GISOTTA BAUCIA. Isotta Ginevra del Balzo

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La Duchessa di Ariano e Apice che fu moglie di De Guevara Marchese del Vasto

Isotta era molto amata non solo dalle popolazioni dei feudi dotali e di quelli appartenuti al marito, ma anche dai Napoletani. Si dice che per lei stravedesse anche l’Imperatore Carlo V, il quale, non mancò di fargli riverenza dentro casa.
Così Campanile: — Per lo che venedo in Napoli l’Imperadore Carlo V andò à visitarla fino a casa.
Isotta passò a miglior vita nel 1530, a settant’anni compiuti, molti dei quali mai in solitudine, nonostante le infinite crudeltà subite dalla sua famiglia. «Morì Gisotta negli anni di nostra salute M.D.XXX, essendo ella d’anni settanta, e fu seppellita in S.Chiara di Napoli».
Sulla pietra tombale monumentale fu scolpito un memorabile saluto.
Forse gli altri protagonisti della sua vita ebbero più fortuna.
Fra essi sicuramente si possono annoverare le sorelle: Isabella Regina da una parte e Antonia nel Marchesato dei Gonzaga dall’altra.101
Così Filiberto Campanile: — Antonia Secondogenita del Principe Pirro, con dote di ducati otto milia, fu maritata à Giovan Francesco Gonsaga Signor di Sabioneta, fratello di Federico Marchese di Mantova, e di lui generò Lodovico, ch’hebbe moglie di Casa di Fiesco, Federico Signor di Bozzolo,e Pirro cosi chiamato in gratia dell’Avolo materno,e Camilla maritata ad Alfonso Castriota Marchese dell’Atripalda, Barbara moglie di Giovan Francesco Sanseverino Conte di Caiazzo, e Dorotea di Giovan Francesco Acquaviva Marchese.
Ecco l’epitaffio letto in s.Chiara:

Isotta Baucia Pirro Baucio Altemure Principe,
ac Maria, Ursina parentibus incliti genita
Petri Guevare Magni Regni huius Seneschalchi uxor
prisca matronarum virtute ornatissima mortale sui dimidium sacello
in hoc aiuto deponendum vivens curavit coelestem ad patriam spe summa,
e fide ducibus migratura.
Quid non aevi, longiqua vetustas fortuna obsequente mutat?
Principatus ad alienos fors transtulit domina titulos servavit inanes.
At foemina Princeps licet tot claris orbata
e titulis, e fortunis,bona tamen animi sanctisima secum retinuit.
vixit annis 70, anno theogonie 1530.

Description

ISOTTA DEL BALZO: LA SORELLA DELLA REGINA ANIMA DELLA CONGIURA DEI BARONI

Stando così le cose, alla Cedogna, ivi indarno i loro passati errori pianti e lamentati, convennero nell’altro scampo la loro estrema sorte aver lasciato, salvo lo stare uniti, empiere le rocche di buone genti, e fino al tempo nuovo mostrare il viso alla fortuna; mandando trattanto uomini diligeni a Roma, Vinegia e Francia, a convocare aiuti. Né mancarono di quelli che dicessero che mandassero messo all’ambasciadori del Turco a Venezia, visto che Baiazete lo aveva già fatto coi fiorentini avrebbe offerto 20.000 valorosi, sempre sperando che l’asprezza della stagione avrebbe fatto retrocedere il Duca.
A Lacedonia avevano anche deciso di mandare dal papa la neo vedova divenuta ex Contessa di Apice e di Ariano, moglie del Gran Siniscalco morto, che era anche la ex Marchesana del Vasto, figlia del principe di Altamura, alla quale il Re aveva tolto ogni bene, facendo ritornare i feudi alla Regia Corte.
L’ex Contessa di Apice volle andare personalmente dal papa per dolersi del Re che l’aveva spogliata di ogni bene, mentre essi avrebbero fortificato Venosa (porre in sicuro gli stati di Puglia e Basilcata) e Bisceglie (usare i benefici del mare), accrescere gente d’arme di 400 lance dividendosi il peso (150 il principe di Altamura, 150 Bisignano, 60 Salerno, 40 il Marchese di Bitonto), sperando sempre in Roberto che rifacesse le sue 40 squadre, che, giunto a Ravenna, si rese disponibile in cambio di 40.000 ducati, cioè l dominio di Troia, Lucera e Foggia il dominio da lui desiderato prima della guerra, ovviamente per mettere le mani sulla Dogana di Puglia che i baroni, senza soldi, promisero pagargliele con le contribuzioni sui sudditi una volta entrato in guerra.

 

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

Così Lucrezia evitò il liquore al veleno che uccise il marito

 

INDICE

1.
GISOTTA BAMBINA DISPETTOSA

— Isotta nello Balzino: nata nel 1459-1460
— La figlia di Pirro, Principe di Altamura
— L’infanzia nel «Duceto» venosino di Calabria

2.
IL SINISCALCO DI ARIANO PER MARITO

— E’ De Guevara, Conte di Apice, il promesso
— Le nozze con Pietro fatto Marchese del Vasto
— La gonnella imperiale, da Apice ad Andria
— La prigionia del padre e la morte del fratello

3.
VELENO AL LIMONCELLO

— Il doppio gioco fra Re e ribelli
— La guerra inizia ad Apice, con Pirro vivo
— Avvelenati: Pietro soffoca, Isotta si salva
— Morto Don Pietro, fu pace fra Papa e Re

4.
LA VEDOVA ANONIMA DELLA CONGIURA

— Isotta a Roma, rapito il Principe Federico
— La vedova via da Apice, assedio dell’erede
— Il covo della congiura diventa Lacedonia
— I ribelli inviano Gisotta dal papa
— La Congiura termina con un’altra vendetta
— Re Ferrante trattiene i ribelli in cattività
— Visita di Carlo V alla vedova e sua morte

