30 VENTICANO CAMPANARIELLO. E i 29 oppidi papalini rifondati nel 1348 ISBN 9788872973769

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INDICE

Presentazione
di Gennaro Scognamiglio

S.Maria a Venticano NEI DOCUMENTI
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO
DI SABATO CUTTRERA

Nell’Archivio di Stato di Avellino, sfogliando i protocolli notarili del 1757, è stato rinvenuto il testamento di Giuseppe de Vito. E’ interessante seguire l’episodio anche per confermare l’importanza della presenza di un notaio i Torrioni, allora non in tutti i paesi, per cui si ha l’ufficializzazione di alcune notizie.
Per esempio, il funzionario, per leggere l’atto chiama dei testimoni attorno a sè, anche di Petruro e Altavilla, che sono stati presenti al sigillo dell’atto, oltre all’arciprete che firma il testamento in quanto il di Vito è analfabeta: Io Don Giacopo Arciprete Leo per ordine e volontà di Giuseppe di Vito testatore ho sottoscritto per esso non sapendo scrivere.
Essi sono Crescenzo Oliviero, Saverio Ferraro sono stato presente alla clausura del presente testamento, Nicola Ferrazzano di Preturo sono testio, Donato Troisi, Domenico Centrella, Don Pietro Ferraro, Don Andrea Leo, l’arciprete Don Giacomo Leo, Io Carlo Cerchione Giudice ai contratti di Altavilla.
Il notaio da quindi inizio alla lettura dell’atto steso in deis nome Amen, nel die decima mes Augusti anni vero illesimi septecentesimi quinquagesimi sesti in Castro Torrionum.
E così comincia.
“A preghiera ed istanza fatteci in nome e per parte di Gioseppe de Vito di detto Castello ci siamo portati nella sua casa sita in detto Castello nel luogo detto Piedi Casale dove abbiamo ritrovato lo stesso in letto giacente infermo di corpo e sano per la Dio grazia di mente, ed intelletto, e con perfetta loquela, lo quale:
Io Giuseppe de Vito di questo Castello di Torrioni considerando lo stato dell’umana natura essere fraggile e caduco e che non vi sia in questo mondo cosa più certa della morte, e che sia di fede che in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni stato ed in questa età che sia ciascheduno vivente deve morire e in qualsiasi modo non può chiedere che fusse saltata la morte e non si può affatto dubitare l’incertezza di quella,/
Ho deliberato fare, siccome fo il presente mio in scriptis chiuso e suggellato testamento colla clausola codicillare, e clausola derogandia, quale voglio che sia valido come testamento scritto, e se come tale forse non valesse per qualsiasi causa voglio che sia valido come testamento nuncopatio o per raggione di codicillo, nel jure legati, o per donazione causa mortis e per ogni altra ultima volontà che dalla legge mi viene permesso, cassando, cancellando, e rivocando e dichiarando di molti ed innumerevoli di suoi e qualsiasi altri testamenti da me per il passato fatti sino alla presente giornata, e specialmente quello fatto nella Terra di Zuncoli per mano del magnifico Notar Crescenzio Francardino ossia che fussero, o fosse fatto ad pias causas, e voglio che questa sia mia suprema ed ultima volontà…
Primieramente prego l’Onnipotente iddio, Padre Figliuolo e Spirito Santo che per li divini meriti della passione e sangue sparso da esso unigenito Figliolo Signore e Redentore nostro Giesù Cristo si degni per sua misericordia perdonare li gravi peccati, e colpe mie, invocando in ajuto la processione di tutti li Santi miei avocati ed in particolare della Beatissima Vergine Maria madre di Dio, mia Avocata, e Protettrice, e dell’Angelo mio Custode, e di tutti li Santi del Paradiso, ora e sempre.
Istituisco e fo mio erede universale e particolare Simone de Vito mio caro, e diletto nipote figlio di Ceriaco de Vito mio amatissimo fratello in tutti li miei beni, mobili, stabili, semoventi… azzioni, oro, argento, raccoglienze che mi spettano e quanto tengo e possedo e quanto in futuro mi può spettare, e competere…
Idem voglio, ordino, e comando che passando da questa ad altra vita, il detto Simone mio caro e diletto nipote, ed erede non debba dare molestia ad Anna Male Misura cara e diletta moglie per quelle robbe che si ritrovano in suo podere che sono miei propri sudorij quali voglio che siano di detta mia cara e diletta moglie e volendo la detta Anna venire ad abbitare con detto Simone mio nipote ed erede debba dividere tutto e quanto sta commune ed indeviso con i miei cognati fratelli di detta mia cara e diletta moglie…
Idem voglio, ordino e comando che lo detto mio nipote ed erede dopo che io sia passato da questa ad altra vita debba subbito dare e consegnare all’Oratorio del SS.Rosario e per esso alli Economi pro tempore la somma di ducati 20, quali e canoni pro tempore, siano tenuti ed obbligati quelli subbito mettere in sicura compra d’annue rendite, e quello che di detti ducati 20 se ne ricaverà ne debbano far celebrare tante messe l’anno in perpetuum nell’altare del SS.Rosario in detto Oratorio perchè così è la mia volontà e non altrimenti…
E finalmente lascio esecuzione di qiesto mio presente testamento Biaso de Vito altro mio caro e diletto fratello al quale do e congedo ogni certezza… in fare eseguire con ogni sollecitudine e con porre in esecuzione quanto che io testato e stabilito per che così è mia volontà.
Idem voglio, ordino e comando che nel associazione del mio cadavere ne intervengano tutti quelli sacerdoti che possano venire non meno del numero di otto, e se in caso io passasse da questa ad altra vita in altro Paese, o Città lontano da questa mia Padria lo detto mio caro e diletto nipote ed erede debba fare celebrare un funerale subbito che averà notizia della mia morte per l’anima mia e che così è e non altrimenti.
