IL PRINCIPE IMPOTENTE. Alfonso III d’Aragona di Salerno e di Bisceglie

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Nozze di Alfonso Aragona Principe di Salerno e Lucrezia Borgia

Furono mesi di gran carestia che portarono ad un momentaneo aumento dei prezzi delle derrate: “valse lo tumolo de lo grano a tarì sette, e l’orgio a tarì quattro, e finnanter in Terra de Lavoro, e Terra de Bari, e la ricolta nova fu sì abondancia, che calò lo grano a grana quindeci lo tumolo, e anco mo porse no miracolo, che Dio quando vole po fare omne cosa”. Fatti di cronaca che si confondono con i racconti popolari che destano meraviglia: nel 1498, un leccese “ammaistrò dui cani de manera, che soli tiravano acqua a la fontana dela Piazza de Lecce in abondancia, ben vero l’huomo le dava le calette”.34
I Borgia, dal canto loro, aspiravano a fondare una casata feudale che avesse grandezza e stabilità al pari dei principi italiani e perciò Papa Alessandro pensò alla doppia parentela con Re Federico di Napoli. La figlia Lucrezia Borgia avrebbe sposato Don Alfonso d’Aragona Duca di Biselli (figlio naturale di Alfonso II e fratello di Bonna Sancia), per il quale “concorse di buona voglia il detto Re”. L’altro matrimonio sarebbe avvenuto fra il figlio Cesare, cioè il Cardinal Valentino, già disposto a rinunciare al cappello rosso, per impalmare Carlotta (figlia del medesimo sovrano) chiedendogli in dote il Principato di Taranto.35
Papa Alessandro VI decise quindi per il matrimonio della figlia Lucrezia con il 17enne Alfonso, “l’adolescente più bello che si sia mai visto a Roma”, come diceva Sancia, e perciò lei se ne innamorò senza neppure conoscerlo.36
Furono il Papa e Cesare, che aveva gettato la porpora cardinalizia, ad organizzare le nozze; “sarebbe servito per avvicinare i Borgia al trono di Napoli, unitamente al matrimonio ben più gratificante fra Cesare e Carlotta d’Aragona”.37
Intanto, quando Lucrezia, ripudiato il primo marito, tornò nel palazzo di Santa Maria in Portico a Roma per le trattative delle sue seconde nozze, il matrimonio si era già concluso in quanto fu celebrato per procura il 21 luglio 1498, alla presenza del cardinale Ascanio Sforza in quello stesso palazzo, fissando la dote a 40.000 ducati d’oro.39
Per cui la cerimonia ufficiale si dovette tenere il 5 agosto 1498 per impalmarla ad Alfonso d’Aragona. Nella città eterna giusero fra gli altri i cardinali Sforza, Borgia e Lopez, il vescovo Giovanni Marrades e il Capitano Giovanni Cervillon detto Cerviglione, testimone di nozze. Fu lui a sguainare la spada sul capo degli sposi per omaggiare il rito religioso con un tocco cavalleresco a quella festa in cui le due fazioni familiari non mancarono di litigare su chi dovesse entrare prima in Vaticano. Se le diedero di santa ragione un paio di vescovi, coinvolgendo anche il Papa, mentre i cortigiani si davano alle gambe. Tornata la calma e l’allegria, fra balli e suoni intorno al banchetto, si fece mattina con lo scherzoso Valentino travestito da unicorno.40
“Nei mesi successivi Lucrezia e Alfonso vissero serenamente, ricevendo a corte poeti, letterati, principi e cardinali. Grazie alla presenza di Alfonso e sotto la protezione dei duchi di Bisceglie si formò un piccolo partito aragonese che riuscirà più tardi a dare ombra a Cesare Borgia”.41
Lucrezia infatti, pur detestando la politica, aveva imparato l’arte di muovere i propri interessi durante gli intrighi politici. In questo periodo, in appoggio del marito, sfidò il padre e il fratello, tentando di dare una mano ai Napoletani e ai loro alleati Spagnoli e Milanesi, ormai nemici dei Francesi…

Description

IL RAGAZZO PIU’ BELLO DI ROMA CHE SPOSO’ LA FIGLIA DEL PAPA

L’unico barone che continuava ad arricchirsi era il Gran Capitano Consalvo Cordova, il quale, il 10 maggio 1498, riceveva in via ufficiale all’insaputa di Re Federico i feudi confiscati da Carlo e Salvatore di Sangro ad Antonello di Santoseverino e a Loysio di Gesualdo deviantes a fidelitate nostra et contra nos et statum nostrum cum Gallis invasoribus huius regni et publicis hostibus nostris consilia et arma sua jungentes publica et notoria rebellione. L’accusa al Principe e al Gesualdo era chiara, essendo venuti meno alla fedeltà dovuta, avendo unito spesso le proprie armi a quelle dei Francesi, già invasori del Regno, nonché a quelle di nemici dichiarati. Dal canto suo, Cordova, non solo incamerò i loro beni, ma cominciò ad affidare direttamente agli uomini delle sue truppe spagnole alcuni feudi strategici, come nel caso di Gesualdo e Frigento, dati ad Ugo di Giliberto.28
Il 1498 fu un anno infausto.29
Da Roma giungeva notizia che Papa Alessandro VI Borgia cominciasse a turbare i cardinali che lo contrariavano e le famiglie avversarie, come quella degli Orsini.30
Il Papa “era contento de questa perturbatione per dar stato a’ soi figlioli, et che Collonesi haveano abuto la Torre Santo Mathio, et che Paulo Orsini non era gionto a hora di socorer dicto locho, che inimici introe dentro e have la Terra”. Inoltre, siccome il “Cardinal Ascanio era pur amalato di mal franzoso, et che ’l pontifice, havendo inteso di la trieva fata tra Spagna e Franza, mostrava dolersi; ma si confortava che era li do mesi di contrabando. Pur pareva fusse quasi rotta la sanctissima et serenissima Liga; et altro si have quid fiendum”.31
La scelta di Alessandro VI, però, stette per ricadere sulla figliola Lucrezia Borgia, che la l’amante aveva partorito a Subiaco, il 18 aprile 1480. Ormai aveva 18 anni e, sebbene fosse sua figlia illegittima e terzogenita, avuta da Vannozza Cattanei, fu pronta a divenire una delle figure femminili più controverse del Rinascimento. Del resto, fin dagli undici anni fu soggetta alle politiche matrimoniali del padre e del fratello Cesare Borgia. Già quando il Papa ascese al soglio pontificio l’aveva data in sposa a Giovanni Sforza, per pochi anni, in seguito all’annullamento del matrimonio.
