Editorial Review
L’ “Orazio” di Richard Bentley, strumento di selezione di problematiche testuali
Richard Bentley nacque ad Oulton, nel West Riding dello Yorkshire, il 27 gennaio 1662. Apprese le prime nozioni di latino dalla madre per poi frequentare il ginnasio del posto, dove veniva, però, spesso punito per frequenti disattenzioni.
Alla morte del padre, entro, come subsizar[1] al St.John’s College di Cambridge dove si distinse in logica, etica, filosofia naturale e matematica. A soli 20 anni, già direttore del ginnasio di Spalding, fu scelto da Edward Stillingfleet, destinato ad alte cariche ecclesiastiche, come precettore del suo secondo figlio, che Bentley poi indirizzò al Wadham College di Oxford.
Nei sei anni trascorsi a casa Stillingfleet, il giovane filologo, ambizioso e sicuro di sé, ebbe modo di frequentare una delle migliori biblioteche private inglesi, ampliando notevolmente la sua formazione di base e candidandosi ad essere un potenziale futuro arcivescovo di Canterbury, destino comune a molti grecisti.
Il suo orientamento anglicano fu liberale, equidistante dai non-conformisti quanto dai cattolici romani. Teologo di stampo razionalista, avrebbe addirittura dubitato della veridicità di un’affermazione presente nel Libro di Daniele, il che avrebbe messo quasi a rischio anche il suo matrimonio che lo rese padre di quattro figli. Nel 1690 prese anche gli ordini sacri per poi divenire cappellano di Stillingfleet, divenuto vescovo di Worchester.
Primo saggio della sua abilità filologica fu l’Epistola ad Johannem Millium, che Mill pubblicò in appendice all’edizione di una Cronaca, scritta in greco da John Malelas.[2]
L’epistola appare impostata su una “discorsive exuberance of learning”[3] e, nel suo insieme, resta uno straordinario lavoro filologico per uno studioso appena ventottenne.[4] Scritta interamente in latino, essa aveva il merito di esaminare i passi di oltre 60 autori latini e greci, per cui fu molto apprezzata tanto nella stessa Inghilterra quanto in Olanda e in Germania.
Lo stile dell’opera apparirebbe, però, più quello di chi si scontra vivacemente con un’altra persona che quello lineare e pacato di uno scrittore, al punto da attirarsi anche un immeritato richiamo del Dr. Monk.[5]
Maturava, intanto, anche la formazione teologica del Bentley che, tra il 7 marzo e il 5 dicembre del 1692, pronunciò dal pulpito della chiesa londinese di St. Martin otto sermoni, presto stampati e tradotti in olandese, tedesco e francese, in cui prevaleva l’idea di un Creatore razionale, provvidente e onnipotente, ricavata più dai Naturalis Philosophiae principia matematica di Isaac Newton che dal sistema fisico di Renè Descartes.
Sempre al servizio del Re, intanto, fu nominato prima intendente della biblioteca regia, poi chaplin in ordinary. Nel 1697 gli fu richiesto di contribuire all’edizione di Callimaco che J. G. Graevius di Utrecht aveva pubblicato sotto il nome del figlio Theodor, morto prematuramente. La raccolta di frammenti callimachei prodotta dal Bentley superò notevolmente l’impegno di Anne Lefevre, in quanto il filologo ne collezionò ben 418 rispetto ai 139 raccolti dalla Lefevre.
In tale fatica letteraria, Bentley dimostrò tutta la sua brillantezza divinatoria, unitamente ad un’ottima capacità di traduzione latina del testo greco ed alla redazione di un ricco commento critico ed esegetico.[6]
Seguirono poi anni in cui Bentley, considerando sgradevole l’aspetto fisico del libro medio del suo tempo, mostrò un certo fastidio che opere come la Dissertation upon the Epistles of Phalaris, Themistocles, Socrates, Euripides and Aesop’s fables[7] estendessero la propria fama oltre Londra e le due Università di Oxford e Cambridge.
Il profondo studio e l’attenzione con cui Bentley affrontava, nel suddetto testo, lo sviluppo di vari generi letterari, primi fra tutti tragedia e commedia, unitamente all’analisi storica dei dialetti greci ed all’applicazione della numismatica a questioni storico-letterarie risultarono a lungo di difficile comprensione persino quando l’ampliata versione del 1699 fu tradotta in latino nel 1777 da J. D. van Lennep.[8]
Attratto dall’epica filosofica, il filologo cominciò, cosi, a lavorare all’edizione del De rerum natura di Lucrezio e degli Astronomica di Manilio, opere la cui redazione completa fu ostacolata dall’alto costo della carta e dalla mancanza di buoni caratteri tipografici anche in una stamperia come quella di Lipsia, cui fu affidato il suo testo di Manilio.
