69. ATRANI NEL 1754. 67° volume Catasti Onciari del Regno di Napoli sulla genealogia della Costiera Amalfitana. 13° numero sui cognomi del Principato Citra di Salerno in Costa d’Amalfi ISBN 9788872974575

In offerta!

30,00 28,00


Copertina posteriore

La ricerca storica e genealogica è una materia che mi ha sempre affascinato. Credo non ci sia cosa più appagante che scavare, come un archeologo fa con il territorio, nelle proprie radici familiari e, spesso, non mancano sorprese, ritrovamenti inaspettati, persone e storie che raffiorano in superficie. Non sempre, però, si riesce ad andare a ritroso e, come un sentiero irto di rovi, possono esserci ostacoli lungo il percorso: ostacoli burocratici, documenti andati perduti, danneggiati, omonimie o errori anagrafici che, ahimè, un tempo erano molto frequenti. Ma posso affermare che la pazienza e la sagacia, nel tempo, ripagano sempre come, peraltro, mi è spesso successo nelle mie ricerche genealogiche. Come rivela il cognome che porto, e come scoprirete leggendo le pagine di questo libro, ho origini atranesi da parte paterna. Il cognome Proto era, ed è ancora oggi, se non il primo tra i primi tre cognomi più diffusi nella piccola Atrani. Mio padre nacque ad Atrani, così come suo padre e il padre di suo padre sino ad arrivare al mio avo Crescenzo Proto, citato nel Catasto Onciario del 1754, un marinaio di 45 anni. Da ciò che ho potuto scoprire nelle mie ricerche, tutti i miei avi atranesi, giungendo fino al mio bisnonno (vissuto nei primi decenni del ‘900), furono marinai o “barcaioli”. Io che sono nato in città, Salerno, ricordo con piacere quando da bambino, durante le stagioni estive, i miei familiari mi portavano a trascorrere del tempo, in villeggiatura, ad Atrani. E ho sempre sentito, e sento tutt’oggi, che quel borgo un pò mi appartiene. Ed Atrani è sempre rimasta la stessa, così com’era nel 1754 così è oggi, un piccolo borgo marinaro adiacente la ben più famosa Amalfi. Le storie di entrambi i borghi si intersecano tra loro sin dal primo Medioevo e, per un breve periodo (tra il 1929 e il 1945), Atrani fu accorpata al Comune di Amalfi per poi ritornare comune autonomo qual è ancora oggi. Altra materia che mi affascina è la ricerca toponomastica: i nomi antichi dei luoghi, delle vie, viuzze e vicoli, che nel corso del tempo hanno cambiato denominazione. E nel catasto onciario, oltre ai nomi ed i cognomi, i soprannomi se presenti, i mestieri e le rendite delle varie famiglie, si possono trovare anche le vecchie denominazioni di strade e luoghi. Leggere un’onciario è come un viaggio nel tempo: nomi di famiglie, di luoghi, di mestieri impressi sulla carta. Una fotografia del tempo, utile sia per la ricerca genealogica sia quella toponomastica. Ringrazio l’Editore Arturo Bascetta al quale inviai, qualche mese addietro la pubblicazione di questo libro, la copia digitalizzata, in mio possesso, del Catasto Onciario di Atrani e ringrazio l’Autore, il Professor Fabio Paolucci, per avermi chiesto di farne una breve introduzione che, con lieto piacere, ho accettato conscio del fatto che, tra le pagine di questo libro, c’è anche un pezzo delle mie radici familiari. Luca Proto

Description

I cognomi che seguono sono riferiti all’analisi di ogni singola famiglia di Cittadini Atranesi riportata nel libro (quasi 400 nuclei, spesso col nome del capofamiglia, moglie, figli, luogo della casa, beni posseduti, luoghi delle terre, chiese, case di ecclesiastici, forestieri, etc.) che si ritrovano nel Catasto Onciario del 1754, posti in ordine alfabetico e considerando tra le parentesi il numero delle occorrenze dei nuclei familiari dei capifamiglia comprese le vedove e bizzoche ed i sacerdoti, con le relative spiegazioni circa l’origine.

ACQUARULO (una famiglia) – Cognome attualmente raro, è registrato soltanto a Lagonegro nel Potentino, a Sala Consilina nel Salernitano e nel Napoletano ad Acerra e a San Giorgio a Cremano, con presenze anche a Bologna. Deriverebbe dal mestiere di acquaiolo o, appunto, “acquarolo”, raccoglitore e venditore di acqua potabile.

ALBINO (10 famiglie) – Diffuso maggiormente nel Salernitano e nel Napoletano, deriverebbe dal nome di persona cognominizzato in senso patronimico Albino, a sua volta originato dal soprannome latino Albinus che indicava una particolarità somatica riferita al colore della pelle o dei capelli.

ALFIERO (2) – Tipico del Napoletano seppure panitaliano – ossia diffuso in tutto il territorio italiano – nella forma pluralizzata Alfieri, deriva dal soprannome “alfiere”, titolo e grado che negli eserciti si dava a colui cui era affidata la bandiera.

