SIBILLA DI SICILIA. Le Regine di Palermo: l’ultima vedova degli Altavilla – EAN 9788872971543 (SCONTO 40% OFFERTA LANCIO SPEDIZIONE 1 FEB)

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Copertina posteriore

LA FIGLIA ALBIRIA, PADRONA DI LECCE, EREDITATA DAI SANSEVERINO

Stando alla tradizione storiografica, morto Ruggero de Medania, la contea di Acerra, passò al fratello Riccardo verso il 1170, zio materno della giovane Sibilla, promessa sposa di Tancredi conte di Lecce. Il francescano Tommaso da Pavia detto Tosco, che scrisse una cronaca fino al 1269 assorbita dal Villani, disse di Sibilla che veniva descritta come donna di straordinaria bellezza, tenuta in disparte dalla politica, molto dedita alla vita di palazzo e alla famiglia, dando alla luce Ruggero e Guglielmo, e tre figlie femmine, Albiria, Costanza e Medania.principale nemico del marito.

La morte della Regina Sibilla, secondo il necrologio del monastero leccese dei Ss. Niccolò e Cataldo, avvenne il 27 marzo.
L’anno parrebbe il 1204 o il 1205, visto che fino al marzo del 1204 i notai leccesi datarono gli atti secondo gli anni di Contea di Sibilla, mentre a partire dal settembre dell’anno successivo furono indicati gli anni dall’insediamento di Albiria.
Dunque non perse tempo la figlia che, forte dell’eredità del padre Tancredi, si risposò subito dopo la morte della Regina, nel 1205, con Giacomo che era Conte di Tricarico.
Andava così ad allerasi con colui che divenne il generale degli Svevi per l’intero Giustizierato regionale, Giacomo Sanseverino, rafforzando il potere del nuovo marito.
Nel mentre, a Lecce, sarebbe tornato il Conte Roberto, detto dei Visconti, dal suo diciottesimo anno fino alla morte, quando vi ritornò nuovamente Albiria Altavilla, da moglie di Giacomo di Tricarico.
Fu ella a tenere il titolo di Contessa di Lecce, come attestano alcuni documenti, fra il 1212 e il 1215, quindi ufficialmente anche dopo l’arrivo a Palermo di Federico II nel 1208.
Secondo alcuni Albiria si risposò ancora nel 1213, con il conte palatino Tegrimo di Modigliana, al seguito del quale abbandonò la contea di Lecce, intorno al 1215, per trasferirsi in Toscana, dove morì intorno al 1231.
La seconda figlia di Sibilla e Tancredi, Costanza, sposò il doge di Venezia Pietro Ziani, rimasto vedovo della prima moglie nel 1221.
L’ultima nata, Medania, che compare con il titolo di Contessa nel 1253, fece testamento al nipote Marco Ziani l’11 giugno 1256 e morì a Venezia qualche mese dopo.

Per certo la vedova Albiria, forte dell’eredità, si risposò dopo il 1205, con Giacomo di Tricarico
In questi 10 anni, la figlia del distrutto Re Tancredi e di Sibilla, nel nome del vincitore Federico II, Re nominale dal 1197, continuò la sua vita nelle braccia di un generale nemico, Giacomo di Tricarico. La sua discendenza si sarebbe comunque estinta in Serino, feudo sempre di Giacomo di Tricarico, benchè, paradossalmente, col marito continuasse quella degli avi del padre Tancredi, in quanto discendeva per parte del nonno dai Casertani tricaricensi oltre che, per parte di nonna, dai Franchi di Retville.
Giacomo di Tricarico, Signore di Serino, era figlio a Ruggiero II Tricarico (1147-1189) fu Roberto Sanseverino Conte di Caserta (1119-1183) marito di Domina Claritia Sarracena di Castello Serenum (erede di Simone DeTuille, o Tivilla m.1158), figlio di Radulfo di Castelfranchi, altrimenti detto Raone Retville, originario titolare della Contea di Boviano Nova fondata in Civitate Sepini (o Serini).
Una interessante descrizione topografica della metà del XII secolo, descrive la Valle del Monte Serico come un incrocio di almeno quattro vie: una andava nella Murgia Alta di Gravina, una quae venit ab Acheruntia per Genzano e Banzi; verso Sud si raggiungeva Montepeloso da una parte, intercettando la via que venit a Spinacciola ad casale Cervaricium, dall’altra, dopo aver lasciato l’Appia, fra Minervino e Altamura. Lo faceva non prima di aver incrociato la via venusina e la via que tendit versus Florentia, a dimostrazione dell’intenso via vai creatosi fra Barletta e Altamura, Venosa e Acerenza.66
Tutti i territori pugliesi, ai primi del 1200, con l’istituzione del giudice Demetrio e del castellano Giovanni, responsabile della costruenda rocca, come di prassi, vengono ormai regolarmente censiti, sia essi di proprietà della Chiesa, dello Stato o dei privati.
Alcuni di essi sono riportati nelle pergamene della «Santa Chiesa degli Armeni», parlandosi di una cessione di terre, la cui proprietà venne a cambiare con l’istituzione del Castellano, che ne dimostrò, verso l’abbazia precedente, la presa di possesso per nome e per conto del nuovo signore, che era il generale capuano Giacomo Sanseverino, assegnato alla provincia ducale dell’Apulia, in quanto nominato Giustiziario del Giustizierato, ma già Conte di Tricarico.
Il Giacomo Sanseverino che affida il demanio di Forenza a Giovanni è lo stesso che vuole la nascita di Santa Maria degli Armeni, disegnata sulla carta dal genitore conquistatore della provincia, Ruggiero Sanseverino, e attuata dal figlio.
Lui è il comandante generale a far data dal 1200 che fa costruire la chiesa, ponendo residenza a Tricarico-Matera, fulcro della sua contea, città da cui si dipanano le Terre demaniali affidati ai vari giudici e castellani.
Egli la dota di beni terrieri affidati in patronato, cioè assegnati ad una sorta di confraternita legata all’immagine mariana venerata dagli Armeni che provvederà a fruttificarli.
Il Conte di Tricarico del documento, scrive Cuozzo, “apparteneva alla famiglia dei Sanseverino del ramo di Caserta, il cui capostipite si fa risalire a Roberto senior Lauri, nominato conte di Caserta dopo il 1150; per primo il figlio di questi Ruggiero ottenne il titolo di Conte di Tricarico e di giustiziere di Puglie e di Terra di Lavoro, di cui il figlio Giacomo si fregia nell’incrementare la dotazione della chiesa di Santa Maria degli Armeni”. Giacomo Sanseverino, signore e domino, cioè proprietario di questi feudi, è l’unico referente del suo demanio comitale che ha commissariato ai precedenti signori che avevano forse sede in Acerenza o Venosa. Ora comanda Giacomo, anzi, un suo castellano lo fa per lui, il milite Giovanni, inviato da Tricarico per impiantare la piccola corte locale in Forenza. I suoi uomini sono gli stessi che scorrono le Terre circostanti e affidano beni in suo nome, nel territorio diventato di giurisdizione propria, cioè nei tenimenti di Forenza, Turbia, S.Clerici, Albano e Tricarico, che rappresenterebbero l’intera contea federiciana.
Secondo alcuni, a continuare a sedersi in Lecce, fu il Conte Roberto, detto dei Visconti fino alla morte, quando vi tornò Albiria, divenuta nel mentre moglie di Giacomo di Tricarico….

