Description
QUESTO LIBRO SU GUARDIA SANFRAMONDI
Sono le storie di vita quelle che mi attraggono di più, le storie di quelle persone che vivono nell’ombra, ma che, discrete e forti, danno contributi importanti alla conoscenza e segnano il cammino dell’umanità. L’“incontro” accende la mia curiosità e apre la mente a mille domande, che piano piano catalizzano la mia attenzione e, ancor prima che me ne renda conto, diventano ronzio e poi pensiero. Come quando mi imbatto nella storia di qualche donna straordinaria, una di quelle donne complesse e complete, che, per un’antica e radicata tradizione culturale che le vuole ai margini, finiscono con l’essere troppo spesso dimenticate o addirittura cancellate dalla memoria collettiva. Mi prende allora il desiderio di scoprirne la personalità, di capire il contesto storico nel quale tanta bellezza è scomparsa e come ciò sia potuto accadere. Un battito d’ali di farfalla capace di scatenare un uragano nella mia mente, al punto che lo sforzo di riportarne alla luce la storia diventa scommessa. Comincio ad entrare nella storia lentamente, quasi per gioco, con il mio andare lento, prendendomi il tempo per le verifiche e anche per i ritorni, e a quel punto, mio malgrado, il coinvolgimento è già diventato motore inarrestabile. È quello il momento della penna! All’inizio la figura è evanescente, un‘ombra fuggevole che lentamente comincia a prendere corpo e si materializza come da un sogno, poi, via via che le notizie si aggiungono, quali pennellate di colore al disegno dai tratti leggeri, il quadro si delinea. Così, lentamente, per incanto, la storia diventa leggibile, come l’inchiostro simpatico delle antiche lettere d’amore, quando venivano passate al calore della fiammella. Infine, quando il lungo lavoro si conclude e la spinta emotiva pure, quasi sempre, emerge una figura che mi lascia sorpresa e mi convince che ne è valsa la pena. Questo lavoro dedicato alla ricostruzione della Storia di Guardia Sanframondi è invece un po’ anomalo, così come il modo in cui cominciò. Era una di quelle serate prenatalizie, con l’aria che pizzicottava le guance, ma non ancora fredda; la chiesa di S. Sofia risplendeva della magia delle luci soffuse che allungavano le ombre tra le volte inarcate e le antiche colonne romane. Nel silenzio di respiri trattenuti, risuonavano gli echi di antichissimi canti a cappella, che prendevano corpo sotto quegli archi longobardi e si levavano assottigliandosi in preghiere sublimi, nati lì, ancor prima che nascessero i canti gregoriani. Nella curva della piccola chiesa semicircolare, opposta alla mia, tra i volti noti, quasi sempre gli stessi, di una città di provincia, il sorriso e il cenno di un’amica, che in quel periodo era la Capo Delegazione del Fai di Benevento. Ci salutammo fuori. Il concerto di Canto Beneventano era appena terminato, ma le suggestioni aleggiavano ancora e l’atmosfera incantata tardava a fluire. Nel cicaleggio che sempre segue gli eventi, mi partecipò il desiderio che mi rendessi disponibile alla ricostruzione della storia dei numerosi tesori d’Arte della mia terra d’origine, per metterli in mostra nella vetrina delle “Giornate FAI di Primavera” del 2018. Le dissi subito di sì, come al colpo di fulmine di un innamoramento giovanile. Cominciai a raccogliere le notizie, un po’ per gioco, un po’ per scommessa, un po’ per curiosità. Sulle prime continuavo a mantenere un goliardico atteggiamento di dovere, che oscillava tra l’impegno assunto e una sorta di amore per le radici. Mi sembrava, tuttavia, che tutto questo mi conducesse lontano dalle mie solite passioni, che già si stavano coagulando in un un’altra direzione. Provai a cercare qualche figura femminile di rilievo, che potesse aver contribuito alla realizzazione di tanta bellezza, che però non emerse. Eppure provavo la stessa tensione emotiva di quando mi scattava dentro la molla della curiosità. Continuai a cercare, ma in nessuno dei vari periodi storici, che via via mettevo insieme, emergeva una figura di donna che mi potesse sembrare significativa o che almeno potesse essere ricordata. Tutti i periodi, però, via via che li attraversavo, trasudavano del contributo, intriso di sacrificio, che “l’altra metà del Cielo” aveva offerto silenziosamente alla crescita dell’intera comunità e allo sforzo costante, teso alla tutela delle tradizioni e alla trasmissione della cultura di quella Civiltà, che le donne avevano compiuto. E ho capito! Ho capito che quella Terra era tutte le sue donne e che il racconto di quella “Terra” era quello di tutte le sue donne silenziose, che si incarnavano nella figura femminile più arcaica, quella venerata fin dalle religioni antiche. Era dedicato alla divinità primordiale, il cardine di ogni religione, era dedicato alla donna-femmina e alla sua essenza più potente, alla sua forza generatrice mistica e misteriosa, quella che è all’origine stessa della vita, che genera tutte le forme viventi, che accoglie e che nutre, e con esse si identifica. Era dedicato alla Terra-Madre, alla mia Terra di origine: la “Terra” di Guardia Sanframondi dove sono nata, dove affondano le mie radici, perché da lì traggono origine i miei maggiori. Ho capito che questa ricostruzione storica “doveva” nascere, nel sentimento di riverenza più totale, perché obbediva all’altro sentimento, più atavico, della necessità di recuperare la storia delle origini.
Angela Iacobucci
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