVI siècle. Lorenzaccio (Lorenzino de' Medici), Albert Fontemoing éditeur, Paris 1904.Cfr. Luigi Alberto Ferrai, Lorenzino de' Medici e la società cortigiana del Cinquecento, Milano 1891.
70. Botta, cit. Cfr. Sigismondo de’ Sismondi, Histoire des republiques italiennes du Moyen Age, traduzione, tomo 10, Capolago cantone Ticino, Tipografia e libreria Elvetica, 1846.Le scritture originali vengono riportate da Benedetto Varchi: questa, dice egli, ebbe molto credito in Italia, 1. XIV, p. 229-230. Cfr. Benedetto Varchi, 1. xiv, p. 259. Cfr.Bernardo Segni, 1, p.192-198. Filippo de' Nerli, I. x1, p. 283, 285. Cfr. Storia di Giovan Battista Adriani, 1, p.11. Continua l'Adriani le storie del Guicciardini, che finiscono alla morte di Clemente VII. V. Benedetto Varchi, cit. l. xiv, p. 143-219 e 224.
71. Ivi.
72. Antonio Virgili, Francesco Berni: con documenti inediti, Le Monnier, Firenze 1831. Cfr. Varchi, Storia, Lib. XIV, § 25-26; Segni, Lib. VIII, pag. 320.
73. Varchi, cit. Cfr. Luigi Alberto Ferrai, Lorenzino de'Medici e la società cortigiana del cinquecento, Ulrico Hoepli, Milano 1891. «L'effigie di Lorenzino oltre che nella nota medaglia vedevasi in Padova in un medaglione dipinto a fresco nel chiostro delle monache di Betlemme, di proprietà degli Strozzi. Nel sacro recinto furono deposte le spoglie di uno dei figli minori di Filippo Strozzi, Giulio, alla cui educazione provvedevano in Padova madonna Alessandra de' Salvestrini, e Benedetto Varchi. Ivi rimase fin al secolo passato tra i ritratti di casa Strozzi, la severa immagine del tirannicida, non già ad eternare il ricordo di una gloria politica, ma a testimonianza di un affetto domestico comprato col sangue».

Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona cominciando prima dalli Re Aragonesi; Mss., Discorso IV: Don Giovanni d’Austria, pagg.79-162. Bartolommeo Capasso, Il Tasso e la sua famiglia a Sorrento ricerche e narrazioni storiche, Napoli 1866. Corona Silvio ed Ascanio, La verità svelata, Mss., Negli Amori di Don Giovanne d'Austria. Quaderno di not. Auriemma 1500 f. 74 v. Rep. f. 83 v. Prot. di not. Auriemma 1495-96 f. 56 v. Rep. f. 6; e Prot. 1525-26 f. 259. Rep. f. 760 v., Rep. f. 83 v. e 89 v.-Prot. di not. Coppola 1524 f. 23 v. Rep. f. 145. Acta visit. Archiep. Pavesii 1559. Bulla 1573 nel Bullar. vol. 1. Bartolomé Bennassar, Don Juan de Austia. Un heroe para un imperio, Temas de Hoy, Madrid, 2000, rif. Diana Falangola o Zenobia Saratosia. Salvatore Bono, L’occupazione spagnuola e la riconquista musulmana di Tunisi (1573-1574), v. Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 33, N.3, Sett. 1978, pag.359. Serge Brunet, Philippe II et la Ligue parisienne (1588), Revue Historique, T. 312, Fasc. 4 (656) (OCTOBRE 2010), p. 816. Philip II and Mateo Vazquez de Leca, The government of Spain (1577-1592) by A. W. Lovett, Review by Bartolomé Bennassar, Revue Historique, t. 261, fasc. 2, 530, Avril-Juin 1979, pag.482. he Royal Historical Society, Vol. 11, anno 1961, pagg.35-36. P. O. De Torne, Philippe II et Henri de Guise. Le debut de leurs relations (1578), Revue Historique, T. 167, Fasc. 2 (1931), pp. 323-335. Francesco Pata, Gaetano Gallo, Gianluca Pellino, Evolution of Surgical Management of Hemorrhoidal Disease: An Historical Overview, in: Frontiers in Surgery, vol. 8, 30 agosto 2021. Fausto Nicolini, Un'amante sorrentina di Don Giovanni d'Austria. Diana Falangola, Alberto Miccoli, Napoli 1934. Edouard Sylvène , Un songe pour triompher : la décoration de la galère royale de don Juan d'Autriche à Lépante (1571), Revue Historique, T. 307, Fasc. 4, 636, Ottobre 2005, pagg.821-848. P. O. de Torne, Don Juan d'Autriche et les projets de conquête de l'Angleterre. Étude historique sur dix années du xvie siècle, 1568-1578. T. II, Helsingfors, 1928. Cfr. sito Wikipedia, voce Don Giovanni d’Austria. Cfr. sito https://www.deamoneta.com/auctions/view/790/622; sulla medaglia v. Attw. 984; Hill-Pollard, Kress 635; Volt. 558. PB. 41.00 mm. Opus: G. V. Melon.
