Description
UN LAVORO IMMANE ARRICCHITO FINO AL 1980
Nella seconda metà degli anni ’70, nonostante questo gigantesco movimento intorno alla musica partenopea, l’indiscusso leader della canzone napoletana è Pino Daniele che tra il 1976 e il 1980 porta ai primi posti della hit parade la musica partenopea, lanciando un nuovo movimento soprannominato Neapolitan Power (anche Napule’s Power).
La Neapolitan Power è una commistione esplosiva tra rhythm & blues, melodia napoletana e jazz elettrico, con un tocco pure di tarantella e rock’n’roll. In termini tecnici, la Neapolitan Power è una fusion.
Questo nuovo sound, almeno per Pino Daniele, nasce in casa, poiché, quando era piccolo il padre ascoltava Glenn Miller, il boogie-woogie e la musica napoletana, mentre lui consumava i dischi di Elvis Presley. Il vicino di casa ascoltava Zappatore e Lacreme napulitane di Mario Merola, cosicché tra tutto questo miscuglio di musica, le sue orecchie si sono fuse e ne è venuto fuori il Neapolitan Power, ossia una nuova musica partenopea fortemente contaminata.
Pino Daniele inizia giovanissimo a suonare il basso con la band Napoli Centrale di James Senese e quest’ultimo ricambia il favore suonando il sax negli album Pino Daniele (1979), Nero a metà (1980) e Vai mò (1981), ossia nella mitica trilogia in cui nasce il soul-blues partenopeo.
Con Pino Daniele si apre una fase nuova, con il blues che mantiene un forte legame con la lingua d’origine. Ben oltre il potere evocativo della parola simbolo, l’inglese ritorna con grande frequenza nei testi, nei quali le frasi si completano con parole dialettali e inglesi e, in un gioco altalenante, la frase inglese si completa con quella in napoletano, recuperata da Daniele per le sue potenzialità ritmiche (a partire dalla ricchezza delle parole tronche) e soprattutto caratterizzata da un contesto lontanissimo da quello della canzone tradizionale, ossia lontano dalla stereotipata immagine tutta melodia e sentimento.
Così, nella Napoli a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, quella presa nella morsa della nuova camorra organizzata, sconvolta dalle epidemie di colera e brutalizzata dalla speculazione edilizia e che i giornali esteri definiscono la Calcutta d’Europa, Pino Daniele autoproclamandosi il nuovo Masaniello risponde con poche parole, per niente banali: Nun ce scassate ‘o cazzo!.
Primo di sei figli di un lavoratore portuale, Pino Daniele nasce a Napoli nel 1955, in un vicolo a ridosso del monastero di Santa Chiara. Dopo un breve corso di lingue straniere, preferisce lo studio della chitarra: prima come autodidatta, poi a scuola. La prima esperienza di rilievo è col gruppo jazz-rock Batracomiomachia. Nel 1976, avviene l’incontro con James Senese, il sassofonista dei Napoli Centrale, che lo arruola nel gruppo come bassista. Di poco successivo è l’incontro con il batterista e percussionista Rosario Jermano, la cui collaborazione contribuisce ad affinare la ricerca di quel nuovo sound napoletano, a cavallo tra il blues e la tradizione, di cui è testimonianza il 45 giri uscito poco dopo per l’etichetta discografica Emi: Che calore/Furtunato.
I due brani anticipano la pubblicazione di Terra mia, l’album d’esordio del 1977 in cui Daniele prova a riassumere, come ricorda lui stesso, le speranze e le amarezze d’una stagione irripetibile di sogni e di impegno sociale, ossia quella del ’68 con i suoi i movimenti giovanili di protesta contro l’autoritarismo e la nuova coscienza di tanti settori della società fin’ora silenziosi. In Terra mia, Napoli viene ritratta con un sorriso beffardo565, ma più spesso con un’amarezza che impallidisce nel furore iconoclasta566. La canzone Napule è rappresenta la rinascita della canzone partenopea: un inno moderno, con una melodia senza tempo, di una città da amare visceralmente fino a dolersi della sua condizione sporcata dal degrado.
Con il successivo album del 1979, dal titolo Pino Daniele, l’artista crea il primissimo ponte tra la tradizione napoletana e quella americana, con i soliti spunti melodici che raccontano sia l’amore come nella canzone Je sto vicino a te, che la rabbia che si trasforma in viscerali sfoghi come nella canzone Je so’ pazzo.