note bibliografiche

1. Erasmo Percopo, Le rime di benedetto Gareth detto il Chariteo, Tip. Accademia delle Scienze, Napoli 1892. Cfr.A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
2. Sono i versi di un poema coevo in otto canti chiamato Lo Balzino e scritto da Rogieri de Pacientia de Nerito, modernizzato in Ruggiero di Pacienzia da Nardò, spesso ignoto ai cronisti e perfino ai tanti Tafuro che trattarono delle cose di Nardò. Croce rinvenne il manoscritto nella Biblioteca Comunale di Perugia, dove poi lo studierà con eccellenza, il noto Mario Marti, al quale dobbiamo la trascrizione, sebbene successiva a quella parzialmente pubblicata da Croce. V.Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. Deputazione Napoletana di Storia Patria, Archivio Storico per le Province Napoletane, Società napoletana di Storia Patria, vol.22, Napoli 1897. Cfr. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza [di Nardò], Opere [cod.per. F27 conservato presso la Biblioteca Augusta] edito per la Biblioteca Salentina di Cultura dalle Edizioni Milella, Lecce 1977. Il poeta era discendente della famiglia del Domino Rogerius de Patientia, laico della Diocesi Neritensis, è citato durante la visita dell’ambasciatore aragonese Luigi Paladini a Roma nel 1493.
3. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. Deputazione Napoletana di Storia Patria, Archivio Storico per le Province Napoletane, Società napoletana di Storia Patria, vol.22, Napoli 1897.
4. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza [di Nardò], Opere [cod.per. F27 conservato presso la Biblioteca Augusta] edito per la Biblioteca Salentina di Cultura dalle Edizioni Milella, Lecce 1977.
5. E continua: - Madamme, a ciò sappiate, la famosa, inclita, excelsa casa de lo Balzo discese da progenie gloriosa, d’un de’ tre Magi, e questo non è falzo; e como ho inteso e letto in verso, in prosa, de gran signor so’ stati senza incalzo, e per linea diretta, s’io non arro [30]...
...driza mia mente che sia ben esperta a dir ancora de vostra Isabella, quale milli anni li par cavalcare et il suo sol signor ire a trovare. Lassai in l’altro canto la Regina [25] S’affrettava per ‘n Napul pervenire, e con lei sua sorella consobrina, la Dispota de Servia, volse sequire con la nova damigella, la Caprina, e tanti altri baroni, che de dire [30] non è mo’ tempo, che l’accompagnaro…
…Se ve recorda, ve lassai, madamma, como se licenziao nostra Ysabella da ‘l due Regine..
Isabella è una regina che oppone la costanza all’avversa fortuna e l’autore narra la sua vita da cronista, fra aneddoti e descrizioni, come in un diario, compresi versi composti in suo onore. Un rozzo componimento, per forma e per concetto, di un autore che ama la sua regina, gode e soffre con lei. Annunziando il poema che iniziava: Or se apparecchia un’altra scaramuza, piu’ brava, piu’ animosa, piu’ gentile; ciascun fremendo li sui denti aguza…
Or seco ove vertu’ l’ha destinata,
or ecco ove vertu’ l’ha ben reducta,
or ecco ove vertu’ l’ha sublimata,
or ecco ove vertu’ l’have producta,
or ecco ove vertu’ l’have exaltata,
or ecco ove vertu’ l’have conducta…
6. Pacientia, cit. E ancora: - La matre primamente ebbe figliata n’altra figliola e po’ fece Isabella; e po’ in quella medesma giornata [210] ne fe’ un mascul, con gran duol de quella. Questo el fe’ morto: la prima fo allevata, campando certi giorni, e morì ancor ella, restando de li tre questa divina, dal ciel serbata ad esser regina. [215] De iugno, a’ vintiquattro, in San Ioanne, de sebato questa figliola nacque ne’ mille quattrocento sessanta anni cinque, de Cristo nel presepio iacque; [220] nata questei, per aver affanni sì longo tempo como che a Dio piacque; per reposarse po’ in tranquilla pace, regina incoronata, alma e verace.
7. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza [di Nardò], Opere [cod.per. F27 conservato presso la Biblioteca Augusta] edito per la Biblioteca Salentina di Cultura dalle Edizioni Milella, Lecce 1977.
Così il poeta: - De Pirro e Maria più figliol nascera: la prima fo Isotta virtuosa, [190] qual del degno senescalco fo mogliere, donna de ingegno e de uno gran sapere. L’altra fo Antonia, a Ianfrancisco moglie, fratello del marchese mantuano; in questa donna assai virtù se accoglie, de providenza exemplo in cor umano. Non sia nisun che ‘l titulo glie toglie che non sia d’almo viril, fido e soprano; dotta, eloquente, sagace e benegna, e più de quanto tien a reger degna. [200] De poi a questa fece Federico, che fo gentil Conte de la Cerra de Constanza Davola fo marito, dui fonti de virtù che ‘l dir non erra. Or auderete un mirando inaudito, [205] che mai se sentìo sopra la terra: che al nascer fo de questa / Isabella, ne nacque tre d’un ventre una con ella.
E ancora: - La matre primamente ebbe figliata n’altra figliola e po’ fece Isabella; e po’ in quella medesma giornata [210] ne fe’ un mascul, con gran duol de quella. Questo el fe’ morto: la prima fo allevata, campando certi giorni, e morì ancor ella, restando de li tre questa divina, dal ciel serbata ad esser regina. [215] De iugno, a’ vintiquattro, in San Ioanne, de sebato questa figliola nacque ne’ mille quattrocento sessanta anni cinque, de Cristo nel presepio iacque; [220] nata questei, per aver affanni sì longo tempo como che a Dio piacque; per reposarse po’ in tranquilla pace, regina incoronata, alma e verace.
8. Gaetano Caporale, Memorie storico-diplomatiche della città di Acerra, Jovene, Napoli 1890, pagg.387-397.
9. Arturo Bascetta, L’erede di Pirro: Clementia del Balzo - Luigi da Copertino dei Conti di Saint-Pol de Luxemburg, ABE napoli 2022, EAN: 9788872970447.Il marito Luigi II, istruito dalla madre Maria di Savoia, signora di Conversano, e dalla moglie Clemenza di Venosa, partì alla conquista di Napoli nel 1495, ricoprendo la massima carica di luogotenente generale dell'esercito francese. La contro-vendetta di Pirro fu compiuta quando la più ignota delle figlie, Clementia, riconquistò gli stati paterni scippati dagli Aragonesi, spogliandoli dei titoli rubati alla memoria dei del Balzo. Il padre dei del Balzo Duchi d'Andria. La mamma Donata Orsini ducessa di Venosa. I genitori ricostruiscono la città da zero. Il fratello Federico erede titolare. La sorella Isotta sposa di Pietro de Guevara. Antonia sposò il Gonzaga di Sabbioneta. Isabella divenne Regina di Napoli. Lo sposo di Conversano discende dai Brienne. L'avo Luigi prorex di Tricarico contro Copertino. Clemenza impalma «monsieur Saint-Pol». Il padre generale organizza il tradimento. La morte del fratello Federico e della madre. L'addio al capostipite Francesco de Balzo. Il Re premia il padre, ma sospetta il tradimento. Del Balzo sobillatori in nome del Pontefice. Il Papa promulga la pace con la Sindone. La vendetta: il Re usurpa beni ai del Balzo. Pirro accusato di essere ribelle: arrestato. L'imboscata ad Alfonso fallita presso Sarno. Federico pacifica i del Balzo col pallio a Lecce. Limoncello al veleno destinato alla sorella. I baroni rapiscono Federico per farlo Re. Isabella sposa Federico: sarà Regina. Baroni nel covo di Lacedonia: Isotta dal Papa. La Baronia s'arrende, il perdono a Venosa . Squartati i tre Petrucci e Coppola di Sarno. L'ultima giostra per il padre delle ribelli. Pirro arrestato nel 1487, Sanseverino ucciso. Dieci anni di prigionia senza vedere la figlia. I reali ad Andria dalla Principessa Isabella. Muore Pietro d'Aragona in casa del Balzo. Pirro e i nobili prigionieri annegati a Natale. Resta il dubbio su una sempre probabile fuga. Fine del Regno col marito di Clemenza. La conquista del genero, vice di Carlo VIII. Luigi II e «Clementia», ultimi duci di Venosa. Un figlio a Cardinale? Filippo di Lussemburgo.
10. Gaetano Caporale, Memorie storico-diplomatiche della città di Acerra, Jovene, Napoli 1890, pagg.387-397.
11. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza [di Nardò], Opere [cod.per. F27 conservato presso la Biblioteca Augusta] edito per la Biblioteca Salentina di Cultura dalle Edizioni Milella, Lecce 1977. Cfr. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170.
Così il poeta: - Morette, in quel, del Regno la regina, [225] la quale se chiamava / Isabella. Al battizar de questa piccolina, el nome sì li posero de quella ca li era cia, e voluntà divina ch’avesse nel suo loco a regnar ella; [230] che se pò dir che Dio l’ebbe creata a esser de questo Regno incoronata. Nascette questa nobile fantina che tucti membri ben formati havea; ma la boccuzza sua sì piccolina che popigno de zizza non capea: donna nisuna fusse llà vicina lactar per alcun modo la possea; et spremer bisognava intro la boccha lo lacte da le zize, a gocta a gocta. [240]
Il principe Piero fece quindi ricercare una balia in tutto lo suo stato, per trovar donna aver piccol pupegno, ch’avesse questa figlia ben lattato. Le ricerche, dettate dalla fretta, furono estenuanti, ma alla fine si trovò quella giusta, sebbene fosse de omne vitegno, perché si scoprì essere un’ubriacona, ma fin dal cervello, che si diceva innaffiato dal succo di ogni vigna, il che fece patire non poco la piccola, non riuscendosi a nutrire a sufficienza. Nonostante ciò Isabella fu allattata dalla baila e nutriza, per aver piccol popigno ne la ziza, sebbene el più del tempo stava, questa, imbriaca e non sapea quel che se facea; e molte volte sopra de la naca con greve sonno spisso se adormea.
12. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Per i versi v. dal 245 al 285, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. :
Così il poeta: - Molte fiate l’ebbe quasi affocata, e un’altra bisognava a far la spia; e benché la figlilola assai gridava [255] per cosa nulla quella se resbegliava. La notte, per lo bever, se adormea senza la ziza dar a la piccolina; quella, accorando, sempre sì piangea. La compagna la chiamava, ch’era vicina, [260] che lattasse la figliola, e lei respondea che tenea la menna in bocca a la fantina; quando a vider s’èl era ver ce andava, dormendo assai lontano la trovava....
13. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 290 al 310, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
14. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 290 al 310, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
15. Pierre del Balzo detto Pirro, spesso italianizzato in Pietro, era principe di Squillace, divenuto IV duca di Andria alla morte del padre Francesco III duca de Andri (primogenito ereditario del II duca Guglielmo), quando si divise i beni col fratello Angilberto. Era nato poco dopo il matrimonio del 7 dicembre del 1443 da Francesco e dalla duchessa Sancia (del fu cavalier Tristano dei Chiaromonte di Lecce), sorella della bellissima Isabella Regina di Napoli. Pirro divenne un uomo valoroso, che ben si distinse nelle armi, sempre al fianco del re, lo zio acquisito Ferrante I d’Aragona. Aveva appena una quindicina d’anni quando questi salì al trono, vivendo il suo dolore nel 1465, alla morte della zia materna, la Regina Isabella, quando non aveva ancora venti anni. Doppio dolore perché Pirro, a sedici anni, aveva sposato (1459) la cugina della madre e della regina, Maria Donata Orsini del Balzo (m.1487 ca.), figlia dello zio materno della sovrana.
La moglie Maria era infatti divenuta duchessa ereditiera di Venosa e delle contee di Montescaglioso e di Caserta, alla morte del padre Gabriele (1453), rimasto senza eredi maschi (era fratello di Caterina, madre di Isabella dei Chiaromonte di Lecce). Subito dopo il matrimonio Pirro si trasferì nella città della moglie, mettendo mano al castello di Venosa e costruendo la nuova cattedrale, affidando l’amministrazione del feudo di Montescaglioso ad un suo procuratore, un certo De Cappellanio, patrizio venusino.
16. Pacientia, cit. E ancora: - La matre primamente ebbe figliata n’altra figliola e po’ fece Isabella; e po’ in quella medesma giornata [210] ne fe’ un mascul, con gran duol de quella. Questo el fe’ morto: la prima fo allevata, campando certi giorni, e morì ancor ella, restando de li tre questa divina, dal ciel serbata ad esser Regina. [215] De iugno, a’ vintiquattro, in San Ioanne, de sebato questa figliola nacque ne’ mille quattrocento sessanta anni cinque, de Cristo nel presepio iacque; [220] nata questei, per aver affanni sì longo tempo como che a Dio piacque; per reposarse po’ in tranquilla pace, Regina incoronata, alma e verace. Pierre del Balzo detto Pirro, spesso italianizzato in Pietro, era Principe di Squillace, divenuto IV Duca di Andria alla morte del padre Francesco III Duca de Andri (primogenito ereditario del II Duca Guglielmo), quando si divise i beni col fratello Angilberto. Era nato poco dopo il matrimonio del 7 dicembre del 1443 da Francesco e dalla Duchessa Sancia (del fu cavalier Tristano dei Chiaromonte di Lecce), sorella della bellissima Isabella Regina di Napoli. Pirro divenne un uomo valoroso, che ben si distinse nelle armi, sempre al fianco del Re, lo zio acquisito Ferrante I d’Aragona. Aveva appena una quindicina d’anni quando questi salì al trono, vivendo il suo dolore nel 1465, alla morte della zia materna, la Regina Isabella, quando non aveva ancora venti anni. Doppio dolore perché Pirro, a sedici anni, aveva sposato (1459) la cugina della madre e della Regina, Maria Donata Orsini del Balzo (m.1487 ca.), figlia dello zio materno della sovrana.
La moglie Maria era infatti divenuta Duchessa ereditiera di Venosa e delle contee di Montescaglioso e di Caserta, alla morte del padre Gabriele (1453), rimasto senza eredi maschi (era fratello di Caterina, madre di Isabella dei Chiaromonte di Lecce). Subito dopo il matrimonio Pirro si trasferì nella città della moglie, mettendo mano al castello di Venosa e costruendo la nuova cattedrale, affidando l’amministrazione del feudo di Montescaglioso ad un suo procuratore, un certo De Cappellanio, patrizio venusino.
17. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 290 al 310, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
