CANES di Giovanni Darcio da Venosa: traduzioni dal latino di Virgilio Iandiorio (lancio Euro 19 Euro) ISBN 9788872971512

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PERCHE’ LA TRADUZIONE DAL LATINO

Mi accingo a scrivere la biografia di Giovanni Darcio, poeta venosino vissuto nel XVI secolo. Di lui sappiamo quello che ha scritto nella sua opera Canes, pubblicata a Parigi nel 1543. Era nato a Venosa, difficile stabilire l’anno; nella sua città si dedicò all’insegnamento, poi si trasferì in Francia al seguito del vescovo Andreas Richer. Di lui non sappiamo altro.
Può sembrare un’impresa folle, come quella di cui parla Michel Onfray a proposito della biografia di Lucrezio: «Bernard Combeaud [amico del filosofo che aveva tradotto il De Rerum Natura] nutriva il progetto egualmente folle di scrivere una biografia di Lucrezio. Noi sappiamo che della vita di questo poeta non sappiamo nulla. Bernard però sosteneva che la frequentazione intima del testo gli aveva permesso di intravedere l’uomo e si proponeva quindi di raccontarne a suo modo la vita» (M.Onfray, Vivere secondo Lucrezio, Parigi 2021, tr. It. Milano 2023 p.12). Giovanni Darcio manifesta nella sua opera una conoscenza profonda dei cani, dell’arte di allevarli e di addestrarli, acquisita con l’esperienza diretta, come afferma in due punti nel testo (comperta loquor, cioè, io parlo con cognizione di causa). Dai suoi versi, perciò, traspaiono, come in controluce, i tratti della sua personalità.
Non saprei dire quanta fede possa avere questa biografia di Giovanni Darcio, scritta alla maniera degli autori delle novelle storiche nei secoli XVII-XIX. Sul fondo di qualche verità ho tessuto una tela di parecchi avvenimenti, contemporanei e di certo patrimonio della sua cultura letteraria e della sua esperienza.
Ad ogni modo potrà risultare di gradimento a chi legge vedere che le cose, che mi fingo narrate in prima persona dal poeta, poniamo che non siano realmente accadute, possono, però, risultare almeno probabili, perché i riferimenti ad esse sono avvenimenti dell’epoca del nostro poeta.
Una full immersion nel passato, come ci hanno abituato a vedere con i ritrovati della più sofisticata tecnologia, e le diavolerie informatiche dei nostri giorni. Ma navigare nel tempo passato o futuro che sia e anche nello spazio vicino o lontano da noi, ha sempre attratto la fantasia dell’uomo. E penso alla Storia vera di Luciano di Samosata, vissuto nel secondo secolo d.C., un racconto fantascientifico di viaggi al di là delle terre conosciute ai suoi tempi, in cui i protagonisti arrivano addirittura a viaggiare nello spazio e ad incontrare i Seleniti, gli abitanti della Luna. Senza scomodare altri famosissimi poeti e scrittori che hanno scritto di viaggi al di là del tempo e dello spazio, ho immaginato di ascoltare dalla viva voce del poeta Giovanni Darcio momenti della sua vita, ricostruiti attraverso le poche parole che di sé ha scritto nelle sue opere, poche anch’esse.
Ho immaginato di incontrare Darcio a Sens, nella cattedrale di Saint-Etienne, una delle più antiche cattedrali gotiche di Francia, di cui fu vescovo Richer, il suo patrono: ma per non disturbare eventuali funzioni religiose nel tempio, ci siamo portati nei dintorni di questo sontuoso edificio. All’esterno del capo-croce, infatti, si trova il giardino dell’Orangerie con le sue aiuole. Sono rimasto per molto tempo ad ascoltare la sua narrazione, storie della sua vita, e a registrare fedelmente le parole, come qui appresso si riportano.

