15. PANNARANO E IL PARTENIO. Spigolature (con integrazione capitolo sul feudo di Caracciolo il Galante)

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Copertina posteriore

QUANDO A PANNARANO SI ANDAVA A VILLEGGIARE

“Il plauso, con cui furono ricevute in Italia ed oltre, le Opere di Niccolò Amenta46 avvocato napoletano, stampate già mentre egli visse, e la giusta lode, che fu data loro da più celebri letterati di essa,, mi spinsero a cercare dopo la morte di lui, seguita a 21 del mese di Luglio nell’anno 1719 in Napoli, dove egli nacque a diciotto di Ottobre del 1659, se alcuna opera inedita di così celebre, e rinomato Uomo rimasta fossevi, per far di lei un assai pregevol dono alla Repubblica letteraria, e per incontrar in facendolo il maggior piacere, e l’utile maggiore di lei47″.
Queste parole mette nella premessa all’edizione postuma dei Capitoli, nel 1721, l’editore fiorentino, il cui nome non è indicato nelle note tipografiche. Opera postuma, in cui l’editore si è dato a raccogliere i “Capitoli da lui [Niccolò Amenta] per varie occasioni, in vari tempi, ed a molti de’ suoi o più ragguardevoli, o più confidenti Amici composti ed indirizzati… che questi [l’Amenta] sol tanto per suo divertimento e degli Amici suoi talora in una osteria, per viaggio, in una qualche Villa, e sempre poi fra l’ allegrie dell’amica brigata, ed in brieve ora compose”.
Una in particolare ci interessa, ed è la undicesima, dedicata a Pannarano. Una poesia odeporica, la descrizione di un viaggio, delle cose che l’autore ha visto, delle persone che ha incontrato48. Niccolò Amenta aveva certamente dei riferimenti letterari classici, primo fra tutti il Viaggio da Roma a Brindisi di Orazio (Satire, I,5). Questo dell’Amenta più che un Iter , un viaggio alla maniera oraziana, è una rusticatio, cioè un soggiorno, una villeggiatura in campagna, che gli antichi, a cominciare da Cicerone e i due Plinio per indicarne alcuni tra i maggiori, avevano decantato. Proprio in un commento al De Officiis di Cicerone, l’autore del XVIII secolo 49, così commentava:” E quai piaceri non ci somministrano le rustiche occupazioni? Qual vita più bella e grata di tante costanti meraviglie della natura”.
Il Capitolo Undicesimo porta come epigrafe:
Descrive la Terra di Panderano,
Al Signor Anello di Napoli.
Chi sia questo signore Anello di Napoli suo amico, lo dice l’autore nelle note al Capitolo primo50:
“Cioè il Signor Anello di Napoli: di cui vorrei sopra tutto lodar la piacevolezza de’ costumi, colla quale tiravasi l’affetto di chiunque il conosceva: ma per far brevissimamente parola di ciò che maggiormente il mondo apprezza: fu egli intendentissimo Filosofante, e Medico espertissimo non mai obbligato a setta veruna, ma sempre guidato dalla sperienza, e dalla ragione. E nell’una, e nell’altra professione valse tanto, che leggendone in cattedra (sentendolo ancor io, il menomo fra’ suoi scolari) serviran mai sempre per insegnamento e regola a ben filosofare, e medicare i suoi dottissimi scritti. Morte troppo presto cel tolse: e mentre certamente speravam cose maggiori dal suo adeguato (come dicesi) più che sottilizzante ingegno”.
Lasciati per un poco gli affari della città e gli impegni professionali, trovarsi a Pannarano è come essere in un mondo arcadico. Perciò l’invito all’amico Nello di raggiungerlo nel paese ai piedi del Partenio:

Qui ti chiamo, e vorrei, ove son giunto,
Or son tre giorni, e de le cose tante,
Che ‘l loco dà, non ho goduto io punto.
Io dico in Panderano, è col galante
Caracciolo, che ‘l tiene in signoria.