Idem voglio che se passasse da questa ad altra vita in questa mia Padria voglio che il mio corpo si sepelisca nel Oratorio del SS.Rosario per che così ho deliberato e non altrimenti”.39
Il 30 ottobre 1795, i Magnifici Barbara Tartaglia e Don Giuseppe Severino, madre e figlio di Altavilla, dichiarano di tenere un terreno a Pannone. Nell’atto è inserito un biglietti: Hò ricevuto io qui sotto Bartolomeo Minucci dall’attuale Governatore della Pietra Stornina, Don Giuseppe Severino, carlini 12 e mezzo per tanta neve, che sì ha preso Giovanni Tartaglia, partitario del vino di Altavilla, ed a sua cautela ne feci ricevua quale essendo si disperse ne hò fatta la presente dando in nulla quella altra, a sua cautela. Pietra, 26 luglio 1802, Bartolomeo Minucci, ho ricevuto come sopra. la ricevuta puzza di retrodatazione per qualche motivo ignoto, ma, per noi, ha solo l’importanza di attestare che il principe di Pietrastornina Lottiero d’Aquino era già assente dal feudo, avendo preso la via del palazzo di Napoli e che invece spadroneggiava in paese un forestiero, l’altavillese Don Giuseppe Severino, che, fra l’altro, aveva spedito un suo fido, Giovanni Tartaglia, partitario del vino di Altavilla, a prendere il ghiaccio dal Minucci, essendo Pietrastonina nota fin da sempre per la produzione del ghiccio che si ricavava in montagna ammassando la neve nelle fosse della neve, appunto.
Il 23 novembre 1795, dalla Civitate Montis Fuscij, il notaio Leo redige un atto riguardante il Signor Clementino Garofalo, nativo di questa città di Montefusco, e dimorante in Solmona, in qualità di procuratore di sua madre Signora Matilda Paparo, e il Signor Don Ferdinando Guacci di Monte Fusco, civile proprietario. La madre possiede una picciola bottega con suppigno, sita in questa Città di Montefusco, strada Piazza, che confina col Palazzo di Don Andrea Ruggiero, di rimpetto la Chiesa di San Giovanni, quale bottega di spezziaria per provisione a essa Signora madre Matilda, della divisione fatta colla nipote Donna Antonia di Palma, l’aliena e la vende a Don Ferdinando per 30 ducati.
Il 24 aprile del 1842, in Petruro, si parla dei componenti la Commissione dei Luoghi pii del paese. Ne fanno parte Giuseppe Capozzi fu saverio di Casale, mastro falegname, esattore di essi luoghi pii; Antonio Capozzi fu Nicola, proprietaro, sindaco; reverendo Signor Don Amato Cecere, economo curato ed invigilatore di essi luoghi pii da una parte, e il Signor Don Gaetano Cecere fu Signor Vincenzo dottore fisico dall’altra. L’economo, era ridirato per aver pagato alcune somme al medico il quale dichiarava che la Cappella del SS.Corpo di Cristo di questo Comune tiene un Capitale di Ducati 21,5, giusto istrumento rogato dal notaio Aquino Berdino di Benvento nel 1681, peso di Giuseppe di Marco, Giovanna, ed Angiola di Marco, figlie del fu Andrea, autorizzate dai loro rispettivi mariti, e detto capitale fu integrato su di un loro fondo denominato Forgara, seu Moppeta di 3 tomola.
Il 15 novembre 1842, in Chianchetelle, i coniugi Marchese e Marchesa di Chianchetella, Don Orazio Salerno fu Marchese Don Saverio e Donna Vincenza Longhi fu Don Giuseppe, in Foggia. Don Orazio dichiara che prima di passare in seconde nozze colla Signora Vincenza Longhi che ha ristrutturato la casa di Chianchetella. Nell’atto si specifica che Balba è un Casale di Ceppaloni. Questi però aveva dei figli legitimi con la prima moglie e volle donare dei beni fra la robba che tiene a Chianchetella, Altavilla, Balba, ceppaloni, Chianca, Chianchetella e Petruro.
Il 25 agosto 1796 il Magnifico Don Luiggi Balletti della Città di Montefusco, per parte di sua moglie Donna Annamaria Notargiacomo e di Donna Catarina sua suocera, per redigere l’atto che vede come controparte il Magnifico Antonio Bava o Barra della Terra di Buonalbergo. Nella sostanza Don Luigi, a suo nome, moglie e suocera necessita di 100 ducati, giusta la bolla di Nicolò V. E dice: Non potendo noi Donna Caterina Feleppa, e Donna Annamaria Notargiacomo, madre e figlia insieme della Terra di Buonalbergo, al presente la prima commorante in questa Città di Monte Fusco, e l’altra ammogliata col signor Don Luigi Balletti della stessa, portatosi di persona in detta Terra di Buonalbergo per esporre alle cose infrascritte, stante pertanto nulla probità, e dottrina del Signor Balletti, agente così costituimo, ed eligiamo nostro vero e legittimo procuratore, e gli diamo la facultà di poter produrre e certo bullare, o sia a capitale la somma di docati cento dal Signor Antonio Bava.
Per il matrimonio di Maria Saveria, figlia di Don Giovanni Abatangelo fu Domenico, civile proprietario di Montaperto, si decise per marito Don Gaetano Cecere di Petruro, anch’egli civile proprietario.
Faceva parte del Marchesato dei Piatti ma era residente a Tufo Mastro Costantino d’Agostino. Presso l’Archivio di Avellino, fra gli atti notarili, abbiamo rinvenuto il suo testamento, rilasciato nelle mani del notaio di Prata. Questo è l’unico atto del notaio di Prata rinveuto fra i primi trascritti nel 1700 ricollegabile a Torrioni. Altri riguardano San Martino feudo dell’Ave Grazia Plena, la Contrada di San Giovanni a Morcopio, jurisditione Pheudi A.G.P., la Chiesa Arcipretale di S.Agnesa e Margherita della Terra di S.Agnesa e Calvi e il Casale di San Giacomo detto A.G.P., in gran parte appartenuti alla Casa dell’Annunziata di Napoli e, in precendenza, a Montevergine.
