Editorial Review
IL LIBRO DI GIUSEPPE ALBARELLI CITTADINO DELLA REPUBBLICA DEL 1799
Cittadini, ho voluto abbreviarvi di molto il lungo racconto dei miei patriottici operati in questo mio decennio. L’oggetto non è stato di celarvene il dettaglio; ma di risparmiarvi la noja. Se dunque alcuno si sente offeso, o curioso, mi obblighi, colle stampe, a rendergliene pubblico conto; ed io sono prontissimo a soddisfarlo. Il mio cuore è puro ed io niente temo. La tirannia è finita, io sono sicuro di non dover più soccombere a calunnie.
Io so che molti, compresi nella iniquissima, insensata nota di spie, hanno affisso de cartelli, ed hanno scritta pure qualche giustificazione, che altro non si riduce, se non a dire: che si mostri pure colui, che n’è stato denunciato. La mia giustificazione però ha un oggetto assai più esteso. Oltre all’invitare ad accusarmi chiunque si crede da me offeso per qualunque cosa, io invito tutt’i cinque milioni de’ miei concittadini a questo preciso oggetto: trovate, tra voi, qualunque persona onesta e bisognosa, per niente, o poco, a me nota, che non sia stata da me soccorsa, quando io l’abbia potuto.
Credete forsi che una tal mia proposizione sia esagerata, o sia un paradosso? All’esame dunque. Rostriquez era forse mio conoscente, o ne presi denaro? Il Soldato estero mi era mai noto? porea io più sperare di rivederlo? Andretti non era allora, n’è stata mai un mio gran confidente. Quando io presi nin consegua Gambali, io non sapea chi era il detenuto per cui mi obbligai sotto la pena di 1000 ducati, Francesco Bagni appena mi era noto in casa di Vecchietti. Severo Caputo non era da me conosciuto che come un semplice monaco olivetano. Il cittadino Giuseppe Greco, cui corsi disperatamente un dopo pranzo di està a 18 e mezza per avvisargli, che quel giovane che in tribunale cercava farsigli confidente, era il perfidissimo spione Giuseppe Spagnuolo, mi era noto, ma non amico. La famiglia Fasulo per la quale tanto rischiai, ed a cui resi certamente un importante servizio, io non la conoscea neppure dipinta col carbone.
Ed è mai ragionevole il pensare, che la mia anima cosi’ fatta, cosi sensibile, tanto costantemente benefica sia capace di corruzione? Bisogna confessar il vero, che per la maggior parte gli uomini sono senza carattere, e non sanno conoscere chi ne ha. Luigi Cotti era mio amico, è vero; ma egli avea dispensato ad imprestito circa 600 ducati a varie persone, fuorchè a me; e niuna di questa fu per lui nella sua disgrazia. Alcuni dorati pappagalli del patriottismo gli negarono fino al più misero soccorso, ed egli farebbe morto di fame, se non avesse avuto me, e se non si riduceva a far il pedante per vivere. Cittadini, sulla mia fede quando io vi nomino Luigi Cotti, concepitene la più alta stima, se, per vostra disgrazia, non lo avete ancora trattato.
mentre io scrivo questo capitolo della mia apologia, io provo tanta nausea a raccontar, da me stesso, queste mie cose, per quanto piacere gustò quello sciocco infame, che il primo mi segnò nella insensata lista delle spie.
Io amava soddisfare il mio cuore con far del bene a tutti, senza svelarmi, perchè ho sempre creduto che la pomposità delle parole sia la defloratrice della Virtù. Il cittadino Nicola Magliano può attestarvi, che io gli negai presso Fontana Medina quel che gli avea detto il cittadino Michele Gallo, somasco; cioè che io era quello che soccorreva a Luigi Cotti nel carcere. E Gallo può dirvi, che io lo sgridai, appunto perchè io non volea far sapere cosa di me. Se adesso pubblico tutto, o gran parte in istampa, è il bisogno di rivendicar la mia stima, e non la vanagloria che mi ci astringe. L’altrui malvagia loquacità ha voluto mordermi, ed il mio decoro esigge che io confonda i malevoli.