E’ probabile che la visita a Pannarano sia avvenuta negli ultimi anni del secolo XVII. Del nobil uomo che lo ha invitato nella sua Terra, il nostro poeta dice:
“Ch’è il gentilissimo cavaliere Benedetto Caracciolo Signor di Panderano: il quale (in tralasciando parlar qui della sua varia letteratura) per lo suo compiuto giudizio, incomparabil prudenza, e per tante virtù, che l’adornano, è stato, sin da’ primi anni della sua gioventù mai sempre impiegato , nella prime dignità, che la nostra patria a primi sensati Patrizi suol conferire, ed in tutte n’ ha riportato, e riporta tuttavia grandissima lode”51.
Di Benedetto Caracciolo, si parla nel Cronicamerone Overo Annali E Giornali Historici Delle cose notabili accadute nella Città e Regno di Napoli52 pubblicato nel 1690. L’autore di questi Annali e Giornali Historici, Antonio Bulifon, nato in Francia nel 1649, ma attivo in Napoli come editore e cronista morto in Spagna nel 1707, nel ringraziare quanti gli hanno consentito l’accesso a documenti e ad archivi, scrive di Benedetto Caracciolo:” Delle moderne [cronache] o egli medesimo [Bulifon] è stato spettatore o ha pigliati per iscorta fedelissimi scritti a penna, de’ quali fa menzione delle prime pagine. E sopra tutto nelle cose della città s’è servito del pubblico Archivio, del quale fatta l’è stata larghissima copia co’ l mezzo dell’Illustrissimo Signor Don Benedetto Caracciolo Signor di Pannarano, Cavaliere dotato di tutte le nobili arti, e di singolarissima affezione, qual a virtuoso conviensi in verso i virtuosi”.
La generosa ospitalità dell’amico Benedetto Caracciolo, l’amenità dei luoghi dove soggiorna sono motivi validi a sollecitare l’amico Agnello a raggiungerlo in Pannarano.

Ma se mi fosse dato per volgare
Far tanti versi fra mezz’ora, quanti
Ippolito per lettera suol fare.
Appieno non potrei spiegarti i tanti
Diletti, ancorché io tutto dì scrivessi
Da questo giorno insino all’Ognissanti.
Pur ti vo dir da quel punto, che messi
Fummo in cammino a fare il bel viaggio;
Se ben restare a mezza via credessi.
Partimmo adunque a dodici di Maggio;
So ben che dovea dirti del corrente:
Ma voluto ha così la rima in aggio.
Guidonne in festa sollazzevol gente:
Con arnbiadura tal, che Monn’ Oretta,
Desiar non potea così piacente.
Fresca era l’aria, e sì tranquilla, e netta.

Viene menzionato Vincenzo d’Ippolito, che era presidente del Sacro Regio Consiglio53. Egli “successe nella carica di presidente ad Adriano Lanzin Ulloa, che vi rinunciò per l’età, quando era consigliere della Regia Camera di Santa Chiara “Fu questo buon ministro Cittadino di Mercogliano, deliziosa Terra, poche miglia distante da Napoli. Nelli Studi napoletani fece ottima riuscita ed in particolare nelle belle lettere e poesia54”
A quale Monna Oretta si riferisce, il nostro poeta lo spiega In nota al Capitolo Undicesimo:
“La moglie di Messer Geri Spina: di chi parla il Boccaccio nella Novella 1 della 6.Gior. dicendo che un cavaliere con una delle più belle Novelle del Mondo, voleva p0rtarla a cavallo, da contado sin’ in Città : e farle parer brevissima la lunga strada, che la trapazzava”,
Per raggiungere da Napoli il paese ai piedi della montagna del Partenio, l’Amenta segue la strada più comoda per la Valle Caudina, non quella pedemontana da Mercogliano, che pure conosceva per averla fatta e descritta nel Capitolo XII: “Descrive un viaggio fatto a’ Padri Camaldolesi dell’Incoronata”, cioè all’eremo di S. Angelo a Scala, comune della fascia pedemontana del Partenio.
Venendo a Pannarano dalla Valle Caudina, non poteva non attraversare il territorio che vide i soldati romani passare sotto il giogo, quando dovettero arrendersi ai Sanniti. In quegli stessi luoghi che nel 321 a. C. videro “il grave scorno” dei Romani, ora i contadini accorrono a salutare il loro signore, e a baciargli le mani in segno di deferenza e di affetto. Momenti di guerra nel passato, momenti di pace nel presente; i primi portano scorno, i secondi danno letizia e affetto. Questo il messaggio sotteso ai versi del poeta.