AMODIO (2) – Cognominizzazione del patronimico Amodio, nome gratulatorio8, è tipico campano, del Salernitano e del Napoletano, nonché pugliese del Barese. Ad Atrani nell’anno 1754 sono registrate due famiglie Amodio, con capifamiglia il cardatore di lana Baldassarre di 47 anni (n. 59) ed il bracciale Gaetano Amodio della stessa età del precedente (n. 180).

ANASTASIO (1) – Tipico campano, è la cognominizzazione in senso patronimico dell’ipocoristico aferetico di Anastasio, dal greco Anastasios, composto da ana (“su”, “di nuovo”) e stasis (“che sta”), col significato originario di “risorto”. Il nome di persona Anastasio ed il suo aferetico Stasio – da cui anche i cognomi Stasio, Di Stasio, De Stasio e Stasi – si diffusero grazie al Cristianesimo per il culto dei santi Anastasio di Camerino, dove fu martire nel 251 insieme alla moglie Teopista ed i figli Aradio, Evodio (Ebodi), Callisto, Felice, Eufemia e Primitiva; Anastasio vescovo di Antiochia, giustiziato sotto l’imperatore bizantino Foca (602-610); e Anastasio il Persiano, monaco martire a Resafa in Siria nel 6289.

ANTONINO (1) – Attualmente raro in Italia, ma abbastanza diffuso nell’area centrale e in tutto il nord della Penisola nella forma pluralizzata Antonini, è originato dal nome proprio di persona (antroponimo) e di santo (agionimo) Antonio, di etimologia incerta e discussa. Infatti, potrebbe derivare dal greco anthos (“fiore”, quindi “stirpe fiorente”), ma anche dall’etrusco-latino ante- (“stirpe che precede”) o anti- (“che affronta”, “che combatte”). Il nome si diffuse in tutto il mondo in epoca medievale per effetto del culto di Sant’Antonio Abate (251-336) e Sant’Antonio di Padova (1195-1231)10.

AURISICCHIO (1) – Cognome estinto ad Atrani ed attualmente registrato per poche famiglie in Campania solo a Napoli e provincia, nel Casertano, nel Beneventano e a Salerno città, deriverebbe dalla cognominizzazione del nome del capostipite Aurelio, divenuto Aurelisicchio e, per contrazione, Aurisicchio. Una seconda ipotesi lo considererebbe originato dai termini aureo (dal latino aureus, “d’oro”) e sicchio (“secchio”), con il significato di “secchio d’oro”. Ad Atrani nel 1754 l’unico capofamiglia residente con questo cognome è il negoziante dell’Arte della Lana Michele del quondam Marco di 66 anni (n. 200), benestante, mentre il resto degli Aurisicchio risultano essere commoranti in Napoli.

BAGNARO (1) – Raro, è presente nel Napoletano, principalmente nel capoluogo, a Pozzuoli, Barano d’Ischia, Acerra e Palma Campania, con un nucleo anche nel Casertano, a Francolise. Deriverebbe dalla cognominizzazione del soprannome “bagnaro”, attribuito al capostipite per il tipo di lavoro che esercitava come ad esempio il produttore di “bagnare” o “bagnarole” (tinozze da bagno), oppure dal toponimo di provenienza del ceppo, come Bagnaro – frazione di Castel Volturno nel Casertano – o Bagnara Calabra in provincia di Reggio Calabria.

BATTIMELLI (1) – Cognome tipicamente campano, è maggiormente diffuso nei Comuni di Sant’Antonio Abate, Cava de’ Tirreni, Agerola, Napoli, Salerno, Angri, Scafati, Castellammare di Stabia, Lettere e Pozzuoli. Dal punto di vista etimologico, dovrebbe derivare dalla cognominizzazione del nome del capostipite Battimello, personale medievale composto da Batti (Battista) e Mello (Carmelo). Nel catasto onciario di Atrani è registrata la famiglia del bracciale Francesco Battimelli di 46 anni, che abita in casa d’affitto con la moglie Maria Gambardella di 45 anni e con i figli Stefano di 8 anni e Giustina di 12 anni (n. 122), ed è menzionato come bonatenente (proprietario) forestiero il Magnifico Don Andrea Battimelli di Scala, borgo dove all’epoca il cognome Battimelli era più diffuso11.

BUONCRISTIANO (2) – Diffuso in Puglia nel territorio del Gargano, nonché in Lucania, è originato dalla cognominizzazione del nome del capostipite del ceppo familiare, appunto Buoncristiano. Le famiglie atranesi Buoncristiano nel 1754 sono due, rappresentate dai capifamiglia Alessandro Buoncristiano, bracciale di 24 anni (n. 14), e Nunzio Buoncristiano, cinquantenne anch’egli bracciale (n. 220).