Da qui l’idea che Lucrezia potesse essere un’ottima arma per ammaliare il Re di Napoli, Alfonso II, facendogli sposare il figliastro Alfonso d’Aragona, figlio illegittimo di Alfonso II di Napoli, poi tradito e ucciso dal fratellastro della moglie, essendo la famiglia passata col nemico francese.

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

Così da Alfonso e Lucrezia nacque Don Rodrigo

 

 

Re Federico cercò in tutti i modi di mitigare i rapporti col Pontefice, grazie alla figura di Giovanni Carillo di Cerviglione barone di Apice e marito alla figlia Sancia, che il Papa aveva creato Gonfaloniere del Vaticano, avendo mantenuto il ruolo di paciere durante i contrasti fra i Borgia e Alfonso Principe di Salerno.48
Gofré e Lucrezia Borgia tornarono nel palazzo romano di s.Maria del Portico il 14 ottobre 1499, in attesa del parto per la nascita del principino erede Rodrigo d’Aragona.
L’11 novembre del 1499 il comandante Cerviglione, col placet di Re Federico di Napoli, fu presente al battesimo del pargolo di Alfonso e Lucrezia. Molti i festeggiamenti che ne seguirono, in attesa che trascorressero quelle due settimane seguite al 1 novembre, data di nascita del maschietto, non senza che Cesare si macchiasse di un altro delitto.
A morire per suo ordine stavolta fu “monsignore Agnelli da Mantova, arcivescovo di Cosenza, chierico della camera e vice-legato di Viterbo; essendo caduto, senza che si sapesse perchè, in disgrazia di Sua Santità, fu avvelenato alla propria tavola, ove passato avea una parte della notte a conversare allegramente con tre o quattro convitati, mentre la morte filtrava già sordamente nelle sue vene; tantoché, coricatosi in ottima salute, fu trovato il domani morto nei letto”. Ludovico Agnelli fu ritrovato cadavere il 3 novembre 1499, due giorni dopo la nascita di Rodrigo, avvenuta la notte del 31 ottobre, e fu poi sostituito da monsignor Francesco Borgia nel giorno del battesimo.
La morte dell’arcivescovo passò in secondo piano perché tutti i Borgia erano impegnati a pensare al lieto evento, scomodando per lo sfarzo uno stuolo di sedici cardinali, sebbene non riuscissero ad entrare neppure nella cappella del palazzo, tanto fu tappezzata a festa. La cerimonia ebbe inizio con quaranta nobildonne in fila, chi moglie di conte e chi di marchese, pronte a calcare un lungo tappeto. Né mancarano le consorti degli ambasciatori, intervallate dai cardinali, felici di spostarsi nella vicina e certamente più ampia Cappella Sistina. Le guardie e i musici del Papa aprirono il corteo, preceduto dagli scudieri del Pontefice e dai cubicolari vestiti di panno rosa, da cui spuntò il baldacchino con sotto Don Giovanni Cerviglione col pargolo, avvolto in una sciarpa coi colori del Regno di Napoli, tutto indorato e ben stretto dal braccio ferreo del barone. Al suo seguito gli scudieri in coppia che conducevano pesanti oggetti d’oro, la bacinella e la brocca col sale, lasciando il passo a governatori, vescovi e cortigiani. Giunti sulla soglia della Cappella Sistina, Don Giovanni, padrino del piccolo, lo passò nelle mani di Francesco Borgia, neo arcivescovo di Cosenza, designato in sostituzione dell’Agnelli fatto uccidere dal Valentino.
Il prelato si avvicinò al fonte battesimale d’argento, collocato fra la tomba di Sisto IV e l’altare, e consegnò al mondo l’erede principino di Salerno col nome del nonno-papa, Rodrigo, ma da un cognome reale, d’Aragona. Il pargolo fu condotto dolcemente sotto lo zampillo battesimale con l’aiuto del Cardinale Carafa per pareggiare le divisioni parentali fra le due casate, come se il tradimento con Napoli non fosse mai avvenuto e l’alleanza coi Francesi saltata. Ma era solo un’altra triste e luttuosa macchinazione della famiglia Borgia...

 

Note bibliografiche

1. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg.
2. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
3. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
4. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
5. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
6. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
7. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.130
8. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
9. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Cfr. i versi dal 1 al 980, cap.VI, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. 36. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Versi 250-350.
10. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg: “Se intese etiam Bernardo Contarini steva meglio, et cussì el Conte Philippo di Rossi et Francesco Crasso Capitano di provisionati. In ditto zorno, vene lettere dil Capitano zeneral da mar, date a dì penultimo lujo apresso Bolana, come monsignor di Obignì vicere in Calabria, sentendo la venuta dil capitano preditto ivi, fece ogni cossa per impegnar Montelion per ducati 4000, et non potendo, si partì e abandonò ditta Terra. Unde, esso Capitano nostro scrisse al Cardinal di Ragona che dovesse ivi andar con le zente a tuor et haver custodia di ditta Terra”.
11. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
12. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Libro, Versi 0-300.
13. Ibidem.
14. Ibidem.
15. Ibidem.
16. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.130.
17. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.871
18. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg.
19. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
20. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
21. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
22. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. I versi dal 880 al 1140, cap.VIII.
23. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. I versi dal 880 al 1140, cap.VIII.
24. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 1050 al 1150, cap.VII-VIII, di Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.,
25. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.137.
26. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Milano, Mondadori, 1998, ISBN 978-88-04-45101-3. Cfr. Wikipedia, voce Alfonso d’Aragona.
27. Geneviève Chastenet, Lucrezia Borgia. La perfida innocente, Milano, Mondadori, 2009, ISBN 978-88-04-42107-8.Cfr. Wikipedia, voce Alfonso d’Aragona.