Ne fatto ancor avea Febo del giorno
Il sesto intier, che fummo, ove Romani,
Ebbero da Sanniti il grave scorno.
Quivi spuntar vedemmo i terrazzani,
Che a baciar le ginocchia al lor Signore
Correano lieti: ed ei porgea le mani.
Abbracciavagli poi con tanto amore,
Che non credo così sua prole amata
Tenero padre mai stringesse al core.
Ed uniti così tutti in brigata
Sollazzando, vedemmo i primi tetti
De la Terra, che m’è cotanto grata.

Scherzando con l’amico Anello, socio “dell’Accademia di Geografia istituita allora dal Duca di Medinaceli Viceré nel real Palagio (nota 4 del Capitolo XI), il nostro spiega l’etimologia del nome del paese, così come la tradizione locale la tramandava, cioè dal dio Pan e dall’ara….

Description

REVISIONI STORICHE SU PANNARANO E LA VALLE CAUDINA

Il titolo del libro, ti dice già, gentile Lettrice e gentile Lettore, che esso è una raccolta di argomenti attinenti alla storia di Pannarano, senza iniziare dalle origini remote del paese, vere o fantastiche che siano, per finire ai nostri giorni. La sequenza di eventi cronologicamente esposti cede il posto a singoli aspetti della storia di Pannarano. Quali tra di essi siano più o meno interessanti è una valutazione affidata alla vostra discrezione di lettrici e lettori curiosi e attenti.
Per chi ha voglia di leggere solamente un capitolo, che dal titolo gli potrà sembrare più interessante, valga il suggerimento che Alessandro Manzoni dà ai lettori de i Promessi Sposi, quando si accinge ad esporre la vita, e tutti i meriti, del Cardinale Federigo Borromeo (cap. XXII): ”Intorno a questo personaggio bisogna assolutamente che noi spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentirle, e avesse però voglia d’andare avanti nella storia [di Renzo e Lucia], salti addirittura al capitolo seguente”.
Un romanzo va letto in sequenza, per non parlare di quelli gialli dove tutto si dipana come un gomitolo di lana; ma queste pagine di storia di Pannarano, sono dei riquadri, come in un polittico, dove cogliere l’unità dell’insieme è un compito affidato a ogni singolo spettatore/lettore, che sa collegare le parti più interessanti e quelle meno, le più piacevoli e quelle ininfluenti, naturalmente a seconda della sua sensibilità, dei suoi interessi e delle sue conoscenze.
La divisione in capitoli è funzionale alla creazione di momenti di pausa all’interno di un’unica narrazione; il titolo, poi, di ciascuno di essi fa quasi da introduzione a quello successivo….