CAMMERA (13) – Tipico campano, della Costiera Amalfitana, attualmente presente nella forma Camera, con ceppi anche al nord tra Lombardia, Piemonte e Liguria, è oggi registrato nella variante antica Cammera solo nell’area dello Stretto di Messina, sia in Sicilia che in Calabria. Per quel che concerne l’origine, il cognome Cammera/Camera deriverebbe da un soprannome attribuito al capostipite in relazione al luogo dove abitava (nei pressi di una “cammera”, inteso come ufficio pubblico) o ad una carica amministrativa (“cammerario”, “camerario”).

CAPPUCCIO (1) – Diffuso in tutto il territorio nazionale italiano ma specifico campano e siciliano, è originato dalla cognominizzazione dell’appellativo “cappuccio”, riferito ad un particolare tipo di abito dotato di un copricapo, detto appunto cappuccio. Noto è l’ordine dei Frati Minori Cappuccini, che prende il nome dal saio con cappuccio, fondato nel 1525 dal frate francescano Matteo da Bascio e regolarizzato da papa Clemente VII nel 1528 con la bolla Religionis zelus.

CARRANO (6) – Tipico campano, del Napoletano e del Salernitano, ha alla base il termine latino carrus o carrum, veicolo da trasporto, per cui il “carrano” o “carraro” poteva essere chi esercitava il mestiere di mandese, ossia fabbricatore, venditore e riparatore di carri12.

CASO (1) – Specifico della Campania, dove è maggiormente diffuso nel Napoletano e nel Salernitano, deriverebbe dalla cognominizzazione del termine dialettale “caso”, dal formaggio “cacio”, attribuito ai capostipiti dei ceppi familiari con questo cognome in relazione all’attività di produttore e venditore di formaggio e prodotti caseari.

CASOLA (1) – Campano, del Salernitano e del Napoletano, trae origine dal toponimo “casa”, in passato frequentemente adoperato per identificare frazioni abitate da famiglie (ad esempio: Casa Crescienzo, Casa Campanova, Casa di Crocillo, Casa Avallone, Casa d’Acunto, Casa Crescienzo, Casa Novigno, Casa Roina a Cetara)13. Variante del cognome è Casula, specifico della Sardegna.

CHIONGOLO (2) – Cognome estinto in Italia, lo si ritrova nel Catasto Onciario di Atrani anche nelle varianti Chiongo e Ciongolo. Dal punto di vista etimologico risulta di difficile interpretazione, ma un’ipotesi potrebbe essere formulata considerando l’origine dal soprannome dialettale “cionco”, ossia “infermo”, trasformatosi in “ciongo” e “ciongolo”, quest’ultimo nel senso di “piccolo infermo”, “storpio” o, termine adoperato nel Catasto, “stroppio”.

COLONNESE (10) – Tipico del Napoletano e del Salernitano, ma presente anche nel Lazio a Roma, sarebbe originato dal soprannome etnico “Colonnese”, indicando la provenienza del ceppo familiare da Colonna, comune della provincia di Roma. Ad Atrani, nel 1754 è tra i cognomi più diffusi.

COPPOLA (1) – Tra i più diffusi nella Ravello del 1755, Coppola deriverebbe dal soprannome o dal nome di mestiere formato dalla voce italiana “coppola”, “berretto tondo”. Nella storia di Ravello fu prestigioso il ricchissimo mercante Francesco Coppola ai tempi di re Ferdinando I. Una famiglia Coppola è ascritta ai patriziati di Ravello e di Scala, nonché ai sedili napoletani di Portanova e Montagna. Nel Catasto Onciario di Atrani è registrata soltanto una famiglia di umile estrazione sociale: quella del marinaro Matteo Coppola di 40 anni che non possiede beni di sorte alcuna vivendo colle sue proprie fatighe (n. 209)14.

CORVINO (1) – Specifico campano, del Napoletano e del Salernitano, ma diffuso in tutto il territorio nazionale, ha alla base per lo più nomi e soprannomi medioevali (Corbus e Corvus, Corbinus e Corbinellus) formati da “corvo”. Un’altra interpretazione protenderebbe nel far derivare il cognome da toponimi, come nel caso specifico da Corbara (Salerno)15. Il soprannome Corvino è già attestato in epoca romana, come ad esempio per Marco Valerio Messalla Corvino (Marcus Valerius Messalla Corvinus, 64 a.C.-8 d.C,), membro dell’antica gens Valeria, militare e scrittore, considerato patrono della letteratura e delle arti.

CRETELLA (13) – Tipico della Costiera Amalfitana, di Atrani in particolare, e di Napoli, deriverebbe dal soprannome “Cretella”, riferito al mestiere di lavorazione della creta. Già nel 1754, Cretella è ad Atrani tra i cognomi più diffusi, insieme a Proto e Gambardella.

CRISCUOLO (1) – Specifico della Costiera Amalfitana e di Salerno, si ha menzione di un casato Criscuolo amalfitano che godette di nobiltà: è, più precisamente, quello dei Crisconio che donò alla storia personaggi di spicco quali Giovann’Angelo Crisconio, o Criscuolo, pittore e notaio a Napoli dal 1536 al 1560, fratello minore probabilmente del celebre pittore Giovan Filippo16. Il cognome deriverebbe dal nome medievale, già cognomen latino, Criscius o Crixsius.

