12. Castelvolturno nel 1747

30,00


Chiese, Monasteri e Luoghi Pii Forastieri

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1. Beneficio sotto il titolo di S.M. Delle Grazie che si possiede dal Reverendo Don Corto Imbiani di Capua, cento venticinque mogge di terreno. Once 154.25
2. Beneficio sotto il titolo di San Martino che si possiede dal Reverendo Gennaro Abbate di Barletta, numerosi terreni siti nei luoghi detti San Martino, Lo Piro, Alla Civita, L’Argine, Fiumemorto, Bocca di Prato, Rosella. Once 121.10
3. Beneficio sotto il titolo di San Nicola e Stefanello che si possiede dal Reverendo Don Michele Angelo Petrosino di Capua, un terreno di dodici mogge sito nel luogo detto Lo Piro. Once 10
4. Venerabile Chiesa di A.G.P. Della Città di Capua possiede vari terreni siti nei luoghi detti San Martino, Cavone, Fiumemorto, Alla Grotta, Cardagna, Cappella, Allo Sbargato. Once 25
5. Venerabile Cappella del Purgatorio della Città di Aversa possiede quindici mogge di terreno sito nel luogo detto Fiumemorto. Once 6.20
6. Venerabile Chiesa di Mater Domini della Città di Napoli possiede due mogge di terreno sito nel luogo detto Fiumemorto. Once 2
7. Venerabile Cappella del SS.mo della Terra di Mondragone possiede una rendita annuale. Once 10
8. Venerabile Cappella del Monte de’ Morti della Terra di Mondragone. Once 2.20
9. Venerabile Cappella di Gesù Cristo della Città di Capua possiede un terreno sito nel luogo detto La Sprofondata. Once 3.10
10. Venerabile Convento di San Domenico della Città di Capua. Once 4.7
11. Venerabile Collegio dei Frati Gesuiti della Città di Capua possiede una peschiera sita nel luogo detto La Bagnara. Once 50
12. Venerabile Monastero di Monte Vergine della Città di Capua possiede vari terreni. Once 26.5
13. Venerabile Monastero di Piedigrotta della Città di Napoli possiede un terreno sito nel luogo detto L’Olmetiello. Once 2.5
14. Venerabile Monastero di San Eligio della Città di Capua possiede un terreno sito nel luogo detto La Sprofondata. Once 11.20
15. Venerabile Monastero del Carmine della Città di Capua possiede tre terreni. Once 18.20
16. Venerabile Cappella di S.M. in Caldara della Terra di Mondragone possiede una rendita annuale. Once 11.10
17. Real Certosa di San Martino di Vico di Pantano possiede un vasto terreno ed una casa di fabrica con terreno annesso sito nel luogo detto L’Acquaro. Once 169.10
18. La Chiesa Parrocchiale del Casale di Cancello possiede tre terreni ed una rendita annuale. ………..

Description

“Castel Volturno? Si chiamava Castellammare!”