28. O.Mastrojanni, Sommario degli atti della Cancelleria di Carlo VIII a Napoli. In: Archivio Storico per le Province Napoletane, Vol. XX, anno 1895. A proposito dell’Isola Farnese. Morto però nell’agosto 1503 Alessandro VI, e caduta la potenza del duca Boria, l’Isola naturalmente ritornò proprietà degli Orsini, onde allorché Pio IV nel 1560 con bolla eresse Bracciano in ducato”. Sarebbe riconducibile all’Isola Farnese poi detta antico Vejo quella con la chiesa dedicata a s.Pancrazio nel 1559 detta della Beata Vergine Coronata o s.Maria Castellana che si suppose presso gli antichi ruderi di Veia, non lontano da Vaccareccia, contenente un vaso dell’acqua benedetta con la scritta Ordo Vejentum, che per la sua grandezza non poteva essere stato trastortato da un luogo lontano e che si identificò con l’antica città etrusca a 21 miglia da Roma. Diversa da Velia in Principato Citeriore, a 17 miglia da Salerno. In tal modo si potrebbe dire che Velletri rappresentò l’antica provincia di Marittima lungo il litorale e Frosinone quella interna della Campagna di Roma divisa da essa dai Monti Lepini. V. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
29.Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
30. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg. Morto però nell’agosto 1503 Alessandro VI, e caduta la potenza del duca Borgia, l’Isola naturalmente ritornò proprietà degli Orsini, onde allorché Pio IV nel 1560 con bolla eresse Bracciano in ducato”. Sarebbe riconducibile all’Isola Farnese poi detta antico Vejo quella con la chiesa dedicata a s.Pancrazio nel 1559 detta della Beata Vergine Coronata o s.Maria Castellana che si suppose presso gli antichi ruderi di Veia, non lontano da Vaccareccia, contenente un vaso dell’acqua benedetta con la scritta Ordo Vejentum, che per la sua grandezza non poteva essere stato trastortato da un luogo lontano e che si identificò con l’antica città etrusca a 21 miglia da Roma. Diversa da Velia in Principato Citeriore, a 17 miglia da Salerno. In tal modo si potrebbe dire che Velletri rappresentò l’antica provincia di Marittima lungo il litorale e Frosinone quella interna della Campagna di Roma divisa da essa dai Monti Lepini.
31. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
32. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
33 Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
34. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
35. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.204.
36. Geneviève Chastenet, Lucrezia Borgia. La perfida innocente, Milano, Mondadori, 1996p. 123.
37. Dal sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia.
38. Melotti, cit., pagg. 67-69.
39. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Mondadori, Milano 2003, pag. 117.
40. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
41. Dal sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia.
42. Bellonci, cit., pagg.122-123.
43. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.119.
44. Il 14 febbrarii venne in Lecce il corpo de lo fratello de lo gran Turco, nemico di Re Federico, giunto a s.Cataldo a prelevarne le spoglie, due mesi prima che muovesse guerra ai Veneziani occupando Lepanto. In quei mesi morì il principe di Salerno a Senigallia (26 febbraio) e Re Luigi di Francia, per disperazione del Vaticano, lasciò la moglie dalla quale non poteva avere figli: lei si fece monaca e lui si risposò con la duchessa di Bertagha, vedova di Carlo VIII, raggiunto dal figlio del Papa che renunciato lo cappiello avanti el re de Francia, pilliao molliere Fracesca. Il 5 aprile l’Università comunale di Lecce donò 2000 ducati a Re Federico per essere sceso in Puglia & alla sua coronaccione le donau Lecce ducati 600, mentre giunse la notizia che Re Luigi di Francia, avanzando pretese sul Ducato di Milano, aveva occupato la città, ricevendo la sottomissione di Genova, Firenze, Ferrara e Mantova. Vi lasciò al governo Giacomo de Trivulcii con 45 francesi (finchè il Duca non li cacciò il 4 febbraio del 1500, facendoli prigionieri in Asti). Il 10 aprile Ludovico sebbene avesse già ripreso tutto lo Stato di Milano, fu fatto prigioniero dagli Svizzeri a Novara e affidato al Re di Francia insieme a diversi altri signori, fra chi finì ai ceppi e chi vittima di grandi vendette. Cfr. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
45. Ivan Cloulas, I Borgia, Salerno Editrice, Roma 1989, pagg. 221-222.
46. Bradford, cit., p. 77.
47. Ivan Cloulas, I Borgia, Salerno Editrice, Roma 1989, pagg. 223-224. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia
48.Al servizio del Papa ritroviamo Giovanni Cervillon al fine di sedare le discordie fra i Baglioni e combattere i Colonna, finché non fu catturato e presto liberato, forse a patto di far ritorno subito nel Regno di Napoli, in quel suo ruolo di paciere fra Borgia ed Aragonesi, fra Papa e re, in nome di Alessandro VI alla corte di Re Federico, allo scopo di far tornare a casa il Duca di Bisceglie fatto principe di Salerno, riuscendovi a settembre, quando Alfonso d’Aragona fu graziato e poté riabbracciare la sua Lucrezia Borgia. Cfr. www.capitanidiventura.it. A novembre del 1499 ebbe ancora una volta il comando della guardia palatina a Roma, ma non mancò al battesimo del pargolo degli sposini, una volta ottenuto il placet regio.
49. Cfr. sito internet: www.capitanidiventura.it
50. A.Bascetta-A.Maietta, Isabelle de Baucio. Isabella del Balzo Regina di Napoli, ABE, Avellino 2012. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. In realtà, Giovanni Carillo da Cervillon, alias Cerviglione, barone di Apice e signore di Fragneto Monforte, secondo i più, morì nel dicembre del 1499, dopo una cena a cui parteciparono altri commensali fatti uccidere dal Duca Valentino Borgia. Stessa sorte per il cardinale Giovanni Borgia (1470-1500), morto il 17 gennaio (si sentì male ad Urbino dopo una insolita cena romana), mentre tornava verso Roma, a Fossombrone, non mancandosi di accusare, anche per questo lutto, “quella terribile trinità, Alessandro, Cesare e Lucrezia”, come sostiene Dumas; cfr. Burchard, cit; cfr. Ricca, cit.; cfr. www.capitanidiventura.it. A dicembre, Lucrezia Borgia confida a Don Giovanni Carillo da Cerviglione “le pene che deve sopportare per i delitti del fratello Cesare. Dopo pochi giorni viene assassinato per strada a Roma, a colpi di pugnale e di spada, da due sicari dopo avere cenato con l’amico Teseo Pignatelli. E’ fatto uccidere dal Pontefice” perché voleva ritornare al servizio del Re di Napoli. Per altre fonti il mandante fu Cesare Borgia, “perché Carillo si oppone alle sue voglie su una gentildonna, sua protetta. Viene sepolto in tutta fretta nella chiesa di s.Maria in Transpontina, al Borgo Nuovo”. Alessandro, Cesare e Lucrezia Borgia erano considerati una “terribile trinità” per i tanti delitti di cui furono sospettati. Si diceva che durante il breve soggiorno fatto a Roma, Cesare Borgia si era assicurato un appuntamento amoroso con la stessa Borgia moglie Cerviglione, il quale, nell’incontrare - si disse - un di lei consanguineo fu ucciso, ma sempre per volere di Cesare Borgia Duca Valentino, o del Papa padre, il quale fece giungere Michele Rabadas di Corella, italianizzato in Coreglia da Forlì, originario di Valenza, per assassinare anche il genitore, così come fece con quasi tutti i commensali che avevano partecipato al banchetto di Don Eliseo Pignatelli. Così finì la vita di Cervillon, il quale, nel 1498 aveva avuto il posto d’onore (1498) nella funzione. Questo prima della vendita dei suoi beni, essendo morto senza eredi, ad Antonio de Guevara conte di Potenza il 25 luglio del 1500.
