CERVINARA FRA 1700 E 1800
L’arrivo dei Francesi significò l’abolizione della feudalità, delle Università e la nascita del Municipio, con degli Eletti ed un sindaco alla guida dell’amministrazione. Non mancarono le liti presso la Commissione feudale tra ex feudatario, Comune e privati cittadini per il pagamento di tasse e diritti spesso finiti in disuso.
Ritornati i Borboni, anche i cittadini di Cervinara si sentirono in dovere di partecipare ai moti del 1820-21 e a quelli del 1848, dando un valido contributo all’Unità d’Italia. Un servizio alla giusta causa offerto anche dopo, per la cattura delle più tremende bande guidate dai briganti Cipriano La Gala, Andrea Masi e Tommaso Romano che per molti anni avevano saccheggiato e depredato l’intera Valle Caudina.
Il paese era cresciuto, culturalmente e praticamente, divenendo capoluogo di Circondario della provincia di Avellino e arrivando a contare, a metà del 1800, oltre 7500 abitanti, fino a raggiungere numero 9.000 verso la fine del secolo scorso. Che cosa abbiano fatto i Consiglieri Provinciali del Mandamento di Cervinara, del quale Cervinara faceva parte, che si sono succeduti dal 1861 al 1901, è difficile dirlo. Sappiamo però che anche Cervinara era tenuto in considerazione dall’avvocato Giovanni Finelli (1861-62), da Alessandro Campanile Cocozza (1862-67), dal cavalier Francesco Del Balzo (1867-71) e dal barone Girolamo Del Balzo (1871-1901).
Molte le mini industrie artigianali di fine ottocento, come quelle rappresentata da Salvatore Cioffi di Pasquale e da altri negozianti vari. Ma vediamo nei particolari gli abitanti di Cervinara che esercitavano arti e professioni. Negozianti di cereali erano Pietrantonio e Raffaele Cioffi fu Sigismondo, Onofrio Cioffi fu Lorenzo, Andrea Caporaso fu Saverio, Raffaele Cioffi fu Domenico, Isidoro e Giuseppe Cioffi di Onofrio, Michele de Dona fu Orazio, Marco de Dona fu Giovanni, Francesco Lanzillo fu Antonio, Antonio Lanzillo fu Francesco e Pasquale Pitaniello fu Carmine.
Facevano parte della categoria dei negozianti di stoffe Antonio e Giacomo Cincotti fu Giuseppe. Negozianti di vino (venduto anche nella cantina di Antonio Cantone fu Pietro) erano Raffaele Milanese fu Angelandrea e Saverio Marro fu Pietro; la neve, pigiata a ghiaccio nelle fosse montane, era invece una specialità di Pasquale Clemente fu Domenico che, dopo averla nascosta sotto le foglie per tutto l’inverno, aspettava i giorni più caldi per rivenderla ai caffè e alle gelaterie del napoletano, oltre che a quelle della Valle Caudina e alla caffetteria cervinarese di Felice Cincotti fu Giuseppe; il sensale autorizzato per situazioni varie era Giuseppe Cioffi fu Domenico.
Diversi i negozianti di legnami, come Filippo Ceccarelli fu Michele e Fortunato Ceccarelli fu Felice che, dopo aver disboscato le montagne lavoravano il legno in maniera artigianale; ricordiamo anche altri venditori come Pasquale Cioffi fu Gregorio, Luciano De Maria fu Felice, Pasquale Fierro fu Giuseppe, francesco Iglio fu Angelo, Pasquale Miele fu Carmine, Giovanni Pagnozzi fu Antonio e Luigi Ricci fu Arcangelo.
Tanti volti, tante storie, tanti mestieri, come l’appaltatore di opere di fabbrica Antonio Bianco fu Stefano, il negozio di formaggi di Andrea Taddeo fu Domenico e l’industria agraria di Nicola Tangredi di Giuseppe. Altre aziende agricole erano quelle di Giovanni de Gregorio fu Vincenzo, Luigi Lengua fu Nicola, Luigi, Nicola e Pasquale Marchese fu Gennaro, Luigi Iacchetta fu Giuseppe, Orazio e Gennaro d’Onofrio fu Giovanni, Stefano Casale di Giuseppe, Raffaele Niro fu Domenico.
