15. STORIA DELLA SCENEGGIATA: 1840 – 1980

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LE ORIGINI DEL FESTIVAL

Un nuovo festival che nasce alla fine degli anni ’40 è quello che si tiene a Capri tra il 1949 e il 1956, e che, rispetto alle altre gare canore partenopee degli anni ‘50, è quello che lancia moltissime canzoni napoletane al successo nazionale e pure internazionale, contribuendo notevolmente al rinnovamento della canzone napoletana.
La caratteristica del Festival di Capri è che esso assume tutte le caratteristiche di un’audizione di Piedigrotta perché organizzato da un’unica casa editrice, la Leonardi di Milano. Prende, però, i caratteri festivalieri perché le canzoni presentate gareggiano per aggiudicarsi il primo premio.
Il micro-Festival di Capri è organizzato e prodotto dalla casa editrice Gruppo Leonardi di Milano (a cui appartengono anche le etichette Souvenir, Luisiana, Musical Film, Cantanapoli) che si avvale di giovani autori per la proposta di canzoni napoletane moderne e, per questo motivo, diventa l’apripista del secondo rinnovamento della canzone napoletana. Infatti, dal punto di vista storico, è la prima rassegna che abbandona i generi musicali stantii e presenta una produzione canora tutta incentrata sul genere moderno, eseguita da giovani artisti, tra i più in voga del momento.
Roberto Murolo e Giuseppe Scarola sono i veri protagonisti di questi festival capresi e, di conseguenza, diventano i capisaldi del nuovo genere moderno sussurrato e confidenziale, contrapposto a quello tipico dei gorgheggi e delle cesellature utilizzato in tutte le altre manifestazioni canore.
I due cantanti-chitarristi contribuiscono notevolmente alla nascita e alla diffusione dello stile confidenziale, caratterizzato dall’uso di una dizione straordinariamente chiara, da una esecuzione inquadrata nel recitar/cantando e da una totale evasione al consueto schema tradizionale della strofa-ritornello della canzone napoletana.
Successivamente al trionfo nel 1949 della canzone Me so’ mbriacato ‘e sole, vincitrice della prima edizione (eseguita da Scarola), nel 1950 è Roberto Murolo ad aggiudicarsi la gara con Anema e core, una canzone che segna la storia del rinnovamento della canzone napoletana (pari merito con Luna rossa) e che riporta la melodia partenopea nelle hit parade europee e internazionali. Il brano, che si avvale di un sound generalmente più dolce e di atmosfere più intime, diventa la canzone simbolo dei night di tutto il mondo. È scritta da Tito Manlio, l’autore che, immediatamente al dopoguerra, sviluppa l’idea che la canzone napoletana, pur rimanendo fedele agli schemi di Ernesto Murolo e di Libero Bovio, deve adattarsi ai tempi moderni, rispettando l’antico linguaggio ma con uno stile completamente nuovo.
Anema e core vince la seconda edizione del Festival di Capri del 1950 e, nonostante la notevole performance di Roberto Murolo, essa diventa popolare sia sul territorio italiano che mondiale grazie al tenore Tito Schipa che la inserisce nei suoi concerti internazionali. È lo stesso Manlio a ricordarlo nell’intervista rilasciata al periodico L’Avvenire del Mezzogiorno di domenica 27 settembre 1953, nell’articolo di Franco Scozio intitolato A Posillipo con Tito Manlio:
Quest’ultima canzone piacque molto al celebre tenore Tito Schipa, il quale la cantò la prima volta durante un suo soggiorno all’estero. Ritornato in Italia, il tenore dall’ugola d’oro mi pregò di scrivere per lui, ed esclusivamente per lui, nuove canzoni in lingua ed in dialetto.
Anche Salve D’Esposito, l’autore della musica, conferma di come la canzone partita in sordina, sia poi diventata una hit internazionale nell’intervista pubblicata sul quotidiano Roma di sabato 7 marzo 1953, nell’articolo di Piero Girace intitolato Come nacque Anema e core:
La mia prima canzone è stata “Me so’ mbriacato ‘e sole”, che come sapete ha avuto un enorme successo. I miei amici, i miei familiari mi dicevano: – Ma perché non scrivi anche tu una canzone?
Dopo molte insistenze, alla fine, mi decisi a scriverla. E sapete perché? Mi piacquero i versi che mi diede il mio amico Tito Manlio nei quali sentivo la luce e l’aria della mia terra. Fu composta nel 1949. Nel 1950 scrissi “Anema e core” che era nata con un altro titolo “Che matenata ’e sole”!
Ma poi più di un amico mi fece notare che noi avevamo già fatto la canzone in cui si parlava tanto di sole, ed io rimasi davvero perplesso e dubbioso. Che fare? La musica l’avevo già composta, ed era quella che voi conoscete. Telefonai a Tito Manlio, e gli comunicai le osservazioni dei miei amici. Le trovò giuste: e quel giorno stesso venne a casa mia, dove insieme adattammo a quella musica, della quale non nascondo ch’ero entusiasta, nuove parole. E così nacque “Anema e core” che agli inizi non incontrò troppo; ma poi, dopo un anno, prese il volo, ed ancora oggi continua il suo viaggio per il mondo.
Il successo della canzone è arcinoto; lo slow con ritmo sincopato venne tradotto in moltissime lingue e inciso da importanti cantanti, quali Frankie Avalon, Cliff Richard, Eddie Fisher, Beniamino Gigli, Perry Como, Connie Francis, Amalia Rodriguez e tanti altri.
Lo spartito vendette milioni di copie e oltre centocinquanta furono le incisioni fonografiche, un primato mai più eguagliato da altra canzone napoletana. La canzone fruttò soltanto fino al 1953 ben 30 milioni di diritti d’autore, di cui l’ottava parte andò a Tito Manlio.
In definitiva, la canzone conosce un’affermazione senza precedenti che porta la melodia napoletana, su un ritmo ballabile, anche nei locali notturni e apre nuovi orizzonti considerati, fino al 1950, irraggiungibili.
Dalla canzone è anche tratta la trasposizione cinematografica. Nel 1951, Mario Mattoli, per la casa di produzione Excelsa Film, gira il film omonimo con Ferruccio Tagliavini, Franca Marzi e Riccardo Billi tra i protagonisti.
La pellicola, trasmessa a Napoli in prima visione venerdì 21 dicembre 1951 alla Sala Roma e che registra un incasso di circa 270 milioni di lire, racconta di due ladruncoli che tentano l’improvvisato mestiere d’impresario, gestendo un cantante fallito. Tra tante vicissitudini, alla fine riescono nell’intento reclutando una ragazza dalla voce potente.

