ISABELLE DE LORRAINE. Isabella d’Angiò di Lorena

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10 anni sul trono di Napoli di Isabella di Lorena al posto di Renato d’Angiò

Convinti del successo, i consiglieri napoletani avevano mandato sette nunzi (Di Costanzo dice solo tre: Lanzillotto Agnese, Gualtiero Galeotto e Cola Venato) a sollecitare Re Renato d’Angiò a prendere possesso del trono ma, diretti in Provenza, ebbero la nuova che fosse prigioniero del duca di Borgogna. Dal canto suo, Re Alfonso, nonostante fosse anch’egli ostaggio dei Milanesi, si sentiva forte per l’operazione fatta dal borgognone, convinto di aver bloccato il nemico angioino. Non calcolò però che i piccoli Giovanni (poi duca di Calabria) e Luigi (poi marchese di Piemonte), figli dell’imprigionato sovrano, sebbene avessero solo dieci e nove anni, sarebbero ugualmente partiti sotto la tutela della madre insieme ai messaggeri napoletani. Isabella era pur sempre un’abile governatrice, nonché Duchessa di Lorena, Contessa e titolare di altri stati provenzali.
Così Arienti: — In fra l’altre dote et gratie de natura, hebbe ne lo acquistare el regno di Neapoli et quello gubernare grandissima prudentia et virtute, per modo non poco splendore giunse alla serenità del suo sangue, come narraremo in gloria de tanta donna.18
Non avendo, fra Lorena e Provenza un titolo regio, Isabella e figli furono pronti a salpare per occupare il trono partenopeo. Una decisione che i familiari di Re Renato non presero di propria iniziativa, ma perché convinti dai baroni ad accettare l’invito che gli veniva dalle Calabrie (eredità di Luigi III riconosciuto duca in quel di Cosenza), come da Napoli (successione al trono di Giovanna).19
Così Arienti: — Se debbe duncha cum atentione intendere, che essendo orbato el regno de Neapoli de reali principi per la morte del re Aloise et de la regina Joanna secunda, li baroni de regno tuti concordi mandarono per il re Rainero già fratello del re Aloise secundo, che se diceva juridicamente succedere in la heredità del regno.20
Isabella, sentendo andare il Re suo consorte ad le bergognone carcere, come valorosa regina et de non manco animo de la regina Dido quando fugitte de le parte de Tyrro, per essere morto Sicheo suo caro marito da Pigmaleon suo fratello, se pose senza dimora cum el duca Zoanne suo unico figliuolo et cum molti proceri et gentilhomini anzoini.21
Con la presenza dei figli, convinta da fidati cavalieri, Isabella mandò in nave et voltando la prode et alciando le vele al prospero vento se transferite ad Neapoli, dove fu facta regina, et del regno sola gubernatrice. Havendo la reale donna tanto titolo aquisito, come humanissima et prudente, affidò il regno nelle mani dei Napoletani, perché sopra ogni altra cosa estimava degl’homini la virtute, e non parse a lei honesto, che una femina sola dovesse regere tanto regno.22
La famiglia reale ebbe quindi la procura di Renato di prendere le robe e l’eredità, e con quella si aiutassero a mantenere il regno; e ma poco ce ne trovò. Sbarcata a Gaeta con quattro galee provenzali, ringraziati i Gaetani e preso possesso del castello preservato da da Ottolino Zoppo, Isabella li ringraziò e lasciò Lanzillotto Agnese a governatore. Poi, allestite tre galee e una galeotta, approdò a Napoli il 18 ottobre, ricevuta dal conte di Nola, fatto governatore-vicario dai magnati-reggenti della magna corte. La ricevettero con grandissimo onore addestrandola sotto il pallio, come vera Regina. Il conte di Nola ch’era Viceré, e stava sulle nubi, e mezzo sollevato. Ma come la Regina giunse a Napoli, venne esso subito, e fu il primo a riceverla, presentarle e giurarle omaggio, seguito da quasi tutti i nobili e dai rappresentanti delle città demaniali. Era molto lodata, eccellente, e savia donna: con gran virtù, e bontà, governò finché il suo marito fu prigione, ed acquistò gran benevolenza nel regno.23
Così il poeta: — ‘O Ixabella sanctissima regina quanto sei degna de sempiterna laude per quelle tre beate geme che te ornarono al mondo, et per molte altre virtute, che in te regnarono!24
Giunta la Regina nella capitale, Re Alfonso, sconfitto a Ponza e persa Gaeta, fu liberato dopo aver fatto pace e poi stretto lega col duca di Milano.25