Mugnaio del paese era Alessandro Cioffi fu Pasquale; Michele Schettini fu Domenico, il farmacista. Vi erano inoltre Antonio de Maria fu Felice col negozio di coloniali, Pasquale Iacchetta fu Nicola col negozio di spiriti, Francesco Mignuolo fu Pasquale, negoziante di frutti, e Giuseppe Pitaniello di Pasquale, col magazzino di cuoiami.
Di Cervinara conosciamo i nomi degli esercenti l’arte salutare che, nel 1880, risultano essere medici cerusici originari del posto: Gaspare Cecere fu Francesco, Luigi Girardi fu Vincenzo, Clemente Mercaldo fu Francesco, Giambattista De Bellis fu Bernardo, Vincenzo Cecere fu Gaspare, quest’ultimo laureatosi presso la Real Università di Napoli, tra il 1830 e il 1877.
Vi erano poi i quattro farmacisti locali con la cedola: Scipione Madonna fu Domenico, Luigi Cecere fu Gaspare, Paolo Barionovi fu Pietro, Michele Schettini fu Domenico, e la levatrice, sempre col certificato, Anna Ragalzi fu Giambattista, che aveva acquisito cedola universitaria il 27 febbraio 1871.
A quei tempi, diciamo nella seconda metà del 1800, Cervinara, compresi i villaggi di Trescine, Salamoni, Mainolfi, Mizii, Cioffi, Pie’ di Casale, Ferrari, Pantanari, San Paolino, Ioffredo, Castello, Valle e Pirozza contava 7147 abitanti.
Il paese era abbastanza grande e commerciava in vini, mele, pere, ortaggi, canape e pioppi, lungo la provinciale Irpina e la San Martino Valle Caudina propriamente detta, oltre che durante il mercato settimanale del mercoledi.
Siamo venuti a conoscenza che, nel gennaio del 1873, la pretura era retta da Teodoro Del Grosso e dal vice Gennaro Baccalone e che cancelliere e vicecancelliere erano rispettivamente Filippo Martini e Francesco De Feo. Alle liti ci pensava invece il giudice conciliatore Pasquale Simeone, assistito dal cancellerie Girolamo Piccolo.
Notizie più approfondite ne abbiamo però solo sugli ultimi anni di fine secolo, a partire dal 1889, allorquando primo cittadino del paese, nonché presidente del Circolo dell’Indipendenza, era Giovanni Barionovi, coadiuvato da Errico Pepicelli nella qualità di segretario e da Luigi De Maria che faceva l’esattore. Gli assessori erano invece Alessandro Pagnozzi, Giacinto Barionovi, Girolamo De Nicolais e Pasquale Simeone. Addirittura sei i parroci: Giuseppe Pisanelli della parrocchia di San Marciano, Pasquale De Dona della parrocchia di San Potito, Vincenzo Barionovi della parrocchia di Sant’Adiutore, Vincenzo Marro della parrocchia di San Gennaro, Angelo Ragucci della parrocchia di San Nicola e Giuseppe Clemente della parrocchia di Santa Maria alla Valle. Giuseppe De Maria era il presidente della Congrega di Carità; ben diciotto, i componenti della famiglia clericale: Mariano, Pietro e Antonio Valente, Pasquale Cecere, Giuseppe De Maria, Michele Dorio, Andrea, Giuseppe, Pasquale e Luigi Bove, Francesco Barionovi, Francesco Bianco, Zaccheria Clemente, Francesco De Nicolais, Antonio Cioffi, Nicola Simenone, Raffaele e Vincenzo Cioffi.
Pare che gli oltre 7.000 cervinaresi dell’epoca mandassero fra i banchi quasi 800 alunni, dislocati nelle 8 scuole elementari, sotto la guida degli insegnanti Nicola Simeone, Antonio Valente, Francesco Mainolfi, Francesco Bianco, Carmela ed Elisabetta Cavaccini, Blandina Cioffi e Teresa Iuliano. Erano i tempi in cui ai vecchi medici andò ad aggiungersi il chirurgo condottato Pietro De Nicolais e una nuova levatrice nella persona di Filomena Viggiano.
Nella schiera dei professionisti laureati figuravano – oltre gli ingegneri Saverio Rossi e Luigi De Nicolais, il medico chirurgo condottato Giuseppe Ferrannini e la levatrice condottata Coletta Palma – gli avvocati Francesco Cecere, Giovanni Bruno, Nicola Mendozza, Gennaro Boccalone e Angelo Maietta; i farmacisti Luigi Cecere, Giuseppe Boccalone, Scipione Madonna; gli altri medici-chirurghi Clemente Mercaldo, Luigi Girardi e Vincenzo Cecere.
