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LOCO SAN MARTINO DEI LONGOBARDI E L’OPPIDO DI SAN MARTINO RIFONDATO NEL 1348 DAI MIGRANTI, I FEUDI DI SOLOPACA GAMBATESA del MOLISE E VENTICANO DI MONTE VERGINE VERGINE
La domanda a cui manca ancora una risposta definitiva è se la prima chiesa di San Martino dell’originaria Venticano fu nel verso della Montagna di Bonito, provincia di Apice e Ariano, o in quello della Montagna di Montefusco, derivazione dell’antico territorio di Prata Principato Ultra. Domanda alla quale si può rispondere se ci si riferisce a un luogo situato sul fiume Calore, anche se le San Martino di questa zona sono più di una.
Per esempio, nel 1700 ancora si diceva che appartenesse a Bonito la chiesa di San Martino dove fu rinvenuta una preziosa lapide letta dal Mommsen.
La lapide letta dal Mommsen contrassegnata dal n.1368, come riportato nel Cil IX, era dedicata da un marito alla buona memoria della moglie Gaia Eppia Tecia: è datata 12 gennaio, dopo il consolato di Petronio Massimo, del 444. E’ un’epigrafe ritrovata nei pressi della Chiesa di San Martino che si dice in territorio di Bonito nel 1784, pubblicata nel gennaio del 1785 dal Lupoli sul “Giornale enciclopedico di Napoli” e da altri autori (Antonio Salvatore, Aeclanum mille anni di storia, Edizioni L’amico del Terziario, 1982, Foggia). Fu invece solo vista nel museo l’epigrafe indicata col n.1377 del Cil libro IX, che recita della morte di Caelius Laurentius, lettore della santa Aeclesiae Aeclanensis. Ma è evidente che la compravendita ottocentesca delle lapidi, il museo sito in casa privata a Bonito che raccolse opere provenienti da tutta la provincia, poi in parte raccolte dal museo irpino, e altre vicissitudini non provano proprio nulla.
Dunque, anche se la chiesa di San Martino non è la stessa, fu comunque nei paraggi perchè sia Venticano che San Martino furono non lontano da Morroni di Bonito e, sempre, sul confine fra le proprietà del vescovo cristiano di Benevento e quelle del vescovo greco-bizantino di Ariano. Ciò non toglie che questi luoghi sono comunque collocati tutti ai piedi della Montagna di Montefusco e la San Martino in questione non può essere rappresentata dal vicinissimo paesello di San Martino Sannita. Questo a dimostrazione che i confini di 1300 anni fa erano da considerarsi più ampi, ma difficilmente oltrepassanti il fiume Calore dove sarebbe cominciato un altro “acto”.
Ancora oggi infatti è viva nella memoria storica il detto che nel territorio al di qua del fiume Calore abittassero nuclei familiari appartenuti ad una comunità diversa da quelle stanziatesi al di là del fiume. Il detto viene solitamente inteso come n’ato atto, cioè un altro Acto, quindi non rientrante nell’atto in questione, cioè in un ben determinato territorio che si dovette chiamare “atto” (=distretto, circoscrizione territoriale) fin dai tempi degli acta (Acto Lucerino, Acto Beneventano, etc…), che furono rifondati da Bernardo Deucio, inviato dal Papa a ricostruire nel Nuovo Sannio dell’ex Civitate Beneventana divenuta Urbe Benevento, i paesi dei popoli migrati dalla Capitanata dopo il sisma del 1348.
C’è poi il feudo di San Martino, dove insiste la prima Vetticano, che si confonde con quelli delle chiese costruite in successione nel nuovo Sannio, ossia il Principato Ultra, ex Ducato Beneventano. Prima di ogni altra ipotesi che accomuna i paesi della Valle Caudina con quelli della Valle di Campobasso sarà preferibile analizzare meglio i toponimi. Non a caso il Catalogo dei Baroni, retrodatato al 1096, parla di una Valle Gauda e di una Valle Gaudina in un altro luogo del medesimo territorio. Moltre sciocchezze infatti potrebbero cadere studiando meglio la rivoluzione migratoria avvenuta dopo il sisma, la peste e l’invasione ungherese del 1348, quando molti paesi vennero ricostruiti e ben 29 furono proprio quelli del Partenio, come risulta da una bolla del 1348, quando l’inviato del papa di Avignore, Bernardo Deucio, rifondò l’arcidiocesi di Benevento e questi 29 paesi che non estevano più nei luoghi originari e furono riedificati dove li vediamo, da Montesarchio a Sant’Angelo a Scala.
Il 28 e 30 aprile 1348 Papa Clemente VI scrisse subito all’arcivescovo Balduino Treverense dell’Oppido Aquensi, Aquensis o Aquense che rappresenta la Leodiensis Diocesis, cita la vacazio dell’Imperio Romano per la morte di Enrico Imperatore e la seguente discordia con l’eretico Ludovico di Baviera, eretico e manifesto scismatico. Lo fece poi sapere anche agli elettori imperiali: l’Arcivescovo Gerlaco di Civitate Maguntina, nelle vicinanze della Parte Incolis al vescovo Diaconense, al vescovo Coloniense che sono i quattro grandi elettori dell’Imperio Romano. Poi avvisa Re Carlo nella sua sede di Civitate Argentinensis il 4 agosto 1346 dell’invasione del Regno Romano super Alveo Reni, facendo Carlo, primogenito di Giovanni Re di Boemia divenuto cieco, da marchione della Moravia a Re dei Romani. Facendo pace il 23 agosto con il Re di Francia ed Inghilterra.
Dilectis filiis nuiinri. si-abiiiis, consilio ot communi ojiidi .i|uensis Leodiensis diocosis. 25 novembre Clemente VI scrive a Betrando.
