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S.Francesco de Paola nell’orto di S.Luigi alla Croce amato dalla Regina
Una notizia più allegra la si ebbe a febbraio, quando il cronista Passero, attesta il passaggo di frate Francesco di Paola, donde tutta Napole l’ei andata a basare la mano all’Horto de santo Loise in pede lo Pennino della Chiesa della Croce de fora Napole. San Francesco era partito da Paola il 2 febbraio 1483 e fece un lungo viaggio, come racconta il cronista.16
Il sant’uomo Fra’ Roberto, chiamato a corte dal Principe Carlo VIII, lasciò Paterno Calabro diretto a curare Re Luigi XI di Francia, gravemente ammalato.
Prima di mutare nome e diventare San Francesco di Paola, frate Roberto di Calabria, fu un eremita di gran fama, di buona e di santissima vita, e perciò da tutti chiamato il Santo huomo. In Francia era addirittura venerato dal Re, in honore del quale Carlo ottavo suo figliolo fece poi edificare un tempio nell’entrata del parco della Città di Tours in contracambio della Cappella ch’era nell’estremità del ponte vicino à sudetto parco.
Partito per il lungo viaggio e giunto nel Vallo di Diano, l’eremita fece sosta a Polla e poi all’abbazia di S.Maria la Nova di Campagna, indi a Salerno.
Si fermò proprio perché chiamato a curare l’infermità del Re di Francia, addirittura con la mediazione della Regina. Ma se la prese con calma, in modo da farsi un po’ pregare da tutti, visto che andava ripetendo che mai s’indurrebbe a recarsi da un Re, il quale incominciava dal domandargli un miracolo. Ma stavolta l’ordine venne dal Papa, che gli ingiunse di sottoporsi alla volontà del sovrano francese.
Giunto a Napoli, il 25 febbraio 1483, fu accolto da una folla festante. Portato a corte in gran trionfo fu ricevuto dai reali come se fosse stato uno di famiglia, tanto era piacevole ascoltarlo, ben nascondendo la sua ignoranza. Questo romito dell’età di 12 anni infino alli 43, ch’egli haveva quando venne in Francia, habitò sempre sotto un’altissimo sasso. Andovi à torlo un suo maestro di casa in compagnia del Principe di Taranto figliuolo del Re di Napoli, percioché esso frate non volle quindi partirsi senza commissione del papa, e del suo Re; la qual cosa, per huomo idiota, e semplice, fu fatta giudiciosamente. Costui haveva fatte due chiese in quel luogo dove egli dimorava; non mangiò in tutta sua vita carne, pesce, latte, ova, né alcuna sorte di grassezza. Et in quanto à me, non vidi mai huomo, che menasse vita così innocente, e pura; ò nella bocca del quale lo spirito santo meglio favellasse: percioché egli non era letterato, ne giamai apprese cosa alcuna; vero è che la sua lingua italiana moveva assai le persone à maraviglia. Passò per Napoli, riverito e visitato dal Re, e dai suoi figliuoli al paro d’un grande apostolico legato. Ragionava con esso loro, come se fusse stato nodrito, e allevato in corte.17
Non disdegnò omaggi e visite a principi e grandi del Regno, raccomandandosi verso Re Ferdinando sugli obblighi di un reale e sui doveri dello stato. Poi operò qualche prodigio e ottenne l’ospitalità a Castelnuovo e qualche donazione per la sua fondazione calabrese.
I napoletani si ‘commuovevano’ alle novelle che si facevano in tutta la città, come quella sul piatto pieno di monete d’oro e d’argento donatogli dalla Regina. Era un continuo freno a quella corsa contro il tempo, fin quando fra’ Roberto non si incamminò per Roma. Lì fu visto assiso in una bella sedia presso del Papa per lo spazio di tre o quattr’ore, lo che fu riputato grand’onore per così umile uomo.18
Sisto IV lo accolse a braccia aperte e si disse pronto a trattare l’istituzione di un ordine francescano, prim’ancora di imbarcarsi a Civitavecchia. A Roma, del resto, fu onorato dai cardinali e per tre volte hebbe segreta udienza dal papa e sempre si sedette tre, e quattro hore appresso a lui in seggia pontificale (honor grandissimo ad huomo di si picciola qualità). Rispondeva sì saviamente, che ciasciuno ne rimaneva stupefatto. Ottenne di poter istituire l’Ordine dei Romiti di San Francesco.
Giunto in Francia, il frate, ormai al cospetto di Luigi XI, fu ricevuto come se fusse stato il sommo pontefice. Il Re, dal canto suo, si mise in gran cerimonia, inginocchiandosi avanti à lui, e chiedendogli sanità, e lunghezza di vita. E l’eremita rispose ciò che savio huomo rispondere doveva. Lo stesso cronista Filippo di Comines lo udì spesso ragionare e colloquiare con il Re e i grandi del Regno di Francia. Dopo anco due mesi, ma pareva bene alle cose, che diceva, e insegnava, ch’egli fusse inspirato da Dio, perché altrimenti era impossibile, ch’egli havesse saputo ottimamente parlare di tutto, come faceva. Vive ancora, e perché potrebbesi cangiare in meglio, ò in peggio, perciò mi taccio.
In verità, appena giunto, alcuni si beffavano della venuta del Romito, chiamandolo sant’huomo, ma cotali non erano ben informati de’ pensieri di questo prudentissimo Re, ne ben havevano vedute le cose, che gliene dierono cagione.
Re Luigi XI, però, anziché migliorare, sembrò giunto al capolinea: assomigliavasi più ad un huomo morto, che vivo, cetanto magro egli era divenuto. Vestiva riccamente, e assai più che non haveva per costume di fare inanzi alla malattia. Voleva le robbe di raso cremesino foderae di pretiosi martori, e donavano a questo, e a quello, senza che noino havesse osato di chiedergli cosa veruna, ne pur di favellargli. Faceva de crudeli esecutioni, per essere temuto, e per dubbio, che non gli fusse tolta l’ubidienza. Le sue stravaganze continuarono nel comprare muli in Sicilia e cavalli a Napoli.
— Percioché egli medesimo lo mi disse. Levava gli ufficiali dal luogo loro; cassava la gente di guerra, sminuiva le pensioni, e anco toglieva in tutto. Dissemi pochi giorni avanti la sua morte, ch’egli passava il tempo a fare, e disfare.
E di lì a poco se ne morì.19
Il 1483 non preannunciava nulla di buono, per le tante dipartite di quell’anno. Un uomo ricordato come potente fu sicuramente Don Ciccio Coppola, segretario regio e poi Ministro d’Azienda, oltre che medico e fratello di Don Luigi, morto anch’egli insieme a diversi messeri-dottori: Don Luca Tantalo, Francesco del Balzo Duca d’Andria, Francesco Carafa, Galiota, Gattola, Baravallo, Bartolomeo Mastrogiudice.
Morì perfino lo stesso notaio che attestava i fatti, perché a li 31 d’agosto 1483 è dato no truono a lo Castiello del Ovo, ed ave ammazzato Notar Matteo della Nunziata……..
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