18. AA.VV., Apice nella Congiura dei Baroni, ABE, Avellino 2011. Cfr. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore.
19. Campanile, cit. Cfr. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore.
20. Cariteo, versi 50-70, in Erasmo Percopo, Le rime di Benedetto Gareth detto il Chariteo, Tip. Accademia delle Scienze, Napoli 1892.
21. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo...”. Cfr. Raffaele Castagna, Isola d’Ischia - tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia. Parlando della nobiltà che dimorò ad Ischia, scrive: A lungo dimorò donna Castellana di Cardona, madre delle bellissime Giovanna e Maria d’Aragona, e discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo; sorella di Raimondo di Cardona, che sarà per tredici anni vicerè di Napoli, aveva sposato Ferdinando duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio. Un’altra Cardona era Diana, sorella di Alfonso d’Avalos e d’Aquino e madre di Ferrante d’Avalos. Seguiva il marito Fabrizio Colonna nel volontario esilio sul Castello aragonese Agnesina di Montefeltro, sorella di Guidobaldo duca di Urbino e madre di Vittoria, la grande poetessa del Rinascimento italiano, la più fulgida figura che abbia mai calpestato il suolo d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000). Cfr. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).
22. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 660 al 680, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
23. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 713 al 720, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
24. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Apice, anno 1742; ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Pietrastornina, Notaio Ragucci, Busta 5200, pag.298; Ivi, Busta 5201, pag.42; Ivi, Busta 5204, pag.8; Ivi, Busta 5204, pag.253; Ivi, Busta 5200, pag.191; Ivi, fasc.10686; Ivi, pag.399; Ivi, pag.198; Ivi, Busta 5201, pag.130; Ivi, Busta 5202, pag.289; Ivi, Notaio Raguccio, fasc.11059; Ivi, Busta 5198, pag.416; Ivi, pag.401; Ivi, Busta 5195, pag.293; Ivi, Busta 5198, pag.416; Ivi, Busta 5205, pag.88.
25. Ivi, Busta 5205, f.88.
26. ASAV, Archivio di Stato di Avellino, Notai di Avellino, I Versamento, Notaio di Pietrastornina, fasc.17290.
27. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 330 al 400, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
28. Antonello Coniger, cit.
29. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.153 e segg.
30. Alan Ryder, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60 (2003). V. https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-guevara_%28Dizionario-Biografico%29/. Cfr. G. Pontano, I trattati delle virtù sociali, a cura di F. Tateo, Roma 1965, pagg. 147.
31. Pontano, De liberalitate, De beneficentia, De magnificentia, De splendore, De conviventia, Napoli 1498
32. Alan Ryder, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60 (2003). V. https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-guevara_%28Dizionario-Biografico%29/. Cfr. E. Pontieri, L'atteggiamento di Venezia nel conflitto tra papa Innocenzo VIII e Ferrante I d'Aragona (1485-1492), anno 1962, p. 226. Cfr. Archivio di Stato di Venezia, in Archivio storico per le provincie napoletane, LXXXI (1962), pagg. 226-300.
33. Ivi, Pontieri, cit., anno 1971, p. 233.
34. Ivi. Cfr. T. Caracciolo, De varietate fortunae, in: Rer. Ital. Script., 2a ed., XXII, 1, pag. 94; C. Porzio, La congiura dei baroni, a cura di S.D'Aloe, Napoli 1859; Una cronaca napoletana figurata del Quattrocento, a cura di R. Filangieri, Napoli 1956, pagg. 36-48. Cfr. P. Di Cicco, Documenti inediti sulla dogana delle pecore di Puglia nel periodo aragonese, Bari 1989, pagg. 26-64.
35. Filiberto Campanile, Dell'armi, ouero insegne de i nobili. Scritte dal signor Filiberto Campanile, Tip.Longo, Napoli 1618.
36. Camillo Porzio, cit.
37. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
38. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 170 e segg.
39. AA.VV, Apice, cit. La ribellione fu quindi alimentata dal papa, il quale, essendo rimasto senza soldi, chiedeva aiuto ai Veneziani, in cambio di terre conquistate, per l’invio del generale Roberto Sanseverino per armare 2000 cavalieri e 2000 fanti. Da qui l’ira del re che ordinò due eserciti: uno piccolo al suo comando per fronteggiare i baroni; uno maggiore, sotto il figlio Duca di Calabria, per contrastare papa e Roberto Sanseverino ai confini dello stato della chiesa, non mancando di chiedere aiuti a Firenze, Milano, facendo l’errore, attraverso la Regina Giovanna III, fi far entrare in guerra il cognato Ferdinando Il Cattolico Re di spagna.
Così mentre i baroni aspettavano che passasse agosto per disarmare il Duca in campagna, il principe di Salerno si collegava solo col papa, visto che i barono non sborsavano soldi, essendo rimasti tutti poveri, regnanti compresi.
Per tale motivo i baroni, riuniti nella Terra di Miglionico, fecero chiedere al Re la fine delle ostilità stilando alcuni articoli di pace da presentare al Sovrano, in cui primeggiava l’autonomia di arruolare gente d’armi in proprio, di prestare servizio a qualunque Principe e di non voler alloggiare le sue truppe, né pagare altri balzelli al di fuori dell’ordinario.
A questo punto il Re, il 10 settembre, s’andò confidentemente a cacciare nelle mani di costoro, seguito dalla moglie, e poco dipoi dal Duca di Calavria ancora, visto che gli fu riferito essere solo un inganno, mentre gli moriva in Roma il figlio Cardinale d’Aragona e dovvette riassegnare le sue Terre di Vico, Massa e S.Bartolomeo del Gaudo dividendole fra Conte di Maddaloni e quello di Marigliano.
40. Ivi. Il Re vi andò e i baroni furono soddisfatti, al punto che lo riaccompagnarono fino in Terra di Lavoro, per poi andare a portare imbasciata al capo della ribellione, il Principe Sanseverino di Salerno, promettendogli a nome del Sovrano ch’egli il terrebbe per figliuolo, e il Duca di Calavria per fratello. Ma per strada seppero della ribellione dell’Aquila e alloggiarono dal Conte a Sarno, proprio presso le foci del fiume Sarno, dove venticinque anni addietro i loro padri avevano inferto la gravissima Rotta allo stesso Ferdinando.6. Camillo Porzio.
Federico rispose: - Signori baroni, potrebbe altrui parer dubbio a chi io mi debba avere obbligo maggiore, al Duca o a voi: perché, come dite, s’egli non vi avesse offesi ed oltraggiati, io, che né l’uno né l’altro ho commesso, per avventura non vi parrei sì buono e sì lodabile: ma io sono pur risoluto di essere a voi più che a lui di gran lunga debitore: tanto è grande l’onore che mi fate, e prezioso il presente che mi profferite. Pur piacesse a Dio che il concedermi questo regno con gli effetti, fosse in votra mano, siccome egli è il darmene abiti ed ornamenti, coi quali non un Re, ma un modello di lui verreste ad adornare; non essendo vere insegne reali gli scettri e le corone, ma la riputazione e l’armi: poiché l’uno nelle pompe vanamente ti onorano, e l’altre nei pericoli utilmente ti conservano; e quei dominii s’hanno grandemente con la forza a mantenere che con la fraude si sono conquistati. E potrebbesi egli usare inganno maggiore che usurpare il fraterno stato, contra il voler del padre, delle leggi e del costume? ripieno poi di tante fortezze e presidii che appena la vita di dieci Re, tutti valorosi e sempre vittoriosi, basterebbe a vincerli ed espugnarli, massimamente che buona parte dei Baroni avvezza all’armi siegue il Duca: il quale avvegnaché dai popoli sia mal voluto e odiato, manifesta cosa è, dai soldati, coi quali s’avrebbe a far la guerra, essere amato ed adorato; avendo, per arricchire l’uno, impoverito l’altro. Dalle quali cose leggiermente si comprende quel che in casa contra di lui possiamo. Ed altronde, che potrei in sperare? indarno cerca ajuto o fede negli strani, chi coi suoi è disleale. Oltraché il Papa, vostro primo fondamento, è vecchio, povero, e con i confederati in discordia, appetendo egli per li suoi la vittoria, Loreno per sé, Roberto né per l’uno, né per l’ltro, disegnando con continova guerra amendue signoreggiare. E pur non vi regnando dissensione, le guerre addietro dei Pontefici non dovrebbono altrui aprir gli occhi, e il fin della presente far prevedere? Essi divenuti in poco tempo grandissimi per quell’affezione e riverenza che alla religione giustamente si deve, persuadonsi alcuna volta di potersi del mondo insignorire, e perciò ne corrono all’armi: nelle quali poco pratichi ed instrutti, non potendo tosto, come credevano, prosperare, e veggendo presso alla lor morte di consumare il tempo in paure e molestie, volgonsi agli accordi senz’aver punto riguardo ai compagni dei travagli. Le altre potenze dell’Italia con le parole vi esorteranno tutte a seguire l’impresa, ma, per il fine dubbioso, coi fatti si staranno a vedere; e spereranno con gli affanni nostri e col vostro pericolo, accrescere le forze loro, e l’imperio distendere. Veggo anche, Signori, che dopo prudentemente le maniere mie con quelle del Duca agguagliate: perocché qual proporzione volete voi che sia dal Re ad un privato, o dall’ufficio mio a quel di lui? Né è maraviglia me aver con gli studi delle buone lettere fatta piacevol natura ed umana, e lui con l’esercizio dell’armi terribile e feroce. Perciocché le qualità diverse delle discipline richieggono così, e così furono sempremai: e se dimane mi faceste Re, sarei forzato a dimenticarmi le usanze mie, li suoi costumi apprendere, e sommamente assimigliarlo in conservando il grado reale, in maneggiando le guerre, in ponendo nuove gravezze, in assicurandomi dei malcontenti, ed in somma, n adoperando tutto quello, per lo che egli viene ad essere da voi odiato e temuto: in modo che non molto andremo che vi ricondurreste a deponer me vecchio Re, ed un altro nuovo cercarne. Le quali mutazioni, credete a me, si faran sempre con poco vostr’onore ed infinito danno. Perché al Principe nuovo fa mestiere prima della roba trarne il vecchio, poi a premir chi ve l’ha posto, ed a mantenersi lo stato: ma colui che v’è anticato, ha passate le due prime difficultà, e con necessità minore sente l’ultima. Sicché, Signori, da queste ragioni consigliati, apparate oggimai a tollerare gl’incomodi che naturalmente soprastanno ai sudditi: vincete con la vostra liberalità l’altrui necessità: recatevi eziandio a bene, ch’io non riceva il dono profertomi, e che prima vi rimanghiamato compagno che odioso padrone.
Detto ciò, essendo la risposta negativa, lo trattennero richiuso, alzando in Salerno le bandiere pontificie, sicuri che il Re non sarebbe risucito ad oltrepassare neppure Sarno, che invece prese dopo un po’ di tempo invitando a Napoli quel conte a celebrare le nozze del figlio e facendolo invece prigioniero, affrettando i tempi, prima che i ribelli risvegliassero l’animo dei suoi nemici, come il Duca di Lorena e e il re di Francia Carlo VIII, anticipando l’invasione che comunque sarebbe avvenuto otto anni dopo.
Lorenzo De Medici gli ricambiava un vecchio favore assoldando il Conte di Pitigliano con 1600 cavalieri, con 600 capitanati da Giovan Francesco Sanseverino mandati da Milano, promettendosi l’aggiunta di qualche fiorentino, sebbene camminassero talmente lentamente per la fame e la sete che pareva a ciascuno che gli alberi, i sassi e le frondi fossero uomini armati.
41. 9. Arturo Bascetta, L’erede di Pirro: Clementia del Balzo - Luigi da Copertino dei Conti di Saint-Pol de Luxemburg, ABE napoli 2022, EAN: 9788872970447.
42. Cariteo, versi 50-70, in Erasmo Percopo, Le rime di Benedetto Gareth detto il Chariteo, Tip. Accademia delle Scienze, Napoli 1892.
43. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra Regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso Re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la Duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del Re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo...”. Cfr. Raffaele Castagna, Isola d’Ischia - tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia. Parlando della nobiltà che dimorò ad Ischia, scrive: A lungo dimorò donna Castellana di Cardona, madre delle bellissime Giovanna e Maria d’Aragona, e discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo; sorella di Raimondo di Cardona, che sarà per tredici anni vicerè di Napoli, aveva sposato Ferdinando Duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio. Un’altra Cardona era Diana, sorella di Alfonso d’Avalos e d’Aquino e madre di Ferrante d’Avalos. Seguiva il marito Fabrizio Colonna nel volontario esilio sul Castello aragonese Agnesina di Montefeltro, sorella di Guidobaldo Duca di Urbino e madre di Vittoria, la grande poetessa del Rinascimento italiano, la più fulgida figura che abbia mai calpestato il suolo d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000). Cfr. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).
44. Coniger, cit; Camillo Porzio, cit.; Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
45. Ivi.
46. Arturo Bascetta, L’erede di Pirro: Clementia del Balzo - Luigi da Copertino dei Conti di Saint-Pol de Luxemburg, ABE napoli 2022, EAN: 9788872970447.
47. Alan Ryder, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60 (2003). V. https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-guevara_%28Dizionario-Biografico%29/.
48. Coniger, cit.; in: Tafuri, cit.
49. Ivi.
50. Porzio, cit.
51. Alan Ryder, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60 (2003). V. https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-guevara_%28Dizionario-Biografico%29/. Cfr. Porzio, cit.
52. Ivi. Porzio, cit.
53. Ivi.
54. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
55. Alan Ryder, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60 (2003). V. https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-guevara_%28Dizionario-Biografico%29/.
56. Ivi, Pontieri, cit., pag. 177.