51. AA.VV., Apice nella riconquista aragonese, ABE, Avellino 2011; Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863.
52. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. Anzi, si precisò che l’assassinio avvenne “ritornando di una cena presso Don Eliseo Pigliatelli, cavaliere di San Giovanni, assalito da alcuni sicari, di cui l’uno gli domandò il nome, e mentre lo diceva, vedendo che non s’ingannava, gli trapassò il petto con un pugnale: un altro intanto con la spada gli troncava la testa, che cadde ai piedi del corpo prima che il corpo fosse caduto”. Amche il Governatore di Roma si lamentò di questo assassinio col Papa, “ma avendo veduto, dal modo con cui Sua Santità ricevè l’avviso, che meglio sarebbe stato per lui di non parlarne, sospese le ricerche già cominciate, di maniera che nessuuo degli uccisori fu arrestato”. Ma per tutta Roma s’era però già sparsa voce “che durante il breve soggiorno che avea fatto a Roma, Cesare avea ottenuto un convegno dalla moglie di Cerviglione, la quale era una Borgia, e che il marito avendo saputo quest’infrazione ai suoi doveri, s’era lasciato trasportare dall’ira tanto da minacciare lei ed il suo amante; le sue parole erano state riferite a Cesare, che, servendosi del braccio di Michelotto, avea da Forlì ferito Cerviglione in mezzo a Roma. Un altro omicidio inaspettato che ne seguì, “che fu attribuito se non alla stessa causa, almeno alla stessa fonte”, fu quello di Monsignore Agnelli da Mantova, arcivescovo di Cosenza, chierico di camera e vice-legato di Viterbo, “essendo caduto, senza che si sapesse perchè, in disgrazia di Sua Santità, fu avvelenato alla propria tavola, ove passato avea una parte della notte a conversare allegramente con tre o quattro convitati, mentri la morte filtrava già sordamente nelle sue vene; tantoché, coricatosi in ottima salute, fu trovato il domani morto nei letto”.
La morte di Ludovico Agnelli è acclarata il 3 novembre 1499, quando fu sostituito da monsignor Francesco Borgia, presente al battesimo di novembre, che confermerebbe la morte di Carillo fra il mese di dicembre del 1499 e quello di gennaio del 1500.
53. ASAV, Busta vol.78, al f.78, anno 1497.
54. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.
55. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Mondadori, Milano 2003, pag. 154.
56. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.;
57. Bradford, cit., pag. 85). Cfr. sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia; Cloulas, cit., pag. 241.
58. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.
59. Bradford, cit., pag. 88; Bellonci, cit., pag. 159. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia
60. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.275 e segg.
61. Re Carlo scriveva al suo vicario del Principato essendo vacante la cappellania a lui spettante sulla chiesa di San Salvatore. Seguì Matteo Platamone, autore di un commento sul Carme di Pietro da Eboli, reggente di scuola medica salernitana in Napoli nel 1300.
62. Nel 1567 è detto Santo Salvatore della Doana vecchia, quando si ordina al beneficiato Giulio Villano di ripararlo in quanto gia sta in atto de andare tutta a ruina et da vicini ne è stata fatta istanza che se ripari, per il pericolo che vi è di cascare et cascando rovinare gli edifici contigui. Nel 1616 il vescovo ordina di non celebrare più messa e di profanare la Cappella di San Salvatore de Dogana, nel territorio Parrocchiale dei Santi Dodici Apostoli, semplice beneficio di patronato Regio. Quello dei 12 S.Apostoli e di altre alla Marina, ex Commenda maltese di Capua, era uno dei quartieri più antichi di Salerno. Era raggruppato intorno alla Chiesa parrocchiale detta dei Dodici Santi Apostoli oppure, più semplicemente, come viene accennata nel Catasto settecentesco, solo Chiesa dei Santi Apostoli, quando la stessa parrocchia aveva perso vigore, contando solo due case di benestanti proprio fuori la chiesa.
63. I piani erano quasi chiari: Consalvo sarebbe passato col governo delle genti in Sicilia e, andando contro i Turchi a Cefalonia, si sarebbe congiunto con l’armata in Puglia visto che il fratello Don Alfonso, era già a Zante, mentre s’apparecchiavano le armi per l’autunno contro il Sultano e la sua armata turchesca.
64. E ancora in Grecia Consalvo si distinse durante la carestia, quando ordinò alle donne, le quali “non sapevano” come separare la farina dalla crusca, di levarsi i veli sottili dal capo e fabbricò “picciol forni nella riva per cuocere il pane; mentre che gli altri cocevano ne’ paiuoli il fromento pesto col lardo benchè nimico a’ corpi”.
Assoldati gli Svizzeri a Milano e una grossa armata a Genova i Francesi aspettavano solo la primavera per muovere guerra, mentre Consalvo tornava carico di doni veneziani, fra “vasi d’oro e d’argento intagliati, panni paonazzi di lana, e cremisi di seta, e molti broccali d’oro” (oltre a 10.000 ducati d’oro e dieci cavalli turchi), accolto a Messina come un re dagli ambasciatori giunti da tutta l’isola. Ancora più contento fu Re Federico, il quale, sperando in un aiuto, gli spedì spesso ambasciate.