E Santa Maria Capua Vetere? Lui, l’artefice dei Catasti Onciari di Terra di Lavoro, non ha dubbi: ha cambiato nome non si sa quante volte, da “S.Maria Maggiore” a “Capuana Major”, da “Capua Vetere” a “Capua Noba”.
Un gioco di parole, fra città vecchie che risorgono e città ricomparse che scompaiono, che sta appassionando Arturo Bascetta, autore di centinaia di studi ai quali ha dato inizio nel 1987, dopo che dall’Unesco di Napoli fu insignito del patrocinio morale, ricevendo non pochi premi per i libri editati (compreso l’encomio dell’allora presidente del Senato) dando inizio anche da noi a quello che da più parti viene definito “riformismo storico”.
Siamo in presenza di una sorta di rivisitazione delle storie dei paesi della Campania, spesso scritte da autori ottocenteschi senza andare alla fonte, cioè sui documenti, ma seguendo la tradizione orale o estrapolando frasi, toponimi e citazioni dal contesto originario, finendo con l’alterare la realtà delle cose, la verità dei fatti.
Le ultime novità, dopo la pubblicazione del secondo volume della Collana Catasti Onciari in Terra di Lavoro, presentato qualche giorno fa in S.Maria dal maestro Marcello d’Orta (autore di Io, speriamo che me la cavo) dall’assessore provinciale alla Cultura, Nicola Garofalo e dal presidente Riccardo Ventre, parlano da sole. I capuani li scoprono di giorno in giorno, anche perché la Provincia di Caserta ha dato il via libero al completamento della Collana che sta riscuotendo un grande successo che nelle prossime settimane vedrà la pubblicazione del volume sulla vita menata a Castelvolturno nella seconda metà del 1700, con nomi, cognomi, mestieri e rendite dei singoli abitanti.
Un’altra cittadella passata al setaccio dal gruppo di studio curato da Bascetta che restituisce all’uomo del Terzo Millennio ciò che sono stati i suoi avi, spulciando fra carte e documenti polverosi, rileggendo e trascrivendo pergamene, interpretando i scovati negli Archivi di Stato.
Ed è proprio da Castelvolturno che vien fuori l’ultima chicca: il Castello che sta su uno dei fiumi più antichi della Campania, appena l’altro ieri, cioè meno di tre secoli fa, si chiamava Castellammare. Un’altra piccola scossa che manda all’aria futili ipotesi e inutili congetture di chi ha perso anni della sua vita a stabilire se tremila anni fa Enea fosse approdato un metro più qua o un metro più in là, senza sapere se il bisnonno facesse il solachianiello o il susamellaro a Castellammare del Volturno o a Castellammare di Stabia. Una rivoluzione che, ovviamente, non lascia indenne la storia dell’attuale Castellammare di Stabia, paese con il quale bisognerà fare inevitabilmente i conti per stabilire a quale delle due cittadelle possano appartenere pergamene e citazioni storiche dell’Alto Medioevo.
Fra le altre cose, in un suo precedente studio, Bascetta ha già dimostrato che la Costiera fra Castellammare di Stabia, Massa e Vico, era andata quasi deserta dopo una grande peste, essendo stata ripopolata dagli inviati della Santa Casa dell’Annunziata di Napoli dopo il 1400. Come quasi deserta dovette risultare Santa Maria Capua Vetere, quando si chiamava Santa Maria Maggiore, e ancora prima, secondo “Il Teorema Bascetta”, quando si chiamava Capua Vetere già nel 1133, stando ad una pergamena rinvenuta nel Santuario di Montevergine (Av) da Don Placido Tropeano, curatore del Codice Diplomatico Verginiano, il quale conferma che, nel 1133, già c’erano due Capua, di cui una chiamata Vetere che inglobava San Pietro ad Corpo, proprio come oggi.
Piccoli equivoci non senza importanza. “Il merito va a Don Placido – afferma con la solita modestia Bascetta – che legge la scrittura beneventana del 1100 senza margine di errore. Io mi considero solo un giornalista prestato alla storia in nome del revisionismo.” Ma a cosa sono dovuti tutti questi errori storici? Don Placido, direttore della Biblioteca Nazionale di Loreto e autore della raccolta delle pergamene originali, è chiaro: “Io non parleri di errori – dice – piuttosto di eccessivo campanilismo. Se la storia locale si riferisce a fatti antichi, lo storico locale deve necessariamente conoscere almeno la storia degli altri centri che con tal nome sono citati nelle pergamene custodite dalle abbazie storiche del Mezzogiorno: Montevergine, Montecassino, S.Vincenzo al Volturno, Cava dei Tirreni. Se nelle pergamene di Montevergine si parla di una Capua Vetere, necessariamente ci dovrà essere un’altra Capua in un luogo diverso più o meno distante. La storia si è spesso scontrata con la tradizione. A me stesso è capitato a Maratea dove gli studiosi di quel luogo non riuscivano ad accettare la realtà descritta nelle pergamene”.
Cioè ognuno ha scritto la storia del suo paese a proprio piacimento? “Quasi sempre è andata così – gli fa eco Bascetta – finchè non molti anni fa s’è visto qualche grande, da Cilento a Bertolini, che ha cominciato a trascrivere le pergamene originali custodite nei monasteri, leggendole e rileggendole, in modo da ridurre il margine di errore e presentarci una base solida su cui studiare. Faccio un esempio. Chi vuole scrivere la storia di S.Agata di Capua dovrebbe conoscere la storia di tutte le chiese importanti dell’Alto Medioevo che si chiamavano S.Stefano e S.Agata, o almeno di quelle che hanno dato nome a paesi così appellati. Questo per stabilire qual è la più antica, longobarda o normanna, quella più o meno recente, e riuscire a separare i documenti delle abbazie che appartengono a questo o a quel paese che per certo non sempre descrivono i luoghi in maniera esplicita. Non è difficile, ma complesso e solo l’esperienza può evitare gli errori.”
Quindi una pergamena del 1190 che cita S.Agata, ovunque essa sia finita per diversi motivi, potrebbe appartenere a S.Agata dei Goti (Bn), S.Agata su due Golfi (Sa), S.Agata Irpina (Av), S.Agata zona Nola (scomparsa), S.Agata di Capua (Capua). Quindi solo chi conosce la storia di tutte le S.Agata, ricostruite qua e là specie dai litigiosi longobardi, può dire quale è quella che appartiene al paese di cui si sta effettuando la ricerca. Più storie di paesi si conoscono, più è difficile incappare negli errori.
Gli storici capuani hanno forse sbagliato nel credere che la storia di Caserta o Capua potesse conoscerla solo chi è del posto e non un napoletano o avellinese, peggio ancora i colleghi di Salerno, forse ignorando del tutto le pergamene capuane conservate a Montevergine perché il timore di confondersi fra Capua Nova vetere (S.Maria) e Torre Capua (Capua) è grande. Ma non è difficile entrare nel meccanismo. E’ accaduto esattamente quanto avvenuto a Caserta Vecchia che si differisce da Torre di Caserta. Insomma, stando al “Teorema Bascetta”, la vera Capua della storia è sempre S.Maria, l’attuale Capua fu sono una sua Torre, come Torre S.Erasmo, sebbene in seguito abbia avuto uno sviluppo più a misura d’uomo.
Sabato Cuttrera