Description

Il papa spodesta i tancredini e ripristina
a lecce la vicaria del principato di capua

Su Sibilla di Sicilia Regina di Palermo, altrimenti detta Sibilla di Medania, o di Acerra, non ci sono più dubbi che sia la stessa persona.
Non bisogna però fare confusione, essendoci più sovrane di tal nome, con la Sibilla angioina di Gerusalemme, diva dei romanzi ottocenteschi, ai tempi della conquista del S.Sepolcro da parte del Saladino, o con la Sibilla delle Fiandre, sorella di Goffredo il Bello.
E’ però vero che la nostra Regina rischia di mandare ugualmente in confusione il lettore perché fu retrocessa a a Contessa di Lecce, spuntata nel pieno della guerra fra guelfi e ghibellini, quando Brindisi fu col marito Re Tancredi, e il papa costrinse monache, chiese e benedettini a voltare le spalle a quest’ultimo sovrano degli Altavilla, lasciando che la vedova perdesse due troni.
Dopo una lunga premessa di chicche storiche sull’area di Lecce, Ostuni, Cassino, e la guerra fra Guglielmo il Buono e quello Cattivo, il libro riparte dalla fondazione di San Giovanni in Lecce, voluta a suo tempo da Accardo, per rilanciare la figura del bistrattato Conte di Lecce, il quale assurge a Re, e della sua vedova, retrocessa a Contessa.
I succosi capitoli su Sibilla sono una continua scoperta di una bella figura di Acerra, del sangue dei D’Aquino-Medania, madre di cinque figli dispersi, designata a Regina di Palermo, dopo essere stata prigioniera dell’avversa Costanza di Sicilia, poi trattenuta anch’essa dalla stessa a Salerno, salvata dal nemico, e poi costretta dal papa al ritiro, pronto a rilanciare il Regno di Dio in terra.
L’ex Contea di Lecce sarebbe stata la sede ideale per l’esilio del Re, poi della vedova, infine della figlia, allontanando i protagonisti dalla scena politica, costringendo l’erede a sposare l’ultimo dei Brienne del Lussemburgo, casata prossima al trono di Gerusalemme.
Nelle pagine centrali di queste irrequiete cronache, tornano sulla scena i Templari, che richiamano l’Imperatore Enrico VI nel Regno, per consegnargli Napoli, Salerno e la Sicilia. Da qui la fuga dei reali di Palermo nel castello di Caltabellotta, il tranello del fantomatico accordo con la Regina vedova, poi rinnegata e spodestata; sorte toccata a tutto il Regno della Chiesa. Ma al papa basterà farsi nominare tutore del piccolo Federico II, e rieccolo governare dieci anni, ripartendo da Andria, per tenere a bada l’ormai innocua progenie leccese del fu Tancredi da Carovigno, dopo aver fatto uccidere Enrico VI, esiliare Costanza e Sibilla, invadere la Puglia, da Lecce a Taranto. Sono le due città riaffidate agli ormai innocui Tancredini e ai Brienne, con la spumeggiante Albiria, pronta a consegnare l’eredità del Regno Ultra di Capua al generale Sanseverino dei Tricarico. Questi, liberate Calabria, Lucania e Puglia, ripartono da Lecce, vicaria e metropolia del reame capuano della Sicilia continentale, per tentare, inutilmente, di ripristinare l’antico Regno di Puglia.

SIBILLA,

LA SORELLA DI RICCARDO DE MEDAUNIA

Sibilla di Medania, sorella di Riccardo di Acerra, nota anche come Sibilla di Acerra (Acerra, 1153 – 1205), fu designata a regina consorte di Sicilia.
Figlia di Rainaldo d’Aquino, signore di Roccasecca, e di Cecilia de Medania, secondo tradizione, Sibilla nacque ad Acerra, luogo da cui prese il nomignolo, poco dopo il 1150, anche se non v’è alcun documento che possa provarlo.
Di certo fu della progenie dei discendenti possessori di Aquino, Pontecorvo e la Val Comino. Nonno paterno fu Landone IV, ultimo conte di Aquino, privato del feudo dall’imperatore Lotario II del Sacro Romano Impero, unitamente al titolo comitale a favore dell’abbazia di Montecassino, ridimensionando il potere della famiglia. Riottenuto qualche feudo la famiglia aveva riconquistato il titolo comitale e una posizione di prestigio alla corte degli Altavilla, grazie ad un’accorta politica matrimoniale.
Gli Aquino si imparentarono con i nobili dei Medania, da qui lo sposalizio tra i genitori di Sibilla e Riccardo: Rainaldo d’Aquino e Cecilia di Medania, figlia di Roberto di Medania, nobile giunto in Italia meridionale durante il regno di Ruggero II di Sicilia (1130 – 1154), dal 1150 conte di Buonalbergo, e poi conte di Acerra. Titoli ereditati dal figlio Ruggero di Medania, che però morì senza eredi nel 1167, lasciando tutto al nipote Riccardo d’Aquino, figlio di sua sorella Cecilia, che aveva generato anche Sibilla. Ma non è escluso che Sibilla, non ereditiera, fosse però orfana di Ruggiero e quindi accolta dalla zia Sibilla a 14 anni, essendo ella stessa nota come Sibilla di Medania o di Acerra (1153-1205).
Secondo altri Sibilla fu addirittura nipote di Cecilia, perché figlia a Riccardo.
Altri ancora parlano solo di un Conte di Acerra, come il Morelli, senza dire se fosse Riccardo o Roberto….
indice

sibilla di SICILIA
Sibilla di Medania

ricapitolazione
il papa spodesta i tancredini e ripristina
a lecce la vicaria del principato di capua

prologo
più regine di nome sibilla

1. Sibilla sovrana angioina di Gerusalemme
— il santo sepolcro al saladino
— la diva dei romanzi
2. Sibilla delle Fiandre, sorella di Goffredo il Bello
3. Sibilla Contessa di Lecce dei Duchi di Atene
— guelfi contro ghibellini: brindisi con tancredi
— le monache di s.benedetto interdette: s.agostino
— sibilla perse due regni e tornò contessa a lecce

premessa storica
l’ascesa del futuro marito

1. Ruggero è Re, con Benevento resta solo Lecce
2. Guglielmo II scippa Terre: è diocesi ad Ostuni
3. Omaggio di Cassino e Benevento a Re Malo
4. Margherita tutela Re Guglielmo II Buono
5. S.Giovanni in Lecce già fondata da Accardo
6. Tancredi fu Duca Rogero III fu Re Ruggero II
7. Da Conte di Lecce a Re nel 1190