Giovanna Mignuolo e Antonio Iuliano erano gli albergatori del paese che offrivano un posto per pernottare. Gennaro Sorice, Giuseppe Crispino e Marco Marro si davano da fare con le armi, nella vendita e negli aggiusti. Francesco, Giuseppe e Domenico Cioffi, Girolamo Marro, Michele Villacci e Antonio Mauriello costruivano botti. Giuseppe Cioffi, Francesco, Giovanni e Ferdinando Pitaniello, Luigi Cappabianca e Francesco Fuccio facevano i barbieri. Nei loro saloni, qualche volta, si presentavano a perdicchiare tempo i tanti artigiani, dopo un buon caffè gustato da Mariantonio Cincotti oppure nelle altre caffetterie, cioè da Raffaele De Notaris, Lucia De Girolamo e Felice Cincotti. Di fama, non solo locale, erano i proprietari di cave di pietra Giuseppe Visconti, Francesco Ricci, Nicola Visconti e Vincenzo Simeone; questi ultimi due, insieme a Domenico Simeone, andavano alla ricerca delle venature più estrose per lavorare la pietra e il marmo secondo antica tradizione.
Dicevamo degli artigiani. Possiamo ricordare i capimastri muratori (Antonio Bianco, Antuono, Gaspare e Giambattista Mercaldo, Angelantonio e Pasquale Gervasi), la schiera dei calzolai (Domenico D’Agostino, Domenico Cioffi, Arcangelo Moscatiello, Berardino Iuliano, Michele e Giuseppe Pitaniello, Alfonso e Orazio Miele), i cappellai (Raffaele Ippolito, Luigi Cappabianca e Francesco Ricci), i commercianti in genere di moda Emilia Candela, Concetta Brevetti, Mariantonia Mercaldo, Nicola Caniello, Luigi Cappabianca, Giacomo e Antonio Cincotti; del commissionario Girolamo Piccolo e i droghieri Pasquale e Luigi Cioffi. Non possiamo qui dimenticare i fabbricatori di stoffe e di tele Marianna De Simone e Carmela D’Onofrio, Filomena Valente e Maria Cioffi; di cera, come Pasquale Telaro, e quelli di mobili Angelantonio Marro, Giuseppe Fierro, Pasquale e Luigi Perrotta, e Domenico Cioffi. Vendevano mattoni e stoviglie Giovanni e Raffaele Niro; Matteo De Dona, Lorenzo Cioffi, Saverio e Andrea Caporaso erano negozianti in olii; da non dimenticare quelli di tessuti Antonio e Giacomo Cincotti, Nicola Caniello, Concetta Brevetti, Emilia Candela e quelli di legnami, Pasquale e Luigi Perrotta, Domenico Mercaldo e Girolamo Marro. Due i fabbricanti di sedie, Agostino Miele e Pasquale Ricci, e uno quello di gassose, Antonio De Maria.
Anche se quasi ogni famiglia allevava in casa il maiale o degli agnelli, vi erano comunque i beccai Antonio Iuliano, Pasquale, Giovanni e Raffaele Cappabianca, Andrea Iuliano e Francesco Fucci che “sfasciavano” la carne, oltre i mugnai Angelantonio e Pasquale Mastone, Alessandro Cioffi, Pasquale Moscatiello, Giovanni e Vincenzo Befi, i panettieri, Onofrio Cioffi, Raffaele De Dona, Giuseppe e Raffaele Cioffi, e i negozianti in grani e farine Pietrantonio Cioffi, Luigi Lanzilli e Giuseppe e Raffaele Cioffi; ai vini ci pensava invece Raffaele Milanese. La frutta toccava a Pasquale Moscatiello e Pasquale Taddeo; e tre erano le fruttaiuole: Rosa Pitaniello, Angelamaria D’Agostino e Carmela D’Onofrio.
Ancora i fabbri-ferrai Giovanni e Diodato Ricci, e Lorenzo, Pasquale e Gregorio Brevetti, al pari dei falegnami Raffaele Cincotti, Raffaele Mauriello, Antonio Cioffi, Carlo e Stefano Bianco, Antonio Mauriello e Giuseppe Villacci. E i sensali: Nicola e Giuseppe Cioffi, Giuseppe Esposito, Luigi Celentano, Ferdinando Villacci, Giuseppe Simeone, Pietro Stellato, Carminantonio Finelli e Antonio Lanzilli.