Se io fossi stato uno scelerato, quanti di voi, o cittadini, sarebbero stati accusati da me? Trovate un solo fra voi che non solo non sia stato accusato; ma che, nel bisogno, non sia stato da me ajutato. Il cittadino Giuseppe Laghezza fu testimone ed interventore a tutte le unioni patriottiche fatte in casa di Ferdinando Rodriquez, presso S.Anna di palazzo, e di tutte le attenzioni, che io potei usargli in alcuni suoi rincontri.
Chi più di me era a giorno di tutti gl’intrighi patriottici di Napoli, ch’eran tanti derivati della grande unione Massonica che un tempo esisteva in casa Nuselli-Aragona? Il cittadino Kiliano Caracciolo mi ha sempre confidato tutti i più reconditi segreti del suo cuore. Chi più di me si è impegnato colla massima disinvoltura andare a fare il consolatore degli afflitti patrioti nel carcere di Parete. Il cittadino mario pagano non se ne sarà certamente dimenticato. ma bisogna che io vada a finire.
La famiglia Canzano mi è stata, e mi è ancora perfettamente ignota; eppure Luigi Chi potrà dirvi quanto io feci per appurar quelche Guidobaldi e Salvatore Cuomo, in Guglioneri, avean fatto per far morire il buon Andrea Coppola, Luigi Cotto era quello che, per mio incarico, riferiva tutto alla affezionata madre dell’oppresso giovane.
Mentre io rischiava la vita per slvare dall’eccidio la famiglia Fasulo, io strappai dalle branche degli assassini Peppino Riario; e poche ore dopo, io ne liberai altri sette giovani che non sapea, nè so chi siano; come pure non avea mai trattato Riario. Ed il buon cittadino Giuseppe Scacchi, per quattro continui anni di carcere domestico, in me solo ha trovato (come si esprimeva) l’amico sincero, che gli ho profuso tutto il mio sentimento, tutta l’assistenwa, e tutto qul misero soccorso ch’era proporzionato alla tenuità delle mie scarse finanze.
Dippiù, se l’adorabile innocenza delle virtuose sorelle dell’ottimo cittadino Alessandro Petrucci, non fu neppure tentata dalla versipelle scellerataggine dell’infame Giuseppe Spagnuolo, l’opera certamente è mia. Avendomi egli detto in casa Bosco, che volea introdurci a farle avvisare della qualità del soggetto, per mezzo della madre e sorelle del cittadino Giuseppe Santoro, che le abitava allato, nella strada della Pignasecca.
Cittadini, prima che io finisca, voi giudicherete unanimamente, che un solo entusiasta del patriottismo potea far tanto. Or sappiate, che questo entusiasta appuinto è quello che vede il suo nome confuso con quello degl’infami nemici della patria. Tanto più la calunnia, e l’Ignoranza!
Si è arrivato a dire, che io, unitomi a Jerocades, abbia accusato Monticelli. E questo è poco ancora. Si sta attualmente dicendo per Napoli, che io accusassi nella giunta di Stato Severo caputo. Per questo ultimo sanno molti, che io fui il suo proccuratore, e non il suo accusatore. ma per Monticelli è necessario che sappiano tutti, che io per due anni continui, gli ho fatti venire, a sue spese, il vino di Soropaga, che gli capitava sopra Santermo per opera del cittadino Saverio Capano. Dippiù, poco prima che si facesse la sua causa, io gli regalai del molto vino di Soropaga stessa. Noi ci abbracciammo su quel castello nella mattina de’ 14 Luglio 1798. ed egli prima di partire mi fece pervenire i suoi ringraziamneti per regalo fattogli di quel vino, per mezzo dello stesso Capano. Mille volte io dimando a me stesso: Come va, che facendo sempre bene, io ne ricevo sempre male? una voce interna mi risponde: E’ forza di destino. E’ l’ignoranza. E’ l’Invidia.
Io però sono stufo di più incensar me stesso. E’ questa una viltà cui non so più prestarmi. La stessa correzione delle stampe mi annoja. Sotto la tirannia ho passato de’ giorni cosi tristi, che avrei piuttosto desiderato trovarmi chiuso in un criminale di castello, che vedermi incessantemente molestato dalle spie e dalla miseria. Ed oggi, in mezzo alla libertà, io soffro de’ punti che’ mi fanno desiderare l’emigrazione, per non esser più nella umiliante circostanza di far l’apoteosi a me medesimo. ebbe ragione Temistocle di lasciar Atene, e Scipione di abbandonar Roma, piuttosto vedersi astretti ‘a giustificarsi innanzi alle goffe turbe de’ ridicoli e degl’imbecilli, giacchè le persone da senno eran tutte per essi.
