20. GUAPPI DI CARTONE DAL TEATRO ALLA TV, STORIA DELLA SCENEGGIATA: 1840 – 1980 (ed vol. lancio Euro 39 – Cartonato Euro 44) pag.200 ISBN 9788872973912 foto, a colori

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LE ORIGINI DEL FESTIVAL

Un nuovo festival che nasce alla fine degli anni ’40 è quello che si tiene a Capri tra il 1949 e il 1956, e che, rispetto alle altre gare canore partenopee degli anni ‘50, è quello che lancia moltissime canzoni napoletane al successo nazionale e pure internazionale, contribuendo notevolmente al rinnovamento della canzone napoletana.
La caratteristica del Festival di Capri è che esso assume tutte le caratteristiche di un’audizione di Piedigrotta perché organizzato da un’unica casa editrice, la Leonardi di Milano. Prende, però, i caratteri festivalieri perché le canzoni presentate gareggiano per aggiudicarsi il primo premio.
Il micro-Festival di Capri è organizzato e prodotto dalla casa editrice Gruppo Leonardi di Milano (a cui appartengono anche le etichette Souvenir, Luisiana, Musical Film, Cantanapoli) che si avvale di giovani autori per la proposta di canzoni napoletane moderne e, per questo motivo, diventa l’apripista del secondo rinnovamento della canzone napoletana. Infatti, dal punto di vista storico, è la prima rassegna che abbandona i generi musicali stantii e presenta una produzione canora tutta incentrata sul genere moderno, eseguita da giovani artisti, tra i più in voga del momento.
Roberto Murolo e Giuseppe Scarola sono i veri protagonisti di questi festival capresi e, di conseguenza, diventano i capisaldi del nuovo genere moderno sussurrato e confidenziale, contrapposto a quello tipico dei gorgheggi e delle cesellature utilizzato in tutte le altre manifestazioni canore.
I due cantanti-chitarristi contribuiscono notevolmente alla nascita e alla diffusione dello stile confidenziale, caratterizzato dall’uso di una dizione straordinariamente chiara, da una esecuzione inquadrata nel recitar/cantando e da una totale evasione al consueto schema tradizionale della strofa-ritornello della canzone napoletana.
Successivamente al trionfo nel 1949 della canzone Me so’ mbriacato ‘e sole, vincitrice della prima edizione (eseguita da Scarola), nel 1950 è Roberto Murolo ad aggiudicarsi la gara con Anema e core, una canzone che segna la storia del rinnovamento della canzone napoletana (pari merito con Luna rossa) e che riporta la melodia partenopea nelle hit parade europee e internazionali. Il brano, che si avvale di un sound generalmente più dolce e di atmosfere più intime, diventa la canzone simbolo dei night di tutto il mondo. È scritta da Tito Manlio, l’autore che, immediatamente al dopoguerra, sviluppa l’idea che la canzone napoletana, pur rimanendo fedele agli schemi di Ernesto Murolo e di Libero Bovio, deve adattarsi ai tempi moderni, rispettando l’antico linguaggio ma con uno stile completamente nuovo.
Anema e core vince la seconda edizione del Festival di Capri del 1950 e, nonostante la notevole performance di Roberto Murolo, essa diventa popolare sia sul territorio italiano che mondiale grazie al tenore Tito Schipa che la inserisce nei suoi concerti internazionali. È lo stesso Manlio a ricordarlo nell’intervista rilasciata al periodico L’Avvenire del Mezzogiorno di domenica 27 settembre 1953, nell’articolo di Franco Scozio intitolato A Posillipo con Tito Manlio:
Quest’ultima canzone piacque molto al celebre tenore Tito Schipa, il quale la cantò la prima volta durante un suo soggiorno all’estero. Ritornato in Italia, il tenore dall’ugola d’oro mi pregò di scrivere per lui, ed esclusivamente per lui, nuove canzoni in lingua ed in dialetto.
Anche Salve D’Esposito, l’autore della musica, conferma di come la canzone partita in sordina, sia poi diventata una hit internazionale nell’intervista pubblicata sul quotidiano Roma di sabato 7 marzo 1953, nell’articolo di Piero Girace intitolato Come nacque Anema e core:
La mia prima canzone è stata “Me so’ mbriacato ‘e sole”, che come sapete ha avuto un enorme successo. I miei amici, i miei familiari mi dicevano: – Ma perché non scrivi anche tu una canzone?
Dopo molte insistenze, alla fine, mi decisi a scriverla. E sapete perché? Mi piacquero i versi che mi diede il mio amico Tito Manlio nei quali sentivo la luce e l’aria della mia terra. Fu composta nel 1949. Nel 1950 scrissi “Anema e core” che era nata con un altro titolo “Che matenata ’e sole”!
Ma poi più di un amico mi fece notare che noi avevamo già fatto la canzone in cui si parlava tanto di sole, ed io rimasi davvero perplesso e dubbioso. Che fare? La musica l’avevo già composta, ed era quella che voi conoscete. Telefonai a Tito Manlio, e gli comunicai le osservazioni dei miei amici. Le trovò giuste: e quel giorno stesso venne a casa mia, dove insieme adattammo a quella musica, della quale non nascondo ch’ero entusiasta, nuove parole. E così nacque “Anema e core” che agli inizi non incontrò troppo; ma poi, dopo un anno, prese il volo, ed ancora oggi continua il suo viaggio per il mondo.
Il successo della canzone è arcinoto; lo slow con ritmo sincopato venne tradotto in moltissime lingue e inciso da importanti cantanti, quali Frankie Avalon, Cliff Richard, Eddie Fisher, Beniamino Gigli, Perry Como, Connie Francis, Amalia Rodriguez e tanti altri.
Lo spartito vendette milioni di copie e oltre centocinquanta furono le incisioni fonografiche, un primato mai più eguagliato da altra canzone napoletana. La canzone fruttò soltanto fino al 1953 ben 30 milioni di diritti d’autore, di cui l’ottava parte andò a Tito Manlio.
In definitiva, la canzone conosce un’affermazione senza precedenti che porta la melodia napoletana, su un ritmo ballabile, anche nei locali notturni e apre nuovi orizzonti considerati, fino al 1950, irraggiungibili.
Dalla canzone è anche tratta la trasposizione cinematografica. Nel 1951, Mario Mattoli, per la casa di produzione Excelsa Film, gira il film omonimo con Ferruccio Tagliavini, Franca Marzi e Riccardo Billi tra i protagonisti.
La pellicola, trasmessa a Napoli in prima visione venerdì 21 dicembre 1951 alla Sala Roma e che registra un incasso di circa 270 milioni di lire, racconta di due ladruncoli che tentano l’improvvisato mestiere d’impresario, gestendo un cantante fallito. Tra tante vicissitudini, alla fine riescono nell’intento reclutando una ragazza dalla voce potente.