57. Camillo Porzio, cit.
58. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
59. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 170 e segg.
60. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
61. Alan Ryder, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60 (2003). V. https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-guevara_%28Dizionario-Biografico%29/.
62. Porzio, cit
63. Coniger, cit
64. Camillo Porzio, cit.
65. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
66. Alan Ryder, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60 (2003). V. https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-guevara_%28Dizionario-Biografico%29/.
67. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 170 e segg.
68. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 330 al 400, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
69. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
70. Pierro, Regis Ferdinandi primi instructionum liber (10 maggio 1486 - 10 maggio 1488), Napoli 1458-1494.
71. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 980 al 1160, cap.VI, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
72. 1. Archivio di Stato di Avellino (d’ora innanzi, ASAV),Notai di Ariano, Busta vol.78, al f.78, anno 1497.
73. Benedetto Croce, Storie..., cit.
74. Benedetto Croce, Storie..., cit.
75. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Versi 250-350.
76. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Versi 250-350.
77. Camillo Porzio, cit. V. AA.VV, Apice, cit.
78. Camillo Porzio, cit.
80. Camillo Porzio, cit.
81. Camillo Porzio, cit.
82. Camillo Porzio, cit.
83. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
84. Camillo Porzio, cit.
85. Camillo Porzio, cit.
86. Camillo Porzio, cit.
87. Camillo Porzio, cit.
88. Camillo Porzio, cit.
89. Ivi. Cfr. AA.VV, Pane di Terra. Regno di Napoli in più epoche, ABE, 2007.
90. Ivi.
91. Ivi
92. Ivi.
93. Michele Riccio, in: Camillo Porzio, cit.
94 Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 185-186
95. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
96. Ammirato, cit.
97. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879. I Diarii, cit. Così continua: “Pertanto, volendo farne qualche memoria, quivi, lassiato ogni altro ordine dil compore, sarà descripte tute le nove verissime venute. Et succincte, comenziando nel primo dil mexe di zenaro 1495, al costume nostro veneto, perfino che si [6] vedrà la quiete de Italia, a Dio piacendo andarò descrivando: prometendo a li lectori, in altro tempo, havendo più ocio, in altra forma di parlare questo libro da mi sarà redutto; ma quivi per giornata farò mentione di quello se intendeva, comenciando da Alexandro pontifice romano sexto. Cfr. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 198-225. Cfr. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
98. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 185-186.
99. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
100. Filiberto Campanile, Dell'armi, ouero insegne de i nobili. Scritte dal signor Filiberto Campanile, Tip.Longo, Napoli 1618.
101. Filiberto Campanile, cit. Cfr. Coniger, cit.; in: Tafuri, cit. Cfr. Paolo Giovio, La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
102. AA.VV, Capitani di ventura. Regno di Napoli in più epoche (1458-1503), ABE, 2006.
103. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.

1. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg.
2. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
3. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
4. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
5. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
6. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
7. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.130
8. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
9. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Cfr. i versi dal 1 al 980, cap.VI, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. 36. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Versi 250-350.
10. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg: “Se intese etiam Bernardo Contarini steva meglio, et cussì el Conte Philippo di Rossi et Francesco Crasso Capitano di provisionati. In ditto zorno, vene lettere dil Capitano zeneral da mar, date a dì penultimo lujo apresso Bolana, come monsignor di Obignì vicere in Calabria, sentendo la venuta dil capitano preditto ivi, fece ogni cossa per impegnar Montelion per ducati 4000, et non potendo, si partì e abandonò ditta Terra. Unde, esso Capitano nostro scrisse al Cardinal di Ragona che dovesse ivi andar con le zente a tuor et haver custodia di ditta Terra”.
11. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
12. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Libro, Versi 0-300.
13. Ibidem.
14. Ibidem.
15. Ibidem.
16. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.130.
17. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.871
18. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg.
19. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
20. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
21. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
22. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. I versi dal 880 al 1140, cap.VIII.
23. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. I versi dal 880 al 1140, cap.VIII.
24. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 1050 al 1150, cap.VII-VIII, di Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.,
25. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.137.
26. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Milano, Mondadori, 1998, ISBN 978-88-04-45101-3. Cfr. Wikipedia, voce Alfonso d’Aragona.
27. Geneviève Chastenet, Lucrezia Borgia. La perfida innocente, Milano, Mondadori, 2009, ISBN 978-88-04-42107-8.Cfr. Wikipedia, voce Alfonso d’Aragona.
28. O.Mastrojanni, Sommario degli atti della Cancelleria di Carlo VIII a Napoli. In: Archivio Storico per le Province Napoletane, Vol. XX, anno 1895. A proposito dell’Isola Farnese. Morto però nell’agosto 1503 Alessandro VI, e caduta la potenza del duca Boria, l’Isola naturalmente ritornò proprietà degli Orsini, onde allorché Pio IV nel 1560 con bolla eresse Bracciano in ducato”. Sarebbe riconducibile all’Isola Farnese poi detta antico Vejo quella con la chiesa dedicata a s.Pancrazio nel 1559 detta della Beata Vergine Coronata o s.Maria Castellana che si suppose presso gli antichi ruderi di Veia, non lontano da Vaccareccia, contenente un vaso dell’acqua benedetta con la scritta Ordo Vejentum, che per la sua grandezza non poteva essere stato trastortato da un luogo lontano e che si identificò con l’antica città etrusca a 21 miglia da Roma. Diversa da Velia in Principato Citeriore, a 17 miglia da Salerno. In tal modo si potrebbe dire che Velletri rappresentò l’antica provincia di Marittima lungo il litorale e Frosinone quella interna della Campagna di Roma divisa da essa dai Monti Lepini. V. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
29.Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
30. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg. Morto però nell’agosto 1503 Alessandro VI, e caduta la potenza del duca Borgia, l’Isola naturalmente ritornò proprietà degli Orsini, onde allorché Pio IV nel 1560 con bolla eresse Bracciano in ducato”. Sarebbe riconducibile all’Isola Farnese poi detta antico Vejo quella con la chiesa dedicata a s.Pancrazio nel 1559 detta della Beata Vergine Coronata o s.Maria Castellana che si suppose presso gli antichi ruderi di Veia, non lontano da Vaccareccia, contenente un vaso dell’acqua benedetta con la scritta Ordo Vejentum, che per la sua grandezza non poteva essere stato trastortato da un luogo lontano e che si identificò con l’antica città etrusca a 21 miglia da Roma. Diversa da Velia in Principato Citeriore, a 17 miglia da Salerno. In tal modo si potrebbe dire che Velletri rappresentò l’antica provincia di Marittima lungo il litorale e Frosinone quella interna della Campagna di Roma divisa da essa dai Monti Lepini.
31. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
32. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
33 Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
34. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
35. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.204.
36. Geneviève Chastenet, Lucrezia Borgia. La perfida innocente, Milano, Mondadori, 1996p. 123.
37. Dal sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia.
38. Melotti, cit., pagg. 67-69.
39. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Mondadori, Milano 2003, pag. 117.
40. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
41. Dal sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia.
42. Bellonci, cit., pagg.122-123.
43. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.119.
44. Il 14 febbrarii venne in Lecce il corpo de lo fratello de lo gran Turco, nemico di Re Federico, giunto a s.Cataldo a prelevarne le spoglie, due mesi prima che muovesse guerra ai Veneziani occupando Lepanto. In quei mesi morì il principe di Salerno a Senigallia (26 febbraio) e Re Luigi di Francia, per disperazione del Vaticano, lasciò la moglie dalla quale non poteva avere figli: lei si fece monaca e lui si risposò con la duchessa di Bertagha, vedova di Carlo VIII, raggiunto dal figlio del Papa che renunciato lo cappiello avanti el re de Francia, pilliao molliere Fracesca. Il 5 aprile l’Università comunale di Lecce donò 2000 ducati a Re Federico per essere sceso in Puglia & alla sua coronaccione le donau Lecce ducati 600, mentre giunse la notizia che Re Luigi di Francia, avanzando pretese sul Ducato di Milano, aveva occupato la città, ricevendo la sottomissione di Genova, Firenze, Ferrara e Mantova. Vi lasciò al governo Giacomo de Trivulcii con 45 francesi (finchè il Duca non li cacciò il 4 febbraio del 1500, facendoli prigionieri in Asti). Il 10 aprile Ludovico sebbene avesse già ripreso tutto lo Stato di Milano, fu fatto prigioniero dagli Svizzeri a Novara e affidato al Re di Francia insieme a diversi altri signori, fra chi finì ai ceppi e chi vittima di grandi vendette. Cfr. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
45. Ivan Cloulas, I Borgia, Salerno Editrice, Roma 1989, pagg. 221-222.
46. Bradford, cit., p. 77.
47. Ivan Cloulas, I Borgia, Salerno Editrice, Roma 1989, pagg. 223-224. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia
48.Al servizio del Papa ritroviamo Giovanni Cervillon al fine di sedare le discordie fra i Baglioni e combattere i Colonna, finché non fu catturato e presto liberato, forse a patto di far ritorno subito nel Regno di Napoli, in quel suo ruolo di paciere fra Borgia ed Aragonesi, fra Papa e re, in nome di Alessandro VI alla corte di Re Federico, allo scopo di far tornare a casa il Duca di Bisceglie fatto principe di Salerno, riuscendovi a settembre, quando Alfonso d’Aragona fu graziato e poté riabbracciare la sua Lucrezia Borgia. Cfr. www.capitanidiventura.it. A novembre del 1499 ebbe ancora una volta il comando della guardia palatina a Roma, ma non mancò al battesimo del pargolo degli sposini, una volta ottenuto il placet regio.
49. Cfr. sito internet: www.capitanidiventura.it
50. A.Bascetta-A.Maietta, Isabelle de Baucio. Isabella del Balzo Regina di Napoli, ABE, Avellino 2012. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. In realtà, Giovanni Carillo da Cervillon, alias Cerviglione, barone di Apice e signore di Fragneto Monforte, secondo i più, morì nel dicembre del 1499, dopo una cena a cui parteciparono altri commensali fatti uccidere dal Duca Valentino Borgia. Stessa sorte per il cardinale Giovanni Borgia (1470-1500), morto il 17 gennaio (si sentì male ad Urbino dopo una insolita cena romana), mentre tornava verso Roma, a Fossombrone, non mancandosi di accusare, anche per questo lutto, “quella terribile trinità, Alessandro, Cesare e Lucrezia”, come sostiene Dumas; cfr. Burchard, cit; cfr. Ricca, cit.; cfr. www.capitanidiventura.it. A dicembre, Lucrezia Borgia confida a Don Giovanni Carillo da Cerviglione “le pene che deve sopportare per i delitti del fratello Cesare. Dopo pochi giorni viene assassinato per strada a Roma, a colpi di pugnale e di spada, da due sicari dopo avere cenato con l’amico Teseo Pignatelli. E’ fatto uccidere dal Pontefice” perché voleva ritornare al servizio del Re di Napoli. Per altre fonti il mandante fu Cesare Borgia, “perché Carillo si oppone alle sue voglie su una gentildonna, sua protetta. Viene sepolto in tutta fretta nella chiesa di s.Maria in Transpontina, al Borgo Nuovo”. Alessandro, Cesare e Lucrezia Borgia erano considerati una “terribile trinità” per i tanti delitti di cui furono sospettati. Si diceva che durante il breve soggiorno fatto a Roma, Cesare Borgia si era assicurato un appuntamento amoroso con la stessa Borgia moglie Cerviglione, il quale, nell’incontrare - si disse - un di lei consanguineo fu ucciso, ma sempre per volere di Cesare Borgia Duca Valentino, o del Papa padre, il quale fece giungere Michele Rabadas di Corella, italianizzato in Coreglia da Forlì, originario di Valenza, per assassinare anche il genitore, così come fece con quasi tutti i commensali che avevano partecipato al banchetto di Don Eliseo Pignatelli. Così finì la vita di Cervillon, il quale, nel 1498 aveva avuto il posto d’onore (1498) nella funzione. Questo prima della vendita dei suoi beni, essendo morto senza eredi, ad Antonio de Guevara conte di Potenza il 25 luglio del 1500.
