L’ULTIMA RIVOLTA DEL PRINCIPATO ULTRA: 10. I SOBILLATORI DI PRATA, PETRURO E PIETRASTORNINA ( 1861 )

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GLI UOMINI DELLA LIBERTA’

1. Sul cassiere di Torrioni che nega pagamenti v. ASAV, Intendenza di Avellino, Vol.416, Busta 876, Anno 1843. Atti del Notaio Gaetano Leo di Torrioni. Sul prete Cecere v. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, fascicolo 3562, Busta anno 1840-41. Sulla lettera intercettata a Tufo contro il cancelliere Angelo di Marzo, v.ASAV, Gran Corte Criminale, Busta 2, fasc.6.
2. ASAV, Gran Corte Criminale, Montefusco, Busta 8, fascio 2947, comprendende l’ex volume 29, fascicolo 46-47. Anno 1864.
3. A.Bascetta, Ricerche storiche sull’Irpinia ovvero Pietrastornina, Edizioni RoMa, Avellino 1991. Cfr. Edmondo Marra, Pagliuchella, ABEdizioni, 2001. Scrive Marra che il giovane Sarno diceva: “I Pennetti stavolta nessuno li perdonerà, hanno vita corta a Volturara. Idem per Mariano Santoro, il quale, non sottoscrivendo il Plebiscito, ha le ore contate. Già si diceva in giro che presto lui e Pennetti sarebbero stati licenziati dal Comune. Ma loro confidavano nella linea da seguire dettata dal prete, Don Nicolino”. Saranno in diciotto per quel pranzo di Pasquarella. E’ la stessa scena del ‘48, ampliata di mille volte. A quei tempi i Borbone avevano fatto finta di cedere alla richiesta di riforme ed una nuova ventata di ottimismo aveva pervaso il Regno. Ma era stato solo fuoco di Paglia. Almeno fino al 10 giugno 1860. Su Donna Matilde v. anche: A.Bascetta, Comune di Roccabascerana, ABEdizioni, Avellino 1998; A.Bascetta, Pietrastornina, Edizioni WM, Atripalda 1987.
4. Giuseppe Galasso, premessa a: Brigantaggio Lealismo Repressione, Macchairoli Editore, 1984.
5. Alfonso Scirocco, introduzione a: Brigantaggio Lealismo Repressione, Macchairoli Editore, 1984.
6. Edmondo Marra, op.cit.
7. ASAV, Gran Corte Criminale, Montefusco, Busta 8, fascio 2947, comprendende l’ex volume 29, fascio 46-47. Anno 1864; Sull’uccisione di Giovanni Marchese v. ASAV, Gran Corte Criminale, Busta 52, fascio 291.
8. Premessa di G.Galasso e introduzione di A.Scirocco, in: Aa.Vv., Brigantaggio Lealismo Repressione, Macchiaroli Editore, 1984. Cfr. F.Molfese, Storia del brigantaggio politico. Cfr. T.Pedio, Vita politica in Italia meridionale. L’Incoronata era stata già meta preferita di Fra’ Diavolo, che ivi era stato snidato nel 1806, subendo la distruzione ad opera della truppa francese di Avellino guidata da Sigismondo Hugo, padre di Victor.
9. Abele de Blasio, Il Brigante Michele Caruso Ricerche di Abele De Blasio, Stabilimento Tipografico, Napoli 1910.
10. Almeno così confesserà al Misasi nel 1881. In realtà il Colonnello Giordano si schierò principalmente contro l’amministrazione di Cerreto. Posizione dalla quale non volle recedere neppure Giordano quando ricevette, insieme all’accolito Pilucchiello, una lettera dall’avvocato Michele Ungaro di Cerreto che li invitava a costituirsi non avendo commesso alcun delitto di peso. La risposta fu una richiesta di 6.000 ducati con passaporto di non ritorno in cambio della resa di tutti i briganti pronti a presentarsi spontaneamente in cambio della libertà. Missiva che l’avvocato sottopose al sottoprefetto di Cerreto offrendo al massivo 15.000 lire, offerta che provocò la rottura delle trattative. Un suo accolito, Demetrio Peritano di Morcone, venne anche arrestato e, a propria discolpa, sostenne che già prima del luglio 1861, Giordano aveva aggregato a sè uomini del calibro di Francescantonio Basile, Errichiello Giordano, Vincenzo Ludovico alias Pilucchiello, Pasquale Mendillo, Liberantonio Ruzzo, Ferdinando Muccio, Giovanni Nigro, Saverio Finelli e Giuseppantonio Marazzi. V. Ab.de Blasio, op. cit.
11. Ivi. Giordano non mancò all’accusa di essere rimasto borbonico e, sebbene fu richiamato per ben due volte dal Comando militare di Caserta, tornò inspiegabilmente a casa, come asseriva il sindaco di Cerreto, il barone Vincenzo Magnati. La terza volta, non volendo sopportare ancora lo scherno delle truppe piemontesi, non si era presentato, contando sulla bellezza delle sorelle o della cognata, alle quali avrebbe fatto il filo un uomo potente. In ogni caso, a causa o meno di questo amore segreto, per lui e per il marito di una sorella, fu spiccato il mandato di cattura del 10 maggio 1861. Da qui il vero motivo della fuga. Per questo vagò per i monti per alcuni mesi, aggregando consensi antipiemontesi fra i braccianti che lo conoscevano e lo rispettavano, ricordandolo per il grado di Capitano acquisito sul Volturno.
12. Ivi. Nei primi mesi del 1861 aveva già aggregato gente di Morcone, Solopaca, Pietraroia e S.Lorenzo Maggiore, iniziando delle vere e proprie estorsioni, il cui danaro serviva a pagare le spese di fornitura viveri e di spionaggio. La banda ebbe anche un tenente, lo sbandato Cimirro (come egli stesso si firmava), il quale, non mancò di estorcere danaro alla badessa di Cerreto. Tentativo fallito per la povertà delle monache, come gli faceva notare la Badessa Pacelli, nella risposta per il tramite di Vincenza Mazzarella, loro inviata, figura primordiale di brigantessa.
13. Ivi.
14. Ivi.