D’AMATO (7) – Cognome panitaliano, specifico dell’area meridionale della nostra Penisola, è originato dal nome augurale Amato, cognominizzato in senso patronimico e registrato anche nelle varianti Amati e D’Amato, quest’ ultima derivata dall’antica forma cognominale de Amato. Una seconda ipotesi da considerare è la derivazione del cognome, in alcuni casi, dal nome arabo Ahmad, da Muhammad, derivato dal verbo hamida, col significato di “lodare, encomiare”: tale tesi potrebbe meglio adattarsi ai ceppi Amato della Sicilia, la cui conquista islamica iniziò nell’anno 827 d.C. e si concluse nel 965 con la presa di Rometta nel messinese17.

DI BENEDETTO (1) – Cognome patronimico, panitaliano, è originato dalla cognominizzazione del nome del capostipite Benedetto. Tale nome si diffuse nel medioevo per effetto del culto di San Benedetto da Norcia (Norcia, 480 – Montecassino, 547), fondatore dell’Ordine monastico benedettino.

DI LIETO (3) – Tipico della Costiera Amalfitana, è originato, come il precedente cognome, dalla cognominizzazione del nome di persona del capostipite del ceppo familiare, Lieto. Sua variante più frequente in passato era Leto, anche questo personale diffusosi pure come cognome, in epoca medioevale famoso grazie al culto di San Leto o Lieto, prete vissuto nella diocesi di Orleans e morto prima dell’anno 875.

DI MAJO (1) – Campano, lo troviamo nella forma Di Maio e sue varianti De Maio, Maio e Maiolino. Deriva dal nome del capostipite Maio e affonda le sue radici nella cultura romana, ma espanso soprattutto nel medioevo come soprannome connesso sia alla nascita e rinascita (stagionale della natura, ma anche simbolica e spirituale) sia alla coltivazione (fiducia in una ricca messe)18.

DI PALMA (1) – Diffuso a macchia di leopardo in tutta Italia, con maggiore concentrazione nelle regioni meridionali ed in particolare in Campania, nel Napoletano e nel Salernitano, trae origine, almeno in Campania, dal toponimo Palma, attuale Palma Campania, e quindi dal luogo di provenienza del ceppo familiare. In altri casi deriva dalla cognominizzazione in senso matronimico del nome femminile Palma, diffusosi in epoca medievale soprattutto grazie al ritorno dei pellegrini dalla Terrasanta che erano soliti portare in patria una palma, appunto, in segno di pace19.

DI PINO (2) – Patronimico, diffuso in Campania in Costiera Amalfitana e in area sorrentina, con un ceppo consistente presente anche in Sicilia orientale, deriva dal nome del capostipite Pino, diminutivo di Giuseppe (Giuseppino). Nel Catasto Onciario di Atrani sono registrate due famiglie di Pino, una rappresentata dal bracciale Agostino di 60 anni (n. 17) e l’altra dal marinaro Nicola di 45 anni (n. 223).

DI PONTE (1) – Toponimico, ovvero cognome derivato dal toponimo di provenienza del ceppo familiare, è attualmente debolmente presente in Campania e più diffuso a Foggia, in Puglia. L’unica famiglia di Ponte registrata nell’Onciario di Atrani del 1754 è quella del pescatore Fortunato di 32 anni (n. 115).

GAGLIARDO (1) – Cognominizzazione in senso patronimico del nome del capostipite Gagliardo, deriva dal termine provenzale gahlart, con il significato augurale di “forte, vigoroso”. È diffuso a macchia di leopardo in tutta Italia.

GALLO (1) – Patronimico, è originato da Gallo, nome documentato in Italia con alta frequenza già a partire dall’VIII secolo. Deriva da un soprannome scherzoso o polemico nell’accezione di “gallo, pollo”, oppure dall’etnico Gallo, ossia “abitante, oriundo della Gallia”: il soprannome esisteva già in tutti e due i valori semantici in epoca romana, con il cognomen Gallus20.

GAMBARDELLA (33) – Tipico del Napoletano e del Salernitano della fascia costiera, e specialmente diffuso nei Comuni di Napoli, Nocera Inferiore, Amalfi, Salerno, Castellammare di Stabia, Pozzuoli, Pagani, Cava de’ Tirreni, Minori, Sorrento, Bacoli e Gragnano, trae origine dal soprannome e nome di persona medievale Gambardello, con alla base il termine “gamba”. Più probabilmente, si può ipotizzare un’origine longobarda dal nome di persona femminile Gambara, divenuto poi Gambardella21.