Dettagli

EAN

9788872970492

ISBN

8872970490

Pagine

112

Autore

Bascetta,

Del Bufalo

Editore

ABE Napoli

Recensioni

1 review for 12. Castelvolturno nel 1747

  1. Arturo Bascetta

    I. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.404 di pagg.220, Prima pagina in copia microfilmata al n.167, Provincia di Terra di Lavoro, Catasto Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno – Anno 1753. Capifamiglia in ordine alfabetico di nome per luogo di abitazione sito nel territorio di Castelvolturno.

    II. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.404, Pag. in copia n.168, Provincia di Terra di Lavoro, Catasto seu Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, Frontespizio del microfilm a pag.1 dell’originale

    III. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.= Doc. 404, Pagg.2-4 in copia n.169-171, Provincia di Terra di Lavoro, Catasto seu Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, Frontespizio del microfilm pag. in copia 169 = pag.2 dell’originale
    Catasto – nuovo apprezzo dell’Unità della Terra di Castello a mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, principiato e terminato nell’anno 1753 – Pietro Beatrice Capo Cedda e Cesare Simeone eletto della stessa Unità, coll’assistenza de M. – d’altro catasto, quanto del – della lega e Gennaro Pranato, della medesima Unità richiesto a quello regolare – – in dove vivono descritti tutti li Cittadini, Vedove, Vergini in capillis e Bizzoche, Ecclesiastici, Cittadini Secolari e Luoghi Pij esteri et altro, colla tassa delle Poste, Prole – et Animali – e nella completazione degli atti preliminari di questo catasto furono eletti per Deputati, cioè il – primo Ceto, Giuseppe Camerino e Luca Traiettino del secondo Ceto, Pasquale – e Simeone del terzo Ceto e per estimatori Cittadini, Giuseppe Toscano e Nicola Toscano: e per Estimatori forestieri Viola di Cancello e Gaetano Agnello di Vico di —

    IV. ASNA, Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Vol.= Doc. 404, Pagg.5 in copia n.172 e segg., Provincia di Terra di Lavoro, Catasto seu Onciario dell’Unità di Castello a Mare del Volturno in Prov.a di Terra di Lavoro, Frontespizio del microfilm pag. in copia 172 = pag.5 dell’originale

    1. Il bracciale Agostino Saullo di anni 18 non possiede beni di sorta alcuna oltre alla casa di sua proprietà ove abita con la madre Alessia Moscardino di anni 50. Once 12-.-……

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Editorial Review

La certificatoria del Barone di Molognise, Don Tommaso Morelli

 