Seguiamo ora il testamento del Mastro Fabbricatore d’Agostino residente al Monnezzaro di Tufo, che lascia tutto nelle mani dei quattro figli, Angelo, Franco, Pasquale e Pietro, a patto che non litighino, che diano l’8% del capitale di 10 ducati (8 carlini) all’Oratorio del SS.Rosario ricavato dalla Masseria, che sposino le quattro sorelle con una dote di 72 ducati cadauna e che lascino usufruttuaria dei beni mobili e stabili la madre Carmina, se non si risposa e comunque proprietaria di 1/4 della sua dote, come di prassi. Questo l’atto.
A richiesta a noi fatta in nome, e per parte di Mastro Costantino di Agostino fabricatore della detta Terra del Tufo, personalmente ci siamo conferiti nella casa e sua solita abitazione sita nel luogo detto Lo Monnezzaro, Giurisdizione della detta Terra del Tufo. Ed ivi abbiamo ritrovato il medesimo a letto, infermo da febbre, ma sano però di mente, et intelletto, il quale considerando lo Stato dela natura umana quanto sia fragile, e caduco, e che non vi sia altra cosa più certa, che la morte, ed incerta l’ora di morte; perciò ha deliberato di fare il suo ultimo testamento; quale vuole, che voglia per raggione di istrumento…
Primariamente come fedele cristiano raccomanda l’anima sua all’Innipotente Iddio, alla Beata Vergine Maria, ed a tutti i Suoi Santi Avvocati, e Protettori, ed all’Angelo custode, acciò si compiacciono d’impetrar il perdono de sui peccati presso di Nostro Signore Giesù Cristo, e separata, che sarà l’Anima dal suo corpo, questo vuole, che sia sepellito nell’Oratorio del SS.Rosario, e li funerali si facciano a spese dell’infrascritti suoi eredi e sua moglie.
E perchè l’istituzio dell’erede a capo, e principio di qualsivoglia retto testamento; senza la quale jurij censura sarebbe nulla; che però esso testatore istituisca, ordina e fa di sua propria bocca nomina a se suoi eredi… li suoi figli dilettissimi legati e sono Angelo, Franco, Pasquale e Pietro d’Agostino, sopra tutti, e qualsivoglia suoi beni, e tutto, e quanto mai ad esso testatore può spettare, e competere… Ite vuole, ordina, e comanda, che dopo morte immediatamente detti suoi eredi infracsritti siano tenuti stabilire, e fondare un capitale di Docati dieci quale si deve ippotecare, e deve rimanere in fondo di Legato Log.a La Massaria con terra ttorno, oppure di suoi eredi insuddetti prenderanno detti Ducati Dieci da sopra la valuta di detta Massaria, e di li consegneranno alla Cappella del SS.Rosario, oppure la medesima Cappella stabilisce detto capitale sopra la detta Massaria alla ragione dell’otto per cento, che ne cadono Carlini otto…
Gli ultimi tre fratelli abbiano a stare di amore, e consenzo, e non già in lite, e controversie con l’altro fratello il primogenito; sopponendogli, che detti fratelli volessero muover qualche lite ingiusta allo primo loro fratello, circa la loro eredità; altrimenti esso testatore l’esclude dall’eredità…
Infine Mastro d’Agostino ricorda ai fratelli che debbono mariatre le quattro sorelle con una dote, di 72 Ducati ciascuna, in denaro o terra. Infine nomina la moglie usufruttuaria dei beni mobili e stabili, tenuta a prendersi la quarta parte delle sue doti, ricordando ai figli di dividerli solo se Carmina passasse sull’altare per nuove nozze, o pure morisse. Item, avendolo io interrogato, se volesse lasciar qualche cosa al Serraglio, seu albergo de Poveri stabilito da Sua Altezza in Napoli, ha disposto non voler niente lasciare.
Nella seconda metà del 1700, dunque, la famiglia d’Agostino, anzi Agostino come viene detta nei documenti più antichi, era già divisa in diversi rami, presumibilmente provenienti dal ceppo di Tufo. In ogni caso nel Catasto Onciario di Torrioni compare in due rami di masto fabbricatore e masto muratore.
Erano diversi gli abitanti di Torrioni che possedevano terre anche a Toccanisi nel 1750 circa. Alcuni torrionesi del feudo del Signor Camillo, del resto legato a Toccanisi, non è che si erano già trasferiti, ma erano rimasti ai Camilli territorio di Toccanise. I Ferraro, per esempio, sono già signorotti con Sabato che fa il sindaco come risulta da quell’Onciario.
Seguiamo l’atto, in Dei nomine amen, così come comincia: Die decima secunda mes Ianuariij seste indij vero millesimi septi centesimi quinquagesimi ottavi in Terra Petre Fusis Feudi A.G.P. et ppe in loco ubi dicit Venticano. A richiesta fatteci in nome e per parte dei Magnifici Ciro Frisella e Silvio Musetta attuali Amministratori dell’Università di Terra della Pietra de’ Fusi Feudo A.G.P. ci siamo conferiti noi infrascritti notare Donato Leo della Terra di Torrojoni, notare Luca Luciano e notare Saverio Luciano ambe due della Terra d’Altavilla, tutti e tre della provincia di Principato Ultra, nella suddetta Terra della Pietra de Fusi e di là nel luogo denominato Venticano.
Essendo saliti su del campanile dell’unica chiesa ivi sita d’ispezione dell’unica campana ivi sostenuta, e pendente da tre legni, insieme col regio agrimensore notare Nicola Nisco di Santa Agnese, abbiamo con propri occhi veduto nella parte superiore un segno di croce + rilevante sul piano del metallo con verso di lettere ugualmente rilevante con queste parole.
Santa Maria De Venticano Abbate Iacobo De Leo ed un altro verso inferiore dettante Anno Domini mcccccxxxxxxxii (1572) ed in mezzo d’essa un’immagine di rilievo della Vergine Nostra Signora col Bambino in braccia il quale tiene in una mano un giglio; ed avendo misurata l’altezza di detta campana l’abbiamo ritrovata di palmi uno ed un terzo, e la rotondità del labro, ò bocca della medesima di palmi tre ed un quarto, ed in testimonio del vero del causa…
INDICE