Un anno dopo arriva il 33 giri Nero a metà che diventa il capolavoro, la punta di diamante del cosiddetto Neapolitan Power: un irresistibile meticciato musicale in cui vengono fusi rock blues, ritmi latini e melodia, con testi costruiti da Daniele con una lingua originalissima, partendo da quella napoletana e mescolandola con l’italiano e un inglese vagamente alla Carosone.
In Nero a metà i brani di matrice tradizionale sono arrangiati con una tale classe e perizia da sembrare gli episodi più moderni del disco: Appocundria è sostenuta da un elegantissimo intreccio di spagnoleggianti chitarre classiche; Alleria è un malinconico jazz pianistico che sembra navigare da Mergellina ad Ellis Island; Quanno chiove è un gioiello incastonato tra arpeggi brasiliani, un tappeto fluido di tastiere e il limpido sassofono di James Senese.
Nel 1981, l’album Vai mò completa il discorso, col picco di Yes I know my way e altri indovinatissimi motivi, quali Che te ne fotte, Viento ‘e terra e Nun ce sta piacere. Daniele, impareggiabile chitarrista blues, si circonda di fenomeni (James Senese, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo) e raccoglie i frutti di questa fusion che lui chiama taramblù, per significare la mescolanza di tarantella, rumba e blues; il grande pubblico, infatti, si lascia conquistare dal Neapolitan Power e il 19 settembre 1981 ben duecentomila persone accorrono al concerto gratuito che tiene in piazza Plebiscito. Coi suoi testi, il cantautore provoca un processo di immedesimazione totale in quel pubblico alternativo che con gli anni Ottanta diventava sempre meno politicamente rivoluzionario e sempre più privo di punti di riferimento solidi, a parte forse la cannabis e Diego Maradona. Inoltre, si concretizza il rinnovamento del linguaggio attuato con le parole della strada: un linguaggio che deriva da una fusione tra il napoletano, l’italiano e una specie di inglese da bancarella.
Bella ‘mbriana del 1982 inaugura una nuova fase della carriera del cantautore, più decisamente spesa ad arrivare a una sorta di world music in cui il rhythm & blues e il funky sono sempre più contaminati da ritmi africani, mediterranei e modernamente jazz: addirittura in Maggio se ne va c’è l’importante intervento di Wayne Shorter alla tromba.
Dalla seconda metà degli anni ’80, dopo la pubblicazione degli album Musicante e Ferry boat, si verifica il passaggio dal napoletano all’idioma nazionale che giova alle vendite dei dischi di Pino Daniele, anche se negli album c’è sempre almeno una canzone napoletana e ‘O scarrafone è tra quelle di maggior successo. Probabilmente la vera novità è che il cantautore si è messo a scrivere in italiano e lo fa pure molto bene come nel 1992 quando firma Quando, una delle sue ballate più riuscite.
Ancora nello stesso periodo, oltre Pino Daniele, altri due artisti emergono in maniera esplosiva: Teresa De Sio e Tullio De Piscopo. Anche questi cantanti, inventandosi contaminazioni e nuovi modi di interpretazioni, caratterizzano la canzone napoletana, svecchiandola dagli antichi canoni e la riportano, dopo tanti anni, ai primi posti della hit parade.
Teresa De Sio, dopo alcuni trascorsi con i Musicanova, inizia la carriera da solista nel 1980 con il 33 giri Sulla terra sulla luna con brani in lingua e in dialetto napoletano che presentano combinazioni folk, rock e jazz. Il brano di punta è ‘O sole se ne va di De Sio e Gigi Di Rienzo che diventa la sigla del programma televisivo del sabato sera Fantastico. Poi, nel 1982, vende mezzo milione di copie con Voglia ‘e turnà567 di De Sio e Francesco Bruno. La novità della canzone sta nell’uso delle voci armonizzate, una caratteristica che la cantante usa, poi, anche per altri brani. Dal 33 giri sono tratti altri motivi che ripetono lo stesso successo, in particolare Aumm aumm di De Sio e Gigi Di Rienzo, canzone dal ritmo moderno che presenta contaminazioni provenienti dall’antica tarantella. Per nulla turbata dalla responsabilità di bissare il risultato, la cantante prosegue la sua personale ricerca e ripete lo stesso trionfo nel 1983 con il 33 giri Tre che vende quattrocentomila copie e lancia altre nove canzoni, tutte in dialetto napoletano. Solo il motivo ‘E pazzielle presenta le voci armonizzate come per Voglia ‘e turnà. Tra i brani di punta: Oilloco, Dindimbò e Terra ‘e nisciuno.
