Description
PIETRADEFUSI E LA RIFONDAZIONE DEI CASALI FRA APICE E MONTEMILETTO
Per chi vive ed opera in una certa realtà, la conoscenza della storia del
proprio territorio serve non solo come conoscenza del passato, per una più
corretta valutazione del presente, ma anche come motivo di riappropriazione
della propria identità, delle proprie radici e, in definitiva, della propria civiltà,
con l’impegno di conservare il patrimonio di cultura e di tradizioni derivante
dal passato.
Ho maturato, pertanto negli anni il desiderio di offrire un contributo, sia
pur minimo, al recupero e alla conservazione della memoria storica del mio
paese, dei nomi, delle famiglie e dei luoghi.
Tra le fonti che potessero rappresentare la base di partenza per le mie
ricerche, la scelta è caduta sul Catasto Onciario di Pietradefusi del 1754, che
al di là dei dati socioeconomici obiettivamente fornitici per il XVIII secolo,
costituisce uno strumento unico, per il suo genere, ed allo stesso tempo
indispensabile per la ricostruzione della storia di Pietra de Fusi,
permettendoci di conoscere, sotto diversi aspetti, come si presentava allora
il nostro paese.
Il lavoro effettuato non è stato un mero lavoro di trascrizione dal
documento originale, custodito a Napoli presso l’Archivio di Stato, ma,
essenzialmente un tentativo di interpretazione dei dati con il rilievo delle
varie attività svolte, il numero relativo degli addetti, le classi di età e la
composizione dei nuclei familiari dei cittadini e, in ultimo, forse il più
importante ed interessante tra le notizie ricavate, anche i nomi dei luoghi
della Pietra de Fusi di allora, alcuni usati ancora oggi ed altri caduti in
disuso.
La lettura del Catasto Onciario è stata incrociata con alcuni documenti
notarili consentendomi di mettere a fuoco anche altri aspetti della vita
dell’epoca, come, il matrimonio, la vita familiare ed il sentimento religioso.
Ma, qualcuno potrebbe chiedersi che senso abbia risvegliare dal sonno
dell’oblio tante figure di antenati per farli circolare tra i pronipoti, alcuni
dei quali potrebbero esserne orgogliosi, ma altri anche vergognarsene. La
risposta è quanto mai semplice: tali personaggi sono stati protagonisti o
interpreti della nostra storia, storia che certamente non ci hanno insegnato
a scuola!
E augurandovi una buona lettura, concludo con le parole di PRIMO LEVI:
La memoria è la storia di un popolo, ed un popolo senza memoria è un popolo
senza identità, destinato a scomparire, senza lasciare alcuna traccia di sé.
L’AUTORE
POSTFAZIONE
Con grande passione per la sua terra, sostenuta da perizia e pazienza, il
dottore DIONISIO PASCUCCI reca un nuovo e prezioso contributo alla storia di
Pietradefusi. Il volume è interamente dedicato all’analisi di quell’eccezionale
documento economico-sociale costituito dal catasto onciario voluto da Carlo
di Borbone nel 1741, ma realizzato dall’Università di Pietradefusi soltanto
nel 1754/55. L’indubbia renitenza degli amministratori locali a dotarsi del
nuovo strumento fiscale – attestata dal notevole ritardo ad assolvere
all’adempimento di legge – era senz’altro dovuta alla peculiare realtà di
Pietradefusi, la cui prospera economia traeva linfa vitale dal commercio di
transito, mentre la fiscalità municipale traeva i propri proventi da gabelle
sui generi di consumo, che gravavano prevalentemente proprio sui forestieri.
Obiettivo del catasto onciario era invece appunto quello di spostare la
fiscalità dai consumi al possesso, incontrando quindi l’ostilità delle
amministrazioni locali, egemonizzate dai possidenti. Pur tenendo ben
presenti i limiti oggettivi della fonte, giacché si tratta di un catasto descrittivo
e non geometrico-particellare, redatto in epoca prestatistica, l’onciario
costituisce comunque una fonte preziosa, che ci consente di ricostruire
dettagliatamente le strutture demografiche, produttive ed economico-sociali
della comunità di Pietradefusi a metà ‘700. Le più significative peculiarità
sono costituite, essenzialmente, dalla massiccia presenza di proprietà
ecclesiastica, dovuta all’antica presenza dell’Abbazia di Montevergine sul
territorio, e dalla debolezza, per non dire inconsistenza, del potere feudale,
rappresentato dall’Annunziata di Napoli. Per di più, l’area era interessata
da una poderosa fase di sviluppo demografico ed economico, legato non
solo alla generale congiuntura favorevole di metà Settecento ma soprattutto
alla ristrutturazione della Via Regia delle Puglie voluta da Carlo di Borbone.
Ciò spiega la trasformazione dell’area doganale del Passo di Dentecane,
limitata sin’allora a poche strutture funzionali al servizio del Passo, in un
vero e proprio centro abitato, destinato a notevole sviluppo.
Lo scorrevole volume del dott. DIONISIO PASCUCCI segue tutte le dinamiche
ricostruibili attraverso la ricca fonte catastale, che l’autore integra e incrocia
opportunamente con i protocolli notarili dell’epoca. Ne risulta una
ricostruzione storica rigorosa, che sarà di sicuro interesse non solo per gli
abitanti di Pietradefusi, che attraverso il volume vedranno rivivere il proprio
passato, anche a livello familiare, ma per l’intera comunità degli studiosi.
