Description
I RACCONTI PIU’ BELLI SUL PAESE MAGICO DELLE STREGHE
I PARTE
IL CICLO DELL’ANNO
«ASPETTA LLOCO CA MO TU CONTO»
CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO
CAPITOLO SESTO
II PARTE
la magia dei PRINCIPi TEMPLARi
E altre storie delle nutrici
I.
RACCONTI, DETTI E PROVERBI
– IL SEGRETO PER PARTORIRE
– I RICORDI
– LA SCIATICA
– MAGIA POPOLARE INVERNALE
– Scoltellamento delle pedate
– un libro chiamato Rodilio
– Così parlavano con i morti
DETTI
INDOVINELLI
FILASTROCCA
Giochi
Mazzafranco qua e là
Stelle stelle
Vardia vardiola
Peppantonio ‘a Pipiranza
Cerca fiore
San Giorgio
Ii.
la fuga di RE RENé col tesoro
PER LA VIA DEI TRE CANCELLI
III.
PAOLO IV: IL PAPA DI S.ANGELO
CHE MANDO’ BENI E RELIQUIE
Castità, ubbidienza e povertà:
la regola di Giovan Pietro Carafa
L’Inquisizione contro le streghe
e i falò per ardere eretici e marrani
IV.
PALOMBARA CONSACRA L’INCORONATA
RIFUGIO DI CAMALDOLESI E BRIGANTI
fonti / note bibliografiche
FONTI
ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO.
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI.
ARCHIVIO DI STATO DI BENEVENTO.
ARCHIVIO DI MONTEVERGINE.
CODICE DIPLOMATICO VERGINIANO di PLACIDO TROPEANO.
REGESTO PERGAMENE DI MONTEVERGINE di G.Mongelli
SAMNIUM, n. 3-4, luglio-agosto 1971.
Quaderni irpini, n. 2-3, 1970.
In primo piano sono gli usi e costumi del popolo, inseriti nel ciclo dell’anno e della vita, con a punti di riferimento il semestre primario e una famiglia contadina spiegato ai ragazzi, come se fossimo davanti al focolare di una volta. La seconda parte è fatta proprio di storie vere, cioè di episodi, sconosciuti ai più che rallegrano anche gli animi dei grandi.
Il calendario dà un senso reale, di movimento, di vita, di continuità a cose che, se elencate soltanto (proverbio, detto, canto, racconto), avrebbero avuto un tanto di irreale e di effimero, perdendo, per la statica freddezza, l’originale valore che invece viene rafforzato e suggellato dalle storie.
Ecco allora le pagine assumere un volto diverso dal solito, una veste più popolare e autentica delle nostre genti.
Il racconto non abiura alcuna scientificità dello scritto, anzi ne esalta il vero storico. Agli avvenimenti con tanto di documento finale, si antepone un altro aspetto, quello orale delle tradizioni, più semplice dal punto di vista di studio, ma di certo complesso nell’elaborazione dei dati, desunti da un patrimonio tramandato nella Valle Beneventana e assorbito da una società in continua evoluzione. Questi dati, a volte modificati dal tempo, ma trasportati dal dialetto parlato fino a noi, sono una minima parte del patrimonio orale del tempo, quella meno predisposta a mutarsi – per le sue diverse origini etimologiche – e quindi scevra da infiltrazioni che fortunatamente non ne hanno permesso alcuna integrazione nella lingua parlata moderna. Per esempio la parola “comodino” ha come equivalente “colonnetta” e prima “columella”: ci è giunta mutata nel senso e nel valore con il diretto equivalente italiano di comodino. L’uso del termine è lo stesso, ma da “colonnina porta lume” a “comodino”, come cioè oggetto di comodità, il significato cambia. Con nostra soddisfazione, non capita la stessa cosa con parole come “bardascia”, che oggi ritroviamo in voga tanto a Pietrastornina, ex casale sofiano, quanto in un quartiere di Spoleto, e come “quatrana”, che non hanno un equivalente etimologico italiano se non nella parola “ragazza”. Ma “bardascia” ha una storia diversa, deriva dal francese “bardashe”, dallo spagnolo “bardaja”, e prima ancora dall’arabo “bardag” e significa “schiava”, mentra la ‘quatrana’ si rifà alla neonata che gattona, ormai sostituita dal classico ‘guagliona’ anche a S.Martino Valle Caudina e Pannarano.