15. Luisa Sangiuolo, Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880, De Martino, Benevento 1975. Cfr. F.Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l’Unità, Feltrinelli, Milano 1964.
16. Edmondo Marra, op.cit.
17. Ivi.
18. Ivi.
19. Ivi.
20. Ivi.
21. Ivi.
22. A.Bascetta, Quadrelle, ABEdizioni, Avellino 1997.
23. ASA, Fondo Brigantaggio, n.1/30, “Assalto al paese da parte dei briganti”, Relazione del Sindaco del 18.8.1861.
24. V.Pagano – G.Pagano, Centenario della morte di Andrea Mattis, Tipografia Pergola, Avellino 1961.
25. Archivio di Stato di Avellino (d’ora in avanti ASA), Fondo Brigantaggio, n.1/30, “Filomeno Conte e Angelantonio Colucci”, Richiesta di compenso al Prefetto, 20.5.1862.
26. Edmondo Marra, op.cit. Solo l’11 agosto venne arrestato uno dei capeggiatori, Alessandro Picone. Una donna esultava al passaggio del prigionero fra i militi, urlando: “Lo avete preso finalmene a ‘sto mariuolo, lo pozza appiccià Gesù Cristo!, ma l’occasione fu propizia a Picone per scappare favorito dalla folla. Le 6 Guardie vennero arrestate e poi rilasciate.
27. Ivi. Il 5 settembre verrà arrestata Filomena De Feo, accusata di spargere voce su presunti navi straniere che stavano riportando Franceschiello a Napoli e per l’annuncio che i rivoltosi sarebbero stati tutti liberati senza causa. Il 17, nel bar di Angelo Discepolo, tale Angelo Melchiorre di Atripalda sparse voce che 15.000 sbandati borbonici avevano fatto ritirare le Guardie Nazionali, ma venne arrestato. Il 23 settembre il colera fece altre vittime.
28. A.Bascetta, 3.Monteverde, opinioni, Avellino 1996.
29. M.Severini, Altavilla Irpina, 1907. Così continua: “Ognuno chiama i suoi a raccolta e tutti si serrano in casa. Gli uomini si apprestano alla difesa, provvedendosi alla meglio di armi e munizioni; le donne, pallide, biascicano preghiere a S.Rocco e S.Pellegrino, di cui son vicine le feste; i bambini, inconsapevoli, piagnucolano sommessamente, stringendosi e aggrappandosi alle gonne materne, nelle quali trovano asilo anche le monete e i pochi monili di casa. E’ un affaccendamento, anzi un affastellamento generale. Dopo il quale, tutto rientra in un perfetto silenzio, in cui non si odono che i sospiri di paura, erompenti, irrefrenabili, dai petti delle donne e dei vecchi.
Nell’attesa, si spia dai balconi, dalle finestre, dai tetti. A un tratto il gran silenzio del paese è rotto… parecchi altavillesi trovansi in quella banda e anche qualcuno ascritto fra le Guardie Nazionali; che però non sono molti e sono male armati, per la maggior parte con lunghe pertiche aventi attaccate alla punta roncole e falci”
30. M.Severini, Altavilla Irpina, 1907. Così continua Severini: “Perche, ovunque andavano, specialmente quando erano mal capitanate commettevano abusi e rapine d’ogni sorta. Qualche cosa di simile fu per succedere in Altavilla, in quell’occasione. Il Palumbo pretendeva che il Sindaco e il Capitano della Guardia Nazionale gli indicassero le case di tutti quelli ch’erano scomparsi per unirsi con i briganti”. Sindaco e Capitano fecero notare al Comandante che egli aveva soltanto l’incarico di inseguire e arrestare i reazionari. Palumbo fu costretto ad accontentarsi di far bruciare i pagliai e il casone, covo di Don Donatino, già disperso sull’Incoronata, sequestrando nel mentre Don Matteo Zaccaria di Sant’Angelo a Scala. Il rapimento di Sant’Angelo a Scala seguiva quello della moglie di Don Serafino Soldi di Pietrastornina, il quale riuscì ad uccidere uno della banda, sulla scia di quella Guardia Nazionale che ne aveva freddato altri due. Da qui l’invito del Sindaco a non attaccare il paese, disposto ad accoglierlo a braccia a perte: “I galatuomini tutti del paese di Pietra Stornina vi attendono con anzietà, le armi e le munizioni sono pronte”. La banda era entusiasta, ma Don Donatino frenava: “Figlioli, noi andremo nel paese, ma voi dovete fare quello che io vi dico, e non dovete appartarvi dalle righe. In contrario menerò mazzate!”. Fu il pretesto per scendere in paese e, giunto nella sede del Corpo delle Guardie, rotta la tabella, le disarmò, atterrò la bandiera italiana e innalzò quella borbonica, facendo accampare la banda in campagna in attesa di 200 razioni di pane e vino, sotto il sole cocente del 13 agosto. Il paese era in festa e i galantuomini sfilarono come per una processione al seguito di Luigi Antonelli che portava la bandiera bianca, poi riconosciuto di tal colpa da Don Sigismondo Soldi e accusato di “complicità in crimine che ha per oggetto di cambiare e distruggere l’attuale forma Governativa, facente parte delle bande armate che han portato la devastazione ed il saccheggio del Comune di Pietrastornina”, sebbene offrì prova e testimoni che all’epoca dei fatti si trovava a Napoli dallo zio, assicurandone le qualità morali, “vivendo con la fatica giornaliera delle proprie braccia”. In realtà, dichiarerà Luigi Abate che “lo stesso Soldi era stato assalito dai briganti, si era a costoro unito”, ma solo per sentito dire. Vincenzo Augelli fu invece arrestato per aver “portato delle vettovaglie” alla banda, ma per “ordine di Don Vincenzo Ferrara” e insieme alla sua domestica Maria, con “molte quantità di pane di prosciutti un barile di vino ed altro”.V. F.Barra, I briganti del Partenio, in: Quaderni Irpini, n.2-3, 1970.