Description

Napoli eredità di Giovanna II, le Calabrie di Luigi III

Moglie di Re Renato d’Angiò, gli subentrò durante la sua prigionia e divenne Regina di Napoli per decisione dei reggenti istituiti dalla defunta Giovanna II. Sbarcata a Gaeta e fu accolta in festa a Castelcapuano, sedendo sul trono affiancata dal vicario Orsini e dai vicerè Caldora e Cotignola, delle due regioni di Calabrie e Abruzzi, comprendenti le diverse province del regno. Aiutata dal papa a ristabilire l’ordine sobillato dalle truppe dell’antagonista Re Alfonso, fu magnanima e pianse la morte del fratello Pietro l’Infante. Isabella di Lorena restò solo otto anni sul trono, ma fu amata e piacque per la sua serietà. Ricordata nelle canzonette napoletane per aver perso i baroni di Puglia e Basilicata, viene presentata come una Regina equa e giusta,rappresentata finanche nelle commedie popolari. Re Alfonso la riporterà in Provenza, a godersi il Rinascimento incubato a Napoli, chiamando a corte maestri, musicisti e pittori per meglio rivivere i canti popolari e i balli della Pastorella provenzale così simili a quelli delle novene napoletane. Renato fu costretto alla famosa fuga sul Partenio di Montevergine, mangiando uova arrostite e fegatini beneventani.
Dopo i bagordi di Giovanna II, sotto Isabelle de Lorraine, italianizzata in Isabella di Lorena, fu serioso rivedere a Napoli una regina che alle vesti pompose preferiva abiti neri. Pare lo facesse in seguito al rapimento del re consorte, Renato d’Angiò, messo sotto chiave dal duca di Borgogna per alcune pretese sul ducato di Barry e anche per fare un piacere ad Alfonso d’Aragona che pretendeva la successione al trono partenopeo.
Isabella restò poco a Napoli, dal 1435 al 1440, ma venne riconosciuta come una sovrana degna, descritta in tre parole, regina, giustizia e grazia, che l’accompagnarono fino al ritorno in patria, quando si rivide nelle sue vesti abituali sfoggiate nel corso dei tanti festeggiamenti popolari che diede in Provenza, dopo la ritirata annunciata da Re Renato (1442).1
Così il poeta: — Essendo ne la flebile doglienza de gentilhomini recordato, che a lei fu decto dovesse come regina suntuosamente vestire, perchè de panni neri vestiva, lei respose che non convenia andare cum liete et pompose veste per la captura del re suo marito.
Isabella piaceva ai napoletani e ai napoletani piaceva Isabella: da l’altra parte li suoi apetiti furono sempre alieni da sumptuosi abiti, fogie et portamenti, perchè non poteano generare se non lasivia, vanitate et male exemplo. Gli unici segni di riconoscimento regale furono perciò quelle tre gemme: ben satisfacea, che andava vestita de tre gemme le quale la faceano sopra ogni altro ornamento pomposa et radiante. La prima gema era il titolo de la regina concesso da Dio; la seconda gema era la iustitia del regno; la terza gema era la gratia di populi. Come finì poi a sovrana amata dai napoletani questa Isabella di Lorena è facile da spiegarsi. Tutto cominciò per la morte della Regina Giovanna II, ultima di Casa Durazzo.