Dettagli

EAN

9788872970416

ISBN

8872970415

Pagine

112

Autore

Iandiorio

Editore

ABE Napoli,

ABE Torino

Recensioni

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Editorial Review

PRESENTAZIONE DEL SINDACO  DOTT. ENZO PACCA

 

Per riprendere l’introduzione suggerita dal Preside Virgilio Iandiorio, Autore di questo testo sulla storia della nostra Pannarano, il titolo del libro, dice già, gentile Lettrice e gentile Lettore, che esso è una raccolta di argomenti attinenti alla storia del nostro paese, senza iniziare dalle origini remote, vere o fantastiche che siano, per finire ai nostri giorni. «La sequenza di eventi cronologicamente esposti cede il posto a singoli aspetti della storia di Pannarano», come scrive l’autore, «quali tra di essi siano più o meno interessanti è una valutazione affidata alla vostra discrezione di lettrici e lettori curiosi e attenti». Vale la regola, per chi ha voglia di leggere solamente almeno solo un capitolo che dal titolo gli potrà sembrare più interessante, valga il suggerimento che Alessandro Manzoni dà ai lettori de i Promessi Sposi, prima di parlare del Cardinale Federigo Borromeo: «Intorno a questo personaggio bisogna assolutamente che noi spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentirle, e avesse però voglia d’andare avanti nella storia [di Renzo e Lucia], salti addirittura al capitolo seguente». Ecco perché noi, seguendo il monito dell’Autore, diciamo che «un romanzo va letto in sequenza, per non parlare di quelli gialli dove tutto si dipana come un gomitolo di lana; ma queste pagine di storia di Pannarano, sono dei riquadri, come in un polittico, dove cogliere l’unità dell’insieme è un compito affidato a ogni singolo spettatore/lettore, che sa collegare le parti più interessanti e quelle meno, le più piacevoli e quelle ininfluenti, naturalmente a seconda della sua sensibilità, dei suoi interessi e delle sue conoscenze». La divisione in capitoli, come dice il Preside, è funzionale alla creazione di momenti di pausa all’interno di un’unica narrazione; il titolo, poi, di ciascuno di essi fa quasi da introduzione a quello successivo, lasciando scorrere sotto i nostri occhi cosa si nasconde sotto il nome del paese e quando si è formato l’abitato. Ma tante sono le curiosità su Pannarano quando chiese lo status di camera riservata ai Re di Napoli e tante le curiosità, dal commercio dei pioppi alla tutela dell’ambiente, alle liti per l’acqua. Il testo si conclude con notizie sulla famiglia Caracciolo e una bella pagina di quando i napoletani sceglievano Pannarano per la villeggiatura. Dott. Enzo Pacca Sindaco di Pannarano (Bn)

 

Un numero rilevante di cittadini coltivavano da molto tempo terreni demaniali. Essi rimanevano nel possesso del territorio che coltivavano, ma con il pagamento di un canone di fitto dopo un accertamento e una valutazione del rendimento del fondo.

Interessante, a parte i riferimenti classici alle rose di Paestum (Virgilio, Georgiche IV, 116-124) e al miele di Ibla (Virgilio, Ecloga I, vv. 53-55), è l’annotazione degli uccelli che vedeva volare in Pannarano: niente gufi né civette (che nelle credenze partenopee sono di malaugurio), ma cardellini, usignoli e falimbelli (uccelli che non stanno mai fermi). La tranquillità che ispira la campagna, diventa ideale per leggere all’ombra degli alberi. Il nostro poeta non si dà a letture molto impegnate, ma legge “Arlotto Mainardi, detto il Piovano o Pievano Arlotto (Firenze, 25 dicembre 1396 – Firenze, 26 dicembre 1484), un sacerdote famoso per il suo spirito e le sue burle diventate proverbiali, grazie alla letteratura popolare fiorita nel Rinascimento.
Dai motti faceti del Pievano Arlotto, il nostro poeta passa ad argomenti più seri e importanti, e va a scomodare perfino Cartesio, perché a Pannarano :
L’aere è poi sottile, e puro tanto,
Che l’etere il diresti di Renato.