CAPITOLO I.

sibilla dei medania sposa del re

— Sorella a Riccardo d’Acerra dei D’Aquino-Medania
— Sibilla sposa regia con cinque figli
— La designazione a consorte del Re di Sicilia
— Aprutino e Bertoldo si ribellano a Riccardo
— Enrico se ne va, Costanza prigioniera a Salerno
— La nemica della Regina non muore, la salva il Re

CAPITOLO II.

i sovrani traditi dal papa

— L’ex Conte di Lecce conquista terre e fiducia
— Tancredi respinge Enrico: Napoli lo ama
— L’erede Ruggieri sposa Irene e libera Costanza
— Costanza sfugge alla prigionìa
— Margaritone assale Pisani e imperiali a C. Mare
— Ruggiero di Avellino prova a difendere Salerno

CAPITOLO III.

sibilla imprigiona costanza

— Ruggero III sposa Irene, Albiria va al Brienne
— La morte del figlio e del marito fatto Re
— Re Tancredi lascia Guglielmo III senza corona
— I Templari richiamano l’Imperatore nel Regno
— L’invasione di Enrico VI

CAPITOLO IV.

costanza imprigiona sibilla

— Gli svevi prendono Napoli, Salerno e la Sicilia
— La fuga dei reali nel castello di Caltabellotta
— Il tranello dell’accordo in cambio di Lecce
— La Regina Costanza reggente dell’Imperatore
— I nemici rinnegano Lecce a Sibilla spodestata
— Guglielmo in Germania, invaso lo stato del papa

CAPITOLO V.

fuga in francia: il regno aLLA CHIESA

— Sibilla in Francia, il Papa sposa Irene al nemico
— La vedova Irene risposata all’erede svevo
— Federico II è Re: fallita congiura pro Giordano
— L’uccisione del fratello Riccardo di Acerra
— Morte del crudele Enrico VI nel 1197
— Papalini a Taranto, Lecce, Avellino, Benevento
— Lecce ai Brienne, eredi del Re di Gerusalemme

CAPITOLO VI.

ritorno a lecce: esilio da contessa

— Sibilla riconosciuta erede di Lecce e Taranto
— La figlia Albiria sposa Gualteri III Brienne di Lecce
— Diopoldo attacca Castel Terracena di Salerno
— La Regina muore, una figlia sposa il Generale
— Albiria porta l’eredità ai Sanseverino di Tricarico

CAPITOLO VII.

lecce metropoli e capo della puglia

— Il ritorno di Costanza voluto dai Templari
— Il patronato delle confraternite: le preture
— Ai Sanseverino il potere che fu degli Altavilla
— Lecce a capo della regione sotto Federico II
— Neapolis a Lurano in M.S.Angelo, Siponto è Laureto
— Siponto e M.S.Angelo con l’urbe a Lamis ex Yriano
— Lurano e Loreto sono nel Marchesato di Urberiano
— Il mistero di Andria, la città del faro di Lucera
appendice documentaria

ALBIRIA, LA FIGLIA CORAGGIOSA
CHE RIPORTò I BRIENNE A LECCE
di Cesare Poli

più regine di nome sibilla

1.
Sibilla sovrana angioina di Gerusalemme

All’epoca di Papa Clemente III la Chiesa spadroneggiava nel ritrovato reame, creando le premesse, di lì a poco, al ripristino di un altro regno consolare e imperiale, quello appartenuto ai pagani di Rama, urbe già presa a suo tempo dall’esercito bulgaro di Roberto il Guiscardo, quando se ne intitolerà Re il giovane Federico II di Svevia.
Siamo nel pieno delle guerre di religione, quando da Almarico I d’Angiò, Re di Gerusalemme, erano nati Baldovino IV Leproso, Isabella e la prima Sibilla (1160-1190) di tal nome, sovrana dal 1186, data in sposa a Guglielmo Longaspada, marchese del Monferrato, morto lasciando orfano Baldovino, incoronato dall’omonimo zio col conte Ramondo a curatore. «Sibilla, che fu dai Cavalieri Templari, che havevano l’hospitio in Gazza, incoronata Regina, rimaritossi costei, e tolse Guido da Lusignano della nobilissima famiglia Pittiersi, trasferendo in esso le ragioni, e il dominio di Terra Santa. Quindi nacque guerra, e contesa tra il nuovo Re, il il Conte Ramondo, cagionate dall’amministrazione, e governo del Regno, per le quali in capo di due anni con infamia del Conte Ramondo, che fuggendo con la sua gente tradì l’esercito cristiano, si perdé con tanto danno nel 1187 il Santo Sepolcro, andando in poter del Saladino, dopo essere anni 89 stato nelle mani dei Cristiani».1

il santo sepolcro al saladino

Fu uno smacco per la Chiesa e per i Templari. Senza «ordine alcuno, corsi i nostri a farne preda, ritornò di un subito il Saladino lor sopra, e alla impensata oppresse, e tagliò a pezzi molti. Ne Christiani per questo lasciarono l’assedio, ancor che di più nel campo morissero molti di dissenteria della quale infermità morì Sibilla, che era con quattro figliuoli, che havea di Guido havuti». Nulla di più viene accennato sui fatti dell’Asia, precedenti alla diversa Sibilla di Medania, dai primi storici pontifici. Si sa però che presto il papa avocò a sé anche il trono di Palermo, cioè da quando «morto in Palermo Guglielmo Re di Sicilia: e perché non lasciò legitimo herede, ricadeva alla Chiesa quel Regno. Ma i baroni della isola crearono Re tosta Tancredi, nato di Ruggiero Normanno, e di una sua concubina; il qual era così da nulla, che Guglielmo vivendo soleva dire, che esso non fusse per nessun conto figliuolo di Ruggiero. Hora volendo Papa Clemente sopra le ragioni di quel regno prevalersi, vi mandò tosto uno esercito. E mentre che Tancredi vi si oppone, fù di sangue, é di rapine quel regno pieno».2