31. ASA, Fondo Gran Corte Criminale, Busta 78, “Cospirazione contro il Governo”, Antonelli Luigi; ibidem, “Associazione a Cospirazione contro il Governo”, Augelli Vincenzo.
32. F.Barra, I briganti del Partenio, in: Quaderni Irpini, n.2-3, 1970.
33.Ibidem. Ormai i componenti della banda era sbracati e Don Donatino dovette faticare non poco per tenerli a bada. Nè mancò egli stesso di montare di guardia annacquando il vino per evitare sconcezze e nascondendo i pasti fatti consegnare dagli Zaccaria insieme a “qualche cosa di denaro”, cioè 136 ducati, e a due barili di vino, pane, formaggio e munizioni. Al ritorno al covo alcuni non si accontentarono e gridavano: “I tre fratelli Zaccaria, che sono oggi tutti nel paese, sono tre nemici giurati di Francesco II, domani andremo noi, e non solo gli faremo cacciare le armi, ma quanto quindici, ventimila ducati che tengono nascosti, e noi sappiamo dove sono”. Ritornati al covo, gli irriducibili della banda non volevano rilasciare i sequestrati e Don Donatino dovette faticare non poco per farli liberare.
34. Ibidem.
35. ASA, Fondo Prefettura, Buste Brigantaggio, Rapporti quindicinali del Prefetto al Ministero dell’Interno. Lettere del 19-20-21 novembre 1863; Lettere del 18 febbraio 1863, del 20 agosto 1863, del 28 agosto 1863, 15 gennaio 1864. Ibidem, “Legge 15 agosto per la Repressione del brigantaggio”. Ibidem, “Ordinanza De Luca”. Ibidem, “Legge 7 febbraio 1864 per la Repressione del Brigantaggio”.
36. Ibidem. V. anche ASA, Fondo Prefettura, Busta 640, lettera al Prefetto, 2 maggio 1863. Cfr. A.Bascetta, Pietrastornina, origini, vicissitudini, speranze, Edizioni WM, 1987.
37. ASA, Fondo Prefettura, Buste Brigantaggio, Rapporti quindicinali del Prefetto al Ministero dell’Interno, cit. Il 7 settembre 1861, il Governatore di Avellino Nicola de Luca, scriveva alla segreteria generale del dicastero dell’Interno e Polizia di Napoli che un tale Raffaele Minucci di Sant’Angelo a Scala era stato sequestrato col figlio Giuseppe da parecchi briganti due giorni prima, poco lungi da quell’abitato. “Obbligato Giuseppe, sordomuto, a portare il riscatto pel padre legato e dato in custodia a due briganti, si scagliava impetuosamante su di essi, ne uccideva uno, metteva in fuga l’altro ed aiutato da Francesco Ciriello scioglieva il detto suo padre col quale riconducevansi incolume nel paese dopo essere stati inseguiti dal resto della banda”. La banda in questione è quella di Caporal Domenico Calabrese.
38. ASNA, Fondo Alta Polizia, Fascicolo 184. I Carabinieri di Cervinara li arresteranno nella notte del 21, soprendendo in una casa di quel tenimento “il famigerato capo comitiva Calabrese Domenico, il brigante De Marzio Giuseppe, e la druda del primo per nome Abate Antonia di Avella la quale era catturata, ed i due malviventi per aver fatta viva resistenza erano in conflitto uccisi”.
39. Abele de Blasio, Altre storie di briganti, Capone Editore / Edizioni del Grifo, Lecce 2005. Cosimo Giordano era nato il 15 ottobre del 1839 da Generoso di Cerreto Sannita e da Concetta Isaia di Messina. Non adatto a fare il contadino per la sua costituzione fisica, incapace di apprendere un mestiere, fu mandato agli studi dal babiere del paese. Tentativo ben presto fallito visto che, dopo due anni, ancora non aveva imparato a leggere e scrivere, nè a fare la sua firma. Alla fine di un paio d’ore di studio, puntualmente, dopo ogni lezione, già dimenticato quanto studiato. Deluso da tanta svogliatezza il padre lo mandò a fare il guardiano di porci e poi di armenti. Evidentemente neppure il mestiere di allevatore lo interessava. E lo licenziò anche il proprietario del gregge di pecore, dopo averlo scovato nell’insano gesto di intrattenere rapporti sessuali con gli animali. Perversione o esperienza adolescenziale che fosse, certo è che a sedici anni iniziò la sua ascesa criminanele. L’occasione gli venne per difendere l’onore di famiglia massacrando l’omicida del padre, ucciso il 28 giugno del 1855 mentre i due tornavano a casa. Quella sera infatti, tal Giuseppe Baldini, offese il Giordano al quale aveva prestato una manciata di carlini che non gli aveva ancora restituito, incolpando la cattiva stagione e liquidando il creditore dicendogli di dover attendere tempi migliori per l’anno successivo. Baldino non volle sentire ragioni. Prese l’accetta e gli aprì in due il cranio sotto gli occhi del ragazzo, il quale, preso dalla furia, conficcò il suo coltello nell’addome dell’assassino rivoltandogli l’intestino. Avuto il coraggio di costituirsi, la Corte Criminale di Napoli gli ridonò la libertà per legittima difesa, riuscendo ad evitare la vendetta dei parenti allontanandosi dal paese natale in cerca di un mestiere. Nel 1857 entrò come garzone al servizio di Don Liberantonio Ciaburri, occupandosi delle stalle, ma anche di acquisti che, di tanto in tanto, faceva per conto del padrone presso il Caffè di Salvatore Morone, dove veniva mandato a prendere liquori, finendo spesso beffeggiato per le mescolanze che faceva per il divertimento dei presenti che non mancavano di prenderlo a ceffoni.
40. A. de Blasio, op. cit.
41. A. Fuschetto, Fortore sconosciuto, Editrice Abbazia di Casamari, Frosinone 1977.
42. V. N. Nisco, op.cit.