Nel 1699, per designazione della commissione reale, Bentley fu nominato Master del Trinity College di Cambridge, carica che esercitò fino alla morte, nonostante una serie di battaglie legali, anche davanti alla corte del tribunale reale. [9]
L’animosità con cui lo studioso visse, però, tali e tanti controversie non mancarono di ostacolarlo spesso negli studi, non tanto nell’assorbire e utilizzare nuove conoscenze quanto nel sottrargli tempo per dirimere la questioni stesse.
Indifferente alla pubblica fama, come ebbe a dichiarare egli stesso, si preoccupava piuttosto di conservare intatti i favori di uomini influenti come il Primo Ministro Robert Harley, per cui si decise a stendere in meno di sei mesi tra il giugno ed il dicembre del 1711 proprio le note del suo commentario ad Orazio, già progettato sin dal 1702.[10]
Gli stessi tempi di composizione dell’ “Orazio” risentirono di quella sorta di istinto del filologo inglese “to stretch and sometimes overstrain his sinews”[11], al punto da indurlo a comporre entro due mesi la maggior parte delle note del suo commentario oraziano, consegnate “madida fere charta”, molto probabilmente per assicurarsi i favori del tesoriere di Oxford.
La scelta di dedicarsi a testi latini, data la profonda conoscenza della lingua greca, è parsa a critici come il Monk poco felice, in quanto egli sarebbe stato molto più valido nel correggere errori reali della poesia greca che nel suggerire varianti di tesi latini, tutte congetture poi da lui difese con un’erudizione ed un ingenuità che, però, produrrebbero, nel lettore più ammirazione che adesione, come nel caso delle sue oltre 700 congetture ad Orazio, di cui solo 500 hanno qualche supporto nei manoscritti.
[1] Il subsizar era l’allievo che riceveva istruzione, cibo ed alloggio ad una retta ridotta, in cambio di lavoro manuale. Cfr. H. D. Jocelyn, Richard Bentley, in “Enciclopedia oraziana cit.”, III, p.118
[2] Il Chronicon, attribuito ad un oratore di origine siriana, collocabile tra il VII e il X secolo, parte dalla Creazione per interrompersi nel 560 d. C, cinque anni prima della morte di Giustiniano. L’opera, valorizzata durante il regno di Charles I, fu studiata da John Gregory ed Edmund Chilmead che la tradusse in latino, con note, ma morì nel 1653, senza che la sua opera, completa venisse data alle stampe. Solo trentasette anni dopo, nel 1690, i curatori della Sheldonian Press ne decisero la stampa, affidandone l’introduzione ad Humphrey Hody, autore di una nota sullo spelling del nome del compilatore e di Prolegomena di 64 pagine. A Bentley furono affidate dal Mill, supervisore del progetto editoriale, le ultime 98 pagine di appendice alla traduzione del Chilmead.
[3] Cfr. R. C. Jebb, Bentley, London, 1882., p.13
[4] Cfr., ibidem, p.16
[5] Riguardo al Fortleben dell’epistola, nell’immediato, John George Graevius e Ezechiel Spanheim salutarono Bentley come stella nascente della filologia, così come, anni dopo, David Ruhnken, fu deciso nel lodare l’ardire, fondato su erudizione, del Bentley, giudicato più utile della “sluggish” e “credulous superstition” persino di studiosi come lo Scaligero e il Casaubon.
[6] Cfr..H. D. Jocelyn, Richard Bentley, in “Enciclopedia oraziana cit.”, III, p.119
[7] L’opera, in cui si dubitava dell’autenticità delle lettere attribuite al tiranno Falaride, apparì prima in forma ridotta, nel 1697, come appendice del seconda edizione delle Reflections upon ancient and Modern Learning dell’amico di Bentley, William Wotton, per poi essere ampliata due anni dopo come Dissertation upon the Epistles of Phalaris with an Answer to the Objections of the Honourable Charles Boyle, Esquire.
[8] Due furono, poi, i progetti su cui il letterato inglese meditò, alquanto ambiziosi e rimasti irrealizzati, come quello di raccolta e comparazione dei lessici bizantini in greco antico e quello di raccogliere tutti i frammenti delle opere che la tradizione diretta della poesia greca aveva perso.