GARGANO (18) – Panitaliano, maggiormente registrato in Italia meridionale, e specialmente in Campania, Puglia e Sicilia, deriva dalla cognominizzazione in senso patronimico del nome del capostipite Galgano, divenuto frequente in epoca medioevale per effetto del culto di San Galgano Giudotti (1148/1152-1181). Ad Atrani nella metà del Settecento è tra i cognomi più diffusi

GIANNINO (1) – Tipico del Napoletano nella forma singolare, ma ampiamente diffuso in tutta Italia nella variante pluralizzata Giannini, deriva dalla cognominizzazione del nome del capostipite Giannino, diminutivo di Gianni, dal personale Giovanni.

GIOJIA (1) – Cognome panitaliano, in Campania tipico delle aree costiere del Napoletano e del Salernitano, deriva dal matronimico Gioia, con alla base il significato augurale di “piena di grazia e di bontà”. Secondo la tradizione, l’amalfitano Flavio Gioia vissuto tra la seconda metà del XIII secolo e i primi decenni del Trecento avrebbe inventato la bussola.

IOVENE (9) – Cognome tipico campano, del Napoletano, trae origine dal soprannome dialettale iovene, da “giovane”, inteso come “ragazzo”, “giovanotto”. Nel Catasto Onciario di Atrani del 1754 sono ben nove le famiglie con questo cognome.

LACERO (3) – Cognome attualmente estinto, sembrerebbe derivare dal soprannome “lacero”, dal latino tardo lacerus, con ogni probabilità attribuito al capostipite in relazione agli abiti logori, a brandelli, per il prolungato uso.

LUCIBELLO (6) – Specifico di Atrani e della Costiera Amalfitana, dove è registrato pure nei comuni di Ravello, Positano, Scala, Minori e Maiori, con un nucleo presente anche a Salerno, deriverebbe dalla cognominizzazione del patronimico Lucibello, nome già in epoca romana nella forma Lucibellus. Una variante del cognome potrebbe essere il suo aferetico Cibello, pluralizzato in Cibelli, anch’esso tipico del Salernitano.

MANGIERO (2) – Registrato solo nel Salernitano, ad Eboli e a Campagna, è più diffuso nella variante pluralizzata Mangieri nelle province di Napoli e Salerno. Deriverebbe dalla cognominizzazione di un soprannome scherzoso formato da “mangia” (deverbale di “mangiare”)22.

MANZO (3) – Molto diffuso nel Salernitano e nel resto della Campania, specialmente nel Napoletano, deriverebbe da Manso o Manzo, nome longobardo che si ritrova anche in forme composte come ad esempio Mansoaldo. È tipica della Costiera Amalfitana la sua variante pluralizzata Mansi (in passato Manso), registrata maggiormente a Scala e Ravello ma diffusa anche a Minori, Salerno, Napoli, Maiori, Amalfi, Scafati, Pagani e altri pochi centri campani23.

MIRAGLIO (3) – Attualmente registrato in Lombardia e quasi estinto in Campania, è invece molto diffuso in Italia meridionale nella variante Miraglia. Deriverebbe dalla cognominizzazione del termine tardomedievale “miraglio”, a sua volta originato dal franco antico amiral, attestato nel XIII secolo, dall’arabo ‘amîr al, con il significato di “comandante”. Con ogni probabilità, l’origine è da ricercare in un soprannome attribuito al capostipite del ceppo familiare in relazione ad episodi di vita quotidiana non più ricostruibili24.

MONTAGNA (1) – Cognome panitaliano, maggiormente diffuso al Nord e specialmente in Lombardia e Veneto, deriva dal soprannome “Montagna”, attribuito al capostipite in relazione a peculiarità fisiche (grande e robusto come una montagna) oppure al toponimo di provenienza del ceppo familiare (abitante della montagna).

MOSTACCIOLO (1) – Tipico della Campania, dove è più registrato nella variante dialettale Mostacciuolo, trae origine dalla cognominizzazione di un soprannome riferito ai baffi lunghi (da “mustacchio”, “mostacchio” e “mostacchiolo”, quindi “mostacciolo” e “mostacciuolo”, inteso come “baffetto”). L’origine etimologica è da ricercare nel termine greco tardo del XIV secolo mûstákion, da mýstaks -akos, “labbro superiore”, “baffi”.

PALUMBO (2) – Cognome panitaliano, ma più diffuso in Campania, trae origine dal soprannome e nome medievale Palumbo, forma dialettale del termine “colombo”. In alcune regioni, in passato, tale cognome, così come Colombo, veniva attribuito agli “infanti proietti”, ovvero ai bambini abbandonati presso le ruote degli esposti o in brefotrofi25.

PAOLILLO (1) – Tipico campano, del Salernitano e del Napoletano, deriva dalla cognominizzazione in senso patronimico del nome del capostipite del ceppo familiare, appunto Paolillo, dal personale Paolo.

PANDOLFO (1) – Diffuso a macchia di leopardo in tutta Italia, nella sua variante pluralizzata Pandolfi maggiormente concentrato nelle Marche, in Toscana, nel Lazio e nella fascia costiera della Campania, è originato dalla cognominizzazione del patronimico Pandolfo, nome già attestato in epoca longobarda.