Presentazione di Gennaro Scognamiglio

1
Il feudo di s.martino a solopaca,
GAMBATESA del MOLISe
E VENTICANO DI m.VERGINE

2.
LA RIFONDAZIONE del nuovo sanNIO
BENEVENTO RIPARTE dopo il sisma
coi 29 PAESI del 1348, poi VENTICANO

3.
LA RInascita della terza venticano
l’ultimo casale del paese fondato
dai coloni verginiani

4.
La furia della natura
fa lutti e rovine nel 1656
con la peste e i terremoti

5.
I mestieri scomparsi
nei comuni federati
e Casale Campaniariello

6.
La rinascita con il municipio
nasce il comune autonomo
istituito nell’anno 1948

APPENDICE DOCUMENTARIA
N.1
Abbazia e monastero di S.Maria a Venticano
I beni dellA PRIMA fondazione scomparsa
DI ANNALISA BARBATO
APPENDICE DOCUMENTARIA
N.2
S.Maria a Venticano NEI DOCUMENTI
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO
DI SABATO CUTTRERA

Bibliografia

Le note sono contenute all’interno del testo.

Description

LOCO SAN MARTINO DEI LONGOBARDI E L’OPPIDO DI SAN MARTINO RIFONDATO NEL 1348 DAI MIGRANTI, I FEUDI DI SOLOPACA GAMBATESA del MOLISE E VENTICANO DI MONTE VERGINE VERGINE

La domanda a cui manca ancora una risposta definitiva è se la prima chiesa di San Martino dell’originaria Venticano fu nel verso della Montagna di Bonito, provincia di Apice e Ariano, o in quello della Montagna di Montefusco, derivazione dell’antico territorio di Prata Principato Ultra. Domanda alla quale si può rispondere se ci si riferisce a un luogo situato sul fiume Calore, anche se le San Martino di questa zona sono più di una.
Per esempio, nel 1700 ancora si diceva che appartenesse a Bonito la chiesa di San Martino dove fu rinvenuta una preziosa lapide letta dal Mommsen.
La lapide letta dal Mommsen contrassegnata dal n.1368, come riportato nel Cil IX, era dedicata da un marito alla buona memoria della moglie Gaia Eppia Tecia: è datata 12 gennaio, dopo il consolato di Petronio Massimo, del 444. E’ un’epigrafe ritrovata nei pressi della Chiesa di San Martino che si dice in territorio di Bonito nel 1784, pubblicata nel gennaio del 1785 dal Lupoli sul “Giornale enciclopedico di Napoli” e da altri autori (Antonio Salvatore, Aeclanum mille anni di storia, Edizioni L’amico del Terziario, 1982, Foggia). Fu invece solo vista nel museo l’epigrafe indicata col n.1377 del Cil libro IX, che recita della morte di Caelius Laurentius, lettore della santa Aeclesiae Aeclanensis. Ma è evidente che la compravendita ottocentesca delle lapidi, il museo sito in casa privata a Bonito che raccolse opere provenienti da tutta la provincia, poi in parte raccolte dal museo irpino, e altre vicissitudini non provano proprio nulla.
Dunque, anche se la chiesa di San Martino non è la stessa, fu comunque nei paraggi perchè sia Venticano che San Martino furono non lontano da Morroni di Bonito e, sempre, sul confine fra le proprietà del vescovo cristiano di Benevento e quelle del vescovo greco-bizantino di Ariano. Ciò non toglie che questi luoghi sono comunque collocati tutti ai piedi della Montagna di Montefusco e la San Martino in questione non può essere rappresentata dal vicinissimo paesello di San Martino Sannita. Questo a dimostrazione che i confini di 1300 anni fa erano da considerarsi più ampi, ma difficilmente oltrepassanti il fiume Calore dove sarebbe cominciato un altro “acto”.
Ancora oggi infatti è viva nella memoria storica il detto che nel territorio al di qua del fiume Calore abittassero nuclei familiari appartenuti ad una comunità diversa da quelle stanziatesi al di là del fiume. Il detto viene solitamente inteso come n’ato atto, cioè un altro Acto, quindi non rientrante nell’atto in questione, cioè in un ben determinato territorio che si dovette chiamare “atto” (=distretto, circoscrizione territoriale) fin dai tempi degli acta (Acto Lucerino, Acto Beneventano, etc…), che furono rifondati da Bernardo Deucio, inviato dal Papa a ricostruire nel Nuovo Sannio dell’ex Civitate Beneventana divenuta Urbe Benevento, i paesi dei popoli migrati dalla Capitanata dopo il sisma del 1348.