la diva dei romanzi

Sibilla di Gerusalemme fu personago molto amato dai romanzieri, alimentandosi la narrativa popolare, dei racconti contenuti in un testo volgare francese del XIII secolo, attribuito a Ernoul, sul suo amore da vedova verso Baldovino di Ibelin, vedovo anch’egli, ma anziano, che nel 1179 cadde prigioniero di Saladino, ricevendo lettera dall’amata. Sposò poi Guido, uno dei capi della terza crociata, con la regina al seguito per la liberazione di San Giovanni d’Acri. Ma è proprio durante gli scontri di quell’estate che il 25 luglio 1190, colpita dall’epidemia ci lasciò le penne anche la Regina di Gerusalemme, seguita, dopo un paio di giorni, dalle sue due figlie.
Disse Berndard Hamilton che «se Sibilla fosse vissuta in tempi più pacifici, avrebbe esercitato un enorme potere, visto che l’autorità del marito derivava palesemente da lei», mentre saliva al trono la sorellastra Isabella, costretta a sposare Corrado del Monferrato, anche se Guido si rifiutò di deporre la corona per due anni.3

2.
Sibilla delle Fiandre, sorella di Goffredo il Bello

Altra Sibylle, o Sibilla, famosa dei d’Angiò (1112 circa – Betania, 1165), sorella di Goffredo il Bello, capostipite dei Plantageneti, fu la Contessa consorte delle Fiandre, che resse quel titolo dal 1134 alla sua morte.
L’arcivescovo Guglielmo di Tiro, oggi Libano, nella sua Historia rerum in partibus transmarinis gestarum la dice primogenita del conte d’Angiò, di Tours, e del Maine, reggente del Principato di Antiochia e Re consorte di Gerusalemme, Folco il Giovane, sposo della Contessa del Maine, Eremburga. Stando anche alla Chronica Albrici Monachi Trium Fontium, Folco era figlio del Conte di Angiò e conte di Tours, Folco IV il Rissoso, e della sua ultima moglie Bertrada di Montfort, figlia terzogenita del signore di Montfort, Simone I (1025 circa – 25 settembre 1087), confermata dalla Chronica de Gesta Consulum Andegavorum, Chroniques d’Anjou, e come sorella del signore di Montfort e Amalrico, dalla Chronica de Gesta Consulum Andegavorum, Chroniques d’Anjou.4

3.
Sibilla Contessa di Lecce dei Duchi di Atene

Eccoci così alla Sibilla di Acerra, argomento di questa succosa biografia. Vale per tutti il breve cenno che ne fa Tromby, riferendola nipote di Ruggiero da Sanseverino, figlio di Torgisio Normmano, e madre dello sfortunato Guglielmo, delle vergini Aibirnia e Mandonia, oltre che di Costanza andata in sposa a Pietro, figlio del doge di Venezia: «or per quelle vicende delle cose del mondo furono tutti scherzo della fortuna».5
Per Della Monaca Tantredi sposò «una figlia di Ruberto Conte di Lecce, e Duca d’Athene, andando sempre congionti questi due titoli nella casa Normanna, e tutti i Duchi d’Athene furono Conti di Lecce. Questo Tancredi doppo la morte del Conte suo avo, era successo al titolo di Conte di Lecce, secondo il Colennuccio, la moglie sua fu detta Sibilla, ma non pervenne alla corona senza lite, perciò che Clemente Terzo pretendendo che non fusse leggitimo, e però il Regno fusse ricaduto alla Chiesa, si divisero i Popoli in fattioni reali, e pontificie».6

guelfi contro ghibellini:
brindisi città sta con tancredi

Di queste controversie fra guelfi e ghibellini, cioè, si riempì il reame, provocando «discordie sì grandi, che se n’aspettava qualche gran rovina, et essendo l’altro pontefice, che successe a Clemente Celestino Terzo, tutto il paese Salentino arse lungo tempo di guerra, e fu molestato da eserciti fra di loro di contrarie fattioni. Brindisi al suo solito seguendo le parti della Chiesa, ricusò dal principio il scettro del scommunicato Tancredi, e prima, che l’ubbidisse, volentieri s’offerì à soffrire ogni acerbità d’assedij, et espugnationi. Di questi travagli sofferti dalla Città per non mancare al dovuto ossequio della Chiesa Romana, n’habbiamo per testimonianza le bolle di due pontefici, che seguiro, confervate fino ad hoggi, come diremo appresso. Pure prevalendo la forza del Real Pontefice, ricevè la Città contro sua voglia il freno da Tancredi.
Non manca alla Città qualche vestigio dell’opere di questo Rè, perciò che egli gl’arricchì d’un bellissimo, e copiosissimo fonte, che fino ad hoggi si vede, che è di grandissimo utile al Publico, chiamandosi fonte grande, sù l’estremità del Ponte, dove cominciauala Via Appia, che porge copiosissime acque alla Città, et a gl’animali, che vi concorrono à bere, irrigando tutti quei giardini, che nella sottoposta costa di mare si trovano, senza che si sappia haver mancato mai nei tempi delle maggiori siccità, quando tutti gl’altri fonti, e pozzi d’acque sorgenti son disseccate, di scorrere con la medesima copia d’acque, che dal principio li fù data dall’industrioso artefice.
Il modello di questo fonte è all’uso antico, ma riguardeuole, e vago, poiché consiste in un vaso grande di grosse pietre fabricato lungo palmi ventidue in circa, et à proportione largo, che stà del continuo pieno d’acque per beneficio commune. Nelle due estremità, dangoli del predetto vaso vi sono due nicchi grandicon le cupule nella sommità diessi, e da ciascheduno nicchio per sotterranee strade scorrono abbódantissimamente acque dolcissime nelli loro recipienti, e di là si communicano al vaso maggiore detto di sopra. La qualità di quest’acque, secondo l’esperieza fatta da’ medici, e da periti, si è ritrovata esser la migliore di tutte l’altre, che sono dentro, e fuora della Città; come dell’acqua detta di Giardino à mare, chiamata Pomeriana, dell’acqua di S. Anastio; dell’acqua Hebrea, ch’era solo destinata per servitio di quelle genti quando dimoravano in Brindisi, acciò neanche con l’acque si mischiassero con Christiani; dell’acqua Carmelitana, che è un pozzo del Carmine antico. Dell’acqua Patritia, della Persana, di Calone, di Tramazzone; delle Fontanelle, che scaturisce nella riva del mare nel Porto Brundusino, e d’altre acque salubri, e per ciò di essa si serve la maggior parte de cittadini, e particolarmente gl’Infermi; nel mezzo di essa vi è la seguente inscrittione in un sasso:
Ad Viatorem
Appia Appio, Fons Tancredo Rege edita.
Ambo Ferdinando Loffredo Heroe iuftaurata.
Quare stà, Bibe, & propera, & Tria hec commoda
His tribus Proceribus accepta referto.