L’apprestarsi dei Francesi, legatisi a Veneziani e Fiorentini, per la congiura del Papa e di suo figlio, poteva ritorcersi anche sulla Sicilia con un imminente assalto, ignorando la congiura del cugino con Luigi XII.
65. Consalvo era consapevole, ma avrebbe ubbidito solo alla Corona di Castiglia, affinchè “non paresse che egli mancasse di fede al Re suo Signore, il cui animo per certe offese alienato Federigo s’haveva concitato contra”, convinto che Ferdinando Il Cattolico, nella sua vita, aveva trattato con Re Luigi la pace solo in cambio dell’annuo tributo, avendo difeso con le ricchezze della Sicilia il Regno di Napoli conquistato a suo tempo dallo zio Alfonso. Dalle quattro ex province angioine erano nate le due sottoprovince di Basilicata e di Terre di Bari), rette dalle Cortes provinciali dei Vicerè Catalani d’Aragona e non più dagli originari Mastri Portulani. In passato si erano cioè avuti un Vicerè per l’Abruzzo (vedi Bartolomeo III di Capua), un Vicerè in Terra di Lavoro e Molise, un Vicerè in Terra d’Otranto, un Vicerè per le Calabrie esistente da tempo immemore. Si racconta che Re Alfonso d’Aragona avesse scippato il Regno agli Angioini proprio ad un capitano, Antonio Ventimiglia Conte e Centeglia “creato suo Vicerè nelle Calabrie” per aver condotto all’obbedienza la città di Cosenza, i Casali e Grimaldo.
66. A.Della Monica, Memoria istorica..., cit., pag.605 e segg. “Fatto questo secreto concerto, il Francese fù il primo ad entrar nel Regno con esercito di mille lancie, diece mila cavalli, e con buon numero d’artigliarie, come dice il Guicciardino. La prima città, che combatterono fù Capua, della quale impadronendosene à forza d’armi con grandissima crudeltà la sacchegiorono, usando mille dishonestà, e violenze, il che diede tanto spavento alle Terre convicine, che quasi tutte alzaro le bandiere di Francia. Il misero Rè Federico riscorse per agiuto, come diansi haveva fatto, all’istesso Rè Cattolico suo parente, il quale dissimulando, mandò di nuovo Consalvo di Cordova chiamato il gran Capitano, ma con l’intento contrario, che se la prima volta andò per discacciare dal Regno i Francesi in favor degli Aragonesi, questa seconda volta vi mandò à discacciar gl’Aragonesi in favor de’ Francesi”.
67. Gli aiuti di Consalvo a Gaeta non arrivavano mai, sebbene il Re continuasse a donargli i castelli calabresi che chiedeva in cambio, nella speranza di poter presto avere un forte esercito per respingere i Francesi ed evitare l’assedio accaduto al nipote ai tempi di Carlo. Federico si fermò quindi a San Germano, attendendo inutilmente i fratelli Colonna, mentre Spagnoli e Francesi mettevano le mani sul trono di Napoli sbarcando sulle coste e celando, gli uni agli altri, la volontà di volersi appropriare delle conquiste altrui. Fu così che Luigi XII si impossessò della “sua” metà del Regno di Napoli (1501-1503) senza neppure dichiarare guerra ai Catalani Aragonesi, quanto ai baroni più testardi. Consalvo, dal canto suo, si era portato da Messina a Reggio per prendere la Calabria e aveva mandato a dire a Federico che rompeva i patti di sudditanza, rinunciando all’Abruzzo e Monte S.Angelo che gli aveva donato. Federico, ancora più signorilmente, rispose che gli rinnovava l’atto. Questo significava che i Francesi avrebbero dovuto togliere l’Abruzzo a Consalvo, il quale, restituiva ai Sanseverino e a Bernardino Principe di Bisignano i loro castelli. I Francesi attaccarono dal Garigliano con 15.000 uomini al comando di Robert Stuart signore d’Aubigny, affiancato dall’allora Cardinale e Legato Pontificio Cesare Borgia e Galeazzo Sanseverino Conte di Caiazzo, sempre con Napoli, la Terra di Lavoro, il Ducato di Benevento e l’Abruzzo sulla carta; mappa che invece assegnava al Cattolico la Calabria, la Basilicata, la Puglia e Terra d’Otranto. Per giungere su Capua, nell’estate del 1501, occuparono il Castello di Calvi, ma si ritrovarono proprio il figlio del fu Conte di Mignano, ch’essi avevano ucciso nel precedente assedio, a difendere la città. Fu infatti Ettore Ferramosca, posto a difesa del castello, a mostrare il suo valore, mettendo in fuga il nemico, sebbene ciò non servì a salvare la città. Infatti, caduta la difesa di Capua, e uccisi i Conti di Palena e di Marciano, vennero catturati sia il comandante Fabrizio Colonna e Ugo Cardona, che Guido ed Ettore Ferramosca, capitano di ventura piccolo di corpo, ma di animo grande e forza meravigliosa, tipico esempio di coraggio personale e di valoroso soldato, fu tradito da Cesare Borgia. Con i loro soldi, per la gioia di Consalvo, l’intera famiglia dei Colonnesi era dalla sua parte, quando seppe che, pagato il riscatto per la prigione, Fabrizio e Prospero si erano allineati alle idee del fratello Cardinale Giovanni, già da tempo in Sicilia, vittima anch’egli della cacciata da Roma operata da Borgia. Ora erano tutti nemici dichiarati del Papa.
68. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
69. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
70. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
71. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Questo accadde perchè quando entrarono gli eserciti in Puglia si prospettò la nuova difficoltà solo sul campo fra baroni che alzavano bandiera francese e altri che inneggiavano agli spagnoli sostenendo, gli uni e gli altri, di appartenere alla medesima provincia. Pertanto, non avendo copia dell’accordo deciso fra i due Re, per non pregiudicare nessuna delle parti, decisero di seguire un ordine, che fu quello di far alzare bandiera spagnola anche a quei castelli che avevano pensato di alzare bandiera francese, senza avanzare pretese da nessuna delle parti. Questo sebbene, secondo gli Spagnoli, ricadessero fra le loro quattro province e che quindi dovessero abbassarla. Fu quindi creata una specie di zona franca nella zona di confine, chiamata provincia di Capitanata, i cui i castelli avrebbero alzato ambedue le bandiere, nonostante che il luogotenente generale di Francia, Luigi Palau, cercò di dimostrare che per diverse ragioni la Capitanata era la verdadera Puglia. Ad ogni modo pretese che si considerasse provincia separata e che era meglio accordarsi affinché le cose di quello stato provinciale si sarebbero governate da commissari di ambedue i Re, dividendo in parti uguali le rendite. Il problema è che i Francesi mostravano interessi economici per ragione di riscossione della Dogana dei ganado, volgarmente detta delle Pecore, che si faceva in Capitanata. Per questo motivo si decise di dare al Re di Francia (per mano di un di lui commissario), allo scadere del primo anno, la metà delle entrate dell’annualità detta Dogana delle Pecore spettante al Re Cattolico (per mano di un proprio commissario) che si sarebbe riscossa nella Capitanata che a questo punto andava staccata dalla Puglia lasciandovi solo Otranto e Bari. A questo punto Luigi Palau se ne andò dopo aver accettato e deciso per la nomina di due commisari in comune che facessero alzare le bandiere di entrambi i Re in quelle quattro province, sebbene l’intenzione dei francesi era comunque quella di occuparle tutte.
72.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Cioé quella que se estiende desde el rio Fertoro, hasta el rio Aufido e che si chiamò Capitanata, desde el tiempo de los Griegos, y Normandos: y lo que antiguamente integrava la Calabria. Quindi Calabria restò tutta quella regione che includeva la marina di Baroli, Trana, Molfetta, Iuvenazo, y Monopoli, que era de la antigua, y verdadera Calabria, che poi fece capo al quella ciudad que llamaron Bario che ancora allora si chiamava Bari, il cui territorio dal mare continuava fino ai luoghi montagnosi che in origine furono abitati da Lucani, Apuli e mantenuti dai governatori del Imperio Griego Basilicata. In essa si includevano perfino Taranto e Brindisi, nell’area che poi prese nome de Hydrunto, che era il luogo principale della Terra di Otranto. L’antica Calabria stava quindi ben distinta, separata e lontano dall’attuale Calabria che per la maggior parte della sua estensione era abitata dai Bruzi. Quindi la Capitanata integrava la Calabria di Bari e la Calabria si chiamava Bruzio di Cosenza. Nella ripartizione che fecero i due Re non si tennero in considerazione i nomi antichi delle regioni (in parte ancora esistenti sotto gli angioini fino al terremoto del 1348), ma ci si riferì all’ultima divisione politica delle province sotto Federico I.
73. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220.
74. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220
75. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
76. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
77. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
78. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
79. AA.VV, Capitani di Ventura 1458-1503, ABE, Avellino 2006.Cfr. Paolo Giovio, La vita di Consalvo Ferrando di Cordova, Torrentino, Firenze 1552.
80.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
81. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
82. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v.
83. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. D’improvviso comincia a parlare anche di Semiramis uxor Nini fuit prima inventrix braca rum, cioé di Semiramide moglie di Nino, I Re di Babilonia al tempo di Abramo, che fu la prima inventrice dei pantaloni. Poi insiste con Sam fuit filius Noé qui postanam eccepit sacerdotium mutavit nome et dictus est Melchisedech, quel Sem sul Nilo, figlio di Noé, che divenne sacerdote Melchisede. Ed ancora si rifà alle imprecazioni: - Emendamus inutilius quo ingnorantia peccavimus si subito preoccupati dum mortis queramus spatium penitentie et invenire non possum.Poi lascia la penna di filosofo latino e abbraccia quella del poeta volgare e patriottico, quasi scimmiottando il Petrarca, anzi a lui assomigliando in questo sonetto inedito proveniente dal medesimo rogito dell’Archivio di Stato di Avellino. Al foglio 294v, siamo nel solito rogito arianese, in ultima pagina, il notaio Tartaro stavolta si diverte a riportare un sonetto che stavolta cita chiaramente, essendo tratto dal Salutario Francisci Petrarce de studio, ma, guarda caso, è ancora una invocazione patriottica, il Redrentus ad Laudem Italie, che è il sonetto trecentesco conosciuto come Ad Italiam. In altra pagina trascrive proprio un sonetto del Petrarca. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. E’ totalmente in latino: Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve / tellus tuta bonis, tellus metuenda superbis, / tellus nobilibus multum generosior oris, / fertilior cuntis, terra formosior omni, / cincta mari gemino, famoso splendida monte, / armorum legumque eadem veneranda sacrarum... lui…paratis / Pyeridumque domus auroque opulenta virisque, / cuius ad eximios ars et natura favores / incubuere simul mundoque dedere magistram. / Ad te nunc cupide post tempora longa revertor / incola perpetuus: tu diversoria vite / grata dabis fesse, tu quantam pallida tandem / membra tegant prestabis humum. Te letus ab alto / Italiam video frondentis colle Gebenne. / Nubila post tergum remanent; ferit ora serenus / spiritus et blandis assurgens motibus aer / excipit. Agnosco patriam gaudensque saluto: / Salve, pulcra parens, terrarum gloria, salve.
84. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. V. passo: “L’illustrissimo pranzò e partì da Rohano in lectica accompagnato da Massimiliano Sforza detto il Moro già duca di Milano”. In: Itinerario di monsignor reverendissimo et illustrissimo il cardinale de Aragona mio signor incominciato da la cita de Ferrara nel anno del Salvatore MDXVII del mese di maggio et descritto per me donno Antonio de Beatis canonico Melfictano con ogni possibile diligentia et fede. Maggio 1517.
Il sonetto è di grande importanza perché mostra come sia avvertita ad Ariano, ex dipendenza salernitana, la voglia di libertà, essendo il popolo ormai stanco delle continue guerre in cui era stato coinvolto, ma con la solita voglia di riscatto. Il sonetto però non pare inneggiare alla sola libertà del Regno, quanto a quella dell’intera Italia, proprio come nel Trecento e nel Qauttrocento. Da qui l’ipotesi avanzata che non fosse farina del suo sacco. Ad ogni modo è onorevole che questa trascrizione, autografa o copiata, si ritrovi comunque ad essere inedita e trascritta dal notaio di Ariano. Nella sostanza si sprona il Moro Duca di Milano ad abbracciare le armi per difendere l’Italia dall’invasore spagnolo, per farlo ravvedere rispetto all’idea di esiliare a suo tempo Re Alfonso d’Aragona sostenuto dagli Sforza, giudicando indegno Re Ludovico di Francia, sostenendo che presto si sarebbero pentiti tutti. Marco, il Re di Spagna, l’Imperatore: si non si avede ognun essir fallito perché in Italia è intrato un firo basilisco. Da qui l’esortazione ad aprire le porte per far entrare chi nuovamente è partito per liberare l’Italia (l’ex Duca di Milano Massimiliano Sforza, nel 1517 era detto Il Moro).
85. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
86. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
87.Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, cit.
88. G. Coniglio, I vicerè spagnoli di Napoli, Napoli, Fiorentino 1967.
89. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.270-271.
90. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
91. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Don Innico Davalos di Castiglia (figlio di Don Ferrando Davala e ultimo della casata di Don Rodrigo) aveva seguito Re Alfonso d’Aragona nella campagna che lo condusse a Napoli, che nella “battaglia navale all’isola di Ponzo fu preso dai Genovesi col Re istesso, & nella medesima nave. Costui fra gli altri paggi era il più caro c’havesse Alfonso per l’aspettation sua gratissima, & per lo concorso di tutte le virtù. Ne molto dapoi quando Filippo Visconte con honorata liberalità d’animo grande, liberò Alfonso, & datogli doni grandi lo lasciò andare ad acquistarsi il Regno di Napoli, ottenne dal Re, che Ignico fosse lasciato appresso di se in Milano; perciocché questo giovanotto co’ suoi singolar costumi, & con la bellezza di volto dilettava talmente, & havea preso l’animo del Duca Filippo; che fu de’ carissimi ch’egli avesse. Morto che fu Filippo ritornò agli Aragonesi”. Ottimo nelle lettere e nella disciplina militare, caro a tutti, Don Innico meritò di avere una d’Aquino come nobile e ricca moglie discendente da San Tommaso e, con la dote della moglie e la sua eredità di molti castelli, fu onorato da Re Ferrando del titolo di Gran Camerlengo “e di una grandissima casa nella quale si essercita il giudicio fettemuirale” e visse una vita reale, divenendo già vecchio quando fu compagno di guerra contro i Turchi al fianco di Alfonso II, lasciando eredi i figli giovinetti della sostanza materna e della virtù paterna: Alfonso, Rodrigo II e Innico II.
92. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Si chiamò così “da Aterno terra della Puglia, & dal fiume chiaro per la morte del Grande Sforza, il quale oggi si chiama Pescara, fu padre di questo Ferrando”, cioé Ferrando Davalos era soprannominato dal padre Il Pescara, al quale sarebbe toccato “risollevare il nome della famiglia ormai scomparso per la perdita di tutti i capitani”, noto per aver anche sposato Vittoria Colonna.
Questo Marchese Alfonso Davalos, giovane di lettere e di guerre di famiglia seguace degli Aragonesi, volle misurare il suo valore nella guerra contro i Francesi che si tenne in Romagna, ma anche nella resistenza di Napoli, allorquando i Francesi al comando del loro “capitano Monsignor d’Alegri della rocca uscirono nel porto; e riempierono ogni cosa d’uccisioni, e di spavento”. Il Marchese Alfonso Davalos, “solo innanzi a tutti con incredibil virtù coperto con uno scudo da piedi, fermata la fuga de’ suoi, per le scale di dentro corte nel molo; e sprezzando ogni pericolo dell’artiglierie tributò talmente i Francesi, che ammazzarono molti, o nel fuggire precipitati in mare, e riavuta poi la Torre del Faro, il popolo napoletano in quel giorno lo chiamò Conservator della patria”.
93. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557.
94. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
95. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
96. Il 28 aprile 1503, dopo aver alloggiato in Barletta per molti mesi, Cordova fu cacciato da 3000 alemanni e assaltato dal vicerè francese, virando verso Napoli che prese e vi entrò con grandi onori: a maggio aveva preso la Cettadella e il Castelnuovo, facendo bottino a napoletani e francesi da 20.000 ducati e traendo prigionieri 2.000 uomini. Inutile fu l’intervento navale delle galee che dovettero tornare a Gaeta. Michele Riccio scrisse che il Re aveva lasciato suo legato Ludovicus Nemosii dux Armigniaci comitum Gentilis, qui legatum regis personam, vicemque sustinebat. Hispani secundis rebus elati non ita multo post Urbe Neap. Arceque quam vulgo Novam, Lucullianamque, quam a forma vocant Ovi expugnatis, Regno potiuntur. A meno di Conversano, continua Coniger, il gran Capitano nel 1503 prese tutto il regno. V. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255. Dalla metà del 1503 Apice e Ariano, già provincia di Principato Ultra e Capitanata, ora sono in territorio del Re di Spagna per la prima volta, cioé al 1° anno, come compare dagli atti notarili locali. Lo sono perché compare il Re Cattolico di Spagna, nello stesso protocollo (f.239), quando si specifica Regni Sicilie Ultra Faro sub Dominio optary Captholitum rex regis Urregna Ispania. E’ proprio l’anno 1503, Regnante Serenissimo et humilisimo et cattholicissimo domino nostro domini Ferdinando et Helisabet dei grazia rege e regina Ispania Sicilia Citra et Ultra Faro Hungaria in regno vero eus immj regni primo (Ibidem, f.239). Ma quando avvenne esattamente tutto ciò? La data esatta della conquista spagnola, avvenuta a macchia di leopardo, ci viene fornita dal notaio Mastelloni di Montefusco. E’ il 15 maggio 1503 quando il nome del Gran Capitano Ferdinando di Cordova compare sulla Montagna di Montefusco. Così l’atto: - Die quintodecimo, mensis maj, 6 indizione, in Terra Montis Fuscoli, Ferdinando di Corduba, Ducis Terre Novi e S.Angeli.
Il 15 maggio 1503, quindi, la Terra di Montefusco, che è anche chiamata Oppidum Montefuscoli, è nel possesso del Dux Ferdinando di Cordova, in nome del Re Cattolico, che però non pare possedere Napoli, perché l’intestazione proviene dal fatto che è Dux in Regno di Sicilia Citra Faro di Messina, col Re solo nel titolo di Re di Sicilia Citra, giungendo in quel momento l’esercito nel Principato Ultra, quindi al 1° anno del reame spagnolo.