PANZA (11) – Tipico della Campania e della Puglia, diffuso anche in determinate aree della Calabria, dell’Emilia Romagna e della Lombardia, deriverebbe dal soprannome dialettale “Panza”, da “pancia”. Ad Atrani è tra i cognomi più diffusi nel 1754, con ben undici famiglie registrate.

PARRILLO (2) – Cognome campano, presente anche nella sua variante pluralizzata Parrilli, trae origine dal nome del capostipite cognominizzato, Parrillo, a sua volta derivato da Gaspare (Gasparello, Gasparrillo).

PISACANE (4) – Il cognome è prettamente campano, diffuso nelle aree del Salernitano e del Napoletano, e deriva dalla cognominizzazione del soprannome Pisacane, formato da “Pisa” e “Cane”. Ad Atrani nel 1754 sono registrate quattro famiglie Pisacane, rappresentate dai capifamiglia Carlo, mastro sartore di 30 anni (n. 69), lo Speziale di Medicina Giuseppe di 63 anni (n. 157), il bracciale Giovanni Francesco di 60 anni (n. 170) e il pettinatore di lana Mattia di 66 anni (n. 215).

PISANI (11) – Attestato nel Catasto Onciario del 1754 nella forma già pluralizzata Pisani, deriva dall’etnico “pisano”, ovvero “proveniente dalla città di Pisa”. Oggi il cognome è registrato maggiormente nelle regioni settentrionali e meridionali, mentre è diffuso a macchia di leopardo in Italia centrale26. Sua variante tipica campana è la forma singolare Pisano.

PROTO (41) – Tipico cognome campano, della Costiera Amalfitana, specifico del Napoletano nella variante Prota, deriverebbe dal nome di persona medievale Proto, cognominizzato in senso patronimico, o da un soprannome derivato da una carica pubblica, come ad esempio il protonotaro, magistrato già esistente nella prima età normanna e preposto al controllo dei notai addetti alla redazione degli atti della cancelleria regia27. È il cognome più diffuso ad Atrani nel 1754.

ROMA (1) – Diffuso a macchia di leopardo in tutta Italia, deriverebbe dal toponimo di provenienza della famiglia, appunto Roma, oppure dalla cognominizzazione del nome del capostipite Romano.

ROMANO (1) – Panitaliano, ossia diffuso in tutto il territorio nazionale, si trova registrato anche nelle varianti locali Romani, Romanelli, Romanello e Romaniello. Deriva dal nome di origine slava Roman, o dal nome latino Romanus o da uno dei vari toponimi contenenti il termine “romano” 28.

ROSSETTI (1) – Ampiamente diffuso in tutta Italia, meno in Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, è originato dalla cognominizzazione del soprannome Rossetto, ad indicare il colore dei capelli rossi.

SACCO (12) – Diffuso in tutto il territorio nazionale, può derivare dal soprannome “sacco”, il recipiente cilindrico di tela ruvida molto utilizzato in passato dai lavoratori, da toponimi come Sacco (Salerno) o dalla cognominizzazione del personale Sacco, aferetico di Isacco.

SCOPPETTA (5) – Tipico della Costiera Amalfitana, registrato anche a Napoli, deriva dal termine dialettale “scoppetta”, piccola scopa utilizzata per pulire gli angoli della casa, attribuito al capostipite come soprannome.

SMIRAGLIO (1) – Raro, ma tutt’oggi registrato nel Napoletano, potrebbe essere una variante del locale cognome Miraglio (vedi sopra), con l’aggiunta di una “s” iniziale, oppure derivare dalla cognominizzazione del termine “smiraglio”, già attestato nel XV secolo, con il significato di “spiraglio”.

SONATORE (1) – Raro, registrato nel Napoletano e nel Salernitano, deriva dalla cognominizzazione del soprannome “sonatore”, da “suonatore”, epiteto attribuito al capostipite evidentemente in relazione alla capacità di suonare uno strumento musicale.

TORRE (6) – Diffuso in tutta Italia, con picchi di maggiore intensità in Piemonte, Lombardia, Liguria, Campania, Puglia e Sicilia, è originato dal toponimo Torre, nato dalla presenza di una torre di guardia che ha dato nome al luogo.

TREGLIA (1) – Campano, trae origine dalla cognominizzazione del soprannome dialettale “treglia”, derivato dal termine “triglia”. Ancora, potrebbe essere un toponimico, indicando l’origine del ceppo familiare dal borgo di Treglia di Pontelatone nel Casertano.

VESSICCHIO (11) – Tra i cognomi più diffusi ad Atrani nel 1754, dal punto di vista etimologico potrebbe derivare dal termine latino vicia, ossia “veccia” (pianta leguminosa), che ha dato luogo a molteplici toponimi italiani come Vessa frazione di Bagno di Romagna presso Forlì, Vezza d’Oglio (Bs) e Vezza d’Alba (Cn). Una seconda ipotesi ricollegherebbe il cognome in questione al termine tardolatino roversus, a, um, con il significato di “non diritto”, attribuito in senso canzonatorio al capostipite, nominato appunto “Roversecchia”, da cui Versecchia, Versicchio per aferesi, e, quindi Vessicchio29.