Description

LA SCENEGGIATA IN OGNI TEMPO – 1990

Dalle origini ottocentesche, si passa all’evoluzione e alla maturità di struttura della sceneggiata degli anni ‘20 e ‘30 e alla stabilità degli anni ‘50. Poi, dopo un periodo d’indifferenza e di declino, si registra il prepotente ritorno negli anni ‘70. Infatti, con la crisi del teatro d’arte, la sceneggiata diventa l’unica forma teatrale napoletana ben rappresentata. Ne è esempio proprio l’anno 1970, dove il cinema domina nelle sale di quelli che oggi sono i teatri Bellini, Augusteo, Diana, Sannazaro, Acacia, Cilea. Per gli amanti del teatro classico, la scelta degli spettatori si riduce ai soli sopravvissuti teatri San Ferdinando e Politeama. Come contropartita, funzionano alla grande i botteghini dei teatri Duemila, La Perla, Italia, Ausonia, Splendore e Bracco, dove è rappresentata la sceneggiata. A questi, l’alternativa per il pubblico si riduce alle piccole sale dove si ascolta la musica e il cabaret, come i teatri Orione, Esse, La Porta Infame, Cantuccio, Margherita.
Partendo proprio dal 1970, la sceneggiata domina e varca pure i confini regionali e nazionali e anche quelli internazionali, approdando oltre oceano dove alcune compagnie quali quelle di Mario Merola e Mario Da Vinci diventano assai popolari, almeno nelle colonie italiane sparse nel mondo. Questo nuovo boom è legato soprattutto alla popolarità dei protagonisti e al loro indiscusso talento, più che al successo della canzone.
In questo caso, la definizione di sceneggiata viene distorta, perché ora non è più la canzone di successo che lancia la sceneggiata, bensì è la stessa sceneggiata che fa conoscere la canzone dalla quale è tratta la trama. Infatti, molte canzoni degli anni ‘70 possiedono una popolarità che è limitata al vicolo e vengono conosciute da una platea nazionale proprio in virtù degli incassi della sceneggiata. Spesso la televisione ospita i beniamini, i quali non propongono la canzone il cui successo è limitato e circoscritto, bensì un quadretto recitato con altri artisti della compagnia tratto proprio dalla sceneggiata che termina con la canzone identità. Ecco che Mario Da Vinci, per interpretare Montevergine (Mamma Schiavona) nella popolare trasmissione Domenica in, è accompagnato da suo figlio Sal e da un nutrito gruppo di attori della sua compagnia che inscenano il disperato pellegrinaggio alla Madonna.
Il declino della sceneggiata, che avviene nella prima metà degli anni ’80, non è attribuibile alla critica e alla stampa che hanno sempre alzato un muro e una forma di ostracismo assai discutibile verso questa forma d’arte, ma agli stessi beniamini che passano ad altri palcoscenici, in particolare al cinema come nei casi di Nino D’Angelo, Carmelo Zappulla e Sal Da Vinci, e anche ad un cambiamento del repertorio musicale con canzoni che cantano l’amore e che non possono più offrire alcuna trama da sceneggiare.