V. I.

Description

GIOVANNI DARCIO E I RACCONTI LATINI SUI CANI

Ancora un libro ABE dedicato a Darcio. Traduzione di Virgilio Iandiorio – Presentazione a cura dell’Associazione Forense Roberto Maranta – Presidente Donato Bellasalma – Introduzione di Maria Donata Dichirico – Postfazione di Michele de Gaetano
Altro che quisquilie.
Il lavoro di Virgilio Iandiorio è di una acutezza e di una profondità che affascina e sorprende.
Viene fuori tutta la sapienza dello studioso e del filologo classico ma anche la leggerezza di chi supera il dettaglio tecnico per percorrere le strade dell’avventura e dei sentimenti, delle riflessioni e del racconto.
La lettura molto attenta, da parte mia, di una miniera di dati, di citazioni, di riferimenti letterari, geografici, botanici, zoologici, umani (direi anche umanistici) presenti in questo volumetto “virgiliano” mi ha coinvolto con tale curiosità, al punto di spingermi a percorrere autonome strade (l’amico non me ne voglia) sul cammino di una presunta “ipertestualità”.
Leggo a pg 19 e poi 20 del “mio” Virgilio:
“Forse ci dovremmo meravigliare come mai tanti ingegni in molte discipline siano vissuti in uno spazio di tempo così breve”
E ancora:
“Eschilo, Sofocle, Euripide nella tragedia; Accio, Cecilio, Terenzio, Afranio nella commedia; gli storici latini (a parte Livio) fioriscono tutti nello stesso secolo…”
“I personaggi più significativi e più grandi fioriscono tutti in uno spazio di tempo breve…”
Con volo pindarico, da napoletano di origini e di studi, non ho potuto non pensare a quello straordinario fenomeno musicale (e letterario) che è stata la canzone napoletana classica, che ha varcato gli oceani e ha portato la conoscenza di Napoli (non solo delle sue canzoni) in tutto il mondo.
Mi piace citare solo alcune delle melodie più note e più amate, per lo più composte nella seconda metà dell’800 e nel primo 900.
“TE VOGLIO BENE ASSAI” dell’ottico Sacco e (si dice) musicata da Donizetti è del 1839. Bellini, per non essere da meno (Giovanni Darcio parlava di desiderio di emulazione) musicò nel 1842 “FENESTA CA LUCIVE”. E’ del 1849 la celeberrima “Santa Lucia” di Teodoro Cottrau, figlio dell’editore parigino Guglielmo, trasferitosi da Parigi… alla più famosa Napoli, e divenuta nel tempo una specie di inno di tutti i paesi scandinavi.
“FUNICULÌ FUNICULÀ” è del 1880, composta dai maestri Denza e Turco in occasione della partenza della prima funicolare sul Vesuvio.
Grandissimi successi sono da ascrivere al poeta Salvatore Di Giacomo. Lucio Dalla sosteneva che la canzone “ERA DE MAGGIO” non ha rivali nel mondo ed è superiore per qualità a “IMAGINE” di John Lennon.
Siamo nel 1885 e un anno dopo, nel 1886, Don Salvatore scriverà “MARECHIARO” con il suggestivo riferimento alla “fenestella” con un garofano “ dint’ a ‘na Testa”. Ancora un anno dopo Di Giacomo scriverà il testo di “ ‘E SPINGULE FRANGESE” che ripropone, in qualche modo, con la tecnica della ripresa, gli alterchi spigolosi del “Contrasto” di Cielo d’Alcamo.
D’ Annunzio non vuole essere da meno a nessuno: lui poeta, amante, aviatore, soldato, marinaio, vuole cimentarsi nella lingua napoletana e comporrà nel 1891 “ ‘A VUCCHELLA” seduto ai tavolini del Gambrinus.
Del 1898 è “ ‘O SOLE MIO” di Capurro e Di Capua, forse la canzone più famosa in tutto il mondo, interpretata dai più grandi Tenori lirici fino ad Elvis Presley.