C’è poi il feudo di San Martino, dove insiste la prima Vetticano, che si confonde con quelli delle chiese costruite in successione nel nuovo Sannio, ossia il Principato Ultra, ex Ducato Beneventano. Prima di ogni altra ipotesi che accomuna i paesi della Valle Caudina con quelli della Valle di Campobasso sarà preferibile analizzare meglio i toponimi. Non a caso il Catalogo dei Baroni, retrodatato al 1096, parla di una Valle Gauda e di una Valle Gaudina in un altro luogo del medesimo territorio. Moltre sciocchezze infatti potrebbero cadere studiando meglio la rivoluzione migratoria avvenuta dopo il sisma, la peste e l’invasione ungherese del 1348, quando molti paesi vennero ricostruiti e ben 29 furono proprio quelli del Partenio, come risulta da una bolla del 1348, quando l’inviato del papa di Avignore, Bernardo Deucio, rifondò l’arcidiocesi di Benevento e questi 29 paesi che non estevano più nei luoghi originari e furono riedificati dove li vediamo, da Montesarchio a Sant’Angelo a Scala.
Il 28 e 30 aprile 1348 Papa Clemente VI scrisse subito all’arcivescovo Balduino Treverense dell’Oppido Aquensi, Aquensis o Aquense che rappresenta la Leodiensis Diocesis, cita la vacazio dell’Imperio Romano per la morte di Enrico Imperatore e la seguente discordia con l’eretico Ludovico di Baviera, eretico e manifesto scismatico. Lo fece poi sapere anche agli elettori imperiali: l’Arcivescovo Gerlaco di Civitate Maguntina, nelle vicinanze della Parte Incolis al vescovo Diaconense, al vescovo Coloniense che sono i quattro grandi elettori dell’Imperio Romano. Poi avvisa Re Carlo nella sua sede di Civitate Argentinensis il 4 agosto 1346 dell’invasione del Regno Romano super Alveo Reni, facendo Carlo, primogenito di Giovanni Re di Boemia divenuto cieco, da marchione della Moravia a Re dei Romani. Facendo pace il 23 agosto con il Re di Francia ed Inghilterra.
Dilectis filiis nuiinri. si-abiiiis, consilio ot communi ojiidi .i|uensis Leodiensis diocosis. 25 novembre Clemente VI scrive a Betrando.
Nel 1350, Clemente VI, quando Bertrando Decio fu Cardinale e Legato apostolico, la sua Metropolia si ridusse al Girone di Benevento, quando si fa nascere la nuova Regione di Benevento, con 27 Oppidi che si dicono essere quelli antichi. Al Cardinale della Regione di Benevento appartenne il vescovo di Nola e la vecchia Diaconia, ma la Capitale fu Stabia.
Nel 1350/51 era nata la Regione Beneventana dell’antipapa Clemente VI, come ebbe modo di confermare il cardinale legato apostolico Bertrandum di Deucio, il quale, su diligenti informazioni, rimise gli antichi limiti al territorio che comprese 27 Castrum, cioè Oppidi, e relativi casali. Si tratta di un circondario che gira intorno a Benevento come un “Girone” in cui rientrano quasi tutti i palazzi a suo tempo costruiti da Federico II di Svevia e comunque sono tutte abbazie feudali amministrate dal Cardinale e alle dirette dipendenze dell’antipapa.
Hofmann, Johann Jacob (1635-1706): Lexicon Universale. Clemens Papa VI. Legatum misit Bertrandum Cardinalem Deucium, a quo habitâ omnium diligenti informatione et antiquorum limitum, terminos Territorii Beneventani sic definivit diplomate Pontificiôm quod servatur in Archivo civitatis; estque huius tenoris: Urget nos Apostolicae servitutis etc. ex certa scientia limitamus per modum et terminos infrascriptes, In primis Castrum Pontis inhabitatum, et inde ascendere Castrum Casaldoni, Castrum Campi lattari, Castrum montis Leonis, Castrum Sancti Severi, Castrum Fragneti Monfortis, Castrum Fragneti Abbatis, Castrum Sancti Georgii Molendinaria, Castrum Sancti Andreae de Molinaria, Castrum petrae maioris, Castrum Paduli cum suo suburbio, sive Casali Sancti Archangeli, Castrum montis mali, Casale Templani, Castrum Apicii cum casalibus, Castrum Moroni, Castrum Venticani, Castrum montis Militum, Castrum montis aperti, Castrum montis Fuscoli cum casalibus, Castrum Tufii, Castrum Altavillae, Castrum Cepalloni, Castrum Petrae Strumierae, Castrum S. Martini, Castrum Cervinariae, Castrum montis Sarveli, Castrum Tocci cum casalibus, Castrum Torregusii, cum casali Popisii et aliis casalibus. Volumus itaque etc.
Datum Avenione septimô Kalendes Iunilannô nonô, salutis autem 1350.Sicque territorium Beneventanum erat amplum; nunc autem ab Hispanis valde suit imminutum: complectiturque tantum in praesentia Castra S.Angli de Cupola, Mottam, Panellam, Montem Orsi, Maccolum, Sciarram, Pastenam, Balnearam, S.marci a montibus, S. Lucii, S. Angeli, et Francavillam; quae omnia vix 3. aut 4. milliaribus distat a Benevento.

1. In primis Castrum Pontis inhabitatum,
2. et inde ascendere Castrum Casaldoni,
3. Castrum Campi lattari,
4. Castrum montis Leonis,
5. Castrum Sancti Severi,
6. Castrum Fragneti Monfortis,
7. Castrum Fragneti Abbatis,
8. Castrum Sancti Georgii Molendinaria,
9. Castrum Sancti Andreae de Molinaria,
10. Castrum petrae maioris,
11. Castrum Paduli cum suo suburbio, sive Casali Sancti Archangeli,
12. Castrum montis mali, Casale Templani,
13. Castrum Apicii cum casalibus,
14. Castrum Moroni,
15. Castrum Venticani,
16. Castrum montis Militum,
17. Castrum montis aperti,
18. Castrum montis Fuscoli cum casalibus,
19. Castrum Tufii,
20. Castrum Altavillae,
21. Castrum Cepalloni,
22. Castrum Petrae Strumierae,
23. Castrum S. Martini,
24. Castrum Cervinariae,
25. Castrum montis Sarveli,
26. Castrum Tocci cum casalibus,
27. Castrum Torregusii, cum casali Popisii et aliis casalibus.
Volumus itaque etc. Datum Avenione septimô Kalendes Iunilannô nonô, salutis autem 1350.
Sicque territorium Beneventanum erat amplum; nunc autem ab Hispanis valde suit imminutum: complectiturque tantum in praesentia Castra S. Angli de Cupola, Mottam, Panellam, Montem Orsi, Maccolum, Sciarram, Pastenam, Balnearam, S. marci a montibus, S. Lucii, S. Angeli, et Francavillam; quae omnia vix 3. aut 4. milliaribus distat a Benevento.
Un privilegio di papa Lucio III morto nel 1185 già citava l’antico eremo della Croce sito nella Marca papalina di Francavilla. E’ locum Sancte Crucis in Marchia iuxta Francam villam, que antiquitus Eremus vocabatur, cum omnibus pertinentiis suis, terris, pratis, vineis et molendinis.
Altrove è detta Crucis in Marcia, qui antiquitus Heremus. vocabatur.
Per studi futuri alla ricerca della originaria San Martino sarà meglio seguire l’originario Castello dei Tocco di Montemiletto, che era un’urbe arcidiocesana, collocata altrove, prima del sisma, lungo la Via di Tufo, stando al geografo Muhammad al-Idrisi, senza mai più confonderla con la nuovissima rocca, cioè il castrum del casale anch’esso chiamato banalmente Tocco di Montesarchio, come un altro migliaio di campanili. Ma solo uno di essi fu un’ex città dei beneventani.