E che dire degli orologiai Giuseppe e Francesco Cioffi, del pittore di stanze Nicola Esposito, dei fuochisti pirotecnici Carmine Leone e Francesco Starace; dei sarti Luigi Ricci, Giuseppe Russo, Carlo e Francesco Ricci e Vincenzo Vassallo; gli speziali manuali Giuseppe Tagliaferri e Antonio De Maria. Vi erano poi i venditori di generi diveri Giacomo e Antonio Cincotti; quelli di cuoiami Lorenzo Cioffi e Vincenzo Pitaliello. Nomi e cognomi che ricorrono tutt’oggi.
Un fiaschetto di vino lo si poteva trovare nelle trattorie, da Clemente Taddeo e Giovanni Mignuolo, o dai bettolieri, Fortunato Cappabianca, Giovanni Telaro, Luigi, Gabriele e Clemente Taddeo, accompagnato o meno da un nostrano piatto caldo. Per chiudere poi il pranzetto, più o meno leggero, bastava un buon sigaro da comprare in uno dei vari tabacchini. Giuseppe Cioffi, donna Carmela Vele, Nicola Moscatiello, Giuseppe Ricci, Giovannantonio D’Onofrio o Francesco Ruggiero conoscevano bene “tabacchi” e “pacchetti”.
Al progresso civile ed economico di Cervinara contribuirono, nei primi anni del 1900, la costruzione della ferrovia Benevento-Cancello, la realizzazione di un acquedotto locale e la nascita di una centrale elettrica.
Il nuovo secolo si era aperto senza grandi cambiamenti nella vita politica e amministrativa di Cervinara: i possidenti mantenevano le loro proprietà; i contadini, servendosi delle proprie braccia, si affacciavano al mondo con la speranza di sempre. Continuavano a dividere il raccolto con i proprietari, a portargli i capponi nelle ricorrenze civili e religiose, riuscendo a stento a mettere da parte i pochi risparmi che certo non sarebbero bastati ad acquistare terreni, ma a dare vita a quel triste fenomeno che è l’emigrazione. Pur tuttavia, qualcuno, spostatosi verso il borgo, riuscì a mettere in piedi un’attività artigianale. Il rimanente basso ceto, i figli dei braccianti, dei giornalieri, degli artigiani, nonché qualche sporadico possidente, scelsero però nell’emigrazione la soluzione più giusta ai propri problemi.
Alcuni avevano preferito abbandonare la vita rurale già alla fine del secolo scorso, in vista di più facili e immediati guadagni oltreoceano. Chi c’era stato, e aveva fatto “fortuna”, anche come scaricatore di porto o come minatore, era ritornato diffondendo tra il popolo l’immagine di un’America ricca e florida. Seguendo le orme di quegli “avventurieri” imbarcatisi al porto di Napoli, si partì sempre più spesso, sperando nella stessa fortuna. Ma l’imminente scoppio della Prima Guerra Mondiale richiese quelle braccia al fronte: la grande emigrazione era rimandata. Molti cervinaresi non fecero più ritorno. Poveri soldati come Amatiello, Befi, Bizzarro, Bove, Buccieri, Campana, Calabrese, Garofalo, Ceccarelli, Cerasuolo ed un altro centinaio, come risulta dall’elenco ufficiale dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra, non fecero più ritorno. I reduci si ritrovarono nuovamente nei campi, stavolta incolti. Anche i vecchi capivano: la campagna non poteva continuare a dare, ai loro figli, ciò di cui essi si erano accontentati. L’indelebile marchio del “servo della terra” doveva scomparire; la guerra aveva riaperto le speranze: gli stenti erano abrogati. Si sentiva il bisogno di una vita diversa, in direzione di Napoli, oppure, della cara vecchia America. Più di 4 milioni di italiani entrarono negli Stati Uniti nei decenni a cavallo del secolo. Sono contadini del Mezzogiorno, inseriti d’impatto nel processo di sviluppo industriale americano di quegli anni.
Quasi un terzo di essi si stabilirono a New York, diventa quasi una grande città “italiana”. E’ un’altra piccola Italia, la Little Italy. Fu questo uno dei motivi che spinsero il governo degli Usa ad emanare delle leggi restrittive, impedendo l’ingresso agli analfabeti di razza bianca, riducendo gli italiani ammessi ogni anno a 3.845 unità contro i 409.239 che si erano recati in America nel 1920 procurando un dissesto nell’equilibrio demografico della regione Campania.
