LA MASSONERIA DI VIA POSILLIPO: LAUBERG E LA SOCIETA’ PATRIOTTICA. 1792-1793

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LA RIVOLUZIONE NAPOLETANA

i.
TRUCCO e PARRUCCO INCANTANO NAPOLI MODAIOLA

– I tre matrimoni del 1790 fra gli eredi d’Austria e di Napoli
– Re Ferdinando abolisce vassallaggio e chinea a Pio VI
– Il Consiglio di Stato: più polizia in vista della guerra
– Il Reggente della Vicaria capo dei Commissari di rione
– Mackau, l’ambasciatore della Repubblica Francese del ‘92
– 12 reggimenti nati per paura dell’invasione

note capitolo I

ii.
LA PROPAGANDA delle logge segrete

– La diffusione del 1792 della Costituzione francese
– Acton ordina al Reggente la pulizia politica del ‘92
– I Francesi inondano i club: il Re lascia correre
– La Marina francese è per la pace, ma fomenta 200 giovani
– L’assemblea di Lauberg e Carelli aveva giurato a casa Ciaia
– Addio alle logge inglesi: Liberi Muratori, Perfetta e Vittoria

note capitolo II

IIi.
IL CLUB ELEMENTARE DI PALAZZO DONN’ANNA

– La rivolta del 1793 la guerra del Re alla Repubblica francese
– Lauberg al Casino dei Manna, Medici già sapeva di Portici
– Nasce l’Unione Centrale dei deputati: Lauberg è capo
– Giordano di Ottaviano e la setta napoletana di S.Giuseppe
– Il club di Palazzo Donn’Anna: Letizia agisce in primavera
– 7 congiurati scoperti: Feliciano Damiani del Cilento
– La carestia di giugno alimentò sospetti, zuffe e arresti
– La Società Patriottica di Posillipo coi 15 deputati dei club
– Via Mackau, viva gli Inglesi: ma Nelson e napoletani battuti
– Il giuramento di club pro-Re: i filomonarchici di Cappellieri
– La Costituzione diffusa nelle province a dicembre 1793