Purtroppo, però, casi come questo sono più unici che rari. Nonostante ciò, siamo riusciti a riunire abbastanza materiale orale da farne una pubblicazione che si rifà più alla tradizione sabatina, quella che trae origine dall’area dei Maccabei, racchiusa fra i casali di Montefusco e del Partenio, per tornare in città da Ponte Sabato.
Al centro della nostra attenzione è comunque l’uomo, più che Benevento, o se volete le donne, quelle con le loro illusioni nate per alleviare le sofferenze di ogni giorno, per dare colore a una vita spesso monotona e grigia.
In epoche diverse, si sono avuti vari insediamenti umani: opici, sabelli, sanniti, romani, beneventani; ognuno dei quali, con una propria cultura, una propria religione, arricchendoci di usi e costumi non sempre comuni.
Chi ci ha tramandato questa storia, fatta di riti, superstizioni, oltre che di avvenimenti, sono i vecchi. Ecco il vero capitolo, sconosciuto a molti, ancor vivo grazie alla memoria storica degli anziani della Valle Beneventana, ai paesi del ‘Noce’ che non c’è, alla… Rocca delle streghe.
Riti magici, filastrocche, cattiverie e libri di magia nera, ma anche fatti accertati, che si rifanno a papi, re e briganti. Noi abbiamo strappato alla storia – e poi ricucito a parte – tanti piccoli pezzi, anche laddove, per la caratteristica versione dialettale, risultava impossibile trascriverli, eliminando accenti e apostrofi, presentando i racconti nella massima autenticità, riportandone il “colore” e il “calore” di una frase, seppur legata indissolubilmente all’esposizione orale, all’espressione di un volto, dove gli errori di esposizione delle parole fanno parte del gioco.
È questa la risultante di un capitolo che solo momentaneamente abbiamo chiuso e che in un futuro non molto lontano ci ripromettiamo di riunire, in un solo grande volume allargato ai paesi del Calore, con l’ausilio di un infinito aiuto degli anziani che mai si stancheranno di raccontarci del passato.
Ecco allora il nostro sforzo, questo, sperando di aver almeno in parte esaudito il desiderio dei giovani, di sapere delle cose degli avi; e quello dei vecchi, di voler lasciare un segno in nome della tradizione. Essa parte dalla Rocca, che è poi il castrum della Torre, quello nato dopo il sisma del 1348, per amministrare il feudo dell’abbazia di S.Sofia di Benevento. E’ solo uno delle 36 rocche che andavano da Tocco Caudio a Tocco di Montemiletto, dalla Serra di Prata alla Serra di San Bartolomeo in Galdo, prima di essere conquistate dai Caracciolo per conto della Regina Giovanna I.
E’ l’originaria provincia ducale di Santa Maria della Valle Beneventana fatta rifondare da Bernardo Deucio, nunzio inviato dal pontefice di Avignone per ridisegnare le arcidiocesi: Napoli da una costola di Nola, Sorrento da Salerno, Benevento dall’ex Principato di Puglia.
Forse fu la Torre di Pietrastornina a sprigionare il mito delle janare, più che il noce, o forse il Campanaro di Ciardelli, quello che i vecchi dissero fondato dai migranti di Civitate S.Paolo.
Sicuramente divenne un fortilizio del potere dello stato pontificio, quello che i capitani generali del Regno di Napoli utilizzarono per rocca carceraria, prima che il Principe Lottiero d’Aquino facesse vivere a questo, e non ad altri paesi, la favola del Principato.
Ma fu il paese delle nutrici delle Torri dalla magia bianca, delle streghe del Campanaro di Ciardelli o della magia nera del monaco di Retella di Cappella?
Alla fin fine, fate un po’ voi. L’Autore
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