Dettagli

EAN

9788872970416

ISBN

8872970415

Pagine

112

Autore

Bascetta,

Claudio Rovito

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Editorial Review

 

SANTA MARIA A VENTICANO NEI DOCUMENTI DELL’ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO

 

 

Nell’Archivio di Stato di Avellino, sfogliando i protocolli notarili del 1757, è stato rinvenuto il testamento di Giuseppe de Vito. E’ interessante seguire l’episodio anche per confermare l’importanza della presenza di un notaio i Torrioni, allora non in tutti i paesi, per cui si ha l’ufficializzazione di alcune notizie.
Per esempio, il funzionario, per leggere l’atto chiama dei testimoni attorno a sè, anche di Petruro e Altavilla, che sono stati presenti al sigillo dell’atto, oltre all’arciprete che firma il testamento in quanto il di Vito è analfabeta: Io Don Giacopo Arciprete Leo per ordine e volontà di Giuseppe di Vito testatore ho sottoscritto per esso non sapendo scrivere.
Essi sono Crescenzo Oliviero, Saverio Ferraro sono stato presente alla clausura del presente testamento, Nicola Ferrazzano di Preturo sono testio, Donato Troisi, Domenico Centrella, Don Pietro Ferraro, Don Andrea Leo, l’arciprete Don Giacomo Leo, Io Carlo Cerchione Giudice ai contratti di Altavilla.
Il notaio da quindi inizio alla lettura dell’atto steso in deis nome Amen, nel die decima mes Augusti anni vero illesimi septecentesimi quinquagesimi sesti in Castro Torrionum.
E così comincia.
“A preghiera ed istanza fatteci in nome e per parte di Gioseppe de Vito di detto Castello ci siamo portati nella sua casa sita in detto Castello nel luogo detto Piedi Casale dove abbiamo ritrovato lo stesso in letto giacente infermo di corpo e sano per la Dio grazia di mente, ed intelletto, e con perfetta loquela, lo quale:
Io Giuseppe de Vito di questo Castello di Torrioni considerando lo stato dell’umana natura essere fraggile e caduco e che non vi sia in questo mondo cosa più certa della morte, e che sia di fede che in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni stato ed in questa età che sia ciascheduno vivente deve morire e in qualsiasi modo non può chiedere che fusse saltata la morte e non si può affatto dubitare l’incertezza di quella,/
Ho deliberato fare, siccome fo il presente mio in scriptis chiuso e suggellato testamento colla clausola codicillare, e clausola derogandia, quale voglio che sia valido come testamento scritto, e se come tale forse non valesse per qualsiasi causa voglio che sia valido come testamento nuncopatio o per raggione di codicillo, nel jure legati, o per donazione causa mortis e per ogni altra ultima volontà che dalla legge mi viene permesso, cassando, cancellando, e rivocando e dichiarando di molti ed innumerevoli di suoi e qualsiasi altri testamenti da me per il passato fatti sino alla presente giornata, e specialmente quello fatto nella Terra di Zuncoli per mano del magnifico Notar Crescenzio Francardino ossia che fussero, o fosse fatto ad pias causas, e voglio che questa sia mia suprema ed ultima volontà...
Primieramente prego l’Onnipotente iddio, Padre Figliuolo e Spirito Santo che per li divini meriti della passione e sangue sparso da esso unigenito Figliolo Signore e Redentore nostro Giesù Cristo si degni per sua misericordia perdonare li gravi peccati, e colpe mie, invocando in ajuto la processione di tutti li Santi miei avocati ed in particolare della Beatissima Vergine Maria madre di Dio, mia Avocata, e Protettrice, e dell’Angelo mio Custode, e di tutti li Santi del Paradiso, ora e sempre.
Istituisco e fo mio erede universale e particolare Simone de Vito mio caro, e diletto nipote figlio di Ceriaco de Vito mio amatissimo fratello in tutti li miei beni, mobili, stabili, semoventi... azzioni, oro, argento, raccoglienze che mi spettano e quanto tengo e possedo e quanto in futuro mi può spettare, e competere...
Idem voglio, ordino, e comando che passando da questa ad altra vita, il detto Simone mio caro e diletto nipote, ed erede non debba dare molestia ad Anna Male Misura cara e diletta moglie per quelle robbe che si ritrovano in suo podere che sono miei propri sudorij quali voglio che siano di detta mia cara e diletta moglie e volendo la detta Anna venire ad abbitare con detto Simone mio nipote ed erede debba dividere tutto e quanto sta commune ed indeviso con i miei cognati fratelli di detta mia cara e diletta moglie...
Idem voglio, ordino e comando che lo detto mio nipote ed erede dopo che io sia passato da questa ad altra vita debba subbito dare e consegnare all’Oratorio del SS.Rosario e per esso alli Economi pro tempore la somma di ducati 20, quali e canoni pro tempore, siano tenuti ed obbligati quelli subbito mettere in sicura compra d’annue rendite, e quello che di detti ducati 20 se ne ricaverà ne debbano far celebrare tante messe l’anno in perpetuum nell’altare del SS.Rosario in detto Oratorio perchè così è la mia volontà e non altrimenti...
E finalmente lascio esecuzione di qiesto mio presente testamento Biaso de Vito altro mio caro e diletto fratello al quale do e congedo ogni certezza... in fare eseguire con ogni sollecitudine e con porre in esecuzione quanto che io testato e stabilito per che così è mia volontà.
Idem voglio, ordino e comando che nel associazione del mio cadavere ne intervengano tutti quelli sacerdoti che possano venire non meno del numero di otto, e se in caso io passasse da questa ad altra vita in altro Paese, o Città lontano da questa mia Padria lo detto mio caro e diletto nipote ed erede debba fare celebrare un funerale subbito che averà notizia della mia morte per l’anima mia e che così è e non altrimenti.
Idem voglio che se passasse da questa ad altra vita in questa mia Padria voglio che il mio corpo si sepelisca nel Oratorio del SS.Rosario per che così ho deliberato e non altrimenti”.39