Crea oggi evidente commozione e senso di angoscia ricordare che questo inno all’amore e alla vita fu composto in Ucraina, a Odessa, sul mar Nero.
Il produttore discognofico Lilli Greco e il maestro Vince Tempora hanno più volte sostenuto che alcune canzoni dei Beatles hanno ripreso il tessuto musicale di “ ‘o sole mio” come in “ Imagine” e in “Hey Jude”, senza tralasciare il possibile plagio di “Yesterday” ripresa, forse, da un motivo di anonimo di fine 800 dal titolo “piccerè”- (Piccerè, piccerè ch’ vien’ a dicere).
Celeberrima è “MARIA MARÌ” (OJ MARI) del 1899, una sorta di invito dell’innamorato a tutte le assuntine, concettine, nunziatine ad aprire la finestra, come nella tradizione poetica mozarabica.
Nel 1904 il poeta De Curtis compone “TORNA ‘A SURRIENTO”, si dice per invitare l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli a tornare nella penisola per una felice vacanza (o per chiedere dei favori…)
Nel 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, Cannio e Califano scrivevano una canzone struggente di malinconia e di nostalgia.
“ ‘O SURDATO ‘NNAMMURATO” che avrà talmente successo da perdere poi il suo tono elegiaco per essere trasformata in una marcetta suonata da tutte le bande militari del nostro paese, ancora oggi.
“REGINELLA” di Libero Bovio è del 1917: un delicatissimo omaggio a tutte le chantose di Toledo e dei Quartieri spagnoli.
Le canzoni da ricordare potrebbero essere almeno altre cento (dein mille altera, dein secunda centum),tutte composte in un arco abbastanza circoscritto di tempo, ma qui mi fermo per non tediare nessuno.
Però mi piace concludere con la “TAMMURIATA NERA” di EAMARIO, pensata nel 1944 in occasione dell’arrivo nel Sud e a Napoli dei soldati americani e di colore, non dimenticando che EAMARIO è lo stesso autore de “La leggenda del Piave” (Il Piave mormorava…)
Da questa mitica leggenda di passione e di sangue, che vide morire per amore della patria “la meglio gioventù” ovvero i ragazzi del novantanove , è stato per me quasi naturale passare al capitolo 8 del volume di Iandiorio: morire d’amore. “Ho voluto mettere insieme con il poemetto <> anche un’elegia: la storia di DEIDAMIA innamorata e sposa d’Achille. Il mito e la realtà [come per la leggenda del Piave] non conoscono troppe distanze quando si tratta d’amore”.
Darcio da Venosa sostiene che come tutti i cani hanno una loro diversità, anche gli amori non sono mai uguali.
E ancora: “ quando ho scritto questo poemetto, in forma epistolare, io mi sono ispirato alla Didone di Virgilio”.
Ma le storie di Deidamia e Didone sono assai diverse, perché diversi sono i loro uomini. Le accomuna solo il suicidio (sua cecidit manu).
Dante Alighieri eternerà le due diverse tragedie nei canti V e XXVI dell’Inferno e nel canto XXII del Purgatorio.
Con riferimento a Didone, Dante scriverà nei versi 61 e 62 del V canto: “L’altra è colei che s’ancise amorosa e ruppe fede al cener di Sicheo”;
E poi al v.85: “cotali uscir dalla schiera ove è Dido” cioè dalla fila dei lussuriosi morti a causa dell’amore.
Ma nel canto XXVI, sempre dell’Inferno, sorprende come la citazione di Deidamia avvenga, come per Didone, anche qui nei versi 61 e 62.
“Piangevisi entro l’arte per che, morta, Deidamia ancor si duol d’Achille”.
Una pura coincidenza?
Leonardo Sciascia sosteneva nell’affaire Moro che le coincidenze non sono mai casuali, ma nascondono sempre qualcosa di misterioso che spetta a noi decodificare.
“Mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato”
…se invece di cercare lontano si fosse scavato vicino… avrebbe pensato Manzoni.
Dopo queste digressioni assai discutibili, torniamo a Dante e alla collocazione di Deidamia non nella schiena ove è Dido ma nel Limbo (Purgatorio canto XXII vv113 e 114).
“Evvi la figlia di Tiresia, e Teti, e con le suore sue Deidamia”.
Dunque non tra i lussuriosi, tantomeno tra i suicidi.
La regina di Cartagine avrà probabilmente sofferto anche per questa diversa collocazione [!!!]
Per restare nella più stretta attualità e per tornare ai “CANES” che sono, certamente, i protagonisti assoluti del poemetto di Giovanni Darcio riportiamo in traduzione il presente brano dal Liber X.
“A Roma né mosche né cani possono entrare nel tempio di Ercole e del foro Boario. Molte altre cose simili ometto prudentemente nei singoli generi, per non arrecare fastidio, perché come dice Teofrasto in Asia sono importanti anche le colombe e i pavoni e i cervi, e in Cirenaica le rane canterine”.
Mi è venuto –ahimè – subito in mente il film “La vita è bella” allorchè Benigni, con il piccolo Giosuè, legge davanti a una pasticceria di Arezzo un cartello con la scritta “VIETATO L’INGRESSO AGLI EBREI E AI CANI”.
Con una trovata arguta Benigni dirà al figlio: ognuno in un cartello può scrivere ciò che vuole; il ferramenta potrà scrivere “vietato l’ingresso a spagnoli e cavalli”; il farmacista “vietato l’ingresso a cinesi e canguri”… e noi potremo scrivere “vietato l’ingresso ai ragni e ai visigoti”
“Romae in aedem Herculis in foro Boario nec muscae nec canes intrant”.
Sorridendo, pensiamo tutti, va bene così.
Peccato che su un cartello “VIETATO AGLI EBEREI E AI BARBIERI” le persone, stupefatte, si domandarono soltanto: perché i barbieri?
Allora nessuno potrà dirci se è più giusto ridere o piangere.
Forse nemmeno Giovanni Darcio Da Venosa.
MICHELE DE GAETANO
Giovanni Darcio, scrittore venosino e autore del volume Canes, si muove tra le pieghe dell’anima e le trame dei suoi racconti. La sua penna, come un fiore selvatico, sboccia tra le pagine, rivelando mondi nascosti e segreti custoditi dal tempo.
Canes è un viaggio attraverso gli occhi dei cani, creature sagge e silenziose che conoscono l’arte di ascoltare. Le loro storie si intrecciano con la vita di uomini e donne, tra le strade di Venosa e i sentieri dell’anima.
Nel chiarore dell’alba, Giovanni Darcio scrive di amicizia e fedeltà, di legami che superano il tempo e la distanza. I suoi personaggi, come impronte di zampette sulla sabbia, lasciano tracce indelebili nel cuore del lettore, e il lavoro diventa un inno alla bellezza della natura, alla semplicità di un guinzaglio e al calore di un muso umido. Attraverso le sue parole, i cani, diventano poeti e gli uomini imparano a guardare oltre l’apparenza. E così, nel silenzio delle pagine, Canes si rivela come un canto d’amore per la vita e per tutti coloro che camminano al nostro fianco, a quattro zampe o due.
La pregevole opera di studio e traduzione del Prof. Virgilio Iandiorio ha il merito di far conoscere ai più un letterato di alto prestigio, venosino di nascita, che ebbe fortuna in Francia. Giovanni Darcio è un enigma letterario, ma il lavoro del Prof.Virgilio Iandiorio lascia un’impronta duratura della sua erudizione e poesia nella storia della letteratura locale e nazionale.
Avv. Maria Donata Dichirico
*Presidente Associazione Venosa Turistica