Ma io devo finire. Avrei a dire più del doppio; ma voglio tacerlo. Io non desidero, io non cerco impieghi, perchè comprendo che cosa è la Democrazia, e quanto pesa qualunque carica in una Repubblica democratica. Io anzi ho pregato per non averne. Una sola cosa desidero, e questa è la grazia della mia quiete.
Lasciate, o cittadini, che dopo dieci anni di desiderj, di speranze, di proggetti, di sofferenze, di rischi, d’interessi, di miserie, e di persecuazioni, io possa chiamare mio zio paterno, Giambattista Albarelli, in giudizio, alla restrizione di quanto mi ha frodato, ed il mio fratello Vincenzo (Albarella d’Afflitto), al rimborso di quanto mi ha rapito.
Permettere, o cittadini, che dopo aver sofferto, per dodici anni continui, l’instancabile calunnia di mio zio e mio fratello, che mi andavano proclamando per ateo, per giacobino; tanto era l’impegno di vedermi in carcere. E giunsero sino a dire che io era stato già carcerato. Questo eroico mio fratello fu quello che, vedendosi sempre deluso nelle sue speranze, ebbe il coraggio di falsificar una firma di polizza, e passarmela, per farmi andar cosi carcerato. Il cittadino Gianlionardo Palumbo è testimone di questo aneddoto da me prudentemente sofferto.
Dopo tanti, e lunghi crepacuori, che un vero patriota ha silenziosamente sofferto sotto la tirannia, permettetegli, o cittadini, ch’egli, nella libertà, possa farsi restituire quel pane, che fu strappato dalla sua bocca, e da quella degl’innocenti suoi figli. e lasciate pure una volta di più avvelenargli quella pace ch’ei gode in seno della sua famiglia, che foròa la sua vera, la sua sola delizia. Salute e riflessione.
Il cittadino
Giuseppe Albarelli.
In adempimento della nota alla pag.8 siegue l’inno.
L’inno
L’Invito a’ popoli d’Italia.
Dov’è? Dov’è del Lazio
L’almo coraggio anticao?
Dov’è? Dov’è il gran Cassio
Di Libertà l’amico?
Quiriti! omai destativi
Dal vostro obblio profondo:
Sorga il Latino Genio
A liberare il mondo.
Nò, più soffrir non puotersi;
Da rie carene oppressa,
Appiè de’ sogli vittima
Langue Innocenza istessa.
Già Temi più non mostrasi
Dall’alto Campidoglio:
I re, tiranni, imperano
Con ingiustizia e orgoglio.
Invano appella il misero
Al Giusto ed all’Onesto;
Grida un ministro perfido:
Il re comanda questo.a
E noi, d’Italia o popoli.
Il soffriremo a scorno
De’ nostri prodi avoli
Che i re sprezzano un giorno.
Ah! nò, su via destiamoci:
Deh, ci rinasca in petto
L’antico onore italico,
Di libertà l’affetto
Rivendichiam solleciti
Di Libertate il dritto;
Di libertade amabile
Che ognun nel core ha scritto.
Scettri e corone regie
Cadano a’ nostri piedi;
Su, rovessciamo i solj
E le loro empie sedi.
Illustre a tutt’i secoli
Dove ne andasti, o Bruto!
Dunque il tuo grande esempio
Fin tra noi perduto?
Tu l’empio re tarquinio
cacciasti allor di Roma
Che, di potente e libera,
Era languente e doma.
Le stesse tue vestigia
Cassio, tuttor, calcando,
Contro il tremendo Cesare
Vale impugnare il brando.
Di te, di te sol’emolo
Il Genio di parigi,
Seppe fiaccar l’orgoglio
Dello empio re Luigi:
E, tutto a Cassio simile,
L’eroe di Stokholmo
Fe il petto al re, suo despota,
Di apre ferite colmo.
Tu dunque al core ispiraci
L’amor di Libertà;
Tu fa tra’ noi risorgere
Dell’or la bella età.
FINE
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