1. ASAV, Gran Corte Criminale, deposizione Francesco de Figlio, Busta 96, ff.449 e segg., 3 luglio 1863.
2. ASAV, Gran Corte Criminale, cit. Seguiamo anche il racconto di Francesco de Figlio, di ritorno dall’occupazione di Isernia, avvenuta pochi giorni prima, il 5 ottobre 1860, ad opera di una colonna di borbonici e centinaia di contadini con armi in pugno. Questi, appena giunge all’abitazione di San Giorgio, incontra l’ex sottocapo urbano della guardia municipale Remigio Fucci, a sua volta reduce dall’assalto alla Guardia Nazionale del paese avvenuto il 21 luglio 1860. Cfr. A. SALADINO, Il tramonto di una capitale: Napoli e la Campania nella crisi finale della monarchia borbonica, in Archivio storico per le province napoletane, Napoli 1961. In: E.SPAGNUOLO, Cospirazioni antisabaude e soldati sbandati nel circondario di Montefusco, Avellino 2001. Cfr. M D’AGOSTINO, La reazione borbonica in provincia di Benevento, Napoli 1987. Così dice: – “Ritornai in Ginestra la Montagna mia patria reduce dall’attacco d’Isernia al quale presi parte come soldato borbonico. Dopo qualche giorno fui avvicinato dal paesano D.Remigio Fucci il quale mi premurò ad unirmi seco lui per far gente, e disarmare i diversi vicini Posti di Guardia Nazionale, e quindi divenirsi al sacco, e fuoco per favorire Francesco Secondo il quale se non tornava oggi, tornava dimane, mentre circa quaranta persone di Ginestra atte alle armi erano già pronte per l’oggetto tra le quali spiegò Francesco e Giuseppe Boniello, Emmanuele Boniello, Ferdinando Fucci, Michelangelo Fucci, Tommaso Chiavelli, Domenico Fonzo diAntonio, Domenico e Gaetano Taranto, ed Antonio Festa alias Pizzolone di Ginestra”. Su Zampetti nel 1848 e nel 1860, le accuse di de Figlio e la difesa del de Luca V. ASAV, Gran Corte Criminale, Busta 96, f.449, il 3 luglio 1863, accusato di cospirazione avente per oggetto di distruggere e cangiare la forma del governo e di eccitare li regnicoli ad armarsi contro i poteri dello stato. Atti dell’agente del pubblico ministero presso la Corte di Appello di Napoli, visti gli atti a carico dei detenuti. Su Mirabelli, Busta 90, atti al f.409. v. Bugia orrenda e calunniosa. Lettera di Rocco Giuliani de Pascal, Paul Demolis, diretta a Marsiglia al Sig. Gozzuete. Su Landolfi di Altavilla v. Busta 90, f.421
ASAV, Gran Corte Criminale, deposizione Francesco de Figlio, Busta 96, ff.449 e segg., 3 luglio 1863. Cfr. E.Spagnuolo, Cospirazioni antisabaude e soldati sbandati nel circondario di Montefusco, Avellino 2001. Cfr. M D’AGOSTINO, La reazione borbonica in provincia di Benevento, Napoli 1987. Così dice de Figlio: – Erano al par di me soldati borbonici sbandati Aquilante Fonzo di Giovanni di qui, e Francesco Senno alias Malomo di Sannazaro, coi quali per insinuazione del detto D. Remigio Fucci verso la fine di ottobre predetto mi portai da D. Leopoldo Zampetti di Montefusco realista borbonico per aver da costui danaro e quindi raccoglierci nel bosco di Prata con altri soldati borbonici come diceva specie Aquilante Fonzo che erasi ivi portato.
Racconta de Figlio: – Ritornavamo a Montefusco dal detto Zampetti al quale Fonzo cercò danaro per gli altri che nel bosco restavano, ma Zampetti null’altro volle dare, e solo diceva che quando si sarebbero uniti tutti, allora avrebbe cacciato il danaro, mentre Francesco Secondo si poteva mettere in Trono per la sola opera dei soldati sbandati. Intanto Zampetti ci premurò portarsi dal cognato D.Domenico Soricelli di Sannazzaro a chieder danaro nella somma di trenta in quaranta ducati pel nostro sostentamento e degli altri che restavano nel bosco, perché facilmente li avremmo avuti. Giunti in Sannazzaro, mi portai solo dal Soricelli che nulla mi diè, perlocché ne parlai a’ citati Fonzo, e Senno, e tutti e tre portammo la risposta negativa a Zampetti il quale scrisse che avrebbe lui scritto al Soricelli sull’oggetto”. Zampetti spedì i briganti a casa del liberale D. Domenico Soricelli: “Nello scorso mese di settembre erasi da lui presentato un congedato, il quale aveva chiesto ad esso Soricelli a nome del detto Zampetti sei in settecento ducati, e gli diceva che tale somma era intendimento del Zampetti di spenderla affine di congregare borbonici, e così consumare una reazione”. Soricelli sospettava anche “che il canonico D. Fedele Recine di qui fosse stato d’accordo con Zampetti nel voler promuovere una reazione, ed esternava ancora simiglianti sospetti contra un individuo di San Nazzaro soprannominato Perillo”. Giovanni Spagnuolo “stando dinanti la casa di abitazione di D. Domenico Soricelli, a suo dire, “vide provvenire dalla strada di Montefusco il nominato Francesco …e richiesto dove andava, disse dover parlare al detto Soricelli ed in effetti entrò nel costui portone. Dopo brevissimo tempo ne uscì portandosi per una via vicinale che mena in Cucciano, e il testimone volendo vigilare le mosse del citato individuo come soldato borbonico, lo seguì in certa distanza”. A poca distanza da Cucciano Francesco “si fermò a discorrere con altri due soldati sbandati borbonici, cioè Francesco Senno” e il figlio di Giovanni Fonzo, il quale diceva: “Tu i danari te li devi far dare!” E lui: “Ci bisognano perché siamo assai gente”. Questi, quando vide Spagnuolo uscire da dietro una siepe, essendo considerato una spia, cominciò a darsi alla macchia, “facendosi rare volte vedere nello spazio di sette otto giorni, e quindi è scomparso totalmente”.