Nel suo testamento tenne a precisare di aver fatto suo erede Renato Duca d’Angiò e Conte di Provenza, fratello del defunto Luigi III al quale aveva promesso la corona in successione. Una parte del testamento di Giovanna II, fatta imprimere dal Tutini nel suo Trattato dei Contestabili del Regno, basava il lascito della Regina quod bona memoria Dominus Papa Martinus V per quasfam Bullas Apostolicas olim concessie clara memoria Domino Ludovico III Calabrie, e Andegaviae Duci, ipsius Reginalis Majestatis consanguineo, e ejus filio arrogato, e ejus fratribus haredibus, e successoribus hoc Regnum Siciliae post ipsius Reginalis Majestatis obitum.
Quindi le pretese di Alfonso d’Aragona, riferite ad un precedente testamento a suo favore, erano del tutto vane, essendo dirette esclusivamente agli eredi di Luigi d’Angiò, e perciò cotestate dai baroni: nec non noscens omnes Regnicolas ejusdem Regni affectos, intentos, e inclinatos velle unum ex germanis fratribus dicti q. Domini Ludovici in Regem, e quod si secus fiert, vel evenerit, fieri non posset absque maxima aspersione sanguinis, miserabilisque clade, e strage, e finaliter calamitate, e destructione hujus Regni. Nel testamento si faceva volontà di trasmettere il trono a Re Renato, signore di Bar le Duc.
Così nel testamento—Nec minus e confiderans, quod Serenissimus, e Illustrissimus Princeps Dominus Renatus Dux Bari, e ipsius Majestatis Reginalis consanguineus, prefatique quondam Domini Ludovici germanus frater ab inclita, e Christianissimo Regia Stirpe domus Franciae, sicut ipsa Reginalis Majestas, suam claram trahit originem; volens prefatis futuris scandalis tacite providere, e salubriter obviare… successore in hoc Regno Siciliae.
Perciò, per la tranquillità dell’interregno e dei reggenti, Giovanna aveva lasciato i 500.000 ducati in beneficio della città, affinché continuasse ad essere fedele agli Angioni, ordinando che dodici eletti, scelti fra baroni consiglieri e cortigiani, governassero il regno fino alla venuta di Renato.2
Fra i deputati eletti v’erano il conte di Nola Raimondo Orsino, il valoroso uomo d’armi conte di Caserta Baldassarre della Rat[ta], il conte di PulcinoBuccino Giorgio della [Ale]Magna, il conte di Montedorisi Perdicasso Barrile, il conte di Nicastro Ottino Caracciolo dei Rossi col titolo di Gran Cancelliere, Innico d’Anna a Gran Siniscalco, i nobili Giovanni Cicinello del seggio di Montagna e Urbano Cimmino del seggio di Portanova, e Taddeo Gattola di Gaeta.3
L’Anonimo, senza fare nomi, aggiunge che vi furono altri cortigiani rimasti fedeli a Giovanna II, come messere Marino Boffa, fatto rientrare nell’elenco da Fra Luigi Contarino, con Gualtiero e Ciarletta Caracciolo Rossi compresi.4
Renato d’Angiò divenne quindi erede di fatto del regno di Sicilia Ultra in Napoli e, nell’attesa della sua venuta, quattro giorni dopo la morte della sovrana, i napoletani, portarono a venti il numero dei baroni eletti a deputati, aggiungendovi quelli della Bagliva, da affiancare ai consiglieri regi, i quali, su ordine del Consiglio, fecero alzare in tutto il regno le bandiere di papa Eugenio e di Re Renato.5