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Iandiorio

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Editorial Review

UN LIBRO TRADOTTO DAL LATINO PER LA PRIMA VOLTA

Come sai, io sono nato a Venosa. Quanto io ami Venosa e quanto mentano coloro che hanno detto talvolta ch’io neghi lei patria mia, lo sa Iddio.
Venosa è lunga e piana, ai lati pende. Ha due porte l’una conduce in Puglia e l’altra in Lucania. E l’abitato è posto tra due torrenti, che poco distante dai piedi della città vanno a riversarsi nell’Ofanto. I terreni che costeggiano questi due fiumicelli danno sempre frutti e fiori in abbondanza. Non conosco territorio più fertile e più bello di quello di Venosa. Dalla porta di capo entra il grano, da quella di piedi il fieno.1
Voglio dirti della mia prima educazione che ho ricevuto a scuola. Ogni anno si ripresentava il dramma del pretendere e dell’imparare in astratto e del soffrire in concreto, di cui eravamo vittime in varia misura alunni e insegnanti. Considerando che i bambini ricordano soprattutto ciò che interessa la loro sensibilità e immaginazione infantile, il mio professore ci insegnava il latino mediante strofette.
Un metodo non nuovo ma molto antico, e quello che il professore proponeva era però nuovo nello spirito che l’informava, spregiudicato e moderno.
Quelle strofette mi sono rimaste nella mente fino ad oggi. Ecco qualche esempio che ricordo chiaramente, tra i molteplici che si stampavano nella mia mente di fanciullo...

INDICE

Nota introduttiva di Maria Donata Dichirico
Premessa dell’autore

guide al medioevo: canes di giovanni darcio

1.
a scuola

2.
i classici come guida

3.
poesie al tempo dell’adolescenza

4.
professione di insegnante

5.
vivere in una citta’ al tempo dei grandi

6.
il trasferimento in francia

7.
quello che i canes dicono dell’autore

8.
morire d’amore

9.
I Cani di DARCIO DA VENOSA
10.
L’OPERA DI DON GIOVANNI

Argomento
Invocazione alla Dea, Diana
Cani per la guerra
L’abnegazione del cane
Il perenne amore del cane
Il cane di Ulisse
Il cane scopritore della porpora
Custode ed amico
Le qualità dei Laconi
Le qualità dei Molossi

APPENDICE I
C. Velleio Patercolo
Historiae Romanae libri duo ad M. Vincium Cos., Liber prior

APPENDICE II
Plinius Senior
Historia naturalis, Liber VIII

APPENDICE III
Publio Virgilio Marone
Eneide, lib. IV

APPENDICE IV
Imberal del Balzo
Il Novellino

Note

Laureato in lettere indirizzo classico presso l’Università di Napoli consegue il diploma di Perfezionamento per Bibliotecari presso la stessa Università. Dirigente scolastico negli istituti secondari di secondo grado in diverse città italiane, collabora con quotidiani locali e associazioni culturali. Il suo interesse è rivolto alla ricerca storica e letteraria; ha al suo attivo diverse pubblicazioni.
Con Arturo Bascetta Editore ha già pubblicato decine studi e ricerchi su personaggi del Mezzogiorno dei secoli XIV-XVI. Ha trattato ampiamente, con traduzioni dal latino, diversi giuristi del Quattrocento e del Cinquecento, da Eliseo Danza di Montefusco a Tansillo, e Roberto Maranta da Venosa.
Pregevoli testi di questa collana sono i volumi su Potere e Società delle opere di Noccolò Franco da Benevento.
Ultima pubblicata è la serie su uomini illustri e paesi con Orazio, Venosa, Forenza, Pannarano, Manocalzati, Rotondi, Atripalda.
Ha anche riproposto la traduzione in italiano del «De Bello Neapolitano» di G.Pontano, e dei volumi del «Dictis et Factis» di A.Beccadelli in pubblicazione con ABE Napoli; di gran successo, con traduzione e commento, i testi in volgare-napoletano di Loyse de Rosa: Cronache dei tempi miei.