6. ASAV, Gran Corte Criminale, deposizione Francesco de Figlio.
7. ASAV, Gran Corte Criminale, deposizione Francesco de Figlio. In: E.SPAGNUOLO, Cospirazioni, cit. Cfr.M.D’AGOSTINO, La reazione borbonica, cit.
8. ASAV, Gran Corte Criminale, deposizione Francesco de Figlio. In: E.SPAGNUOLO, Cospirazioni…, cit.
. ASAV, deposizione Francesco de Figlio, cit. Così de Figlio: – “In esito di tutto ciò, e poiché noi tre ci eravamo presentati a nome di D. Remigio Fucci, esso Zampetti disse che il Fucci medesimo dovea scrivere una supplica per dimandare la carta bianca a Francesco Secondo in Capua, e che noi dovevamo colà portarla, e che poi nel ritorno si sarebbe operato. In effetti palesatosi il tutto al ridetto Fucci, costui nel giorno trentuno del ripetuto ottobre nella propria casa, ed in presenza mia, e dei detti Fonzo, e Senno scrisse la supplica – carcata bona, e ben fàtta – colla quale si diceva a Francesco Borbone che questa popolazione era pronta per lui, che si voleva la carta bianca per la reazione, designandosi le famiglie dei Signori Bocchini, La Monica, di Paolo Cozza, Giovanni Lanzotti, e Riola di qui; quelle de’ Signori Rainone, e Cerza di S.Martino A.G.P. come liberali, e che si dovevano massacrare. Aggiungerà poi nella deposizione che Fucci avrebbe anche detto che occorrendo danaro si sarebbe sborsato da questo Vincenzo la Nunziante alias la Volpe, e Camillo Capozzi, e che costoro col ripetuto D. Leopoldo Zampetti, e Don Felice Brancario di S.Martino A.G.P., con lui ancora, erano i capi ella reazione, ed in effetti esso Fucci spesso si portava dallo Zampetti in Montefusco come io avea occasione di osservare, e lo stesso Fucci lo confessava. Perciò, arrestato Don Leopoldo, il dichiarante fece capo a Giuseppe Fonzo di Ginestra per la reazione a farsi, “ma costui si negò” e, stando a Fucci, ora dipendevano tutti da D. Felice Brancario di S.Martino, “sul conto del quale però nulla conosco, mentre la bandiera si formava di un lenzuolo fino bianco con l’impresa in mezzo che subito si sarebbe fatta”. Cfr. E.Spagnuolo, Cospirazioni antisabaude e soldati sbandati nel circondario di Montefusco, Avellino 2001. Cfr. M D’Agostino, La reazione borbonica in provincia di Benevento, Napoli 1987. Cfr. sito internet, www.brigantaggio.net
17. ASAV, Gran Corte Criminale, Busta 96, f.449, il 3 luglio 1863. Il 27 febbraio 1862 il pubblico ministero incalzava nelle accuse, sostenendo che Gaetano Petrillo di Venticano, nel febbraio 1861, nell’incontrare una donna la udì riferirsi alla Guardia Nazionale con le parole: tra pochi giorni faremo i conti con questa coppolella. All’episodio si aggiunse la dichiarazione di de Figlio di Ginestra La Montagna del 15 aprile 1861. E’ usanza dire: Chi mi battezza (mi dà qualcosa), mi scelgo per compare.
12. ASAV, Gran Corte Criminale, deposizione Francesco de Figlio. Cfr.E.Spagnuolo, Cospirazioni, cit. Cfr. M.D’agostino, La reazione borbonica, cit. Così: “Nel mattino del Giovedì in Albis ultimo (quattro corrente aprile) mi portai nel mulino del soprannominato Frecchillo poco lungi questo abitato per sframentar cereali, e nel ritorno scontrai verso colà il Capozzi, e D. Remigio Fucci in segreto colloquio i quali mi fermarono, e nei ritenermi loro dipendente per la reazione, il Fucci mi premurò ad avisare per l’oggetto Emmanuele Boniello di Ginestra, ciò che non ho fatto. Fucci disse a Camillo Capozzi – ca a la Ginestra sono una quarantina che sanno maneggià l’arma, pensa tu pure loco mò -. Capozzi disse – pe quà me la vedo io -, e rivoltosi a me replicò – fatica, e statti pronto, e non t’allontanà a luongo, perché appena che mette pede Francisco ci riunimo -. Parlando poi essi Capozzie Fucci dicevano che la riunione della gente dovea farsi nel vallone tra S. Giacomo, e S. Martino A.G.P. compartendosi la gente metà a S. Giorgio, e metà a S.Martino disarmando prima i posti di guardia di tali paesi, e poi andare in Sannazzaro pel sacco nelle case di D. Domenico Soricelli, ed Arciprete Conte uccidendoli. Che ciò dovea aver luogo a’ venticinque di questo mese, mentre nella sera degli otto si dovea fare il conteggio della gente al detto luogo, ciò che poi non è avvenuto, e ne ignoro il perché. Dicevano pure che nel giorno ventisette Aprile tutto dovea esser terminato, venendo la truppa da Manfredonia, e che tale particolarità si sarebbe saputa dai trainanti che provvenivano di là passando per la strada nuova di Dentecane. Altro non dissero, ed io mi allontanai, restituendomi in casa”.
13. ASAV, Gran Corte Criminale, Busta 79, Processo Criminale n.27, f.364.
14. ASAV, Gran Corte Criminale, B.86, f.420, ai principi di Luglio 1861 Alfonso Luongo figlio di Nicola Luongo di Prata, stando alle lettere datate 7 ottobre 1861 in Montefusco.
15. ASAV, Gran Corte Criminale, B.80, f.369. Carmine Capone di Luigi di Monte Fuscolo e Crescenzo Molinaro del Comune di San Nazzaro.
16. Edoardo Spagnuolo, La Rivolta di Montefalcione, Edizioni Nazione Napoletana, Napoli 1997.
17. ASAV, Fondo Gran Corte Criminale, Visto dal giudice, l’atto del cancelliere Vincenzo Alfano è datato Montefusco, 16 settembre 1861, foglio 89 del cancelliere.