Avellino era l’unico centro della provincia a superare i 10.000 abitanti tra il ’21 ed il ’31. Anche Cervinara diede il suo contributo. Ma quanti degli oltre 200 cervinaresi che nel 1930 ancora restavano in contatto col paese natio fecero fortuna? Potremmo parlare di Gaetano e Antonio Clemente, Antonio e Pasquale Sorge, Antonio Martone, Onorio Ruotolo, del dottor Salvatore Brevetti, di Antonio Mercaldi, Antonio Leparulo, Ferdinando De Dona, Carmine Russo, Nicola Villacci, Alberto Milanese, Carmine Clemente, degli Onor Prisco e Nicola Vecchione. Ma gli altri fecero veramente fortuna? Addirittura c’è chi sottoscrisse somme per il monumento da erigersi nella piazza di Cervinara e mai pagò, forse per miseria, forse per errore, forse per dispetto. Gente come Carmine Buccieri, Salvatore Brevetti, Angelo Cillo, Emilio, Raffaele e Giuseppe Cioffi, Domenico Cappabianca, Pasquale del Balzo, Francesco D’Agostino, Giovanni Finelli, Francesco Formato, Luigi e Andrea Iuliano, Francesco Lippoli, Domenico e Francesco Mercaldo, Giuseppe Madonna, Pasquale Taddeo, Orazio Vaccarelli, Antonio Zucale, la signora e la signorina Villacci. Con quest’ultima famiglia dovette accadere qualche diverbio di cui nulla sappiamo se è vero che Nicola Villacci, tempo addietro, aveva offerto ben 900 dollari (verdoni americani del 1930) che mai sborsò alla giusta causa. “Molti in Italia o in Europa”, scriveva il Cavaliere Gaetano Clemente, “hanno la convinzione che l’America è la terra dell’oro; è la terra dove si inciampa contro la ricchezza e che per divenire ricco basta semplicemente volerlo-sogni chimerici!”. Chissà quanti cervinaresi, intrepresa una carriera e gettatisi negli affari, fecero marcia indietro, “ritirandosi scoraggiati dopo averci rimesso del tempo prezioso per lanciare la loro impresa e soprattutto dopo avere assorbito fino all’ultimo soldo che avevano messo da parte a furia di stenti e privazioni”. Il Cavaliere Clemente scrisse che i suoi primi affari furono di una meschinità unica. Lui non pensava classicamente “Quello che non guadagno finanziariamente adesso lo guadagno in cognizioni che domani mi daranno quello che rimetto oggi”. Che tradotto in dollaroni, pardon, in soldoni, significa che o guadagni da subito o cambi mestiere. Nato a Cervinara nel 1865, si può dire che Gateno Clemente, alla stregua dei fratelli Palermo, fu il cervinarese più fortunato d’America. Emigrato nel 1902, dopo aver sperimentato le proprie capacità con i primi lavori stradali in Valle Caudina, cercò subito qualcosa da fare a più ampio respiro, fino a farsi un nome nell’ambiente edilizio e arrivando a fondare la Clemente Contracting Company del Bronx, una ditta che, prima di espandersi, si occupava appena di escavazioni e di costruzioni, realizzando tunnels e fondamenta sull’isola di Manhattan. Fra le opere più importanti ricordiamo gli edifici che formarono il più grande Medical Centre del mondo a Washington Height dove sventolò alto il tricolore, oltre alcune strade newyorkesi alle quali furono dati i nomi dei due illustri connazionali Casanova e Barretto. Il Cavaliere impiegava solo mano d’opera italiana. Un uomo che si fece da sé: un vero ed autentico “self-made man”. Altre opere del suo ingegno furono il Polyclinic Hospital, alcuni edifici della Fordham University ed altri edifici importanti, contribuendo anche all’erezione e al mantenimento della Casa Italiana di Cultura presso la Columbia University, elargendo inoltre somme per ospedali e chiese. Ed a lui si deve anche l’erezione del monumento ai 100 caduti della Grande Guerra, per esclusiva contribuzione dei cervinaresi d’America, ricevendo medaglia d’Oro alla esposizione e Fiera Campionaria di Tripoli, sotto l’alto patronato di Benito Mussolini.