VOLLARO (14) – Specifico del Napoletano e della Costiera Amalfitana, tra i cognomi più diffusi ad Atrani nel 1754, trarrebbe origine dal toponimo Volla o dal termine “bolla”.

VUOLO (1) – Tipico campano, è originato dal nome di persona Paolo, cognominizzato in senso patronimico nella forma Pavuolo, divenuta poi Vuolo per aferesi30.

Altri cognomi compaiono nel Catasto di Atrani, ma non sono riferibili a capifamiglia: AGP, della Madonna, di Piozzo, Ammendola (oggi Amendola, dal latino amygdala, “mandorla), Guerriero, della Rocca, Carillo, Brasile, Guadagno, Guarniero, Mancuso, Petta, Cedrola, di Rosa, Normando e Ruocco, i Gatta .

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Paolucci

Recensioni

1 review for 69. ATRANI NEL 1754. 67° volume Catasti Onciari del Regno di Napoli sulla genealogia della Costiera Amalfitana. 13° numero sui cognomi del Principato Citra di Salerno in Costa d’Amalfi ISBN 9788872974575

Non ci sono ancora recensioni.

Only logged in customers who have purchased this product may leave a review.

Editorial Review

Il volume contiene uno studio sulle chiese

“Ma, sento l’intento mio scrivere cosa utile a che la intende, mi è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa”. L’intento di Machiavelli è anche il nostro. La “cosa” è il “Catasto Onciario”. La “verità effettuale” sono i soprusi, le angherie le peripezie, le sofferenze, le fatiche dei cittadini di Frattaminore del Settecento, riportati con nome, cognome, arti, mestieri, professioni, ecc. con la relativa tassazione. Con l’ascesa al trono di Carlo III di Borbone, divenuto Re di Napoli col nome di Carlo I, fu ordinato a tutti i Comuni del Regno di approntare un “catasto” diverso che è un vero e proprio inventario dei beni posseduti (abitazioni, terreni, animali da soma e da latte) dai sudditi, attività produttive, commerciali e industriali, nonché di tutti i possessori di reddito, qualunque sia il mestiere , attività e professione. Nonostante Carlo I s’impegnò per il benessere dei propri sudditi, le città mostrano tutti i limiti storici della mancata modernizzazione dell’intero tessuto sociale. Un tessuto estremamente fragile, all’interno del quale l’arroganza dei Baroni e gli ingiusti e immeritati privilegi del clero dovuto alla presenza del potere temporale del Papa resero ancora più misere le condizioni di vita dei contadini, braccianti e poveri miserabili.
Nella sostanza i sudditi oltre a versare le tasse alla Corona sottostavano a balzelli e gabelle insopportabili, causa di una inquietudine diffusa per il loro avviarsi verso la rovina e per il loro precipitare nella miseria più nera.
Capire la storia di un pezzo del proprio passato è comprendere il presente ed il futuro. Non solo, ma soprattutto comprendere l’uomo e le passioni che lo spingono ad agire, a sacrificarsi, a penare, a morire. Un capire, questo, tutto finalizzato ad un’azione efficace, che sappia resistere, affrontare e dominare il corso degli eventi, forzando il gioco mutevole della fortuna.
All’alba della modernità, nel Settecento, cogliamo la realtà di un secolo che tenta, in tutti i modi possibili, di evitare la decadenza di un Regno in balia di un moto uniforme che tende a configurarsi come costante oscillazione tra ordine e disordine sociale. Ordine seguito da Carlo I di Borbone e del suo valente ministro Bernardo Tanucci. Disordine messo in atto e perseguito dall’ingordigia dei Baroni, Nobili ed ecclesiastici. Si tratta di quel movimento ciclico che per gli antichi seguiva la cadenza di una rotazione tra ascesa e declino. Motore di questa dinamica che rende la storia , almeno in parte prevedibile, è la natura umana, una natura invariante, omogenea, costantemente percorsa dai medesimi umori che agiscono, con maggiore o minore intesità, in tutti gli organismi sociali e in tutti gli uomini. E’ altrettanto vero che ad ogni rivolgimento sociale l’immagine della storia muta. Così fu una vera e propria festa del popolo quando il Regno di Napoli ebbe il suo Re anziché avere il Vicerè che era alla totale dipendenza del Re di Spagna.
Nel descrivere eventi e fatti di Frattaminore la storia ritorna ad essere, come già per Tucidide e Polibio, per Livio e Tacito, da “magistra vitae” a propedeutica politica. Il suo sapere ha un senso se, e solo se, è in grado di orientare l’agire, fornendo efficaci strumenti operativi sul piano pratico: “quanto all’esercizio della mente, debbe il principe leggere le storie”, affermava Niccolò Machiavelli.