1. ASAV, Corte d’Assise di Avellino, busta 1, fogli 11-12.
2. ASAV, Sentenze della Gran Corte Criminale, Busta 206, Marzo 1861. Cfr. Edoardo Spagnuolo, La Rivolta di Montefalcione, Edizioni Nazione Napoletana, Napoli 1997.
3. ASAV, Corte d’Assise, busta 1, fogli 11-12. Cfr. Edoardo Spagnuolo, La Rivolta di Montefalcione, Edizioni Nazione Napoletana, Napoli 1997.
4. ASAV, Corte d’Assise, busta 1. Dai documenti del fondo Corte di Assise di Avellino saltano fuori le lettere inviate dai sindaci della zona quali adempimenti di rito sul conto degl’imputati delle reazioni avvenute nei comuni di Tufo, Torrioni e Petruro.
5. ASAV, Corte d’Assise, busta 1. Era questo il tono della lettera che il giudice invia al procuratore descrivendogli l’attentato che ha per oggetto di cambiare la forma del governo, nella notte degli 8 ai 9 luglio 1861 in Torrioni e Petruro, avendo infranto gli imputato l’articolo 156 del codice penale.
6. ASAV, Corte d’Assise, busta 3, anno 1861, fascicolo Attentato dell’8 e 9 luglio, comincia con un rapporto del sindaco di Torrioni Pellegrino Donnarumma. Sulla fine della rivolta del giorno 11 cfr. Edoardo Spagnuolo, La Rivolta di Montefalcione, cit.
7. ASAV, Corte di Assise di Avellino, busta 2497, ex fascio 1398, lettere dei sindaci della zona al regio giudice del mandamento di Montefusco, 27 agosto 1861.
10. ASAV, Corte di Assise di Avellino, busta 2497, ex fascio 1398, dichiarazione di Serafino Centrella ed altri (a seguire).
11. ASAV, Corte di Assise di Avellino, busta 2497, ex fascio 1398, accuse del Pubblico Ministero.
22. ASAV, Corte di Assise di Avellino, busta 2497, ex fascio 1398, accuse del Pubblico Ministero (a seguire).
13. ASAV, Gran Corte Criminale, Montefusco, busta 8, fascio 2947, comprendende l’ex volume 29, fascicolo 46-47. Anno 1864.

