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“Castel Volturno? Si chiamava Castellammare!”
E Santa Maria Capua Vetere? Lui, l’artefice dei Catasti Onciari di Terra di Lavoro, non ha dubbi: ha cambiato nome non si sa quante volte, da “S.Maria Maggiore” a “Capuana Major”, da “Capua Vetere” a “Capua Noba”.
Un gioco di parole, fra città vecchie che risorgono e città ricomparse che scompaiono, che sta appassionando Arturo Bascetta, autore di centinaia di studi ai quali ha dato inizio nel 1987, dopo che dall’Unesco di Napoli fu insignito del patrocinio morale, ricevendo non pochi premi per i libri editati (compreso l’encomio dell’allora presidente del Senato) dando inizio anche da noi a quello che da più parti viene definito “riformismo storico”.
Siamo in presenza di una sorta di rivisitazione delle storie dei paesi della Campania, spesso scritte da autori ottocenteschi senza andare alla fonte, cioè sui documenti, ma seguendo la tradizione orale o estrapolando frasi, toponimi e citazioni dal contesto originario, finendo con l’alterare la realtà delle cose, la verità dei fatti.
Le ultime novità, dopo la pubblicazione del secondo volume della Collana Catasti Onciari in Terra di Lavoro, presentato qualche giorno fa in S.Maria dal maestro Marcello d’Orta (autore di Io, speriamo che me la cavo) dall’assessore provinciale alla Cultura, Nicola Garofalo e dal presidente Riccardo Ventre, parlano da sole. I capuani li scoprono di giorno in giorno, anche perché la Provincia di Caserta ha dato il via libero al completamento della Collana che sta riscuotendo un grande successo che nelle prossime settimane vedrà la pubblicazione del volume sulla vita menata a Castelvolturno nella seconda metà del 1700, con nomi, cognomi, mestieri e rendite dei singoli abitanti.
Un’altra cittadella passata al setaccio dal gruppo di studio curato da Bascetta che restituisce all’uomo del Terzo Millennio ciò che sono stati i suoi avi, spulciando fra carte e documenti polverosi, rileggendo e trascrivendo pergamene, interpretando i scovati negli Archivi di Stato.
Ed è proprio da Castelvolturno che vien fuori l’ultima chicca: il Castello che sta su uno dei fiumi più antichi della Campania, appena l’altro ieri, cioè meno di tre secoli fa, si chiamava Castellammare. Un’altra piccola scossa che manda all’aria futili ipotesi e inutili congetture di chi ha perso anni della sua vita a stabilire se tremila anni fa Enea fosse approdato un metro più qua o un metro più in là, senza sapere se il bisnonno facesse il solachianiello o il susamellaro a Castellammare del Volturno o a Castellammare di Stabia. Una rivoluzione che, ovviamente, non lascia indenne la storia dell’attuale Castellammare di Stabia, paese con il quale bisognerà fare inevitabilmente i conti per stabilire a quale delle due cittadelle possano appartenere pergamene e citazioni storiche dell’Alto Medioevo.
Fra le altre cose, in un suo precedente studio, Bascetta ha già dimostrato che la Costiera fra Castellammare di Stabia, Massa e Vico, era andata quasi deserta dopo una grande peste, essendo stata ripopolata dagli inviati della Santa Casa dell’Annunziata di Napoli dopo il 1400. Come quasi deserta dovette risultare Santa Maria Capua Vetere, quando si chiamava Santa Maria Maggiore, e ancora prima, secondo “Il Teorema Bascetta”, quando si chiamava Capua Vetere già nel 1133, stando ad una pergamena rinvenuta nel Santuario di Montevergine (Av) da Don Placido Tropeano, curatore del Codice Diplomatico Verginiano, il quale conferma che, nel 1133, già c’erano due Capua, di cui una chiamata Vetere che inglobava San Pietro ad Corpo, proprio come oggi.
Piccoli equivoci non senza importanza. “Il merito va a Don Placido – afferma con la solita modestia Bascetta – che legge la scrittura beneventana del 1100 senza margine di errore. Io mi considero solo un giornalista prestato alla storia in nome del revisionismo.” Ma a cosa sono dovuti tutti questi errori storici? Don Placido, direttore della Biblioteca Nazionale di Loreto e autore della raccolta delle pergamene originali, è chiaro: “Io non parleri di errori – dice – piuttosto di eccessivo campanilismo. Se la storia locale si riferisce a fatti antichi, lo storico locale deve necessariamente conoscere almeno la storia degli altri centri che con tal nome sono citati nelle pergamene custodite dalle abbazie storiche del Mezzogiorno: Montevergine, Montecassino, S.Vincenzo al Volturno, Cava dei Tirreni. Se nelle pergamene di Montevergine si parla di una Capua Vetere, necessariamente ci dovrà essere un’altra Capua in un luogo diverso più o meno distante. La storia si è spesso scontrata con la tradizione. A me stesso è capitato a Maratea dove gli studiosi di quel luogo non riuscivano ad accettare la realtà descritta nelle pergamene”.