Description

I GUAPPI DI CARTONE – 1990

37° anno casa editrice ABE, 1003° titolo dal 1987, 13° volume in collana del prof Antonio Sciotti, storico dell’Almanacco Napoletano della canzone e del teatro, per la prima volta dedicato all’Isola di Capri. Edizione completamente CARTONATA formato maxi CM.17×24 Euro 44, oppure scontata sul sito www.abenapoli.it edizione cartoncino con foto interne A COLORI solo EURO 33 cm.16×23 solo a chi si prenota (spedizione gratis tutta Italia).

l tomo è diviso in tre parti: quella delle origini, quella della storia della Compagnia Cafiero-Fumo (la formazione che ha rappresentato e fatto conoscere la sceneggiata su tutto il territorio nazionale), e quella del rinnovamento e del boom degli anni ’70 che coincide anche con la morte della sceneggiata. Il primo esempio di sceneggiata lo ritroviamo nel lontano 1840 al teatro San Carlino, dove recitano il Pulcinella Salvatore Petito e il buffo Pasquale Altavilla, quest’ultimo nel doppio ruolo di attore e commediografo, nonché un nutrito numero di attori, ben conosciuti al pubblico, tra cui anche Raffaele Cammarano, figlio di Giuseppe e nipote del popolare Pulcinella Giancola. Pasquale Altavilla è, in questo periodo, il commediografo ufficiale della compagnia con una scrittura che si ispira quasi sempre a fatti di cronaca rosa o nera realmente accaduti. Ebbene, sul grande successo di Piedigrotta della canzone Te voglio bene assaje, scrive per la Comica Compagnia Nazionale la rappresentazione Te voglio bene assaje e ttu nu pienze a mme. Nella commedia, la canzone Te voglio bene assaje viene intonata dal personaggio Scazzuoppolo (Pasquale Altavilla) e, in altra occasione, da Scazzuoppolo e Luisella (Concetta Ardoino). Inoltre, al termine della rappresentazione, tutta la compagnia esegue un balletto coreografato da Salvatore Petito, proprio sulla musica di Te voglio bene assaje. Dalle origini ottocentesche, si passa all’evoluzione e alla maturità di struttura della sceneggiata degli anni ’20 e ’30 grazie all’importante contributo della Compagnia Cafiero-Fumo. Poi, dopo un periodo d’indifferenza e di declino, si registra il prepotente ritorno negli anni ’70 che coincide con la crisi del teatro d’arte. Capisaldi di questo nuovo boom sono le compagnie di sceneggiata dirette da Mario Merola, Pino Mauro, Mario Da Vinci e Mario Trevi e, successivamente, quelle dirette da Carmelo Zappulla e Nino D’Angelo. Questi ultimi, nella prima metà degli anni ’80 del Novecento, completano ed esauriscono il fenomeno della sceneggiata.

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