Certo, per la reggenza momentanea del governo, bastavano i reggenti, ma furono essi stessi, dubitando che tal reggimento non si convertisse in tirannia, ad aggiungere gli altri balj del regno per deliberare di notificare la successione a Re Renato per mano di tre nobili partiti per via mare. Nel mentre, in caso di attacco aragonese, si sarebbero difesi affidandosi a Giacomo Caldora, al quale diedero denaro per assoldare gente d’armi e contrastare le insidie provenienti dai partigiani di Re Alfonso dell’Isola di Sicilia. Assoldarono altresì Antonio Pontudera, con 1.000 uomini a cavallo, e Micheletto da Cotignola con altri 1.000 cavalli. E così ressero il regno, forse nominando l’Orsini conte di Nola a governatore della città, cioè sub regimine illustrium Gubernatorum relictorum per Serenissimam Reginam Joannam clara memoriae, in attesa di Renato.6
A Giacomo Caldora, famoso condottiere duca di Bari e marchese di Vasto, furono dati solo 4.000 ducati, che andò a prendersi non curante di poter morire a causa del diffondersi dell’epidemia che in pochi giorni infestò la città.7
In fondo, i 500.000 ducati incamerati dalla Tesoreria, dovevano servire solo in caso estremo, cioè per ridurre all’obbedienza, o comunque nella fede di Renato, eventuali baroni ribelli, prevedendo le pretese dei Catalani che disturbavano le coste dell’Italia da tanti anni e che già avevano a suo tempo costretto la Regina Giovanna I a svendergli l’Isola di Sicilia, finita in regno di Trinacria e facendo ufficializzata da una serie di papi e antipapi.
Dal canto suo, borbottava anche il pontefice di Firenze, Eugenio IV, ricominciando a sostenere che il regno di Napoli fosse feudo della Santa Romana Ecclesia e, in osservanza dei patti stipulati tre secoli prima coi Normanni, toccava a lui governarlo per poi affidarlo al nuovo Re di Puglia.
Ovviamente ebbe il diniego dei consiglieri reggenti, i quali, fin dai tempi di Re Ladislao, avevano dato vita alla magna curia dei grandi uomini del regno, grazie alla quale, con o senza placet papale, i magni della signoria di Napoli si fregiavano ugualmente del titolo reale da affidare ad un Magnanimo, essendo andata distrutta più volte Barletta, antica Barulo, capitale del regno di Puglia fin dalla morte di Roberto Il Guiscardo che vide distrutto il trono della sua Salerno.
Perciò, accettato dai magnati, il testamento di Giovanna II confermava agli Angioini il diritto (appartenuto loro dai tempi di Giovanna I) di muovere guerra agli Aragonesi. E questo lo sapeva bene anche papa Eugenio, che aveva già investito gli avversari del titolo di Re di Sicilia, la qual cosa provocherà lunghi anni di guerra civile fra i pretendenti di Napoli e quelli di Palermo, cioè della penisola di Sicilia Citra e dell’isola di Sicilia Ultra.
Né l’appoggio a Re Renato, sovrano prima protetto e poi abbandonato dal papa, sarà eterno, anzi, non durerà neppure dieci anni, preferendo lo stesso sovrano tornare in Provenza dopo aver provato in tutti i modi a riunire i baroni.
Un accordo con Re Alfonso lo convincerà a lasciare Napoli, abdicando inutilmente in favore del figlio Giovanni, ponendo egli stesso fine alla signoria partenopea degli Angioini dopo 177 anni e lasciando all’obbedienza aragonese i feudatari dei viceregni regionali nei 70 anni che ne seguirono.8

