Description
Napoli eredità di Giovanna II, le Calabrie di Luigi III
Moglie di Re Renato d’Angiò, gli subentrò durante la sua prigionia e divenne Regina di Napoli per decisione dei reggenti istituiti dalla defunta Giovanna II. Sbarcata a Gaeta e fu accolta in festa a Castelcapuano, sedendo sul trono affiancata dal vicario Orsini e dai vicerè Caldora e Cotignola, delle due regioni di Calabrie e Abruzzi, comprendenti le diverse province del regno. Aiutata dal papa a ristabilire l’ordine sobillato dalle truppe dell’antagonista Re Alfonso, fu magnanima e pianse la morte del fratello Pietro l’Infante. Isabella di Lorena restò solo otto anni sul trono, ma fu amata e piacque per la sua serietà. Ricordata nelle canzonette napoletane per aver perso i baroni di Puglia e Basilicata, viene presentata come una Regina equa e giusta,rappresentata finanche nelle commedie popolari. Re Alfonso la riporterà in Provenza, a godersi il Rinascimento incubato a Napoli, chiamando a corte maestri, musicisti e pittori per meglio rivivere i canti popolari e i balli della Pastorella provenzale così simili a quelli delle novene napoletane. Renato fu costretto alla famosa fuga sul Partenio di Montevergine, mangiando uova arrostite e fegatini beneventani.
Dopo i bagordi di Giovanna II, sotto Isabelle de Lorraine, italianizzata in Isabella di Lorena, fu serioso rivedere a Napoli una regina che alle vesti pompose preferiva abiti neri. Pare lo facesse in seguito al rapimento del re consorte, Renato d’Angiò, messo sotto chiave dal duca di Borgogna per alcune pretese sul ducato di Barry e anche per fare un piacere ad Alfonso d’Aragona che pretendeva la successione al trono partenopeo.
Isabella restò poco a Napoli, dal 1435 al 1440, ma venne riconosciuta come una sovrana degna, descritta in tre parole, regina, giustizia e grazia, che l’accompagnarono fino al ritorno in patria, quando si rivide nelle sue vesti abituali sfoggiate nel corso dei tanti festeggiamenti popolari che diede in Provenza, dopo la ritirata annunciata da Re Renato (1442).1
Così il poeta: — Essendo ne la flebile doglienza de gentilhomini recordato, che a lei fu decto dovesse come regina suntuosamente vestire, perchè de panni neri vestiva, lei respose che non convenia andare cum liete et pompose veste per la captura del re suo marito.
Isabella piaceva ai napoletani e ai napoletani piaceva Isabella: da l’altra parte li suoi apetiti furono sempre alieni da sumptuosi abiti, fogie et portamenti, perchè non poteano generare se non lasivia, vanitate et male exemplo. Gli unici segni di riconoscimento regale furono perciò quelle tre gemme: ben satisfacea, che andava vestita de tre gemme le quale la faceano sopra ogni altro ornamento pomposa et radiante. La prima gema era il titolo de la regina concesso da Dio; la seconda gema era la iustitia del regno; la terza gema era la gratia di populi. Come finì poi a sovrana amata dai napoletani questa Isabella di Lorena è facile da spiegarsi. Tutto cominciò per la morte della Regina Giovanna II, ultima di Casa Durazzo.
Nel suo testamento tenne a precisare di aver fatto suo erede Renato Duca d’Angiò e Conte di Provenza, fratello del defunto Luigi III al quale aveva promesso la corona in successione. Una parte del testamento di Giovanna II, fatta imprimere dal Tutini nel suo Trattato dei Contestabili del Regno, basava il lascito della Regina quod bona memoria Dominus Papa Martinus V per quasfam Bullas Apostolicas olim concessie clara memoria Domino Ludovico III Calabrie, e Andegaviae Duci, ipsius Reginalis Majestatis consanguineo, e ejus filio arrogato, e ejus fratribus haredibus, e successoribus hoc Regnum Siciliae post ipsius Reginalis Majestatis obitum.
Quindi le pretese di Alfonso d’Aragona, riferite ad un precedente testamento a suo favore, erano del tutto vane, essendo dirette esclusivamente agli eredi di Luigi d’Angiò, e perciò cotestate dai baroni: nec non noscens omnes Regnicolas ejusdem Regni affectos, intentos, e inclinatos velle unum ex germanis fratribus dicti q. Domini Ludovici in Regem, e quod si secus fiert, vel evenerit, fieri non posset absque maxima aspersione sanguinis, miserabilisque clade, e strage, e finaliter calamitate, e destructione hujus Regni. Nel testamento si faceva volontà di trasmettere il trono a Re Renato, signore di Bar le Duc.
Così nel testamento—Nec minus e confiderans, quod Serenissimus, e Illustrissimus Princeps Dominus Renatus Dux Bari, e ipsius Majestatis Reginalis consanguineus, prefatique quondam Domini Ludovici germanus frater ab inclita, e Christianissimo Regia Stirpe domus Franciae, sicut ipsa Reginalis Majestas, suam claram trahit originem; volens prefatis futuris scandalis tacite providere, e salubriter obviare… successore in hoc Regno Siciliae.