Più à basso ve n’è un’altra, i cui caratteri sono alquanto disfatti dal tempo, che con difficoltà si leggono, che dice così:

Anno Dominice Incarnationis millesimo, centesimo nonagesimo secundo. Regnante Domino nostro Tancredo Invictissimo Rege Anno tertio, & feliciter Regnante Domino nostro gloriosissimo Rege Rogerio filio eius: Anno primo, mense Augusti, Indic. Decima. Hoc opus. factum est. ad Honorem Eorundem Regum.

Il che diede materia à Nicolò Taccone dottissimo poeta Brundusino di scherzare con un suo Epigramma intorno la figura del capo di Cervo, ch’il Porto accenna, unito con il detto Fonte, fingendo esser stato quel Fonte, ove Diana vista ignuda d’Atteone fù da quella convertito in cervo, e da proprij cani sbranato, dal cui capo lacerato, e risoluto in sangue si formò quel Porto, che perciò ne ritiene il nome, e la forma.

Hic miser Atheon vidit fine veste Dianam
Fit Ceruus, Ceruum corripuere Canes.
Cornibus aereis caput à cervice revellunt:
Sanguine, vicino in littore stagnat humus
Nondum Portus erat, formarut cornua Portum…
Cervini capitis urbs quoque nomen habet.
Mentre il governo della città era appresso Tancredi, quel della Chiesa Brundusina era tuttavia appresso Pietro Arciuescouo, il quale, come s’è detto nel Libro secondo, al capitolo decimosesto, fu desideroso di vedere le sacre Reliquie di San Leucio, ma non giudicò Iddio esser quel tempo opportuno per revelare alle pupille de’ mortali tesoro si grande, come fino ad hoggi nè meno si è compiaciuto rivelarlo. Si ruppe, come si disse di sopra, alla presenza del Vescovo, la tomba, et il marmo, ch’era sotto l’altare del santo, e parendo al buon Vescovo, che si fusse violato l’Altare tornò di nuovo à consecrarlo con tutta la Chiesa. Fu fatta questa consecratione il primo di maggio, et in memoria di ciò, fino à giorni nostri s’offerva d’andarci quel di processionalmente il Capitolo con l’arcivescouo cantandovisi solennemente la messa, prestando al prelato l’obedienza tutti gl’arcipreti, et abbati della Diocese».7

le monache di s.benedetto interdette,
nascono gli eremitani di s.agostino

Ai tempi dell’arcivescovo si turbò nuovamente la pace con le monache di s.Benedetto. Monsignor Pietro pretendeva di esercitare la sua giurisdizione sopra le chiese, i clerici e l’antico monastero, ma non essendo ubbidito interdisse le chiese delle monache e i chierici del di loro Casale di Tuturano.
«Mentre passavano queste turbolenze, giunsero in Brindisi due cardinali, cioè il cardinale di Santa Ruffina, et il Cardinale di Santa Susanna che andavano all’Imperator di Costantinopoli Legati della Santa Sede per imbarcarsi in quel Porto.
Costoro havendo intesa la controversia, e la doglianza particolarmente dell’abbadessa differirno la terminatione della causa fino al loro ritorno da Costantinopoli, mettendo per all’hora una suspensione, e tregua fra i litiganti.
Tornati finalmente procuraro d’accordarli, e porli in pace, ma non potendo ottenerlo, ordinaro, che mentre il Papa altro non dichiarasse, si togliesse l’interdetto, et ogn’uno si mantenesse nelle sue antiche giurisdittioni, senza turbar gl’altrui; vedendosi di ciò le scritture originali appresso le monache spedite in Ostuni, dove si trovavano all’hora quei Cardinali l’anno secondo del Pontificato di Celestino Terzo, che fù nell’anno millecentonovantatrè di Christo, come n’appaiono le lettere dell’istesso Papa date nel medesimo anno, ordinando all’Arcivescovo, che non osasse più turbare la libertà del Monasterio.
In questo tempo fu fondato in Brindisi il Monasterio di Sant’Agostino sotto il titolo di Santa Maria della Gratia, sul principio istesso della reformatione di quell’Ordine Heremitano. Havea trà questo mentre il papa chiamato l’Imperatore Enrico, Suevo contro Tancredi usurpatore del Regno, dandoli per moglie Costanza Normanna figlia di Ruggiero, ch’era monaca claustrale in Palermo, essendo questa sola signora rimasta della legitima descendenza dei Rè Normanni, come dicono il Platina, et il Fazello, che lo coronò Rè di Napoli, e lo spinse contro Tancredi. Varij furono i successi trà Tancredi et Enrico. Ma rimase alla fine Enrico assoluto Signor del Regno, terminando in Tancredi il dominio Normanno, che secondo il Biondo nella sua Italia Illustrata, era durato centocinquantatre anni, e passò alli Svevi, delli quali cominciaremo à trattare».8

sibilla perse due regni
e tornò contessa a lecce

Ritornando a Sibilla, Della Monaca dice che «tra questo mezzo era morto l’arcivescovo Pietro, et in luogo di lui era stato promosso dall’istesso Pontefice Celestino Terzo, che ancora viveva Girardo.
Quanto tempo sia vissuto nella sua Chiesa quest’arcivescouo, non ai trova, non apparendo di lui scrittura alcuna, eccetto l’accennata elettione. Così passò Brindisi dalla casa Normanna à quella de’ Svevi, e seco tutto il Regno, eccetto il titolo del Contado di Lecce, che per all’hora restò nell’istessa fameglia Normanna; perciò che Sibilla già moglie del Re Tancredi essendosi resa sotto la fede dell’Imperatore Enrico, ottenne che li figli, ch’ella havea havuti da Tancredi, potessero possedere in Terra d’Otranto il Contado di Lecce, che col marito havea posseduto prima che fussero inalzati alla Corona, e benché non havesse ottenuto la libertà, restò nondimeno col titolo di Contessa di Lecce. Oh dell’infedel fortuna instabil ruota, quella che dianzi da Contessa fu sollevata alla Corona d’ambedue le Sicilie, si vidde in un punto priva di due Regni, restando col solo titolo di Contessa, e prigioniera del suo inimico in Germania, avverandosi in lei quel che disse il Poeta:

Si fortuna volet, fies de Rethore Consul
Si volet haec eadem fiet de Consule Rethor.8

[Se la fortuna vuole di un retore ne fa un console;
e se vuole, di un console ne fa un retore.]