Indicato sul frontespizio con il titolo di Casale di Santa Maria Maggiore, inizia la lettura del Catasto Onciario di Caserta, con le dichiarazioni dei singoli capifamiglia. Segue l’elencazione dei 1.964 fuochi in ordine alfabetico per nome del capofamiglia, con relativo cognome, età di ogni componente della famiglia e mestiere per chi supera i 16 anni. In particolare sono i Giuseppe a distinguersi, con 103 presenze, seguiti da 90 Domenico, 89 Nicola, 80 Pascale, 73 Antonio, 73 Francesco, 70 Giovanni e suoi composti.
Per le donne, invece, i nomi più diffusi sono Anna, Maria, Catarina e Angela.
Contrariamente che per Caserta e casali, la scrittura dei compilatori del Catasto di Santa Maria è chiara in quasi tutte le pagine. Come nel primo volume, il lettore troverà, per ogni famiglia, una sintesi fedele di ogni singolo nucleo e, laddove è stato possibile, la trascrizione dei beni di maggiore entità e dell’effettiva tassa da pagare calcolata in once. Il numero che precede casali e nuclei abitativi è solo indicativo per meglio individuare nella ricerca i capifamiglia che qui si riportano elencati in ordine alfabetico di cognome e non di nome, per una più facile consultazione.
Il lettore attento avrà notato nuovi mestieri rispetto a quelli descritti nel primo volume e circoscritti al distretto, o ristretto, di Caserta. Nuove presenze e diverse volte decisamente più cospicue si sono invece rinvenute in questo Catasto. Nuove figure come il fameglio (maggiordomo), l’alguzzino (aguzzino), il capo cavallo di Sua Maestà, che è un nobile. All’uopo si noti come ogni volta che viene trascritto il nome del re si aggiunga sempre l’esclamazione Dio g., cioè che Dio guardi! Il Catasto di Santa Maria tende alla chiarezza e non è difficile, sebbene sia complesso, leggerlo in ogni sua parte, perfino nelle sottili sfumature che ci hanno portato a dire che si trattasse di uno staccatore di sole più che di uno stoccatore di sale, oppure di un chìncaro più che di un chiancàro. E ad interpretare l’Att.° per attuario.

Sfogliando le pagine del Catasto è stato interessante ritrovare l’originale di una certificatoria del Barone di Molognise, dottor Don Tommaso Morelli, uno dei più ricchi abitanti mariani. Parliamo di un nobile abitante con la famiglia in un bel palazzo dove si appellano tutti con il Don, dalla moglie Donna Isabella Bovenzi di 45 anni ai figli Alesandro Gabriele di 3 anni, Fulvia di 7 anni e Alesandra di 5 anni. Titolo nobiliare anche per gli zii: Domenico di 72 anni, Sebastiano di 65 anni e il reverendo sacerdote Don Pietro di 80 anni. Con lui vive infine la sorella Vittoria. Seguono il camariero Carlo Vitagliano, il cocchiero Giuseppe Massimo, il fameglio Carmine Lopes, il fameglio Romolo Alvino, la cameriera Rosa Apia e i servi Andrea Pezzella, Emilio d’Antonio, Gioacchino di Meo, Grazia Supino e Rosalina Schettino. La certificatoria, di mezzo secolo dopo, viene allegata dopo l’elenco dei beni. Essa fu spedita dal Supremo Tribunale della Regia Camera della Sommaria in data de’ 28 aprile 1803 in Banca del Mastrodatti Giodice presso Att.[uari]° D.Rafaele Negru a vicario ell’Uni.tà di S.Maria Maggiore Casale della Città di Capoa. Con questo documento si è fatto il richiesto notamento nel Catasto di d.a Unit.tà, conservato in questo Reale Archivio, al fine di descrivere il d.° Feudo di Molognise soggetto a tassa feudale. Nella sostanza, a seguito di successiva ingiunzione, si invitava a procedere istanza fiscale, a consenso dato dal Procuratore dell’Università. Da qui l’obbligo dell’annotazione nel Catasto dell’Università del Feudo di Molognise che, insieme ad altri territori adiacenti, seminatori e campestri, incluse le 28 moggia di divieto in Pertinenza di Pignaturo stimato in rendita per 737 once -come dichiarato dallo stesso Barone Morelli nella rivela dei suoi beni-, sia soggetto a tassa feudale, giusta la relazione fatta sull’appunto dal magistrato D.Gennaro Negri....