Description

documenti inediti sul principato ultra

Grazie al gruppo di studio della ABE, per la consolidata «capacità di ricerca di documenti, diari, testimonianze le più svariate, racconti popolari, sentenze di tribunali, decisioni amministrative, confessioni e quant’altro, ci dà un quadro storico chiaro, preciso, circostanziato della fase risorgimentale della provincia di Avellino, da cui si distaccò buona parte della nascente provincia di Benevento, dal 1848 al 1863-64, e dei rapporti stretti di queste con la Napoli di Franceschiello prima e, dopo, con l’autorità di Garibaldi e della Casa Sabauda».
Così, il compianto Angelo Cillo, descriveva quanto fatto negli anni in questa collana editoriale che, dopo svariati episodi, è giunta alla Rivolta della Montagna di Montefusco dell’8 luglio 1861.
E aveva davvero ragione, perché, «dinanzi ai nostri occhi passano piccoli e grandi fatti della stragrande maggioranza dei Comuni dell’ex Principato Ultra, documentati e accurati dalla certosina ricerca da topo di biblioteca che è la più grande virtù dell’Autore. Testimonianze storiche, in verità, spesso trascurate dalla Storia con la “S” maiuscola, le quali hanno un valore inestimabile per tutti coloro a cui sta a cuore conoscere i fatti delle proprie contrade, dei propri villaggi e paesi, dei propri eroi, dei propri briganti, delle imprese dei propri compaesani e delle loro azioni, eroiche o meschine che fossero, che hanno contribuito all’unità d’Italia».
Ancora oggi, noi tutti continuiamo a scoprire cose che non sapevano, oppure veniamo a sapere fatti che hanno colpito questo e quel paese dell’ex Regno o dell’ex Stato della Chiesa, in un concatenarsi di avvenimenti che nel 1861 hanno avuto l’obiettivo ben preciso di sobillare le popolazioni.
E così, dopo l’allarme lanciato con i sequestri di persona di Pietrastornina e Altavilla, l’obiettivo si spostò sulla Montagna di Montefusco, dove l’ex liberale Zampetti cominciò ad arruolare soldati sbandati lanciando la voce durante la festa di Prata.
Fallito però il primo tentativo di sovvertire il comune di San Giorgio, e quello della vana attesa di soldi e rinforzi del Generale borbonico Bosco, la reazione fu trasformata in repressione: fu vero brigantaggio, quello che portò all’assalto di Tufo, Petruro e Torrioni, incubato nel 1848 contro padroni e paglietta.
L’onda anomala dell’assalto alle caserme della Guardia Nazionale dei paesi della Montagna di Montefusco, però, essendo stati riconosciuti alcuni rivoltosi, ebbe il primo grave freno. Fu la fine dei briganti del Partenio e l’inizio di una nuova era: quella dell’unità d’Italia.