Il 30 ottobre 1795, i Magnifici Barbara Tartaglia e Don Giuseppe Severino, madre e figlio di Altavilla, dichiarano di tenere un terreno a Pannone. Nell’atto è inserito un biglietti: Hò ricevuto io qui sotto Bartolomeo Minucci dall’attuale Governatore della Pietra Stornina, Don Giuseppe Severino, carlini 12 e mezzo per tanta neve, che sì ha preso Giovanni Tartaglia, partitario del vino di Altavilla, ed a sua cautela ne feci ricevua quale essendo si disperse ne hò fatta la presente dando in nulla quella altra, a sua cautela. Pietra, 26 luglio 1802, Bartolomeo Minucci, ho ricevuto come sopra. la ricevuta puzza di retrodatazione per qualche motivo ignoto, ma, per noi, ha solo l’importanza di attestare che il principe di Pietrastornina Lottiero d’Aquino era già assente dal feudo, avendo preso la via del palazzo di Napoli e che invece spadroneggiava in paese un forestiero, l’altavillese Don Giuseppe Severino, che, fra l’altro, aveva spedito un suo fido, Giovanni Tartaglia, partitario del vino di Altavilla, a prendere il ghiaccio dal Minucci, essendo Pietrastonina nota fin da sempre per la produzione del ghiccio che si ricavava in montagna ammassando la neve nelle fosse della neve, appunto.
Il 23 novembre 1795, dalla Civitate Montis Fuscij, il notaio Leo redige un atto riguardante il Signor Clementino Garofalo, nativo di questa città di Montefusco, e dimorante in Solmona, in qualità di procuratore di sua madre Signora Matilda Paparo, e il Signor Don Ferdinando Guacci di Monte Fusco, civile proprietario. La madre possiede una picciola bottega con suppigno, sita in questa Città di Montefusco, strada Piazza, che confina col Palazzo di Don Andrea Ruggiero, di rimpetto la Chiesa di San Giovanni, quale bottega di spezziaria per provisione a essa Signora madre Matilda, della divisione fatta colla nipote Donna Antonia di Palma, l’aliena e la vende a Don Ferdinando per 30 ducati.
Il 24 aprile del 1842, in Petruro, si parla dei componenti la Commissione dei Luoghi pii del paese. Ne fanno parte Giuseppe Capozzi fu saverio di Casale, mastro falegname, esattore di essi luoghi pii; Antonio Capozzi fu Nicola, proprietaro, sindaco; reverendo Signor Don Amato Cecere, economo curato ed invigilatore di essi luoghi pii da una parte, e il Signor Don Gaetano Cecere fu Signor Vincenzo dottore fisico dall’altra. L’economo, era ridirato per aver pagato alcune somme al medico il quale dichiarava che la Cappella del SS.Corpo di Cristo di questo Comune tiene un Capitale di Ducati 21,5, giusto istrumento rogato dal notaio Aquino Berdino di Benvento nel 1681, peso di Giuseppe di Marco, Giovanna, ed Angiola di Marco, figlie del fu Andrea, autorizzate dai loro rispettivi mariti, e detto capitale fu integrato su di un loro fondo denominato Forgara, seu Moppeta di 3 tomola.
Il 15 novembre 1842, in Chianchetelle, i coniugi Marchese e Marchesa di Chianchetella, Don Orazio Salerno fu Marchese Don Saverio e Donna Vincenza Longhi fu Don Giuseppe, in Foggia. Don Orazio dichiara che prima di passare in seconde nozze colla Signora Vincenza Longhi che ha ristrutturato la casa di Chianchetella. Nell’atto si specifica che Balba è un Casale di Ceppaloni. Questi però aveva dei figli legitimi con la prima moglie e volle donare dei beni fra la robba che tiene a Chianchetella, Altavilla, Balba, ceppaloni, Chianca, Chianchetella e Petruro.
Il 25 agosto 1796 il Magnifico Don Luiggi Balletti della Città di Montefusco, per parte di sua moglie Donna Annamaria Notargiacomo e di Donna Catarina sua suocera, per redigere l’atto che vede come controparte il Magnifico Antonio Bava o Barra della Terra di Buonalbergo. Nella sostanza Don Luigi, a suo nome, moglie e suocera necessita di 100 ducati, giusta la bolla di Nicolò V. E dice: Non potendo noi Donna Caterina Feleppa, e Donna Annamaria Notargiacomo, madre e figlia insieme della Terra di Buonalbergo, al presente la prima commorante in questa Città di Monte Fusco, e l’altra ammogliata col signor Don Luigi Balletti della stessa, portatosi di persona in detta Terra di Buonalbergo per esporre alle cose infrascritte, stante pertanto nulla probità, e dottrina del Signor Balletti, agente così costituimo, ed eligiamo nostro vero e legittimo procuratore, e gli diamo la facultà di poter produrre e certo bullare, o sia a capitale la somma di docati cento dal Signor Antonio Bava.
Per il matrimonio di Maria Saveria, figlia di Don Giovanni Abatangelo fu Domenico, civile proprietario di Montaperto, si decise per marito Don Gaetano Cecere di Petruro, anch’egli civile proprietario.
Faceva parte del Marchesato dei Piatti ma era residente a Tufo Mastro Costantino d’Agostino. Presso l’Archivio di Avellino, fra gli atti notarili, abbiamo rinvenuto il suo testamento, rilasciato nelle mani del notaio di Prata. Questo è l’unico atto del notaio di Prata rinveuto fra i primi trascritti nel 1700 ricollegabile a Torrioni. Altri riguardano San Martino feudo dell’Ave Grazia Plena, la Contrada di San Giovanni a Morcopio, jurisditione Pheudi A.G.P., la Chiesa Arcipretale di S.Agnesa e Margherita della Terra di S.Agnesa e Calvi e il Casale di San Giacomo detto A.G.P., in gran parte appartenuti alla Casa dell’Annunziata di Napoli e, in precendenza, a Montevergine.
Seguiamo ora il testamento del Mastro Fabbricatore d’Agostino residente al Monnezzaro di Tufo, che lascia tutto nelle mani dei quattro figli, Angelo, Franco, Pasquale e Pietro, a patto che non litighino, che diano l’8% del capitale di 10 ducati (8 carlini) all’Oratorio del SS.Rosario ricavato dalla Masseria, che sposino le quattro sorelle con una dote di 72 ducati cadauna e che lascino usufruttuaria dei beni mobili e stabili la madre Carmina, se non si risposa e comunque proprietaria di 1/4 della sua dote, come di prassi. Questo l’atto.