Renato è il filosofo Cartesio (René Descartes e in latino Renatus Cartesius) nato in Francia nel 1596 e morto in Svezia nel 1650. Il filosofo del “Penso, dunque sono”. Cartesio è uno dei fondatori del pensiero filosofico moderno. Temi del suo insegnamento sono : il rifiuto del sapere tradizionale insegnato nelle scuole, la necessità di dare un nuovo metodo alla ricerca filosofica e scientifica prendendo a modello la matematica, e la volontà di partire dall’uomo e dai contenuti del suo pensiero per risolvere i problemi della certezza della conoscenza umana, dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima.
Per non elevare troppo il tono della poesia, che vuole conservare “mediano”, l’Amenta tira in ballo un altro amico suo:
Ove Tor mangia, e ci smaltisce, o quanto!

La stessa aria, che diresti cartesiana, è respirata dal suo amico Tore, cioè Salvatore Barone, “del qual s’è parlato in altri Capitoli” (scrive nella nota 5), ma è quella che lo aiuta nel mangiare e nel digerire bene.
La gente del posto, sebbene non istruita, non ha nulla da rimproverarsi perché sanno discutere anche argomenti di fisica e di filosofia:

Non ha più costumata altro paese;
E in ispiegando i lor rozi concetti
Son più felici assai del Caloprese.

Che cosa voglia dire, e chi sia il Caloprese, il nostro autore lo spiega nella nota n.6: “Quella mancanza che ha dalla natura il Signor Gregorio Caloprese, nel non ispiegar talora avvenentemente colla lingua, ciò che maravigliosamente comprende e alla sua mente in qualunque scienza: vien’ ammendata formisura dalla felicità della sua penna: scrivendo con tanta eloquenza, e dot trina, che s’è renduto per tutta l’Italia, e più oltre, rinomato ed immortale ed assai più fra noi, che ne ammiriamo eziandio la candidezza de’ costumi, e la bontà della vita...............
Pannarano ha un altro pregio: “Le donne ancor son di piacevol viso”. Questo potrebbe essere un motivo in più per far correre da Napoli l’amico Anello. Anche in questo caso, il nostro autore nel momento in cui i toni possono apparire troppo elevati o troppo volgari, subito corre ad attutirli. Potrebbe, il suo amico, essere preoccupato di rapporti che provocano malattie, come accadeva allora col mal di Francia, che si contraeva quando i rapporti sessuali non erano sicuri. Si ritiene portata in Europa dall’America, dopo la scoperta di Colombo, la Sifilide, ossia “mal francese” .il termine compare per la prima volta in un’opera scientifica, un poema in esametri, De Syphilis sive de morbo gallico, pubblicato nel 1530, di Girolamo Fracastoro (Verona, 1478 ca.- 1553) uno dei più grandi medici del passato , oltre che filosofo, astronomo, geografo e letterato.
Passando poi ai cibi, l’Amenta nota che “buone carni ha il paese”, ma anche i paesi dintorno. Quello che è in abbondanza e di ottima qualità, è il vino. A questo punto il nostro poeta diventa buongustaio e intenditore:

Il vino c’è a bizeffe, e prezioso,
Che dolcemente la lingua ti punge
Serbevol, lusingante, e poderoso.