[9] Nell’esercizio di tale carica, egli eliminò vari privilegi, puntando ad una più equa distribuzione delle borse di studio e rifornendo adeguatamente di vari testi la nuova biblioteca, finanziando anche opportuni lavori di restauro. Non ebbe, inoltre, timore di indurre vari Masters of art verso i più alti degrees in teologia così come incoraggiò diversi giovani studiosi di talento Tra i giovani studiosi sostenuti da Bentley figurano Robert Smith e Roger Cotes, per il quale fu addirittura organizzato un osservatorio sul Green Gate del college, così come un apposito laboratorio fu approntato per il veronese Giovanni Francesco Vigani , che si trovava a Cambridge già venti anni prima dell’insediamento del filologo quale Master del College. Al bravo orientalista tedesco Henry Sike Bentley affidò la cattedra di ebraico, garantendogli anche opportuno alloggio. La carica di Master, esercitata da Bentley, con rigore e determinazione, fu più volte messa in discussione, anche per invidie interne al College, fino alla decisione, nel 1714 del vescovo John Moore di allontanarlo, il quale non riuscì, però, a rimuoverlo dalla sua carica, perchè morì prima di rendere esecutiva la sua decisione, così come, venti anni più tardi, inapplicata sarebbe rimasta anche la sentenza negativa dell’altro vescovo di Ely Thomas Greene, al quale, come General Visitor, spettava arbitrio definitivo per eventuali dispute interne al College, come le accuse mosse al Bentley di violazione dello statuto. La controversa carriera accademica di Bentley è stata, nel tempo, puntualmente analizzata da studiosi come Monk (1830), Jebb (1882), Kenney (1974) e Brink ( 1986), ai cui contributi si rinvia per un’analisi più dettagliata della questione.
[10] Con eguale spinta emotiva, per non disperdere il favore della regina Carolina, Bentley compose, in poco tempo, anche le note al Paradise lost di Milton , già propostagli nel 1726, ma redatta solo a cavallo tra il 1731 e il 1732, così come è ancora da verificare se la fretta nel pubblicare il suo Terenzio del 1726 nasca davvero dal risentimento verso quella che egli riteneva la pessima edizione di Francis Hare, anteriore di due anni, o, piuttosto, dal voler rendere onore al Principe del Galles, che stava per diventare re Giorgio II. Cfr. H. D. Jocelyn, Richard Bentley, in AA.VV, “Enciclopedia oraziana”, III,1998, p.120
[11] Cfr. Shackleton Bayley, op. cit.,p.110
Basta l'indice per comprendere la mole di lavoro svolto dal Prof.Caruso
Prefazione
Note sulla tradizione manoscritta del testo oraziano
A margine del “Profile of Horace” di Shackleton Bayley:
le ragioni della filologia tra “corruption juggling” e “self doubt”
L’ Orazio di Richard Bentley,
strumento di selezione di problematiche testuali
Analisi di:
1) Horat., Carm. I, 1, 6 pag. 45
2) Horat., Carm. I, 1, 7 pag. 54
3) Horat., Carm. I, 1, 16 pag. 60
4) Horat., Carm. I, 2, 10 pag. 69
5) Horat., Carm. I, 2, 31. pag. 73
6) Horat., Carm. I, 2, 39. pag. 78
7) Horat., Carm. I, 2, 46 pag. 86
8) Horat., Carm. I, 3,18 pag. 95
9) Horat., Carm.I, 3, 19 pag. 108
10) Horat., Carm. I, 3, 20 pag. 112
11) Horat., Carm. I, 3, 22 pag. 115
12) Horat., Carm. I, 3, 37 pag. 122
13) Horat., Carm. I, 4, 5 pag. 125
14) Horat., Carm. I, 4, 8 pag. 132
15) Horat., Carm. I, 4, 12 pag. 137
16) Horat., Carm. I, 4, 17 pag. 140
17) Horat., Carm. I, 4, 18 pag. 142
18) Horat., Carm. I, 5, 8 pag. 146
19) Horat., Carm. I, 6, 3 pag. 152
20) Horat., Carm. I, 6, 7 pag. 156
21) Horat., Carm. I, 6, 18 pag. 175
Conclusioni pag. 179
Tabella riassuntiva dei loci analizzati pag. 189
Bibliografia pag. 191
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