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Editorial Review

LE BASI PER UNA STORIA SUI BRIENNE, EREDI DEL RE DI GERUSALEMME

 

Dopo la liberazione, la vedova di Tancredi cercò rifugio e protezione nella Francia di Filippo II Augusto e, tra la fine del 1199 e i primi mesi del 1200, fece sposare la sua figlia maggiore, Albiria, con il conte Gualtieri di Brienne.
A dire dello storico Marciano, «in questo tempo essendo morto il Duca di Atene senza figliuoli, successe nello stato di Sibilla, moglie di esso Tancredi, il quale ritorno al suo contado di Lecce, e per soddisfare al voto altese all'edificazione della detta chiesa di S. Niccolò e Cataldo; e fattovi anche un suntuosissimo monistero, lo dotò di molti beni, v'introdusse per servigio di essa chiesa i monaci dell'ordine Cassinese, ed ollenne da Papa Lucio III l'esenzione dal Vescovo, come si legge ne' privilegi spediti in Grecia a due di ottobre del 1181 col titolo e la sottoscrizione», riferendosi al monastero che il Conte Tancredi figlio del fu Duca Rogero III, e quindi non del Re, aveva fatto edificare.
Così l’atto: — In nomine Dei aeterni, et Salvatoris nostri Jesu Christi.
Anno Domini Incarnationis 1181 regni vero Domini nostri Guglielmi Dei gratia magnificentissimi regis Siciliae Ducatus Apuliae et principatus Capuae, anno XIV die 2 mensis septembris Indictione XIV.
Ego Tancredus Comes, Domini Ducis Rogerii beatae memoriae filius, hoc concedo et confirmo ad Dei laudem.

Nella porta maggiore della chiesa alcuni autori hanno visto e trascritto i versi su essa incisi.
Questa è l’incisione:
— Haec in carne sita, qua labitur irrita vita,
Consule dives, ita ne sit pro carne sopita.
Vitae Tancredus Comes aeternum sibi foedus
Firmat in his donis ditans haec templa colonis
Anno milleno centeno bisquadrageno
Quo patuit mundo Christus sub rege secundo
Guglielmus Magnus Comes Tancredus et Agnus
Nomine, quem legit, Nicolai templa peregit.

Dice lo storico aragonese che «i monaci di S.Benedetto detti di Monte Oliveto stanno oggi in questo monistero, donato loro dal Re Ferdinando I di Aragona dopo di aver ricevuta la città di Otranto da' Turchi ed introdottavi quella famosissima fiera dell'Annunciazione addì 25 di marzo, la quale prima facevasi presso il monistero di S. Maria di Cerrate, edificato dal medesimo Tancredi miglia sette lontano della città di Lecce. Essendo morto il Re Guglielmo il Buono in Sicilia l'anno 1188, ed avendo col suo testamento dichiaralo erede dell'uda e dell'altra Sicilia il Conte Tancredi, questo avendo presa la possessione dei regni, ed acclamato re da' Siciliani, gli si oppose il Pontefice Clemente III con dire che quel regno era ricaduto alla Sede Apostolica per essere morto quel re senza legittimi successori. Scrive Guglielmo Podio che si disputò allora quel punto in Palermo avanti le tre potenze del Regno, ed in virtù della dichiarazione falta dal Duca Ruggiero, padre di esso Tancredi, prima che morisse, e per altre ragioni apportate fu conchiuso essere il Conte Tancredi legiltimo successore del Regno, senza avere avuta considerazione alcuna all'opposizione fatta dal Pontefice, e che subito per pubblico parlamento fu accellato per legittimo Re esso Tancredi»....

 

più regine di nome sibilla

1.
Sibilla sovrana angioina di Gerusalemme

All’epoca di Papa Clemente III la Chiesa spadroneggiava nel ritrovato reame, creando le premesse, di lì a poco, al ripristino di un altro regno consolare e imperiale, quello appartenuto ai pagani di Rama, urbe già presa a suo tempo dall’esercito bulgaro di Roberto il Guiscardo, quando se ne intitolerà Re il giovane Federico II di Svevia.
Siamo nel pieno delle guerre di religione, quando da Almarico I d’Angiò, Re di Gerusalemme, erano nati Baldovino IV Leproso, Isabella e la prima Sibilla (1160-1190) di tal nome, sovrana dal 1186, data in sposa a Guglielmo Longaspada, marchese del Monferrato, morto lasciando orfano Baldovino, incoronato dall’omonimo zio col conte Ramondo a curatore. «Sibilla, che fu dai Cavalieri Templari, che havevano l’hospitio in Gazza, incoronata Regina, rimaritossi costei, e tolse Guido da Lusignano della nobilissima famiglia Pittiersi, trasferendo in esso le ragioni, e il dominio di Terra Santa. Quindi nacque guerra, e contesa tra il nuovo Re, il il Conte Ramondo, cagionate dall’amministrazione, e governo del Regno, per le quali in capo di due anni con infamia del Conte Ramondo, che fuggendo con la sua gente tradì l’esercito cristiano, si perdé con tanto danno nel 1187 il Santo Sepolcro, andando in poter del Saladino, dopo essere anni 89 stato nelle mani dei Cristiani».1

il santo sepolcro al saladino

Fu uno smacco per la Chiesa e per i Templari. Senza «ordine alcuno, corsi i nostri a farne preda, ritornò di un subito il Saladino lor sopra, e alla impensata oppresse, e tagliò a pezzi molti. Ne Christiani per questo lasciarono l'assedio, ancor che di più nel campo morissero molti di dissenteria della quale infermità morì Sibilla, che era con quattro figliuoli, che havea di Guido havuti». Nulla di più viene accennato sui fatti dell’Asia, precedenti alla diversa Sibilla di Medania, dai primi storici pontifici. Si sa però che presto il papa avocò a sé anche il trono di Palermo, cioè da quando «morto in Palermo Guglielmo Re di Sicilia: e perché non lasciò legitimo herede, ricadeva alla Chiesa quel Regno. Ma i baroni della isola crearono Re tosta Tancredi, nato di Ruggiero Normanno, e di una sua concubina; il qual era così da nulla, che Guglielmo vivendo soleva dire, che esso non fusse per nessun conto figliuolo di Ruggiero. Hora volendo Papa Clemente sopra le ragioni di quel regno prevalersi, vi mandò tosto uno esercito. E mentre che Tancredi vi si oppone, fù di sangue, é di rapine quel regno pieno».2