Così: - Regnum Sicilie citra farum sub dominio et potestte Captholicorum Maiestatum regi et regina Ispaniae.
Anno a nativitate eiusdem Millesimo Quingentesimo Tertio regnantibus Serenisimis et iustissimis et captholicis dominis nostris dominus Ferdinando et Helizabete Dei gratia rege ac regina Ispaniea Siciliae Citra et ultra farum Ierusalemque regnorum vero huino regni anno primo feliciter amen. Ma cosa era successo quel 15 maggio? Il Dux Capitano Consalvo ufficializzava Montefusco sotto la maestà del Re Cattolico visto che in quel giorno, il Duca Luigi, viceré di Ludovico Re di Francia, andò via da Cerignola e il capitano revocò l’omaggio al Re di Francia in quel di Acerra, assoggettando i popoli della Campania. Il documento è quasi illegibile, abbiamo provato a trascriverlo. Così: - Die quintodecimo mensis maij sextae indictionis in Terra Montisfusculi exercitus ejusdem praefatarum Captholicarum Maiestatum Ferdinandi regis et Helisabettae reginae Hispaniae Siciliae Citra et Ultra farum ceterorumque regnorum sub ducte et auspicio Illustrissimi domini Don Ferdinandi De Cordova Ducis TerraNove et sancti Angeli ex magna potestate Catholicam Maiestatem oppidi Cerignole Illustrissimum Dominum Ludovicum ducem ut migravantibjt? atque Vice regem exercitusque ductorem in bellico certamine cum magna potestate exercitus cristianissimi Ludovici Regis Galliarum interemit reliquos orti infrigari poterit et eorum castra adquantum? ne havim? ? ?taur dirrupuit. Olim sub anno domini Millesimo uingentesimo Tertio ipso illustrissimo et cristianissimo Rege Ludovico regnante ex dierum? un....qbque? Neapoli et predictae sextae indictionis. Idem predictus Rey tertio? reddigit mox vero cum ad quindecim die maij ad Acerras pervenisset Capitani et omnes fere populi Campanie etiam si..ej? revocato homagio regi Francia cum dicto magnifico Capitano regni composuerunt (Ibidem, frammento).
Nel mentre anche il notaio arianese ha finito di scrivere il tomo degli atti notarili. Dopo qualche spazio, sempre nell’ultima pagina, segue un’epigrafe latina: PRAEMIA . SI . HERITIS . DONANT . CONDIGNA . SDPERNI / HIC . MERUIT . SUPERUM . POST . SUA . FATA . LOCUM. / DUM . VIXERIT . VIRTOTE . MICANS . BONUS . ATQUE . MODESTUS / SECRETUS . REGIS . CONSILIATOR . ERAT . / PUBBLICA . SEMPER . AMANS . ANTON1US . ISTE . VOCATUS / DE . PENNA . DICTUS . QUEM . TEGIT . ISTE . LAPIS. V. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v, ultimo foglio. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. Ma è sempre al notaio Angelo Tartaro di Ariano, a far data dal 1503, Regnantibus Cattolico Magnatibus Ferdinando et Helisabett re et regina Yspanie et totus Hindie, duis oppure hujus Cicilie regni anno primo. Amen. V. ASAV, Busta 78 notai di Ariano, Tartaro Angelo, f.84, anno 1503 (dopo il 10 giugno e prima del 20 luglio). Idem negli atti a seguire, nel 1504, con la medesima intestazione che loda i Regnanti Cattolici Magistati Ferdinando dei grazia regi aragona, asturie, Sicilie. V. ASAV, Anno 1504, f.139v dopo dicembre e prima del 7 febbraio 1505.
97. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
98. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
99. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., V.Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.38.
100. Arturo Bascetta, Giovanna La Pazza, cit.
101. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
102. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675, pag.5 e segg.
103. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Venido el rey, mostraron gran descontentamiento: señaladamente el príncipe de Bisiñano por el Condado de Melito: y el príncipe de Salerno, por no se le haber restituido el oficio de Almirante, que pretendía ser de su casa: y no le haber otorgado el perdón de la rebelión que el príncipe Antonelo su padre, y él cometieron contra el rey don Fadrique. Que el rey de Portugal fue requerido, que se entremetiese en la gobernación de los reinos de Castilla.
104. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
105. In questo caso sarebbe una sorella di Don Alfonso d’Aragona duca di Villahermosa e sorellastra del Re. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Mediado el mes de diciembre, Roberto de Sanseverino Príncipe de Salerno: y dejó un hijo muy niño, que hubo en la Princesa Doña Marina de Aragón su mujer: hermana de don Alonso de Aragón duque de Villahermosa, que se llamó don Hernando.
106. Jacopo Nardi, Istorie della città di Firenze, Vol.1.
107. Jacopo Nardi, Istorie della città di Firenze, Vol.1.Cfr. Wikipedia, voce: Lucrezia Borgia.
108. AA.VV. a cura di Angelo Cillo, Capitani di Ventura. Il Regno di Napoli in più Epoche. 1458-1503, ABE Napoli 2006. Cfr. Wikipedia, voce: Rodrigo d’Aragona.
109. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Milano, Mondadori, 1998, ISBN 978-88-04-45101-3.Cfr. Wikipedia, voce Alfonso d’Aragona.
110. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 980 al 1160, cap.VI, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. Cfr. Pacienza, Lo Balzino..., cit.Versi 250-350. Cfr. Deputazione Napoletana di Storia Patria, Archivio Storico per le Province Napoletane, Società napoletana di Storia Patria, vol.22, Napoli 1897. Cfr. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza di Nardò,Opere (cod.per. F27) Biblioteca Augusta, Biblioteca Salentina di Cultura, Edizioni Milella, Lecce 1977.
111. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
112. Cfr. www.capitanidiventura.it
113. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863.
114. Ibidem.
115. Burchard, cit.
116. Ricca, cit.
117. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. La morte di Ludovico Agnelli è acclarata il 3 novembre 1499, quando fu sostituito da monsignor Francesco Borgia, presente al battesimo di novembre, che confermerebbe la morte di Carillo fra il mese di dicembre del 1499 e quello di gennaio del 1500.
118. ASAV, Busta vol.78, al f.78, anno 1497.