Cioè ognuno ha scritto la storia del suo paese a proprio piacimento? “Quasi sempre è andata così – gli fa eco Bascetta – finchè non molti anni fa s’è visto qualche grande, da Cilento a Bertolini, che ha cominciato a trascrivere le pergamene originali custodite nei monasteri, leggendole e rileggendole, in modo da ridurre il margine di errore e presentarci una base solida su cui studiare. Faccio un esempio. Chi vuole scrivere la storia di S.Agata di Capua dovrebbe conoscere la storia di tutte le chiese importanti dell’Alto Medioevo che si chiamavano S.Stefano e S.Agata, o almeno di quelle che hanno dato nome a paesi così appellati. Questo per stabilire qual è la più antica, longobarda o normanna, quella più o meno recente, e riuscire a separare i documenti delle abbazie che appartengono a questo o a quel paese che per certo non sempre descrivono i luoghi in maniera esplicita. Non è difficile, ma complesso e solo l’esperienza può evitare gli errori.”
Quindi una pergamena del 1190 che cita S.Agata, ovunque essa sia finita per diversi motivi, potrebbe appartenere a S.Agata dei Goti (Bn), S.Agata su due Golfi (Sa), S.Agata Irpina (Av), S.Agata zona Nola (scomparsa), S.Agata di Capua (Capua). Quindi solo chi conosce la storia di tutte le S.Agata, ricostruite qua e là specie dai litigiosi longobardi, può dire quale è quella che appartiene al paese di cui si sta effettuando la ricerca. Più storie di paesi si conoscono, più è difficile incappare negli errori.
Gli storici capuani hanno forse sbagliato nel credere che la storia di Caserta o Capua potesse conoscerla solo chi è del posto e non un napoletano o avellinese, peggio ancora i colleghi di Salerno, forse ignorando del tutto le pergamene capuane conservate a Montevergine perché il timore di confondersi fra Capua Nova vetere (S.Maria) e Torre Capua (Capua) è grande. Ma non è difficile entrare nel meccanismo. E’ accaduto esattamente quanto avvenuto a Caserta Vecchia che si differisce da Torre di Caserta. Insomma, stando al “Teorema Bascetta”, la vera Capua della storia è sempre S.Maria, l’attuale Capua fu sono una sua Torre, come Torre S.Erasmo, sebbene in seguito abbia avuto uno sviluppo più a misura d’uomo.
Sabato Cuttrera
Arturo Bascetta –
I. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.404 di pagg.220, Prima pagina in copia microfilmata al n.167, Provincia di Terra di Lavoro, Catasto Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno – Anno 1753. Capifamiglia in ordine alfabetico di nome per luogo di abitazione sito nel territorio di Castelvolturno.
II. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.404, Pag. in copia n.168, Provincia di Terra di Lavoro, Catasto seu Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, Frontespizio del microfilm a pag.1 dell’originale
III. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.= Doc. 404, Pagg.2-4 in copia n.169-171, Provincia di Terra di Lavoro, Catasto seu Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, Frontespizio del microfilm pag. in copia 169 = pag.2 dell’originale
Catasto – nuovo apprezzo dell’Unità della Terra di Castello a mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, principiato e terminato nell’anno 1753 – Pietro Beatrice Capo Cedda e Cesare Simeone eletto della stessa Unità, coll’assistenza de M. – d’altro catasto, quanto del – della lega e Gennaro Pranato, della medesima Unità richiesto a quello regolare – – in dove vivono descritti tutti li Cittadini, Vedove, Vergini in capillis e Bizzoche, Ecclesiastici, Cittadini Secolari e Luoghi Pij esteri et altro, colla tassa delle Poste, Prole – et Animali – e nella completazione degli atti preliminari di questo catasto furono eletti per Deputati, cioè il – primo Ceto, Giuseppe Camerino e Luca Traiettino del secondo Ceto, Pasquale – e Simeone del terzo Ceto e per estimatori Cittadini, Giuseppe Toscano e Nicola Toscano: e per Estimatori forestieri Viola di Cancello e Gaetano Agnello di Vico di —
IV. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.= Doc. 404, Pagg.5 in copia n.172 e segg., Provincia di Terra di Lavoro, Catasto seu Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, Frontespizio del microfilm pag. in copia 172 = pag.5 dell’originale
1. Il bracciale Agostino Saullo di anni 18 non possiede beni di sorta alcuna oltre alla casa di sua proprietà ove abita con la madre Alessia Moscardino di anni 50. Once 12-.-……