la diva dei romanzi

Sibilla di Gerusalemme fu personago molto amato dai romanzieri, alimentandosi la narrativa popolare, dei racconti contenuti in un testo volgare francese del XIII secolo, attribuito a Ernoul, sul suo amore da vedova verso Baldovino di Ibelin, vedovo anch’egli, ma anziano, che nel 1179 cadde prigioniero di Saladino, ricevendo lettera dall’amata. Sposò poi Guido, uno dei capi della terza crociata, con la regina al seguito per la liberazione di San Giovanni d’Acri. Ma è proprio durante gli scontri di quell’estate che il 25 luglio 1190, colpita dall’epidemia ci lasciò le penne anche la Regina di Gerusalemme, seguita, dopo un paio di giorni, dalle sue due figlie.
Disse Berndard Hamilton che «se Sibilla fosse vissuta in tempi più pacifici, avrebbe esercitato un enorme potere, visto che l'autorità del marito derivava palesemente da lei», mentre saliva al trono la sorellastra Isabella, costretta a sposare Corrado del Monferrato, anche se Guido si rifiutò di deporre la corona per due anni.3

2.
Sibilla delle Fiandre, sorella di Goffredo il Bello

Altra Sibylle, o Sibilla, famosa dei d'Angiò (1112 circa – Betania, 1165), sorella di Goffredo il Bello, capostipite dei Plantageneti, fu la Contessa consorte delle Fiandre, che resse quel titolo dal 1134 alla sua morte.
L’arcivescovo Guglielmo di Tiro, oggi Libano, nella sua Historia rerum in partibus transmarinis gestarum la dice primogenita del conte d'Angiò, di Tours, e del Maine, reggente del Principato di Antiochia e Re consorte di Gerusalemme, Folco il Giovane, sposo della Contessa del Maine, Eremburga. Stando anche alla Chronica Albrici Monachi Trium Fontium, Folco era figlio del Conte di Angiò e conte di Tours, Folco IV il Rissoso, e della sua ultima moglie Bertrada di Montfort, figlia terzogenita del signore di Montfort, Simone I (1025 circa - 25 settembre 1087), confermata dalla Chronica de Gesta Consulum Andegavorum, Chroniques d'Anjou, e come sorella del signore di Montfort e Amalrico, dalla Chronica de Gesta Consulum Andegavorum, Chroniques d'Anjou.4

3.
Sibilla Contessa di Lecce dei Duchi di Atene

Eccoci così alla Sibilla di Acerra, argomento di questa succosa biografia. Vale per tutti il breve cenno che ne fa Tromby, riferendola nipote di Ruggiero da Sanseverino, figlio di Torgisio Normmano, e madre dello sfortunato Guglielmo, delle vergini Aibirnia e Mandonia, oltre che di Costanza andata in sposa a Pietro, figlio del doge di Venezia: «or per quelle vicende delle cose del mondo furono tutti scherzo della fortuna».5
Per Della Monaca Tantredi sposò «una figlia di Ruberto Conte di Lecce, e Duca d'Athene, andando sempre congionti questi due titoli nella casa Normanna, e tutti i Duchi d'Athene furono Conti di Lecce. Questo Tancredi doppo la morte del Conte suo avo, era successo al titolo di Conte di Lecce, secondo il Colennuccio, la moglie sua fu detta Sibilla, ma non pervenne alla corona senza lite, perciò che Clemente Terzo pretendendo che non fusse leggitimo, e però il Regno fusse ricaduto alla Chiesa, si divisero i Popoli in fattioni reali, e pontificie».6

guelfi contro ghibellini:
brindisi città sta con tancredi

Di queste controversie fra guelfi e ghibellini, cioè, si riempì il reame, provocando «discordie sì grandi, che se n'aspettava qualche gran rovina, et essendo l'altro pontefice, che successe a Clemente Celestino Terzo, tutto il paese Salentino arse lungo tempo di guerra, e fu molestato da eserciti fra di loro di contrarie fattioni. Brindisi al suo solito seguendo le parti della Chiesa, ricusò dal principio il scettro del scommunicato Tancredi, e prima, che l'ubbidisse, volentieri s'offerì à soffrire ogni acerbità d'assedij, et espugnationi. Di questi travagli sofferti dalla Città per non mancare al dovuto ossequio della Chiesa Romana, n'habbiamo per testimonianza le bolle di due pontefici, che seguiro, confervate fino ad hoggi, come diremo appresso. Pure prevalendo la forza del Real Pontefice, ricevè la Città contro sua voglia il freno da Tancredi.
Non manca alla Città qualche vestigio dell'opere di questo Rè, perciò che egli gl'arricchì d'un bellissimo, e copiosissimo fonte, che fino ad hoggi si vede, che è di grandissimo utile al Publico, chiamandosi fonte grande, sù l'estremità del Ponte, dove cominciauala Via Appia, che porge copiosissime acque alla Città, et a gl'animali, che vi concorrono à bere, irrigando tutti quei giardini, che nella sottoposta costa di mare si trovano, senza che si sappia haver mancato mai nei tempi delle maggiori siccità, quando tutti gl'altri fonti, e pozzi d'acque sorgenti son disseccate, di scorrere con la medesima copia d'acque, che dal principio li fù data dall'industrioso artefice.
Il modello di questo fonte è all'uso antico, ma riguardeuole, e vago, poiché consiste in un vaso grande di grosse pietre fabricato lungo palmi ventidue in circa, et à proportione largo, che stà del continuo pieno d'acque per beneficio commune. Nelle due estremità, dangoli del predetto vaso vi sono due nicchi grandicon le cupule nella sommità diessi, e da ciascheduno nicchio per sotterranee strade scorrono abbódantissimamente acque dolcissime nelli loro recipienti, e di là si communicano al vaso maggiore detto di sopra. La qualità di quest'acque, secondo l'esperieza fatta da' medici, e da periti, si è ritrovata esser la migliore di tutte l'altre, che sono dentro, e fuora della Città; come dell'acqua detta di Giardino à mare, chiamata Pomeriana, dell'acqua di S. Anastio; dell'acqua Hebrea, ch'era solo destinata per servitio di quelle genti quando dimoravano in Brindisi, acciò neanche con l'acque si mischiassero con Christiani; dell'acqua Carmelitana, che è un pozzo del Carmine antico. Dell'acqua Patritia, della Persana, di Calone, di Tramazzone; delle Fontanelle, che scaturisce nella riva del mare nel Porto Brundusino, e d'altre acque salubri, e per ciò di essa si serve la maggior parte de cittadini, e particolarmente gl'Infermi; nel mezzo di essa vi è la seguente inscrittione in un sasso:
Ad Viatorem
Appia Appio, Fons Tancredo Rege edita.
Ambo Ferdinando Loffredo Heroe iuftaurata.
Quare stà, Bibe, & propera, & Tria hec commoda
His tribus Proceribus accepta referto.