51. AA.VV., Apice nella riconquista aragonese, ABE, Avellino 2011; Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863.
52. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. Anzi, si precisò che l’assassinio avvenne “ritornando di una cena presso Don Eliseo Pigliatelli, cavaliere di San Giovanni, assalito da alcuni sicari, di cui l’uno gli domandò il nome, e mentre lo diceva, vedendo che non s’ingannava, gli trapassò il petto con un pugnale: un altro intanto con la spada gli troncava la testa, che cadde ai piedi del corpo prima che il corpo fosse caduto”. Amche il Governatore di Roma si lamentò di questo assassinio col Papa, “ma avendo veduto, dal modo con cui Sua Santità ricevè l’avviso, che meglio sarebbe stato per lui di non parlarne, sospese le ricerche già cominciate, di maniera che nessuuo degli uccisori fu arrestato”. Ma per tutta Roma s’era però già sparsa voce “che durante il breve soggiorno che avea fatto a Roma, Cesare avea ottenuto un convegno dalla moglie di Cerviglione, la quale era una Borgia, e che il marito avendo saputo quest’infrazione ai suoi doveri, s’era lasciato trasportare dall’ira tanto da minacciare lei ed il suo amante; le sue parole erano state riferite a Cesare, che, servendosi del braccio di Michelotto, avea da Forlì ferito Cerviglione in mezzo a Roma. Un altro omicidio inaspettato che ne seguì, “che fu attribuito se non alla stessa causa, almeno alla stessa fonte”, fu quello di Monsignore Agnelli da Mantova, arcivescovo di Cosenza, chierico di camera e vice-legato di Viterbo, “essendo caduto, senza che si sapesse perchè, in disgrazia di Sua Santità, fu avvelenato alla propria tavola, ove passato avea una parte della notte a conversare allegramente con tre o quattro convitati, mentri la morte filtrava già sordamente nelle sue vene; tantoché, coricatosi in ottima salute, fu trovato il domani morto nei letto”.
La morte di Ludovico Agnelli è acclarata il 3 novembre 1499, quando fu sostituito da monsignor Francesco Borgia, presente al battesimo di novembre, che confermerebbe la morte di Carillo fra il mese di dicembre del 1499 e quello di gennaio del 1500.
53. ASAV, Busta vol.78, al f.78, anno 1497.
54. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.
55. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Mondadori, Milano 2003, pag. 154.
56. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.;
57. Bradford, cit., pag. 85). Cfr. sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia; Cloulas, cit., pag. 241.
58. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.
59. Bradford, cit., pag. 88; Bellonci, cit., pag. 159. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia
60. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.275 e segg.
61. Re Carlo scriveva al suo vicario del Principato essendo vacante la cappellania a lui spettante sulla chiesa di San Salvatore. Seguì Matteo Platamone, autore di un commento sul Carme di Pietro da Eboli, reggente di scuola medica salernitana in Napoli nel 1300.
62. Nel 1567 è detto Santo Salvatore della Doana vecchia, quando si ordina al beneficiato Giulio Villano di ripararlo in quanto gia sta in atto de andare tutta a ruina et da vicini ne è stata fatta istanza che se ripari, per il pericolo che vi è di cascare et cascando rovinare gli edifici contigui. Nel 1616 il vescovo ordina di non celebrare più messa e di profanare la Cappella di San Salvatore de Dogana, nel territorio Parrocchiale dei Santi Dodici Apostoli, semplice beneficio di patronato Regio. Quello dei 12 S.Apostoli e di altre alla Marina, ex Commenda maltese di Capua, era uno dei quartieri più antichi di Salerno. Era raggruppato intorno alla Chiesa parrocchiale detta dei Dodici Santi Apostoli oppure, più semplicemente, come viene accennata nel Catasto settecentesco, solo Chiesa dei Santi Apostoli, quando la stessa parrocchia aveva perso vigore, contando solo due case di benestanti proprio fuori la chiesa.
63. I piani erano quasi chiari: Consalvo sarebbe passato col governo delle genti in Sicilia e, andando contro i Turchi a Cefalonia, si sarebbe congiunto con l’armata in Puglia visto che il fratello Don Alfonso, era già a Zante, mentre s’apparecchiavano le armi per l’autunno contro il Sultano e la sua armata turchesca.
64. E ancora in Grecia Consalvo si distinse durante la carestia, quando ordinò alle donne, le quali “non sapevano” come separare la farina dalla crusca, di levarsi i veli sottili dal capo e fabbricò “picciol forni nella riva per cuocere il pane; mentre che gli altri cocevano ne’ paiuoli il fromento pesto col lardo benchè nimico a’ corpi”.
Assoldati gli Svizzeri a Milano e una grossa armata a Genova i Francesi aspettavano solo la primavera per muovere guerra, mentre Consalvo tornava carico di doni veneziani, fra “vasi d’oro e d’argento intagliati, panni paonazzi di lana, e cremisi di seta, e molti broccali d’oro” (oltre a 10.000 ducati d’oro e dieci cavalli turchi), accolto a Messina come un re dagli ambasciatori giunti da tutta l’isola. Ancora più contento fu Re Federico, il quale, sperando in un aiuto, gli spedì spesso ambasciate.
L’apprestarsi dei Francesi, legatisi a Veneziani e Fiorentini, per la congiura del Papa e di suo figlio, poteva ritorcersi anche sulla Sicilia con un imminente assalto, ignorando la congiura del cugino con Luigi XII.
65. Consalvo era consapevole, ma avrebbe ubbidito solo alla Corona di Castiglia, affinchè “non paresse che egli mancasse di fede al Re suo Signore, il cui animo per certe offese alienato Federigo s’haveva concitato contra”, convinto che Ferdinando Il Cattolico, nella sua vita, aveva trattato con Re Luigi la pace solo in cambio dell’annuo tributo, avendo difeso con le ricchezze della Sicilia il Regno di Napoli conquistato a suo tempo dallo zio Alfonso. Dalle quattro ex province angioine erano nate le due sottoprovince di Basilicata e di Terre di Bari), rette dalle Cortes provinciali dei Vicerè Catalani d’Aragona e non più dagli originari Mastri Portulani. In passato si erano cioè avuti un Vicerè per l’Abruzzo (vedi Bartolomeo III di Capua), un Vicerè in Terra di Lavoro e Molise, un Vicerè in Terra d’Otranto, un Vicerè per le Calabrie esistente da tempo immemore. Si racconta che Re Alfonso d’Aragona avesse scippato il Regno agli Angioini proprio ad un capitano, Antonio Ventimiglia Conte e Centeglia “creato suo Vicerè nelle Calabrie” per aver condotto all’obbedienza la città di Cosenza, i Casali e Grimaldo.
66. A.Della Monica, Memoria istorica..., cit., pag.605 e segg. “Fatto questo secreto concerto, il Francese fù il primo ad entrar nel Regno con esercito di mille lancie, diece mila cavalli, e con buon numero d’artigliarie, come dice il Guicciardino. La prima città, che combatterono fù Capua, della quale impadronendosene à forza d’armi con grandissima crudeltà la sacchegiorono, usando mille dishonestà, e violenze, il che diede tanto spavento alle Terre convicine, che quasi tutte alzaro le bandiere di Francia. Il misero Rè Federico riscorse per agiuto, come diansi haveva fatto, all’istesso Rè Cattolico suo parente, il quale dissimulando, mandò di nuovo Consalvo di Cordova chiamato il gran Capitano, ma con l’intento contrario, che se la prima volta andò per discacciare dal Regno i Francesi in favor degli Aragonesi, questa seconda volta vi mandò à discacciar gl’Aragonesi in favor de’ Francesi”.
67. Gli aiuti di Consalvo a Gaeta non arrivavano mai, sebbene il Re continuasse a donargli i castelli calabresi che chiedeva in cambio, nella speranza di poter presto avere un forte esercito per respingere i Francesi ed evitare l’assedio accaduto al nipote ai tempi di Carlo. Federico si fermò quindi a San Germano, attendendo inutilmente i fratelli Colonna, mentre Spagnoli e Francesi mettevano le mani sul trono di Napoli sbarcando sulle coste e celando, gli uni agli altri, la volontà di volersi appropriare delle conquiste altrui. Fu così che Luigi XII si impossessò della “sua” metà del Regno di Napoli (1501-1503) senza neppure dichiarare guerra ai Catalani Aragonesi, quanto ai baroni più testardi. Consalvo, dal canto suo, si era portato da Messina a Reggio per prendere la Calabria e aveva mandato a dire a Federico che rompeva i patti di sudditanza, rinunciando all’Abruzzo e Monte S.Angelo che gli aveva donato. Federico, ancora più signorilmente, rispose che gli rinnovava l’atto. Questo significava che i Francesi avrebbero dovuto togliere l’Abruzzo a Consalvo, il quale, restituiva ai Sanseverino e a Bernardino Principe di Bisignano i loro castelli. I Francesi attaccarono dal Garigliano con 15.000 uomini al comando di Robert Stuart signore d’Aubigny, affiancato dall’allora Cardinale e Legato Pontificio Cesare Borgia e Galeazzo Sanseverino Conte di Caiazzo, sempre con Napoli, la Terra di Lavoro, il Ducato di Benevento e l’Abruzzo sulla carta; mappa che invece assegnava al Cattolico la Calabria, la Basilicata, la Puglia e Terra d’Otranto. Per giungere su Capua, nell’estate del 1501, occuparono il Castello di Calvi, ma si ritrovarono proprio il figlio del fu Conte di Mignano, ch’essi avevano ucciso nel precedente assedio, a difendere la città. Fu infatti Ettore Ferramosca, posto a difesa del castello, a mostrare il suo valore, mettendo in fuga il nemico, sebbene ciò non servì a salvare la città. Infatti, caduta la difesa di Capua, e uccisi i Conti di Palena e di Marciano, vennero catturati sia il comandante Fabrizio Colonna e Ugo Cardona, che Guido ed Ettore Ferramosca, capitano di ventura piccolo di corpo, ma di animo grande e forza meravigliosa, tipico esempio di coraggio personale e di valoroso soldato, fu tradito da Cesare Borgia. Con i loro soldi, per la gioia di Consalvo, l’intera famiglia dei Colonnesi era dalla sua parte, quando seppe che, pagato il riscatto per la prigione, Fabrizio e Prospero si erano allineati alle idee del fratello Cardinale Giovanni, già da tempo in Sicilia, vittima anch’egli della cacciata da Roma operata da Borgia. Ora erano tutti nemici dichiarati del Papa.
68. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
69. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
70. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
71. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Questo accadde perchè quando entrarono gli eserciti in Puglia si prospettò la nuova difficoltà solo sul campo fra baroni che alzavano bandiera francese e altri che inneggiavano agli spagnoli sostenendo, gli uni e gli altri, di appartenere alla medesima provincia. Pertanto, non avendo copia dell’accordo deciso fra i due Re, per non pregiudicare nessuna delle parti, decisero di seguire un ordine, che fu quello di far alzare bandiera spagnola anche a quei castelli che avevano pensato di alzare bandiera francese, senza avanzare pretese da nessuna delle parti. Questo sebbene, secondo gli Spagnoli, ricadessero fra le loro quattro province e che quindi dovessero abbassarla. Fu quindi creata una specie di zona franca nella zona di confine, chiamata provincia di Capitanata, i cui i castelli avrebbero alzato ambedue le bandiere, nonostante che il luogotenente generale di Francia, Luigi Palau, cercò di dimostrare che per diverse ragioni la Capitanata era la verdadera Puglia. Ad ogni modo pretese che si considerasse provincia separata e che era meglio accordarsi affinché le cose di quello stato provinciale si sarebbero governate da commissari di ambedue i Re, dividendo in parti uguali le rendite. Il problema è che i Francesi mostravano interessi economici per ragione di riscossione della Dogana dei ganado, volgarmente detta delle Pecore, che si faceva in Capitanata. Per questo motivo si decise di dare al Re di Francia (per mano di un di lui commissario), allo scadere del primo anno, la metà delle entrate dell’annualità detta Dogana delle Pecore spettante al Re Cattolico (per mano di un proprio commissario) che si sarebbe riscossa nella Capitanata che a questo punto andava staccata dalla Puglia lasciandovi solo Otranto e Bari. A questo punto Luigi Palau se ne andò dopo aver accettato e deciso per la nomina di due commisari in comune che facessero alzare le bandiere di entrambi i Re in quelle quattro province, sebbene l’intenzione dei francesi era comunque quella di occuparle tutte.
72.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Cioé quella que se estiende desde el rio Fertoro, hasta el rio Aufido e che si chiamò Capitanata, desde el tiempo de los Griegos, y Normandos: y lo que antiguamente integrava la Calabria. Quindi Calabria restò tutta quella regione che includeva la marina di Baroli, Trana, Molfetta, Iuvenazo, y Monopoli, que era de la antigua, y verdadera Calabria, che poi fece capo al quella ciudad que llamaron Bario che ancora allora si chiamava Bari, il cui territorio dal mare continuava fino ai luoghi montagnosi che in origine furono abitati da Lucani, Apuli e mantenuti dai governatori del Imperio Griego Basilicata. In essa si includevano perfino Taranto e Brindisi, nell’area che poi prese nome de Hydrunto, che era il luogo principale della Terra di Otranto. L’antica Calabria stava quindi ben distinta, separata e lontano dall’attuale Calabria che per la maggior parte della sua estensione era abitata dai Bruzi. Quindi la Capitanata integrava la Calabria di Bari e la Calabria si chiamava Bruzio di Cosenza. Nella ripartizione che fecero i due Re non si tennero in considerazione i nomi antichi delle regioni (in parte ancora esistenti sotto gli angioini fino al terremoto del 1348), ma ci si riferì all’ultima divisione politica delle province sotto Federico I.
73. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220.
74. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220
75. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
76. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
77. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
78. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
79. AA.VV, Capitani di Ventura 1458-1503, ABE, Avellino 2006.Cfr. Paolo Giovio, La vita di Consalvo Ferrando di Cordova, Torrentino, Firenze 1552.
80.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
81. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
82. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v.
83. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. D’improvviso comincia a parlare anche di Semiramis uxor Nini fuit prima inventrix braca rum, cioé di Semiramide moglie di Nino, I Re di Babilonia al tempo di Abramo, che fu la prima inventrice dei pantaloni. Poi insiste con Sam fuit filius Noé qui postanam eccepit sacerdotium mutavit nome et dictus est Melchisedech, quel Sem sul Nilo, figlio di Noé, che divenne sacerdote Melchisede. Ed ancora si rifà alle imprecazioni: - Emendamus inutilius quo ingnorantia peccavimus si subito preoccupati dum mortis queramus spatium penitentie et invenire non possum.Poi lascia la penna di filosofo latino e abbraccia quella del poeta volgare e patriottico, quasi scimmiottando il Petrarca, anzi a lui assomigliando in questo sonetto inedito proveniente dal medesimo rogito dell’Archivio di Stato di Avellino. Al foglio 294v, siamo nel solito rogito arianese, in ultima pagina, il notaio Tartaro stavolta si diverte a riportare un sonetto che stavolta cita chiaramente, essendo tratto dal Salutario Francisci Petrarce de studio, ma, guarda caso, è ancora una invocazione patriottica, il Redrentus ad Laudem Italie, che è il sonetto trecentesco conosciuto come Ad Italiam. In altra pagina trascrive proprio un sonetto del Petrarca. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. E’ totalmente in latino: Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve / tellus tuta bonis, tellus metuenda superbis, / tellus nobilibus multum generosior oris, / fertilior cuntis, terra formosior omni, / cincta mari gemino, famoso splendida monte, / armorum legumque eadem veneranda sacrarum... lui…paratis / Pyeridumque domus auroque opulenta virisque, / cuius ad eximios ars et natura favores / incubuere simul mundoque dedere magistram. / Ad te nunc cupide post tempora longa revertor / incola perpetuus: tu diversoria vite / grata dabis fesse, tu quantam pallida tandem / membra tegant prestabis humum. Te letus ab alto / Italiam video frondentis colle Gebenne. / Nubila post tergum remanent; ferit ora serenus / spiritus et blandis assurgens motibus aer / excipit. Agnosco patriam gaudensque saluto: / Salve, pulcra parens, terrarum gloria, salve.
84. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. V. passo: “L’illustrissimo pranzò e partì da Rohano in lectica accompagnato da Massimiliano Sforza detto il Moro già duca di Milano”. In: Itinerario di monsignor reverendissimo et illustrissimo il cardinale de Aragona mio signor incominciato da la cita de Ferrara nel anno del Salvatore MDXVII del mese di maggio et descritto per me donno Antonio de Beatis canonico Melfictano con ogni possibile diligentia et fede. Maggio 1517.
Il sonetto è di grande importanza perché mostra come sia avvertita ad Ariano, ex dipendenza salernitana, la voglia di libertà, essendo il popolo ormai stanco delle continue guerre in cui era stato coinvolto, ma con la solita voglia di riscatto. Il sonetto però non pare inneggiare alla sola libertà del Regno, quanto a quella dell’intera Italia, proprio come nel Trecento e nel Qauttrocento. Da qui l’ipotesi avanzata che non fosse farina del suo sacco. Ad ogni modo è onorevole che questa trascrizione, autografa o copiata, si ritrovi comunque ad essere inedita e trascritta dal notaio di Ariano. Nella sostanza si sprona il Moro Duca di Milano ad abbracciare le armi per difendere l’Italia dall’invasore spagnolo, per farlo ravvedere rispetto all’idea di esiliare a suo tempo Re Alfonso d’Aragona sostenuto dagli Sforza, giudicando indegno Re Ludovico di Francia, sostenendo che presto si sarebbero pentiti tutti. Marco, il Re di Spagna, l’Imperatore: si non si avede ognun essir fallito perché in Italia è intrato un firo basilisco. Da qui l’esortazione ad aprire le porte per far entrare chi nuovamente è partito per liberare l’Italia (l’ex Duca di Milano Massimiliano Sforza, nel 1517 era detto Il Moro).
85. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
86. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
87.Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, cit.
88. G. Coniglio, I vicerè spagnoli di Napoli, Napoli, Fiorentino 1967.
89. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.270-271.
90. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
91. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Don Innico Davalos di Castiglia (figlio di Don Ferrando Davala e ultimo della casata di Don Rodrigo) aveva seguito Re Alfonso d’Aragona nella campagna che lo condusse a Napoli, che nella “battaglia navale all’isola di Ponzo fu preso dai Genovesi col Re istesso, & nella medesima nave. Costui fra gli altri paggi era il più caro c’havesse Alfonso per l’aspettation sua gratissima, & per lo concorso di tutte le virtù. Ne molto dapoi quando Filippo Visconte con honorata liberalità d’animo grande, liberò Alfonso, & datogli doni grandi lo lasciò andare ad acquistarsi il Regno di Napoli, ottenne dal Re, che Ignico fosse lasciato appresso di se in Milano; perciocché questo giovanotto co’ suoi singolar costumi, & con la bellezza di volto dilettava talmente, & havea preso l’animo del Duca Filippo; che fu de’ carissimi ch’egli avesse. Morto che fu Filippo ritornò agli Aragonesi”. Ottimo nelle lettere e nella disciplina militare, caro a tutti, Don Innico meritò di avere una d’Aquino come nobile e ricca moglie discendente da San Tommaso e, con la dote della moglie e la sua eredità di molti castelli, fu onorato da Re Ferrando del titolo di Gran Camerlengo “e di una grandissima casa nella quale si essercita il giudicio fettemuirale” e visse una vita reale, divenendo già vecchio quando fu compagno di guerra contro i Turchi al fianco di Alfonso II, lasciando eredi i figli giovinetti della sostanza materna e della virtù paterna: Alfonso, Rodrigo II e Innico II.
92. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Si chiamò così “da Aterno terra della Puglia, & dal fiume chiaro per la morte del Grande Sforza, il quale oggi si chiama Pescara, fu padre di questo Ferrando”, cioé Ferrando Davalos era soprannominato dal padre Il Pescara, al quale sarebbe toccato “risollevare il nome della famiglia ormai scomparso per la perdita di tutti i capitani”, noto per aver anche sposato Vittoria Colonna.
Questo Marchese Alfonso Davalos, giovane di lettere e di guerre di famiglia seguace degli Aragonesi, volle misurare il suo valore nella guerra contro i Francesi che si tenne in Romagna, ma anche nella resistenza di Napoli, allorquando i Francesi al comando del loro “capitano Monsignor d’Alegri della rocca uscirono nel porto; e riempierono ogni cosa d’uccisioni, e di spavento”. Il Marchese Alfonso Davalos, “solo innanzi a tutti con incredibil virtù coperto con uno scudo da piedi, fermata la fuga de’ suoi, per le scale di dentro corte nel molo; e sprezzando ogni pericolo dell’artiglierie tributò talmente i Francesi, che ammazzarono molti, o nel fuggire precipitati in mare, e riavuta poi la Torre del Faro, il popolo napoletano in quel giorno lo chiamò Conservator della patria”.
93. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557.
94. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
95. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
96. Il 28 aprile 1503, dopo aver alloggiato in Barletta per molti mesi, Cordova fu cacciato da 3000 alemanni e assaltato dal vicerè francese, virando verso Napoli che prese e vi entrò con grandi onori: a maggio aveva preso la Cettadella e il Castelnuovo, facendo bottino a napoletani e francesi da 20.000 ducati e traendo prigionieri 2.000 uomini. Inutile fu l’intervento navale delle galee che dovettero tornare a Gaeta. Michele Riccio scrisse che il Re aveva lasciato suo legato Ludovicus Nemosii dux Armigniaci comitum Gentilis, qui legatum regis personam, vicemque sustinebat. Hispani secundis rebus elati non ita multo post Urbe Neap. Arceque quam vulgo Novam, Lucullianamque, quam a forma vocant Ovi expugnatis, Regno potiuntur. A meno di Conversano, continua Coniger, il gran Capitano nel 1503 prese tutto il regno. V. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255. Dalla metà del 1503 Apice e Ariano, già provincia di Principato Ultra e Capitanata, ora sono in territorio del Re di Spagna per la prima volta, cioé al 1° anno, come compare dagli atti notarili locali. Lo sono perché compare il Re Cattolico di Spagna, nello stesso protocollo (f.239), quando si specifica Regni Sicilie Ultra Faro sub Dominio optary Captholitum rex regis Urregna Ispania. E’ proprio l’anno 1503, Regnante Serenissimo et humilisimo et cattholicissimo domino nostro domini Ferdinando et Helisabet dei grazia rege e regina Ispania Sicilia Citra et Ultra Faro Hungaria in regno vero eus immj regni primo (Ibidem, f.239). Ma quando avvenne esattamente tutto ciò? La data esatta della conquista spagnola, avvenuta a macchia di leopardo, ci viene fornita dal notaio Mastelloni di Montefusco. E’ il 15 maggio 1503 quando il nome del Gran Capitano Ferdinando di Cordova compare sulla Montagna di Montefusco. Così l’atto: - Die quintodecimo, mensis maj, 6 indizione, in Terra Montis Fuscoli, Ferdinando di Corduba, Ducis Terre Novi e S.Angeli.
Il 15 maggio 1503, quindi, la Terra di Montefusco, che è anche chiamata Oppidum Montefuscoli, è nel possesso del Dux Ferdinando di Cordova, in nome del Re Cattolico, che però non pare possedere Napoli, perché l’intestazione proviene dal fatto che è Dux in Regno di Sicilia Citra Faro di Messina, col Re solo nel titolo di Re di Sicilia Citra, giungendo in quel momento l’esercito nel Principato Ultra, quindi al 1° anno del reame spagnolo.
Così: - Regnum Sicilie citra farum sub dominio et potestte Captholicorum Maiestatum regi et regina Ispaniae.
Anno a nativitate eiusdem Millesimo Quingentesimo Tertio regnantibus Serenisimis et iustissimis et captholicis dominis nostris dominus Ferdinando et Helizabete Dei gratia rege ac regina Ispaniea Siciliae Citra et ultra farum Ierusalemque regnorum vero huino regni anno primo feliciter amen. Ma cosa era successo quel 15 maggio? Il Dux Capitano Consalvo ufficializzava Montefusco sotto la maestà del Re Cattolico visto che in quel giorno, il Duca Luigi, viceré di Ludovico Re di Francia, andò via da Cerignola e il capitano revocò l’omaggio al Re di Francia in quel di Acerra, assoggettando i popoli della Campania. Il documento è quasi illegibile, abbiamo provato a trascriverlo. Così: - Die quintodecimo mensis maij sextae indictionis in Terra Montisfusculi exercitus ejusdem praefatarum Captholicarum Maiestatum Ferdinandi regis et Helisabettae reginae Hispaniae Siciliae Citra et Ultra farum ceterorumque regnorum sub ducte et auspicio Illustrissimi domini Don Ferdinandi De Cordova Ducis TerraNove et sancti Angeli ex magna potestate Catholicam Maiestatem oppidi Cerignole Illustrissimum Dominum Ludovicum ducem ut migravantibjt? atque Vice regem exercitusque ductorem in bellico certamine cum magna potestate exercitus cristianissimi Ludovici Regis Galliarum interemit reliquos orti infrigari poterit et eorum castra adquantum? ne havim? ? ?taur dirrupuit. Olim sub anno domini Millesimo uingentesimo Tertio ipso illustrissimo et cristianissimo Rege Ludovico regnante ex dierum? un....qbque? Neapoli et predictae sextae indictionis. Idem predictus Rey tertio? reddigit mox vero cum ad quindecim die maij ad Acerras pervenisset Capitani et omnes fere populi Campanie etiam si..ej? revocato homagio regi Francia cum dicto magnifico Capitano regni composuerunt (Ibidem, frammento).
Nel mentre anche il notaio arianese ha finito di scrivere il tomo degli atti notarili. Dopo qualche spazio, sempre nell’ultima pagina, segue un’epigrafe latina: PRAEMIA . SI . HERITIS . DONANT . CONDIGNA . SDPERNI / HIC . MERUIT . SUPERUM . POST . SUA . FATA . LOCUM. / DUM . VIXERIT . VIRTOTE . MICANS . BONUS . ATQUE . MODESTUS / SECRETUS . REGIS . CONSILIATOR . ERAT . / PUBBLICA . SEMPER . AMANS . ANTON1US . ISTE . VOCATUS / DE . PENNA . DICTUS . QUEM . TEGIT . ISTE . LAPIS. V. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v, ultimo foglio. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. Ma è sempre al notaio Angelo Tartaro di Ariano, a far data dal 1503, Regnantibus Cattolico Magnatibus Ferdinando et Helisabett re et regina Yspanie et totus Hindie, duis oppure hujus Cicilie regni anno primo. Amen. V. ASAV, Busta 78 notai di Ariano, Tartaro Angelo, f.84, anno 1503 (dopo il 10 giugno e prima del 20 luglio). Idem negli atti a seguire, nel 1504, con la medesima intestazione che loda i Regnanti Cattolici Magistati Ferdinando dei grazia regi aragona, asturie, Sicilie. V. ASAV, Anno 1504, f.139v dopo dicembre e prima del 7 febbraio 1505.
97. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
98. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
99. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., V.Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.38.
100. Arturo Bascetta, Giovanna La Pazza, cit.
101. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
102. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675, pag.5 e segg.
103. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Venido el rey, mostraron gran descontentamiento: señaladamente el príncipe de Bisiñano por el Condado de Melito: y el príncipe de Salerno, por no se le haber restituido el oficio de Almirante, que pretendía ser de su casa: y no le haber otorgado el perdón de la rebelión que el príncipe Antonelo su padre, y él cometieron contra el rey don Fadrique. Que el rey de Portugal fue requerido, que se entremetiese en la gobernación de los reinos de Castilla.
104. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
105. In questo caso sarebbe una sorella di Don Alfonso d’Aragona duca di Villahermosa e sorellastra del Re. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Mediado el mes de diciembre, Roberto de Sanseverino Príncipe de Salerno: y dejó un hijo muy niño, que hubo en la Princesa Doña Marina de Aragón su mujer: hermana de don Alonso de Aragón duque de Villahermosa, que se llamó don Hernando.
106. Jacopo Nardi, Istorie della città di Firenze, Vol.1.
107. Jacopo Nardi, Istorie della città di Firenze, Vol.1.Cfr. Wikipedia, voce: Lucrezia Borgia.
108. AA.VV. a cura di Angelo Cillo, Capitani di Ventura. Il Regno di Napoli in più Epoche. 1458-1503, ABE Napoli 2006. Cfr. Wikipedia, voce: Rodrigo d’Aragona.
109. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Milano, Mondadori, 1998, ISBN 978-88-04-45101-3.Cfr. Wikipedia, voce Alfonso d’Aragona.
110. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 980 al 1160, cap.VI, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. Cfr. Pacienza, Lo Balzino..., cit.Versi 250-350. Cfr. Deputazione Napoletana di Storia Patria, Archivio Storico per le Province Napoletane, Società napoletana di Storia Patria, vol.22, Napoli 1897. Cfr. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza di Nardò,Opere (cod.per. F27) Biblioteca Augusta, Biblioteca Salentina di Cultura, Edizioni Milella, Lecce 1977.
111. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
112. Cfr. www.capitanidiventura.it
113. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863.
114. Ibidem.
115. Burchard, cit.
116. Ricca, cit.
117. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. La morte di Ludovico Agnelli è acclarata il 3 novembre 1499, quando fu sostituito da monsignor Francesco Borgia, presente al battesimo di novembre, che confermerebbe la morte di Carillo fra il mese di dicembre del 1499 e quello di gennaio del 1500.
118. ASAV, Busta vol.78, al f.78, anno 1497.