Come nella pòlis di Pericle o nella Roma di Cesare, anche nell’intraprendente Regno di Napoli di Carlo I di Borbone, il problema centrale che l’agire politico si trova dinanzi è quello del controllo della conflittualità tra Corona e Baroni, tra Baroni e cittadini. Una conflittualità propulsiva e ineliminabile dalla storia perché conflittuale è la spinta che genera il movimento stesso della vita. E’ vero. I filosofi hanno pensato all’uomo come ad un animale armonico, naturalmente portato alla socialità e alla civile convivenza in una società razionale e moralmente elevata, mentre lo sguardo disincantato degli storici ben difficilmente si scosta da una visione cupa e pessimistica dei destini della specie umana. Già Tucidide, nella “Guerra del Peloponneso”, aveva colto nella volontà di sopraffazione e nello spirito di rapina i tratti più propri ed originali dell’indole umana. Un’indole responsabile della malattia cronica del corpo sociale. Una patologia che un’accorta terapia politica può tenere sotto controllo, ma mai pienamente risolvere.
Nell’esaminare la composizione sociale del “Catasto Onciario” un senso di sconforto ci prende: come è possibile che quei sudditi ritenessero il Sovrano simile ad un Santo?
Noi allora come adesso avremmo voluto che trionfasse la concezione laica e spregiudicata che trionfò alla fine del Settecento con gli illuministi napoletani che videro nel potere la risultante di un gioco alterno in cui la forza e la fortuna si contendono il campo della vittoria. Legittimità come giustizia o legittimità come efficacia?
Una legittimità vera può solo venire dal saper coniugare potere e saggezza. Certo la morale dell’uomo politico non è, né può essere, quella dell’uomo della strada. Eppure il Sovrano ed il suddito sono per certi aspetti simili, entrambi retti dal medesimo, vitalistico desiderio di autoaffermazione. In pratica Carlo I di Borbone non è un santo, come i Principi medioevali, né un saggio alla maniera dei Tiranni antichi. Con il suo opporsi alla voracità dei Baroni e nel frenare le mire degli ecclesiastici egli cerca di trasformare il disordine individuale (per la soffocante miseria e per l’imbarbarimento della società civile dovuta a briganti e banditi che rendevano insicure città, contrade e campagne) nell’ordine dell’intera collettività. Il Re cerca, con l’arte della politica del Tanucci, di imprimere una forma di progettualità al caos imperante con nuove leggi, più umane e più giuste, con cui organizzare una nuova società. Certo, nel vedere oscillare le province napoletane dall’ordine al disordine, si giustifica anche la mano forte di Carlo I nel momento in cui occorre portare il pendolo dalle zone perigliose del disordine nelle zone quiete dell’ordine. Di qui l’assoluta necessità dell’ordine sociale. Soltanto una società ben ordinata può garantire l’aumento delle “mercatanzie”, lo sviluppo degli scambi,l’operosità del lavoro di bottega, l’attività amministrativa dei Comuni e dello Stato. Libertà di commercio dunque e libertà di istituzioni.
Questo metodo storico (storicismo alternativo allo storicismo romantico) si propone non già di riportare le manifestazione del mondo umano al processo di realizzazione di un principio assoluto, ma di riconoscerle nella loro finitudine e, quindi, di comprenderle nei loro rapporti di condizionamento reciproco. E’ un tentativo di pervenire a una comprensione dell’esistenza umana di un periodo storico limitato, il Settecento, e di fronte ad un particolare oggetto, il “Catasto Onciario”, nel suo orizzonte storico. Non si tratta per niente di “storia minore”, come sbagliando viene giudicata dalle anime candide, ma di storia vera, reale, oggettiva di una realtà fatta di glorie, affanni, tormenti, sconfitte, vittorie, miserie patite dai nostri avi.
I cosiddetti “storici minori”, come vengono con acredine definiti dai cosiddetti “grandi storici”, sono veri topi di biblioteca, i quali con un lavoro certosino pongono a disposizione di tutti conoscenze che, altrimenti, rimarrebbero definitivamente nell’oscurità. Aver memoria di avi non troppo lontani nel tempo consente ai suoi discendenti di affrontare con più consapevolezza i problemi di oggi. La memoria è qualcosa di divino. Secondo i Greci antichi è la madre delle Muse. Era chiamata “Mnemòsine”. Archelao di Piene, nella sua “Apoteosi di Omero”, la presenta effigiata in un luogo d’onore ove, in maestoso atteggiamento, rivolge lo sguardo verso Zeus, padre delle nove Muse, tra le quali spicca “Clio” (Colei che rende celebri), la Musa della Storia.
Una “storia locale”, rivalutata dagli storici degli “Annales”, la quale ha un valore insostituibile per la conoscenza delle nostre radici e rappresenta un arricchimento di ogni cittadino di oggi dell’amore che sente per la propria terra nativa. Non ultimo merito del “Catasto Onciario” è la documentazione sulle famiglie in cui possono con facilità riconoscersi gli eredi.