Più à basso ve n'è un'altra, i cui caratteri sono alquanto disfatti dal tempo, che con difficoltà si leggono, che dice così:

Anno Dominice Incarnationis millesimo, centesimo nonagesimo secundo. Regnante Domino nostro Tancredo Invictissimo Rege Anno tertio, & feliciter Regnante Domino nostro gloriosissimo Rege Rogerio filio eius: Anno primo, mense Augusti, Indic. Decima. Hoc opus. factum est. ad Honorem Eorundem Regum.

Il che diede materia à Nicolò Taccone dottissimo poeta Brundusino di scherzare con un suo Epigramma intorno la figura del capo di Cervo, ch'il Porto accenna, unito con il detto Fonte, fingendo esser stato quel Fonte, ove Diana vista ignuda d'Atteone fù da quella convertito in cervo, e da proprij cani sbranato, dal cui capo lacerato, e risoluto in sangue si formò quel Porto, che perciò ne ritiene il nome, e la forma.

Hic miser Atheon vidit fine veste Dianam
Fit Ceruus, Ceruum corripuere Canes.
Cornibus aereis caput à cervice revellunt:
Sanguine, vicino in littore stagnat humus
Nondum Portus erat, formarut cornua Portum...
Cervini capitis urbs quoque nomen habet.
Mentre il governo della città era appresso Tancredi, quel della Chiesa Brundusina era tuttavia appresso Pietro Arciuescouo, il quale, come s'è detto nel Libro secondo, al capitolo decimosesto, fu desideroso di vedere le sacre Reliquie di San Leucio, ma non giudicò Iddio esser quel tempo opportuno per revelare alle pupille de' mortali tesoro si grande, come fino ad hoggi nè meno si è compiaciuto rivelarlo. Si ruppe, come si disse di sopra, alla presenza del Vescovo, la tomba, et il marmo, ch'era sotto l'altare del santo, e parendo al buon Vescovo, che si fusse violato l'Altare tornò di nuovo à consecrarlo con tutta la Chiesa. Fu fatta questa consecratione il primo di maggio, et in memoria di ciò, fino à giorni nostri s'offerva d'andarci quel di processionalmente il Capitolo con l'arcivescouo cantandovisi solennemente la messa, prestando al prelato l'obedienza tutti gl'arcipreti, et abbati della Diocese».7

le monache di s.benedetto interdette,
nascono gli eremitani di s.agostino

Ai tempi dell'arcivescovo si turbò nuovamente la pace con le monache di s.Benedetto. Monsignor Pietro pretendeva di esercitare la sua giurisdizione sopra le chiese, i clerici e l’antico monastero, ma non essendo ubbidito interdisse le chiese delle monache e i chierici del di loro Casale di Tuturano.
«Mentre passavano queste turbolenze, giunsero in Brindisi due cardinali, cioè il cardinale di Santa Ruffina, et il Cardinale di Santa Susanna che andavano all'Imperator di Costantinopoli Legati della Santa Sede per imbarcarsi in quel Porto.
Costoro havendo intesa la controversia, e la doglianza particolarmente dell'abbadessa differirno la terminatione della causa fino al loro ritorno da Costantinopoli, mettendo per all'hora una suspensione, e tregua fra i litiganti.
Tornati finalmente procuraro d'accordarli, e porli in pace, ma non potendo ottenerlo, ordinaro, che mentre il Papa altro non dichiarasse, si togliesse l'interdetto, et ogn'uno si mantenesse nelle sue antiche giurisdittioni, senza turbar gl'altrui; vedendosi di ciò le scritture originali appresso le monache spedite in Ostuni, dove si trovavano all'hora quei Cardinali l'anno secondo del Pontificato di Celestino Terzo, che fù nell'anno millecentonovantatrè di Christo, come n'appaiono le lettere dell'istesso Papa date nel medesimo anno, ordinando all'Arcivescovo, che non osasse più turbare la libertà del Monasterio.
In questo tempo fu fondato in Brindisi il Monasterio di Sant'Agostino sotto il titolo di Santa Maria della Gratia, sul principio istesso della reformatione di quell'Ordine Heremitano. Havea trà questo mentre il papa chiamato l'Imperatore Enrico, Suevo contro Tancredi usurpatore del Regno, dandoli per moglie Costanza Normanna figlia di Ruggiero, ch'era monaca claustrale in Palermo, essendo questa sola signora rimasta della legitima descendenza dei Rè Normanni, come dicono il Platina, et il Fazello, che lo coronò Rè di Napoli, e lo spinse contro Tancredi. Varij furono i successi trà Tancredi et Enrico. Ma rimase alla fine Enrico assoluto Signor del Regno, terminando in Tancredi il dominio Normanno, che secondo il Biondo nella sua Italia Illustrata, era durato centocinquantatre anni, e passò alli Svevi, delli quali cominciaremo à trattare».8

sibilla perse due regni
e tornò contessa a lecce

Ritornando a Sibilla, Della Monaca dice che «tra questo mezzo era morto l'arcivescovo Pietro, et in luogo di lui era stato promosso dall'istesso Pontefice Celestino Terzo, che ancora viveva Girardo.
Quanto tempo sia vissuto nella sua Chiesa quest'arcivescouo, non ai trova, non apparendo di lui scrittura alcuna, eccetto l'accennata elettione. Così passò Brindisi dalla casa Normanna à quella de' Svevi, e seco tutto il Regno, eccetto il titolo del Contado di Lecce, che per all'hora restò nell'istessa fameglia Normanna; perciò che Sibilla già moglie del Re Tancredi essendosi resa sotto la fede dell'Imperatore Enrico, ottenne che li figli, ch'ella havea havuti da Tancredi, potessero possedere in Terra d'Otranto il Contado di Lecce, che col marito havea posseduto prima che fussero inalzati alla Corona, e benché non havesse ottenuto la libertà, restò nondimeno col titolo di Contessa di Lecce. Oh dell'infedel fortuna instabil ruota, quella che dianzi da Contessa fu sollevata alla Corona d'ambedue le Sicilie, si vidde in un punto priva di due Regni, restando col solo titolo di Contessa, e prigioniera del suo inimico in Germania, avverandosi in lei quel che disse il Poeta:

Si fortuna volet, fies de Rethore Consul
Si volet haec eadem fiet de Consule Rethor.8

[Se la fortuna vuole di un retore ne fa un console;
e se vuole, di un console ne fa un retore.]