Egli si recherà a Cervinara per inaugurare personalmente il monumento ai caduti eroici, opera di grande valore ideata e scolpita da un mago dell’arte, anch’egli cervinarese, popolarissimo all’epoca, Onofrio Ruotolo. Clemente, insomma si circondò sempre di cervinaresi, come nel caso di Carmine Clemente, presidente della Clemente Brothers, e Antonio Mercaldi, che raccolse i fondi per il monumento nel banchetto del giugno 1927, nella Lotteria, nel Concerto e Ballo del 1928, alla festa di San Clemente, nella pubblicazione di un “souvenir”. Il monumento che ancora vediamo nella piazza di Cervinara fu inaugurato il 17 agosto 1930, con un solo pensiero “clemen-tiano” rivolto agli orfani: “Vivere pericolosamente – abbiate fede in quello che fate ed il successo sarà vostro”. Fra quegli eroi ricordiamo: il maggiore di fanteria Michele De Dona, ch’ebbe medaglia d’argento l’11 aprile del 1918 per aver dato l’assalto ad una posizione avversaria difesa da mitragliatrici e fucilieri il 25 agosto del 1927 a Tolmino; il sottotenente Giuseppe De Maria, medaglia di bronzo alla memoria; e i soldati Pietro Ferraro e Giovanni Girardi, anch’essi medagliati col bronzo.
I cervinaresi d’America, a dire il vero, sono stati sempre uniti. Fin dal 1915 avevano scritto un’altra pagina di patriottismo e di fratellanza, organizzando la Loggia Cervinara Valle Caudina del grande Ordine Figli d’Italia in America, grazie ad Antonio Mercaldi, Michele Battuello e Luigi Moscatiello che aggregarono consensi nel Circolo Educativo Cervinara, dove i compaesani si riunivano quotidianamente. Un circolo con a presidente Mercaldi, a vice Arcangelo Ricci, Pasquale Moscatiello a segretario; Domenico Cappabianca era il cassiere, Antonio Martone il provveditore (detto Zì Totonno), Giuseppe Moscatiello e Giuseppe Cioffi, i curatori. Una Loggia di tutto rispetto con il venerabile Vincenzo Baldini, l’assistente Silvio Rosati, l’ex venerabile Pellegrino Moscatiello, l’oratore Luigi Moscatiello, i segretari Andrea Bello e Otello Rapini, i curatori Michele Battuello, Raffaele e Daniele Ricci, Francesco Formato e Antonio Fogliani, i cerimonieri Luigi Battuello e Florio Stumpo, la sentinella Felice Cataldo e il medico sociale Salvatore Brevetti.
Chiudiamo questa parentesi ricordando che lo stemma del Comune di Cervinara è costituito da un cervo su tre cime ed una stella cometa all’interno di una cornice di papiro, con sottostanti rametti di alloro e di quercia legati da un nastro con sopra una corona costituita da cinque torri unite.
Il gonfalone del Comune è di colore blu e reca al centro lo stemma ed in alto la scritta “Comune di Cervinara”, completandosi con un nastro tricolore annodato al di sotto del puntale.
Il Comune ha beni demaniali e beni patrimoniali come da apposito inventario, regolando gli usi civici da apposite leggi speciali.
Il Comune fonda la propria azione sui principi di libertà, di uguaglianza, di solidarietà e di giustizia e concorre a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ne limitano la realizzazione. Negli ultimi due articoli dell’atto municipale è detto che Cervinara “concorre a promuovere e conseguire il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione politica, economica, sociale, e culturale del paese all’organizzazione politica, economica, sociale e culturale” e che inoltre il comune “garantisce la partecipazione delle formazioni sociali nelle quali si realizza la personalità umana, sostiene il libero svolgimento della vita sociale dei gruppi, delle istituzioni della comunità locale e favorisce lo sviluppo delle associazioni democratiche”.
In una descrizione dell’anno 1532 già si leggeva che “la Terra di Cervinara si trova situata a lato del monte Pizzone”, che ha piena giurisdizione su tutti i Casali,che sono undici, disposti a mo’ di triangolo. Si tratta, come abbiamo visto, dei Casali di Pirozza, Curielli, Scalamoni, Ferrari, Joffredo e Castello a monte; Salamoni, San Marciano, Trìscine, Pantanari e Valle, verso la pianura.
Ma è tempo di lasciarvi solo a nomi, cognomi, età, degli abitanti del 1700, dei mestieri, delle strade e delle chiese, tratte direttamente dai dati ufficiali e quindi senza manipolazioni di alcuni.
Questa è verità storica, non le chiacchiere da bar.
Buona lettura.
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