Nel 1350, Clemente VI, quando Bertrando Decio fu Cardinale e Legato apostolico, la sua Metropolia si ridusse al Girone di Benevento, quando si fa nascere la nuova Regione di Benevento, con 27 Oppidi che si dicono essere quelli antichi. Al Cardinale della Regione di Benevento appartenne il vescovo di Nola e la vecchia Diaconia, ma la Capitale fu Stabia.
Nel 1350/51 era nata la Regione Beneventana dell’antipapa Clemente VI, come ebbe modo di confermare il cardinale legato apostolico Bertrandum di Deucio, il quale, su diligenti informazioni, rimise gli antichi limiti al territorio che comprese 27 Castrum, cioè Oppidi, e relativi casali. Si tratta di un circondario che gira intorno a Benevento come un “Girone” in cui rientrano quasi tutti i palazzi a suo tempo costruiti da Federico II di Svevia e comunque sono tutte abbazie feudali amministrate dal Cardinale e alle dirette dipendenze dell’antipapa.
Hofmann, Johann Jacob (1635-1706): Lexicon Universale. Clemens Papa VI. Legatum misit Bertrandum Cardinalem Deucium, a quo habitâ omnium diligenti informatione et antiquorum limitum, terminos Territorii Beneventani sic definivit diplomate Pontificiôm quod servatur in Archivo civitatis; estque huius tenoris: Urget nos Apostolicae servitutis etc. ex certa scientia limitamus per modum et terminos infrascriptes, In primis Castrum Pontis inhabitatum, et inde ascendere Castrum Casaldoni, Castrum Campi lattari, Castrum montis Leonis, Castrum Sancti Severi, Castrum Fragneti Monfortis, Castrum Fragneti Abbatis, Castrum Sancti Georgii Molendinaria, Castrum Sancti Andreae de Molinaria, Castrum petrae maioris, Castrum Paduli cum suo suburbio, sive Casali Sancti Archangeli, Castrum montis mali, Casale Templani, Castrum Apicii cum casalibus, Castrum Moroni, Castrum Venticani, Castrum montis Militum, Castrum montis aperti, Castrum montis Fuscoli cum casalibus, Castrum Tufii, Castrum Altavillae, Castrum Cepalloni, Castrum Petrae Strumierae, Castrum S. Martini, Castrum Cervinariae, Castrum montis Sarveli, Castrum Tocci cum casalibus, Castrum Torregusii, cum casali Popisii et aliis casalibus. Volumus itaque etc.
Datum Avenione septimô Kalendes Iunilannô nonô, salutis autem 1350.Sicque territorium Beneventanum erat amplum; nunc autem ab Hispanis valde suit imminutum: complectiturque tantum in praesentia Castra S.Angli de Cupola, Mottam, Panellam, Montem Orsi, Maccolum, Sciarram, Pastenam, Balnearam, S.marci a montibus, S. Lucii, S. Angeli, et Francavillam; quae omnia vix 3. aut 4. milliaribus distat a Benevento.
1. In primis Castrum Pontis inhabitatum,
2. et inde ascendere Castrum Casaldoni,
3. Castrum Campi lattari,
4. Castrum montis Leonis,
5. Castrum Sancti Severi,
6. Castrum Fragneti Monfortis,
7. Castrum Fragneti Abbatis,
8. Castrum Sancti Georgii Molendinaria,
9. Castrum Sancti Andreae de Molinaria,
10. Castrum petrae maioris,
11. Castrum Paduli cum suo suburbio, sive Casali Sancti Archangeli,
12. Castrum montis mali, Casale Templani,
13. Castrum Apicii cum casalibus,
14. Castrum Moroni,
15. Castrum Venticani,
16. Castrum montis Militum,
17. Castrum montis aperti,
18. Castrum montis Fuscoli cum casalibus,
19. Castrum Tufii,
20. Castrum Altavillae,
21. Castrum Cepalloni,
22. Castrum Petrae Strumierae,
23. Castrum S. Martini,
24. Castrum Cervinariae,
25. Castrum montis Sarveli,
26. Castrum Tocci cum casalibus,
27. Castrum Torregusii, cum casali Popisii et aliis casalibus.
Volumus itaque etc. Datum Avenione septimô Kalendes Iunilannô nonô, salutis autem 1350.
Sicque territorium Beneventanum erat amplum; nunc autem ab Hispanis valde suit imminutum: complectiturque tantum in praesentia Castra S. Angli de Cupola, Mottam, Panellam, Montem Orsi, Maccolum, Sciarram, Pastenam, Balnearam, S. marci a montibus, S. Lucii, S. Angeli, et Francavillam; quae omnia vix 3. aut 4. milliaribus distat a Benevento.
Un privilegio di papa Lucio III morto nel 1185 già citava l’antico eremo della Croce sito nella Marca papalina di Francavilla. E’ locum Sancte Crucis in Marchia iuxta Francam villam, que antiquitus Eremus vocabatur, cum omnibus pertinentiis suis, terris, pratis, vineis et molendinis.
Altrove è detta Crucis in Marcia, qui antiquitus Heremus. vocabatur.
Per studi futuri alla ricerca della originaria San Martino sarà meglio seguire l’originario Castello dei Tocco di Montemiletto, che era un’urbe arcidiocesana, collocata altrove, prima del sisma, lungo la Via di Tufo, stando al geografo Muhammad al-Idrisi, senza mai più confonderla con la nuovissima rocca, cioè il castrum del casale anch’esso chiamato banalmente Tocco di Montesarchio, come un altro migliaio di campanili. Ma solo uno di essi fu un’ex città dei beneventani.
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