Questo vino di Pannarano viene decantato come “prezioso”, “serbevole” vale a dire che mantiene per lungo tempo il suo stato di conservazione, “lusingante” cioè allettante, e poderoso. Anche qui, l’Amenta introduce l’elemento gioioso, con il riferimento a Nicola Galizia “grande assaggiatore”. Chi sia questo personaggio, è detto nella nota n.8 al Capitolo XI:” Niccolò Galizia sacerdote di vita esemplare, e ‘l più gran Filosofante, ch’abbia presentemente la città nostra: oltre all’ esser buon Matematico, e leggiadro Poeta ; ma più inclinato a poetar per lettera, che per volgare. Si scherza con lui, per saper egli conoscere meglio di tutt’altri la bontà , e ‘l difetto de’ vini”.
Per lodare al massimo questo vino, non c’è di meglio che paragonarlo ai vini più famosi d’Italia: Centone (vino rosso o bianco della Toscana, detto Centine), Corso (della Corsica), Trebbiano, Razzesi ( bianco delle Cinque Terre), Vernaccia, Moscatello, Chiarello, Malvagìa (Malvasia), San Gimignano. E pronta una “stoccata” al fiorentino Matteo Francesi, poeta seguace di Francesco Berni, che aveva in passato elogiato il vino Greco di Somma Vesuviana (il Somman Greco).
Qual è questo vino superlativo di Pannarano? È il Fiano, che , il Bella Bona, descrivendo i paesi nel circondario di Avellino, in particolare di Lapio, così scrive “quasi in tutto il territorio d’Avellino si produceva il vino detto Apiano, da’ Gentili Scrittori lodato, e tanto in detto luogo, quanto in questa città sin hora vi si produce, e per corrotta favella chiamato Afiano, e Fiano; il nome d’Apiano, dall’Ape, che se mangiano l’uve, gli fu dato56".
Non è da sottovalutare nemmeno il pane di Pannarano, che Bastiano Biancardi, “il buon compare” non potrebbe paragonare al suo, quello della Maddalena, in Napoli. Il Biancardi è un altro amico dell’Amenta, che in nota al Capitolo così ne parla:” Bastiano Biancardi nostro compare , e grand’amico del Napoli (Anello)”.
Sappiamo anche che il Biancardi: “Nacque a Napoli nel 1679, morì a Venezia nel 1741. “Orfano rimase egli ancor fanciullo, ma fu di molto avventuroso, poichè Giovan Fulvio Caracciolo prese di lui generosa cura, lo adottò in figliuolo, e dopo di averlo fatto nelle scienze e nelle lettere diligentemente istruire, il lasciò in morte erede di molti averi. - Il Biancardi divisò dapprima di applicarsi all’esercizio delle leggi e del foro; ma cangiò poscia proponimento, forse pel diletto che prendeva delle lettere e della poesia“.57
Se le carni sono buone, ottimi sono anche i pesci pescati nei torrenti, in particolare i gamberi di acqua dolce. Il confronto con quelli pescati nel fiume Sarno è a tutto vantaggio dei gamberi di Pannarano. Recentemente A. Milone e R. Petrosino in un loro studio sulla città di Sarno, riprendono i versi di Amenta a proposito della bontà dei gamberi:” Dei crostacei del Sarno si ricorda l’avvocato e poligrafo Niccolò Amenta che in una descrizione in versi della città di Panderano (BN) pone un confronto: “Pur gamberi ci son cotanto buoni/ che non credo che ’n Sarno gli abbia uguali/ chi costì ne castiga i rei felloni”, alludendo al principe de’ Medici, feudatario della città che possedeva peschiere presso il Rivo Palazzo (Niccolò Amenta,Capitoli, Firenze 1721, p. 94)”.58
Naturalmente, non poteva mancare il riferimento ai formaggi, in particolare alla ricotta di Pannarano:

Ricotte, siete voi mia gioia vera;
Con voi di voglia cangerei l’ avare
Bellezze de la mia selvaggia fera.
Più giorni mi starei senza mangiare,
Per farmene poi grossa corpacciata;
E sto per dir, che mi farei...

In genere, a pranzo si mangia l’insalata, che è migliore di quella che gustava il poeta e umanista Francesco Maria Molza (Modena, 1489 – 1544). Non mancavano tartufi, asparagi conditi con olio buono.
Gli insaccati sono il piatto forte:

E se tu, c’hai buon gusto, e prezzi, ed ami,
E presciuti, e pancette, e l’ infinite
Cose, che abbraccia il nome di salami.