Nel 1985, il disco Africana è pubblicato anche per il mercato estero: Francia, Germania e Inghilterra. Le canzoni diventano più rock e solo alcune sono in dialetto, tra cui le delicate Veneno e vanno di De Sio e Brian Eno e Sotto ‘o cielo di De Sio.
Nel 1986, l’artista dimostra tutta la sua conoscenza, lo studio e soprattutto la passione nei confronti della canzone antica napoletana, pubblicando il 33 giri Toledo e Regina che contiene delle raffinatissime riletture di dieci brani datati: Passione, Palomma ‘e notte, Piscatore ‘e Pusilleco, I’ te vurria vasà, Santa Lucia luntana, Maggio si tu, Era de maggio, Voice ‘e notte, Marzo e Serenata napolitana. Le canzoni sono rivisitate con delicatezza e partecipazione e si avvalgono della scrittura degli archi di Paul Buckmaster e degli arrangiamenti di Enzo Vitolo e Buckmaster. La caratteristica di questo album è che è cantato e suonato interamente dal vivo, con registrazioni in diretta. Per tutti gli anni ’90, la De Sio propone molti altri dischi, ma quasi tutti di matrice italiana. Fa un ritorno al passato negli anni duemila con i dischi A sud a sud e Sacco e fuoco, ma ormai la sua stella è tramontata.
Tullio De Piscopo, batterista, cantante e compositore, dopo diversi trascorsi, nel 1975 intraprende la carriera da solista registrando il 33 giri Sotto e ‘ncoppa con brani di Sante Palumbo, Giorgio Baiocco, Sergio Farina, Gigi Cappellotto e dello stesso De Piscopo. Tra le canzoni di punta ‘A cozzoca, ‘O sipario, ‘O miracolo addà venì. L’anno successivo, ancora brani in dialetto nel secondo 33 giri: ‘O stadio, ‘O munno gira e Funiculì funiculà.
Ma è nel 1983, con Acqua e viento, il suo terzo album da solista, che si afferma a livello nazionale ed anche europeo. Il disco è trainato dalla canzone di Pino Daniele Stop bajon (sottotitolata Primavera). Nel 33 giri, oltre Daniele, anche brani di Joe Amoruso e Peppe Lanzetta. Si conferma nel 1985 con l’album Passaggio ad Oriente che contiene i brani E fatte e sorde! E?, Luna nova e Radio Africa. In particolare, la prima canzone firmata da De Piscopo diventa un grande successo radiofonico. Nella seconda metà degli anni ’80, la carriera dell’artista continua a decollare con importanti partecipazioni al festival di Sanremo, al festivalbar e a Vota la Voce, ma il suo percorso, su imitazione di Pino Daniele e di Teresa De Sio continua con la canzone in lingua, su ritmi jazz-pop.
Terminato il nostro studio sui cento anni della canzone napoletana, c’è da dire che al di fuori del secolo esaminato avviene un nuovo rilancio, precisamente il quarto, che si verifica all’inizio degli anni ’90.
Succede che dalla seconda metà degli anni ’80 scoppia una nuova crisi della canzone napoletana: i vari Pino Daniele, Teresa De Sio, Tullio De Piscopo, Eduardo De Crescenzo, Enzo Avitabile e altri leader passano alla canzone italiana; la sceneggiata perde interesse e con essa pure i suoi protagonisti. Anche Nino D’Angelo che ha sempre cantato in napoletano, si presenta per la prima volta al Festival di Sanremo nel 1986 con un brano in lingua. Solo pochissimi artisti, tra cui Enzo Gragnaniello, Valentina Stella e Lina Sastri, riescono in qualche modo a svincolarsi da questa nuova ondata di crisi.