indice

Prefazione

Presentazione

primo capitolo
Scintille prima e dopo l’unità d’Italia

— Di Marzo, il cancelliere-cospiratore di Tufo
— Il vigile urbano Di Leo ferito da un arrestato
— Il Comitato di Portici paga gli ex ufficiali per ribellarsi
— Il colera scoppiato per l’arrivo degli Ussari
— La banda di Don Donatino Bruno di Altavilla
— Gli sbandati altavillesi a caccia di soldi a Pietrastornina
— Gran parte degli ufficiali lascia, restano gli sbandati
note i capitolo

secondo capitolo
Un progetto per aizzare la Montagna

— Il capo del ‘60: l’ex liberale Don Zampetti di Montefusco
— La banda è nel bosco di Prata: aspetta il Generale Bosco
— Strano via-vai di settembre: la fidanzatina a Torrioni
— I sangiorgesi spediti dal re a… compreare il sale!
— Ad aprile fallisce il tentativo di assaltare S.Giorgio
— Parte l’arruolamento segreto alla festa di Prata
— Il covo di Prata: la bottega dei Luongo sulla Consolare
— L’ex soldato Capone, sobillatore del carcere di M. Fusco
— E’ rivolta: la scintilla col compratore di zolfo
— I precedenti dei torrionesi prima del fatto
note ii capitolo

terzo capitolo
fu rivolta dal 7 al 9 luglio

— La cospirazione parte da Prata
— L’identikit degli imputati processati
— La reazione di Torrioni
— La cronaca del sindaco Donnarumma
— Ma chi furono i sobillatori di Torrioni?
— L’assalto al Palazzo dei Cavalieri di Malta
— Gli imputati della reazione di Petruro
— I testi: cercate i fucili nella masseria Centrella
— L’accusa del Pubblico Ministero della Gran Corte
— Il riepilogo dei fatti nella sentenza
note iii capitolo

appendice documentaria
n.1
L’assassinio del sindaco Ferrara

appendice documentaria
n.2
Attentato al tabaccaio spione

appendice documentaria
n.3
Tufo 1863, vendetta di sangue

fonti, bibliografia, giornali, riviste, internet

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

IL 1799

 

 

 

 

 

 

Questo volume tratta delle rivolte del 1861 di alcuni paesi dell’ex provincia di Principato Ultra Benevento, sobillati contro l’unità d’Italia, già avvenuta. Veniamo a conoscenza che dopo alcune turbolenze in Altavilla, S.Angelo a Scala e Pietrastornina, anche Prata, Torrioni, Tufo e Petruro, contribuirono alle vicende storiche che portarono allo scontento generale delle popolazioni che non volevano l’assoggettamento a un regno diverso.
E’ un testo allargato alle vicende avvenute in quei comuni di confine che si snodano lungo il Sabato, fra Avellino e Benevento, per meglio dimostrare che la «reazione sopra e sotto la Montagna di Montefusco» fu l’ultimo atto di ribellione filoborbonica, a tratti repubblicano, quindi politico, e non una semplice sommossa, sebbene non portò ad alcun risultato rivoluzionario.
Il valore storico della ricerca, per la maggiore su atti e documenti d’archivio di prima mano, accresce con la descrizione dei fatti relativi alle prime bande di briganti, attraverso cui si diede inizio il tam-tam partito dalla Montagna del Monte Vergine.
I riscatti rappresentavano il recupero del danaro per pagare gli sbandati riuniti dai sobillatori sulla frontale Montagna di Montefusco e fomentare i paesi posti più in alto, Torrioni, Petruro e Tufo, in modo da fare una grande rivolta, in attesa della fantomatica armata borbonica del Generale Bosco. Da Prata, infatti, cuore del Principato Ultra, sarebbe ripartita la riconquista del Regno perduto.
Il Generale, si sa, non arrivò mai, ma Don Zampetti di Montefusco, fomentato dall’ex prefetto Mirabelli di Avellino, vera mente di tutte le reazioni, non poté più tornare indietro. Egli aveva già aizzato San Giorgio e fatto arruolare altri volontari dei paesi della Montagna, proprio durante la festa di Prata, luogo della scintilla, che terminà di bruciare con l’eccidio di Montemiletto.
Dal 7 al 9 luglio 1861, intanto, la cospirazione prese vita a Tufo e sfociò nella ribellione di Torrioni, così come la descrive minuziosamente il sindaco Donnarumma, quando i torrionesi assaltarono anche l’antico Palazzo di Petruro, simbolo dei cavalieri di Malta beneventani, reclutando le armi nella masseria Centrella.
Ne seguirono momenti cruciali che portarono all’arresto di tutti i sobillatori con un processo lunghissimo, durato anni e anni, i cui atti, vedono per la prima volta la luce in questo testo dopo una minuziosa ricerca storica sui documenti della Gran Corte Criminale, conservati presso gli Archivi di Stato di Avellino, Salerno, Benevento e Napoli.
Il sentimento di amor patrio è l’unico motivo che spinge tutti a rispolverare quei giorni.