Giovanni Tarcagnota, Delle historie del mondo: lequali con tutta quella partticolarità, Volume 4. James Fitzmaurice-Kelly, Vita, letture e sorte di Miguel De Cervantes, il ‘padre’ inquieto di Don Chisciotte (1605). Cervantes prese parte a diverse battaglie davanti, fra cui quelle di Navarino (1572), Tunisi (1573) e la Goulette (1573). La minuta autografa dell’abate Francesco Maurolico (1494-1575), professore di Matematica presso l’Università di Messina, a Pietro Barresi, datata 11 settembre 1571, è indirizzata al Principe di Pietraperzia alla vigilia della battaglia di Lepanto. Si trova nel codice San Pantaleo 115/32 (cc. 40v-41r). La prima edizione risale al 1883 ad opera di Luigi De Marchi, Una lettera inedita del Maurolico a proposito della battaglia di Lepanto, Rendiconti dell’Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti, Serie II, XVI, 1883, pp. 466-467. L’edizione elettronica e in: www.dm.unipi.it/pages/maurolic. Ecco uno stralcio dalla lettera A lo Illustrissimo Signore di Petra preccia. Messina, Die 11 Septembris ante lucem 1571.Havendomi questa matina avante iorno risvigliato et recitato il S. Officio di laudi mi venne in mente in primo pregare l’onnipotente maximo et ottimo Dio, che non guardando li peccati nostri, ma per sua clementia si degni indrizare et prosperare la felice partenza di questo serenissimo et potentissimo S. Io. d’Austria: Il quale in questo memorando iorno da questa nobilissima cità, da questo capacissimo et notabilissimo porto ha da partire per seguir l’honorata impresa in favore de la Christiana Republica. Appresso mi parve di fare qualche complimento con lo Illustrissimo Signor mio principe di Petra preccia, et avisarlo, che se sua Illustre Signoria anchora si trova affettionata de le preciose et profunde scientie, come sempre è stata in questo suo discesso et sempre, non postponendo il coniugale amore de la Illustrissima Signora sua princepsa per lo cui amore si mette hoggi in camino, harìa conseguito il suo intento senza moversi di Sicilia...