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Editorial Review

Una sovrana casta e pura: l’opposto della precedente

 

Isabella piaceva perché era diversa dalle altre sovrane e dalla stessa Giovanna che l’aveva preceduta con gran fama di essere troppo legata all’amore per i suoi cavalieri, dei quali spesso si era innamorata.33
Ella non facea come alcune regine, duchesse et comitesse, overo quelle, che vogliono il titolo de l’alte matrone, le quale o per lasivia, o per sensualità usano costumi et parole puerile et a le volte bestiale, così nel stare in camera lasivando, come nel mangiare, et sì come nel dormire, parendo a loro per la sua fortuna tali costumi et vita convenirsi.
Nessun ammiccamento, dunque, con i consiglieri, né con i condottieri, al contrario delle sovrane del suo tempo, considerate lascive in ogni cosa, per bestiale loro estimatione, che non pensano che quanto la persona è più excelsa et de generosità splende, tanto più vituperevole sono in loro li vituperosi costumi, et flagitii, come le machie ne la candide veste! Et tal cum loro de sue lasività se ride per piacerli, che dipoi ne fa scherno doppo loro, judicandole impudiche; ma vivendo cum splendore de sancti costumi et virtute fin a li angeli è forza cum dilectione honorarle nel cielo. E dopo l’elogio alla sovrana, dice Arienti, circa ciò più non mi voglio extendere lassando la hystoria per scrivere satira. Basta sapere, anzi credere duncha se debbe, che Ixabella fu regina de dignissima luce nel vivere reale.34
Isabella accettò anche messer Micheletto da Cotignola a viceré delle Calabrie e presto lo spedì in quelle Terre, affiancato dal giovane secondogenito Luigi, marchese di Piemonte, che lo seguì con l’armata per via mare, e ridusse tutta la Calabria a devozione del padre, eccetto che lo Sciglio, cioè a meno della Calabria ulteriore di Scilla, nell’area di Reggio, roccaforte dei catalani dell’Isola di Sicilia. Non rimase a guardare il Re d’Aragona, liberato dopo essere sceso a patti col Duca di Milano, pronto ad inviare il principe di Taranto e il fratello, Pietro l’Infante, a disturbare le province del regno.35
Così Arienti: — In questo tempo duncha sentendo il Re Alphonso che il Re Rainero era incarcerato et facto re de Neapoli et Ixabella regina dentro la citate, se ne venne nel regno de Neapoli cum florente armata marittima. Et asoldati molti baroni del regno incominciò turbare cum asprissime guerre el paese.36
Pietro d’Aragona sbarcò ad Ischia con 11 galee di catalani e, approfittando che gli Angioini avessero lasciato Gaeta per la peste, ebbe consegnata quella città nel giorno di Natale, essendo perito anche il savio e valoroso governatore Lancillotto Agnese. Re Alfonso raggiunse Capua (2 febbraio 1436) con molti signori, arrivando a schierarsi con gli Aragonesi anche molte città dell’Abruzzo, da Sulmona a Penna. Giacomo Caldora, guerreggiando contro le Terre del principe di Taranto, riuscì a riprendere solo Laviello che, per la sete patita, dopo 35 giorni di assedio, lanciando dalle mura donne e bestie morte, si arrese al duca di Bari.37
Era chiaro che non tutto il Regno fosse con Re Renato. Ad aprile del 1436 il principe di Taranto fece alzare le bandiere aragonesi nei territori che si riprese, facendo arretrare Caldora fino alla sua Bari.38
La Regina era nelle mani di Pippo e del Magnifico Raimondo Orsini junior, il parente campano di partito avverso alla linea dell’omonimo principe di Taranto, che aveva confermato (1436) a M.Justitiario Regno Siciliae, e jus Locumtenenti, necnon Regenti Magnam Curiam nostra Vicaria.39
Isabella fu una sovrana amabile, ma Raimondo fu pronto a tradire, dopo appena due anni, in cambio del titolo di principe di Salerno offerto dagli avversari aragonesi.
E’ Raymundo de Ursinis Nolano, et Palatino comiti già Magistro iustitiario Regni Siciliae consiliario collaterali sotto Giovanna II, da prima del 1422, quando requisì la Terra di Ottaviano che fu di Origlia, presenti il cancelliere Algiasio Orsini e il gran siniscalco Sergianni Caracciolo.
Raimondello junior di Nola, detto Romanello, fu sicuramente angioino dal 1422 al 1436, ma poco importò alla Regina francese, tutta tesa ad imprimere la serietà, più che la seriosità, in quella parte del regno che difendeva in nome del marito.40