FRANCESCO BARRA
Arturo Bascetta –
Ciò che penso è però frutto di un ragionamento a posteriori, mentre a me è sempre
piaciuto l’esito delle carte. Perciò, stando ad alcuni atti notarili, nel 1538, alla 12esima
indizione vescovile, ai tempi di Carlo V e della madre Giovanna La Pazza, Pietradefusi
era solo un luogo abitato del tenimento di Montefusco, cioè un Casale (ASAV, Notai di
Avellino, I Versamento, notaio GABRIELE DE SORICELLO di Montefusco, B.5798, anno
1538). Varrebbe la pena fare un distinguo fra Montefusco città e Montefusco Terra
propriamente detta, cioè fra la Montagna della Civitate dei Casali (che è una cosa) e il
feudo di Montefusco (che è altra cosa). Questo perché nelle carte di inizio 1500 alcuni
Casali che solitamente leggiamo essere stati di Montefusco, sono in realtà parte della
Montagna, cioè del fu distretto beneventano delle Civitate badiali del Campanario di
S.Marco, mentre quelli in tenimento della Terra propriamente detta, cioè dell’Oppido
o Castro che dir si voglia hanno origine, insieme a tutto il nuovo Principato Ultra (27
paesi), dopo il tremendo terremoto del 1348 che distrusse il Sud, da Foggia a Roma,
come da bolla papale del 7 giugno 1350 che spostò l’asse lucerino dal fiume Fortore
alla montagna del Fortore, cioè ultra Serra Montauro di S.Bartolomeo in Galdo. Tant’è
vero che gli abati delle originarie 27 abbazie dei 27 paesi resteranno di nomina papale
per secoli, a differenza della diocesi di Avellino e Frigento, ab origine legate a Cava, e
quindi al Principato Citra di Salerno. A titolo di esempio, vale la pena di ricordare,
come nel 1538 anche S.Giorgio non fosse altro che un casale della Montagna, men che
meno S.Paolina. Per tornare al rogito del notaio SORICELLI, parlandosi di Terra Prata e Castro
S.Angelo de Scala (patria di Giovanni Fogia e del figlio Orlando), saltano fuori i
toponimi di Casale S.Nazario di Montefusco, Casale Santa Paulina di Montefusco, Casali
Sancti Georgi de Monte Fuscoli, Casali S.Angeli a cancellos de Montefuscoli, Casali
Manchusioris e Casali Petra Fusorij di Monte Fuscolo. Questo Casali Petra Fusorij
torna il 20 maggio 1539, riparlandosi del nobile Giovanni Fogia in quel di Casale
S.Nazario tenimento Terre M.Fuscolo. Per lo sposalizio di Costantino Carafa, alias
Biundo, fu stipulato un patto, presente il fratello, Neapolus Carrafa eius frater, de
Casale S.Nazario e nobilis vir Giovanni Fogia castri S.Angelo de Scala, il quale, a nome
del figlio Orlando, parla per privilegio della figlia che deve maritarsi. Il contratto
matrimoniale prevede che Costantino presenti la nota delle cose che intende sborsare
da sposo. Egli infatti tiene asinum dei 4 chiamati Falcone di pilj alby, Angelo di pelo
russigni, alius pili albi noti Ochi nieoro et alius pili rubei note Sprovieri. Falcone, Angelo,
Occhionero e Sproviero appaiono di proprietà, francas libero, ma tutti gli animali
sono posseduti da Sasi (per il quale ne risponde Giovanni), Neapolio e Costantino che
si deve sposare. L’atto è firmato da Giovanni de Lisi de Suazo, Germano per lo causo,
Carissimo Zambetta, Aleiandro Pendinus, Gavinus Ademandus, Giovanni de Motula,
Jeronimo Celilli de Zarro de Casalis S.Nazario, ed infine Lojsio de la Verde de Casalis
Petra Fusoru. Ricompare quindi Pietradefusi nel 1539, ancora come casale, visto che
vi abita il testimone dell’atto che è Loisio di La Verde, cioè Luigi della Verde.
Il distacco da Montefusco fu invece cosa certa una trentina di anni dopo, anzi,
prima del 1600 era cosa fatta, perché, nel 1592, questo paese, era un prolifico comune
(ASAV, Notai di Avellino, Notaio DONATO DANZA di Montefusco, Busta 7708, fascio
230, f.87, anno 1592) e come tale aveva perso il titolo di Casale della città di Montefusco
per acquistare quello più prestigioso di Terra Petri Fusi, sebbene, come accadeva il 1
ottobre 1592, restava forte il legame con la patria Terra Montis Fuscoli, dove il
Magnifico notaio DONATO DANZA faceva testamento nella sua Domum sita nella strada
dell’omonima parrocchia di S.Petri de Ferrari, non lontano dai fratelli Aulegio Danza,
il Magnifico Fabio, Domenico e altri. Il lascito era in favore di Camilla e Lelio e i soldi
impegnati per le messe da dedicargli, a morte avvenuta, erano pro Cappella del
SS.Rosario costruita dentro la venerabile Chiesa di S.Joanne de Vaglio.
Il 14 novembre 1592, un abate feudatario beneventano, il Domino Abate Cesare
Canalis di Benevento, si ritrovava rettore beneficiario della Chiesa di S.Maria de Gratia
Casalis Sancti Nazari in Terra Montifuscoli proprie ubi dicitur Li Tempanj. Ciò significa
che mentre Pietradefusi era diventato comune, S.Nazzaro, pur avendo inglobato nel
suo territorio un feudo importante come Tempani, restava frazione di Montefusco
(ivi, f.100).
Qualche mese prima, al foglio 25v del medesimo rogito, il 4/12/1591, Mastro Tiberio
de Parisi tratta la Domus col suo orto sita presso la Strada Regiam (quella vecchia per
intenderci, sulle sponde del Calore, verso Apice), propre ubi dicitur Santa Maria de
Venticano, quella del Rettore Domini Abbate Jacobus de Leo de Castro Altavilla…