A richiesta a noi fatta in nome, e per parte di Mastro Costantino di Agostino fabricatore della detta Terra del Tufo, personalmente ci siamo conferiti nella casa e sua solita abitazione sita nel luogo detto Lo Monnezzaro, Giurisdizione della detta Terra del Tufo. Ed ivi abbiamo ritrovato il medesimo a letto, infermo da febbre, ma sano però di mente, et intelletto, il quale considerando lo Stato dela natura umana quanto sia fragile, e caduco, e che non vi sia altra cosa più certa, che la morte, ed incerta l’ora di morte; perciò ha deliberato di fare il suo ultimo testamento; quale vuole, che voglia per raggione di istrumento...
Primariamente come fedele cristiano raccomanda l’anima sua all’Innipotente Iddio, alla Beata Vergine Maria, ed a tutti i Suoi Santi Avvocati, e Protettori, ed all’Angelo custode, acciò si compiacciono d’impetrar il perdono de sui peccati presso di Nostro Signore Giesù Cristo, e separata, che sarà l’Anima dal suo corpo, questo vuole, che sia sepellito nell’Oratorio del SS.Rosario, e li funerali si facciano a spese dell’infrascritti suoi eredi e sua moglie.
E perchè l’istituzio dell’erede a capo, e principio di qualsivoglia retto testamento; senza la quale jurij censura sarebbe nulla; che però esso testatore istituisca, ordina e fa di sua propria bocca nomina a se suoi eredi... li suoi figli dilettissimi legati e sono Angelo, Franco, Pasquale e Pietro d’Agostino, sopra tutti, e qualsivoglia suoi beni, e tutto, e quanto mai ad esso testatore può spettare, e competere... Ite vuole, ordina, e comanda, che dopo morte immediatamente detti suoi eredi infracsritti siano tenuti stabilire, e fondare un capitale di Docati dieci quale si deve ippotecare, e deve rimanere in fondo di Legato Log.a La Massaria con terra ttorno, oppure di suoi eredi insuddetti prenderanno detti Ducati Dieci da sopra la valuta di detta Massaria, e di li consegneranno alla Cappella del SS.Rosario, oppure la medesima Cappella stabilisce detto capitale sopra la detta Massaria alla ragione dell’otto per cento, che ne cadono Carlini otto...
Gli ultimi tre fratelli abbiano a stare di amore, e consenzo, e non già in lite, e controversie con l’altro fratello il primogenito; sopponendogli, che detti fratelli volessero muover qualche lite ingiusta allo primo loro fratello, circa la loro eredità; altrimenti esso testatore l’esclude dall’eredità...
Infine Mastro d’Agostino ricorda ai fratelli che debbono mariatre le quattro sorelle con una dote, di 72 Ducati ciascuna, in denaro o terra. Infine nomina la moglie usufruttuaria dei beni mobili e stabili, tenuta a prendersi la quarta parte delle sue doti, ricordando ai figli di dividerli solo se Carmina passasse sull’altare per nuove nozze, o pure morisse. Item, avendolo io interrogato, se volesse lasciar qualche cosa al Serraglio, seu albergo de Poveri stabilito da Sua Altezza in Napoli, ha disposto non voler niente lasciare.
Nella seconda metà del 1700, dunque, la famiglia d’Agostino, anzi Agostino come viene detta nei documenti più antichi, era già divisa in diversi rami, presumibilmente provenienti dal ceppo di Tufo. In ogni caso nel Catasto Onciario di Torrioni compare in due rami di masto fabbricatore e masto muratore.
Erano diversi gli abitanti di Torrioni che possedevano terre anche a Toccanisi nel 1750 circa. Alcuni torrionesi del feudo del Signor Camillo, del resto legato a Toccanisi, non è che si erano già trasferiti, ma erano rimasti ai Camilli territorio di Toccanise. I Ferraro, per esempio, sono già signorotti con Sabato che fa il sindaco come risulta da quell’Onciario.
Seguiamo l’atto, in Dei nomine amen, così come comincia: Die decima secunda mes Ianuariij seste indij vero millesimi septi centesimi quinquagesimi ottavi in Terra Petre Fusis Feudi A.G.P. et ppe in loco ubi dicit Venticano. A richiesta fatteci in nome e per parte dei Magnifici Ciro Frisella e Silvio Musetta attuali Amministratori dell’Università di Terra della Pietra de’ Fusi Feudo A.G.P. ci siamo conferiti noi infrascritti notare Donato Leo della Terra di Torrojoni, notare Luca Luciano e notare Saverio Luciano ambe due della Terra d’Altavilla, tutti e tre della provincia di Principato Ultra, nella suddetta Terra della Pietra de Fusi e di là nel luogo denominato Venticano.
Essendo saliti su del campanile dell’unica chiesa ivi sita d’ispezione dell’unica campana ivi sostenuta, e pendente da tre legni, insieme col regio agrimensore notare Nicola Nisco di Santa Agnese, abbiamo con propri occhi veduto nella parte superiore un segno di croce + rilevante sul piano del metallo con verso di lettere ugualmente rilevante con queste parole.
Santa Maria De Venticano Abbate Iacobo De Leo ed un altro verso inferiore dettante Anno Domini mcccccxxxxxxxii (1572) ed in mezzo d’essa un’immagine di rilievo della Vergine Nostra Signora col Bambino in braccia il quale tiene in una mano un giglio; ed avendo misurata l’altezza di detta campana l’abbiamo ritrovata di palmi uno ed un terzo, e la rotondità del labro, ò bocca della medesima di palmi tre ed un quarto, ed in testimonio del vero del causa...

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INDICE

Presentazione di Gennaro Scognamiglio

1
Il feudo di s.martino a solopaca,
GAMBATESA del MOLISe
E VENTICANO DI m.VERGINE

2.
LA RIFONDAZIONE del nuovo sanNIO
BENEVENTO RIPARTE dopo il sisma
coi 29 PAESI del 1348, poi VENTICANO

3.
LA RInascita della terza venticano
l’ultimo casale del paese fondato
dai coloni verginiani

4.
La furia della natura
fa lutti e rovine nel 1656
con la peste e i terremoti

5.
I mestieri scomparsi
nei comuni federati
e Casale Campaniariello

6.
La rinascita con il municipio
nasce il comune autonomo
istituito nell’anno 1948

APPENDICE DOCUMENTARIA
N.1
Abbazia e monastero di S.Maria a Venticano
I beni dellA PRIMA fondazione scomparsa
DI ANNALISA BARBATO
APPENDICE DOCUMENTARIA
N.2
S.Maria a Venticano NEI DOCUMENTI
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO
DI SABATO CUTTRERA

Bibliografia

Le note sono contenute all’interno del testo.