Le nuove leve degli anni ’80, probabili divi della sceneggiata, si ritrovano la strada sbarrata dal famigerato incendio del 1984 del teatro Duemila, tempio incontrastato della sceneggiata, e dall’esplosione del fenomeno del Neapolitan Power che codifica la nuova canzone napoletana, ora più aggiornata ai tempi e alle nuove correnti musicali. Il dramma del vicolo non interessa più e il popolo s’identifica in altri argomenti musicali cantati da Pino Daniele, Eduardo De Crescenzo, Teresa De Sio, Tullio De Piscopo, Enzo Gragnaniello e altri. Anche la quotidianità del popolo semplice, spesso usata nelle canzoni come argomentazione, si avvicina maggiormente al linguaggio di Pino Daniele, il quale racconta in maniera diversa le credenze antiche con Bella ‘mbriana o il disonore di una giovane fanciulla con Gente distratta; al linguaggio di Enzo Gragnaniello che racconta del dramma della prostituzione con Donna o di Teresa De Sio che racconta della nostalgia degli emigranti e dell’abbandono o anche della solitudine con Voglia ‘e turnà e Oilloco.
Esaurito il fenomeno del Neapolitan Power, nella seconda metà degli anni ‘90 esplode quello dei cantanti neomelodici, ma molti di questi nuovi artisti, che non hanno mai visto una sceneggiata se non con occhi da bambini, non sentono l’esigenza di trasformare un loro successo in una commedia teatrale, bensì in un film (come Gigi D’Alessio che gira le pellicole Cient’anne e Annarè o Luciano Caldore che gira Pazzo d’amore e T’amo e t’amerò) o in un musical (come Franco Ricciardi che scrive e recita Core nero).
Nelle ultime due decadi ci sono stati lievi tentativi di riportare la sceneggiata a teatro, in particolare al teatro Trianon, ma le nuove forme teatrali, soprattutto il musical, ne impediscono la diffusione.
Il pubblico preferisce applaudire C’era una volta scugnizzi, Masaniello, Viva Diego, Novecento napoletano, La sciantosa, A me me piace ‘o show, Carosone l’americano di Napoli, ecc. piuttosto che la sceneggiata.
Il ricordo di oggi della sceneggiata è distorto, assai parodiato e pure umiliante, soprattutto per quegli attori che hanno preso parte alle ultime compagnie degli anni ‘80 e che, spesso, per non subire giudizi negativi dall’ambiente teatrale, rinnegano o semplicemente nascondono nel loro curriculum la parentesi della sceneggiata. Saggi, libri o articoli sulla stessa raccontano la sceneggiata con distanza, a volte anche con disprezzo, impedendone il suo recupero nella memoria storica del teatro napoletano.
L’irragionevole è quando si giudica la sceneggiata dal pubblico che l’ha applaudita, come se lo scrittore di turno avesse lavorato al botteghino del teatro Duemila o del Trianon: il ceto sociale del pubblico non dovrebbe essere rappresentativo della storia di un artista o di un genere teatrale e musicale.
La storia riconosce, invece, che oltre ai beniamini della sceneggiata (Eugenio Fumo, Amedeo Girard, Aldo Bruno, la famiglia Di Maio, Salvatore e Tina Cafiero, ecc.), altri superbi attori della storia del teatro e della canzone napoletana (Nino Taranto, Titina De Filippo, Pupella Maggio, Totò, Tina Pica, Isa Danieli, Mirna Doris, Nunzio Gallo, Tecla Scarano, Beniamino Maggio, Sal Da Vinci e molti altri) hanno recitato la sceneggiata senza il timore di essere additati e sempre con lo stesso impegno e professionalità.
Da questo resoconto, il libro Storia della Sceneggiata è diviso in tre parti: quella delle origini, quella della storia della Compagnia Cafiero-Fumo, la formazione che ha rappresentato e fatto conoscere la sceneggiata su tutto il territorio nazionale, e quella del rinnovamento e del boom degli anni ‘70 che coincide anche con la morte della sceneggiata.

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