A queste bontà l’Amenta aggiunge una prelibatezza, per lui, cioè la “verrinia”, vale a dire la vulva della scrofa. Se oggi chiedete in macelleria la “verrinia” vi danno la pancetta. Ma l’Amenta aveva ben chiara la distinzione tra “pancetta” e “verrinia”; quest’ultimo termine del dialetto napoletano è caduto in disuso.
La frutta viene a completare la tavola. Anche per la frutta, Pannarano eccelle......

Pur’ è dover non sian le frutta escluse
Dal novero di tante belle cose,
Quantunque troppo di tua flemma abuse.
Ci sono pesche, prugna, e l’ odorose
Fraghe: ciregie, fichi, e ‘l Signor pero,
Che avanza gli altri, come i fior le rose.
Ma quando confessarti il vero
Le mele (credo) sopra ‘l pero, e ‘l fico,
E sopra ogni altro frutto abbian l’impero.

Tra le qualità di mele, c’è una che eccelle e si chiama Appione. “Questa varietà ha la particolarità di durare molto a lungo nel tempo. Àppio (o àpio) agg. [dal lat. melapium]. – Denominazione di alcune varietà di mele, dette anche api: mele appie (e più comunem. mele appiole); melo appio (o appiolo), l’albero che le produce. usato come rimedio popolare contro il raffreddore. La mela appiola, dalle antiche origine greche, è un frutto invernale variopinto e delizioso, ma poco diffuso in Italia.
L’appiola, insolita e poco conosciuta mela invernale, è famosa soprattutto per la bellezza dei suoi colori, che oscillano tra il rosso vivo su di un lato e il verde e il giallo sull’altro, e ancor più per essere una delle più antiche mele europee. Questa mela, oggi a rischio estinzione, non è facile da trovare, ma merita di essere conosciuta, non solo per le sue caratteristiche ma anche, appunto, per la sua affascinante storia”.
In primo piano va osservato che in molti paesi europei il nome della mela ha la stessa radice dell’inglese apple.
La mela Appione di Pannarano conserva l’antica radice indo-europea * abl-, come la “malifera Abella” dell’Eneide. Se mangiare una mela al giorno, come sostiene la tradizione popolare, ci aiuta a stare bene in salute; la parola “mela” ci indica nella sua radice, pur nelle mutazioni morfologiche a cui è stata soggetta, una comunanza linguistica e culturale con gli altri popoli dell’Europa.
Anche le mele vanno gustate, e chi non sapendo distinguere la qualità del frutto:

Non di quelle putenti, che per buone
Apprezzò tanto il Lori fiorentino,
Che cibo le chiamò da Signorone.

Andrea Lori, “letterato fiorentino (sec. XVI), venne impiccato come ladro nel 1579, malgrado la Scusazione scritta a sua difesa da Il Lasca. Più che tradurre, imitò nella Buccolica (1544) Virgilio”......
Infine le castagne.” Intatte grosse, e di gentil sapore”, per le quali il poeta darebbe i suoi “rozzi” versi.
Quello dell’alimentazione nei secoli passati è tema che interessa più discipline. Se L’affermazione di Feuerbach ,” l’uomo è quello che mangia”, può suonare eccessiva, certamente l’alimentazione caratterizza la cultura di un popolo.
All’epoca dell’Amenta, nel Regno di Napoli “per ciò che riguarda il tema dell’alimentazione, i togati non si discostano dagli aristocratici. Grazie ai loro inventari, possiamo aggiungere qualcosa sulle vivande consumate. Essi dispongono di lussuosi utensili d’argento per sorbire caffè e sorbetto. Il ricco avvocato Mastrilli possiede anche una fornita dispensa contenente formaggi, insaccati, vino, olio e aceto”.
E in nota scende nel dettaglio: “nove casicavalli, diecesette provole, una verrinia, un capocollo, quattro piretti pieni d’oglio, molte boccie piene di vino di Spagna, quattro piretti pieni di vino nostrale e molti vacanti, ed un barilotto d’aceto”.......