Perciò, per la tranquillità dell’interregno e dei reggenti, Giovanna aveva lasciato i 500.000 ducati in beneficio della città, affinché continuasse ad essere fedele agli Angioni, ordinando che dodici eletti, scelti fra baroni consiglieri e cortigiani, governassero il regno fino alla venuta di Renato.2
Fra i deputati eletti v’erano il conte di Nola Raimondo Orsino, il valoroso uomo d’armi conte di Caserta Baldassarre della Rat[ta], il conte di PulcinoBuccino Giorgio della [Ale]Magna, il conte di Montedorisi Perdicasso Barrile, il conte di Nicastro Ottino Caracciolo dei Rossi col titolo di Gran Cancelliere, Innico d’Anna a Gran Siniscalco, i nobili Giovanni Cicinello del seggio di Montagna e Urbano Cimmino del seggio di Portanova, e Taddeo Gattola di Gaeta.3
L’Anonimo, senza fare nomi, aggiunge che vi furono altri cortigiani rimasti fedeli a Giovanna II, come messere Marino Boffa, fatto rientrare nell’elenco da Fra Luigi Contarino, con Gualtiero e Ciarletta Caracciolo Rossi compresi.4
Renato d’Angiò divenne quindi erede di fatto del regno di Sicilia Ultra in Napoli e, nell’attesa della sua venuta, quattro giorni dopo la morte della sovrana, i napoletani, portarono a venti il numero dei baroni eletti a deputati, aggiungendovi quelli della Bagliva, da affiancare ai consiglieri regi, i quali, su ordine del Consiglio, fecero alzare in tutto il regno le bandiere di papa Eugenio e di Re Renato.5
Certo, per la reggenza momentanea del governo, bastavano i reggenti, ma furono essi stessi, dubitando che tal reggimento non si convertisse in tirannia, ad aggiungere gli altri balj del regno per deliberare di notificare la successione a Re Renato per mano di tre nobili partiti per via mare. Nel mentre, in caso di attacco aragonese, si sarebbero difesi affidandosi a Giacomo Caldora, al quale diedero denaro per assoldare gente d’armi e contrastare le insidie provenienti dai partigiani di Re Alfonso dell’Isola di Sicilia. Assoldarono altresì Antonio Pontudera, con 1.000 uomini a cavallo, e Micheletto da Cotignola con altri 1.000 cavalli. E così ressero il regno, forse nominando l’Orsini conte di Nola a governatore della città, cioè sub regimine illustrium Gubernatorum relictorum per Serenissimam Reginam Joannam clara memoriae, in attesa di Renato.6
A Giacomo Caldora, famoso condottiere duca di Bari e marchese di Vasto, furono dati solo 4.000 ducati, che andò a prendersi non curante di poter morire a causa del diffondersi dell’epidemia che in pochi giorni infestò la città.7
In fondo, i 500.000 ducati incamerati dalla Tesoreria, dovevano servire solo in caso estremo, cioè per ridurre all’obbedienza, o comunque nella fede di Renato, eventuali baroni ribelli, prevedendo le pretese dei Catalani che disturbavano le coste dell’Italia da tanti anni e che già avevano a suo tempo costretto la Regina Giovanna I a svendergli l’Isola di Sicilia, finita in regno di Trinacria e facendo ufficializzata da una serie di papi e antipapi.
Dal canto suo, borbottava anche il pontefice di Firenze, Eugenio IV, ricominciando a sostenere che il regno di Napoli fosse feudo della Santa Romana Ecclesia e, in osservanza dei patti stipulati tre secoli prima coi Normanni, toccava a lui governarlo per poi affidarlo al nuovo Re di Puglia.
Ovviamente ebbe il diniego dei consiglieri reggenti, i quali, fin dai tempi di Re Ladislao, avevano dato vita alla magna curia dei grandi uomini del regno, grazie alla quale, con o senza placet papale, i magni della signoria di Napoli si fregiavano ugualmente del titolo reale da affidare ad un Magnanimo, essendo andata distrutta più volte Barletta, antica Barulo, capitale del regno di Puglia fin dalla morte di Roberto Il Guiscardo che vide distrutto il trono della sua Salerno.
Perciò, accettato dai magnati, il testamento di Giovanna II confermava agli Angioini il diritto (appartenuto loro dai tempi di Giovanna I) di muovere guerra agli Aragonesi. E questo lo sapeva bene anche papa Eugenio, che aveva già investito gli avversari del titolo di Re di Sicilia, la qual cosa provocherà lunghi anni di guerra civile fra i pretendenti di Napoli e quelli di Palermo, cioè della penisola di Sicilia Citra e dell’isola di Sicilia Ultra.
Né l’appoggio a Re Renato, sovrano prima protetto e poi abbandonato dal papa, sarà eterno, anzi, non durerà neppure dieci anni, preferendo lo stesso sovrano tornare in Provenza dopo aver provato in tutti i modi a riunire i baroni.
Un accordo con Re Alfonso lo convincerà a lasciare Napoli, abdicando inutilmente in favore del figlio Giovanni, ponendo egli stesso fine alla signoria partenopea degli Angioini dopo 177 anni e lasciando all’obbedienza aragonese i feudatari dei viceregni regionali nei 70 anni che ne seguirono.8
15 reviews for ISABELLE DE LORRAINE. Isabella d’Angiò di Lorena
Non ci sono ancora recensioni.
Only logged in customers who have purchased this product may leave a review.