Sullo stendardo del crocifisso v. Salinas, «Una relazione, scriveva Salinas, dei primissimi del Novecento, scritta «in caratteri del secolo XVIII ma evidente copia di un originale antico che più non esiste, trovo identicamente trascritta negli Opuscoli Palermitani del Marchese di Villabianca, tra le memorie ch'egli ivi raccolse della città di Marsala, intorno al 1780. E innanzi a lui l'ebbe sott'occhio il Sac. Angelo Genna, il quale, nel suo Annale cronologico della Città del Lilibeo, dopo di aver cennato alla Santa Lega e descrittone lo Stendardo con le parole stesse della Relazione, continua: - Il Generale venne in Marsala da Messina a 1o ottobre 1573 con 160 galee, entrò in porto, e disbarcato fece sollenne entrata; al quarto giorno, occorrendo la festività di S. Francesco, fu nella Chiesa dei PP. Cappuccini, come si legge in una lapide posta nella stanza pria della sagrestia sopra la porta che conduce alla Cappella maggiore e dopo altri giorni diede in dono al Venerabile Monastero di S. Girolamo lo Stendardo di Pio V. col Crocefisso, che si venera nella Chiesa sotto titolo del Crocefisso della battaglia. Ma più in là, tornando su l'argomento, l'Autore aggiunge: - Per quello che riguarda alla bandiera del Crocefisso benedetta da S. Pio V. Papa, di cui si è parlato a foglio 257, che si conserva iu questo Monastero nell'Altare primo dopo l'arco maggiore della Chiesa, son di parere che S. A. R. Don Giovanne d'Austria l'anno 1572 (sic) venuto in Marsala l'avesse data in dono al Cavaliere Margio, che dispose l'edifizio del Monastero nel suo testamento l'anno 1587, eseguito l'anno 1603, o pure al Magistrato, il quale per maggior venerazione lo ha posto in Chiesa. Ma si vede subito che, leggendo male l'originale, il copista mutò Parma in Renna. Il Villabianca a sua volta, copiando dalla copia, corresse in Renda». Antonino Salinas, Miscellanea di archeologia, storia e filologia dedicata al Prof. Antonino Salinas, Virzì, Palermo 1907. Paolo Paruta, Storia della Guerra di Cipro, libri tre di Paolo Paruta, Siena, dalla Tipografia di Pandolfo Rossi all'insegna della Lupa, 1827, lib. II, pag. 279; M. Gio. Pietro Contarini, Historia delle cose successe dal principio della guerra mosea da Selim Ottomano a' Venetiani, fino al dì della gran Giornata Vittoriosa contra Turchi. Descritta non meno particolare che fedelmente da M. Gio. Pietro Contarini, Venetiano, In Venetia, Appresso Francesco Rampazetto, Venezia 1572, f. 48. Uberti Folietae, De sacro foedere in Selimum libri quatuor. Eiusdem variae expeditiones in Africam. Eiusdem obsidio Melitae, Genuae 1575, lib. III, pag. 168. Tomaso Costo, Del Compendio dell'Istoria del Regno di Napoli, di Tomaso Costo Napolitano, Parte terza, aggiuntovi in questa ultima editione il Quarto libro che supplisce per tutto l'anno MDCX ecc. (In Venetia MDCXIII, Appresso i Giunti, lib. II, pag. 38. Jo. Ant. Gabutius, De vita et rebus gestis Pii V, Romae, 1605, lib. V, cap. I, pag.127. Cesare Campara, Delle Historie del mondo, Descritte dal sig. Cesare Campara, Gentilhuomo aquilano, volume primo, che contiene libri dieci: Ne' quali diffusamente si narrano le cose avvenute dall'anno 1570 fino al 1580. Novamente stampati ecc., in Pavia, appresso Andrea Viani, 1602, lib. I, pag. 34. Girolamo Catena, Nella Vita del gloriosissimo Papa Pio Quinto, in Roma, 1587, «descrive a pag. 170 «lo Stendardo di damasco rosso col Crocifisso e i SS. Pietro e Paolo consegnato a M. A. Colonna come Ammiraglio della flotta pontificia, ma non dice verbo dello Stendardo della Lega»: da Antonino Salinas.
Sul Crocifisso vaticano per la spedizione di Lepanto v. anche Luigi Napodano, Lo ‘stendardo’ della Lega di Lepanto a Don Giovanni d’Austria, in: AA. VV., Raccolta Rassegna Storica dei Comuni - Anno 1974, vol.6, Istituto di Studi Atellani, Atella 2010. Gaudenzio Dell'Aja, «14 agosto 1571», Un avvenimento storico in S.Chiara di Napoli, Ed. Giannini, Napoli 1971.