Poi, ancora una volta la musica napoletana si rigenera e dalle imbrattate cantine dei centri sociali universitari e dalle televisioni private campane più becere, esplodono due fenomeni destinati a riportare ai primi posti della hit parade la canzone napoletana: la musica politica-sociale Vesuwave e la musica neomelodica.
Entrambi i fenomeni si affermano all’inizio degli anni ’90. La musica Vesuwave è una nuova forma di canzone napoletana in chiave dub e raggamuffin con testi dai forti contenuti sociali, mentre la musica neomelodica è una nuova forma di canzone napoletana dove i testi abbandonano definitivamente i valori morali della famiglia, dell’amore e dell’amicizia, per affondare la lama nei tradimenti d’amore, nelle cattive compagnie, nel sesso facile, nelle malevolenze e nelle inimicizie.
Ognuno di questi due movimenti si differenzia anche nel modo con cui s’interpreta il brano: nel primo caso il canto è quasi parlato e spesso arrabbiato e presentato in forma rap; nel secondo caso il canto è frequentemente nasale e i ritornelli sono eseguiti con degli stop e dei cambi di registro nel vibrato.
Anche i look contraddistinguono fortemente i cantanti dei due gruppi: nel primo caso regnano tatuaggi, capelli colorati attaccati con una varietà di elastici e bandane e abbigliamento essenziale e trasandato (spesso jeans e semplice t-shirt bianca); nel secondo caso l’estetica è fondamentale: dominano forti trucchi e gelatine, importanti acconciature e vestiti assai appariscenti, spesso luccicanti, abbronzature da centri estetici e fisici palestrati.
I leader della musica Vesuwave sono gli Almamegretta, i 99 Posse e i 24 Grana che riportano la canzone napoletana ai primi posti della hit parade. Con loro anche i Balaperdida, i Polina e gli A 67. Con queste band, la canzone napoletana è ritmicamente contaminata dal reggae e dalla ritmica afroamericana: si mischia la tradizione mediterranea con i sofisticati suoni elettronici della dance più ricercata e soprattutto del dub, ossia della manipolazione elettronica del reggae giamaicano.
I leader della musica neomelodica sono riscontrabili in Gigi D’Alessio, Maria Nazionale e Gigi Finizio che portano la musica dialettale alla popolarità nazionale. Altri leader sono Ida Rendano, Ciro Ricci, Antoine, Tommy Riccio, Luciano Caldore, Antonio Ottaiano, Gino Da Vinci, Enzo Caradonna, Sergio Donati, Franco Ricciardi, Brunella Gori, Rosy Viola e molti altri.
Per circa dieci anni, cantando sempre in napoletano, tutti questi artisti invadono i festival, la televisione e le radio. Da un lato si canta Sanghe e anema, ‘O bbuono e ‘o malamente, Curre curre guagliò, Sanacore, ‘O cardillo, Stai-mai-ccà, Kevlar, Introdub, Fattallà, Figli di Annibale, Kanzone doce, Cerco tiempo e altre.
Dall’altro lato si canta ‘O latitante, Toccami toccami dai, Annarè, Cient’anne, Ciao mamma, Chillo va pazzo pe’ te, Pazzo d’amore, Ragione e sentimento, Notte senza luna, Lascia stare mio marito, 167, Sto venenno addù te, Che succiese stasera e altre.
Grazie a questa nuova onda, anche la tradizionale canzone napoletana torna alla ribalta: Enzo Gragnaniello canta Alberi con Ornella Vanoni e il capolavoro Cu mme con Mia Martini e Roberto Murolo; Valentina Stella esplode con Mentecuore e ‘A città ‘e Pulecenella; Pietra Montecorvino si afferma con Murì. Addirittura il Festival di Sanremo torna ad accogliere la canzone napoletana, cosicché nell’edizione del 1992 Lina Sastri e la Nuova Compagnia di Canto Popolare presentano Femmene ‘e mare e Pe’ dispietto e Roberto Murolo e Ninè nell’edizione del 1993 eseguono rispettivamente L’Italia è bbella e Femmene.
Infine, anche l’antica canzone partenopea si rinverdisce con il rilancio nazionale e internazionale di capolavori quali ‘A casciaforte, Reginella, Maruzzella, Anema e core, Luna rossa e molte altre, ad opera di Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana.
Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
Recensioni
Non ci sono ancora recensioni.
Only logged in customers who have purchased this product may leave a review.