A fine 1437, Re Alfonso d’Aragona era di nuovo a Taranto con Giannantonio, pronto ad assediare Napoli, dopo aver annesso tutta la Puglia e la Basilicata.55
Così Arienti: — Per la qual cosa Ixabella regina exitte virilmente cum florente exercito contro il suo inimico Alphonso non altrimenti facesse Tamiris regina de li Sitii possedetrice del regno loro quando cum feroce exercito li venne Cyrro per torli el regno, più presto perhò per gloria, che per accrescimento de imperio. Così duncha guerezando la regina Ixabella come fusse stata usa e perita ne l’arme et in molti lochi prosperando, in fine, come fortuna volse, che a belli principii voluntier contrasta, il re Alfonso prese la Puglia cum Basilicata.56
Per il poeta fu allora che si incominciò cantare quella cantilena che si diffuse in tutto il regno:
— Per Dio non mi chiamate più Regina
chiamatime Ixabella sventurata.
Haio perduto Capua gentile,
la Puglia piana cum Basilicata.57
Ma non pare che le varianti alla canzonetta fossero riferite alla sola Regina di Lorena in quanto appaiono adattate a tutte le altre principesse sventurate che ebbero per nome Isabella:
— Nu’ mme chiamati cchiui donna ‘Sabella,
chiamatime Sabella spenturata;
foi patruna de trentatrè castella,
de Puglia chiana e de Basilecata.
— Poera mme puei chiamare, nu’ rubella,
poera ca mme ‘oze la fortuna;
la puei truare cchiù ricca e chiù bella,
fidele comu a mmie nu’ trei nisciuna.58
La filastrocca, nel corso degli anni, ebbe numerosi adattamenti, finendo col rappresentare la fine di ogni dinastia:
— Povera mi potete chiamare non rubella,
ca mme lassao la fortuna ingrata;
na sera me misi in una varcuscella,
la matina mme trovai necata.
Non mancando alcuni di cambiarne anche il nome in Aurora e il cognome in Sabella.59
— Non songo Aurora chiù non sò chiù chella,
songo na pellegrina sfortunata;
non me chiamate chiù Donna Sabella,
ah! menicò, menicò, menicò,
chiammateme Sabella sbendurata.
Vi fu perfino chi indicò la sepoltura, alla destra della chiesa di Bari, dov’era un sarcofago della donna vestita di bianco.60
A molti piacque giocare sulla figura di Isabella, essendo una regina molto vicina al popolo, perciò finita nelle cantilene e, a quanto pare, anche in alcune rappresentazioni teatrali.
Alfonso inveì violentemente verso le truppe napoletane, con sommo rammarico della Regina che a stento riuscì a tenergli testa coi suoi cavalieri. L’assenza di Renato si faceva sentire e perciò chiese aiuto ai nobili francesi di intercedere presso il Duca Filippo III di Borogna per la liberazione del marito.
Così Arienti: — Ella guerezando molti anni cum grande valore et ardire, pregò tutti li principi e signori di Franza, che per lei intercedesseno la liberatione del suo consorte il re Rainero dal duca Carolo de Bergogna.61
Secondo altri fu la stessa Isabella ad inviare una spedizione armata per liberare il marito e ad queste intercessione esso duca lassò el Re. La liberazione ebbe un prezzo. Il 28 gennaio 1438 René escì dalla prigione di Digione in cambio delle signorie di Cassel e di Bois de Niepe, situati nelle Fiandre, come gli avrebbe confermato la regina madre, Iolanda di Sicilia.62
La notizia giunse ad aprile e il prezzo del riscatto si quantizzò in 100.000 ducati, associati alla restituzione della dote della figlia del duca di Savoia, rimasta vedova del defunto fratello Luigi III.63

Ciò che importava ad Isabella era che il Re giungesse presto a Napoli. L’effimera felicità ricordata nelle canzonette, assume invece il valore di giustizia nei drammi d’amore, così come nelle rappresentazioni teatrali di metà Ottocento, che restituiscono alla Lorena la giusta luce di sovrana equa. Una commedia ambientata in Calabria, nel feudo del duca d’Alvidona e in parte a Napoli, nell’aula magna di Castelcapuano, ridà tono alla regina-popolare. Essa porta in scena, fra Frascarola e Danza dei contadini, anche i balli popolari di coppia, quelli con passo a quattro, che assomigliano tantissimo alle danze che Isabella darà in Provenza dopo il suo ritorno a casa.
Snocciolando la rappresentazione a lieto fine, divisa in tre epoche, si ricava anche qualche cenno storico sullo sfondo, sebbene incentrata su un dramma d’amore. La prima epoca (parte unica), La Caccia, è ambientata in Calabria, casa del taglialegna Giulio che amava la sua Lucia. Calato il sipario, si riprende con la seconda epoca (tre parti) Nozze interrotte, divisa in tre parti: La casa di Biagio, Il Castello del duca e La spiaggia. La commedia è basata sulla storia d’amore dei giovinetti che subirono la prepotenza del duca, anch’egli promesso sposo, ma alla figlia del vicerè dell’Abruzzo.