note capitolo III

Description

SULLA SCIA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

Gli anni che vanno dal 1789 al 1799 vengono identificati come il decennio della Rivoluzione Napoletana che si fa nascere con la Rivoluzione Francese e morire con la Repubblica Partenopea.
In realtà la Francia, prima della morte di quel re, non ebbe alcun peso sulla stabilità del Sud, giungendo gli effetti giacobini solo con la nascita della Repubblica. Furono le sette napoletane seguite alla fallita cospirazione del 1794, in cui si erano trasformate le società patriottiche, a sperare nel vano aiuto della flotta francese, ferma nel porto di Napoli. Fallimento dovuto alle spie, dichiaratesi pentite a seguito degli arresti, onde evitare la decapitazione, ma che finirono ugualmente in uno dei 493 processi che si tennero in tutto il Regno, fino al 1798. Vero è che fin dal 1790 si assiste a qualcosa di diverso, insito nel popolo e nei regnanti, che primeggia come una voglia di autonomia.
Da una parte il Re, che si stacca definitivamente dal papa, rifiutandosi di continuare l’atto di vassallaggio della chinea; dall’altra il popolo.
Ma le paventate congiure giovanili, divenute organizzate con la cacciata dell’ambasciatore republicano dei francesi a fine 1792, divennero il pane quotidiano anche degli intellettuali. Indubbiamente tutto ciò è legato ai venti di rinnovamento che spirano in Europa e che porteranno il Re a lasciare Napoli nel dicembre del 1798, in quella che spesso viene definita come la fuga a Palermo. Ma non è neppure quello l’inizio della breve Repubblica Partenopea in quanto sarà preceduta dal breve ma intenso movimento di Anarchia popolare dei Lazzaroni. Ecco perchè nel decennio della Rivoluzione Napoletana non vi fu una sola rivoluzione per destabilizzare il potere dei sovrani, quanto più atti rivoluzionari che, nel bene o nel male, finiranno con lo stabilizzare tutti.
Tolti quindi i primi anni delle società patriottiche influenzate dalla massoneria inglese, si può dire che una vera rivoluzione, fomentata dai francesi fra il 1792 e il 1793, avvenne nel 1794 e si prolungò al 1798 per contrastare arresti e processi.
In questi due lustri, fra la prima e la seconda metà degli anni Novanta del 1700, accaddero più cose: l’inizio della fine della feudalità, a cominciare da quella del Papa verso il Re; l’inizio delle congiure organizzate, come questa, filofrancese, del 1794; l’inizio delle rivolte sociali che portano all’Anarchia; l’inizio di una prima Repubblica.
Abbiamo quindi scisso le diverse fasi di una stessa epoca, che è poi quella ispiratasi alla Rivoluzione francese, perché essa ha più di un avvio e di una fine: la Riorganizzazione del Regno (1789-1792), la Società Patriottica (1792-1793) di ispirazione massonica scoperta e evolutasi in sette, le Sette Segrete (1793-1794) come l’inizio delle Rivoluzioni Napoletane (1794-1798), l’Anarchia Popolare (1798-1799), la Repubblica Partenopea (1799) che lascerà il testimone di un’epoca alla Restaurazione borbonica del xix Secolo.
L’idea di Carlo Flaubert del 1793 è da ascriversi non alla parentesi pre-anarchica vissuta dal Regno di Napoli, ma a quella pre-rivoluzionaria. Con Flaubert, cioè, siamo ancora alla lotta politica e non a quella armata fomentata dai fracesi, che è la continuazione di un esperimento di rinnovamento politico e sociale, iniziato dal Principe di San Severo, chiamato Massoneria.
La Loggia di Posillipo, divisa in club, privati e anonimi, non più riconosciuta dallo stato, fu espressione libertaria di giovani politici, matematici e paglietta, durata troppo poco per essere ascritta alla congiura, sua naturale conseguenza.
I club politici non ressero nemmeno un anno, per essere identificati come scintilla della Repubblica Partenopea, che ebbe miccia solo dopo l’anarchia popolare che fece fuggire il Re, seguita alla rivoluzione, la risposta armata delle sette segrete di sola ispirazione francese.
Esse sono da far rientrare in una sorta di congiura autonoma, dove i rivoluzionari vennero arrestati e processati dallo stato, grazie alle spie borboniche.
Ecco perché le sette andrebbero da annoverarsi in una Rivoluzione Napoletana di quegli anni che anticipò l’Anarchia Popolare dei Lazzaroni, quella sì, fomentata dalle navi inglesi, tornate nel porto di Napoli a raccogliere il seme massonico del patriottismo, scippato dai francesi.
L’Editore

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

IL 1799

Cittadini, ho voluto abbreviarvi di molto il lungo racconto dei miei patriottici operati in questo mio decennio. L’oggetto non è stato di celarvene il dettaglio; ma di risparmiarvi la noja. Se dunque alcuno si sente offeso, o curioso, mi obblighi, colle stampe, a rendergliene pubblico conto; ed io sono prontissimo a soddisfarlo. Il mio cuore è puro ed io niente temo. La tirannia è finita, io sono sicuro di non dover più soccombere a calunnie.
Io so che molti, compresi nella iniquissima, insensata nota di spie, hanno affisso de cartelli, ed hanno scritta pure qualche giustificazione, che altro non si riduce, se non a dire: che si mostri pure colui, che n’è stato denunciato. La mia giustificazione però ha un oggetto assai più esteso. Oltre all’invitare ad accusarmi chiunque si crede da me offeso per qualunque cosa, io invito tutt’i cinque milioni de’ miei concittadini a questo preciso oggetto: trovate, tra voi, qualunque persona onesta e bisognosa, per niente, o poco, a me nota, che non sia stata da me soccorsa, quando io l’abbia potuto.
Credete forsi che una tal mia proposizione sia esagerata, o sia un paradosso? All’esame dunque. Rostriquez era forse mio conoscente, o ne presi denaro? Il Soldato estero mi era mai noto? porea io più sperare di rivederlo? Andretti non era allora, n’è stata mai un mio gran confidente. Quando io presi nin consegua Gambali, io non sapea chi era il detenuto per cui mi obbligai sotto la pena di 1000 ducati, Francesco Bagni appena mi era noto in casa di Vecchietti. Severo Caputo non era da me conosciuto che come un semplice monaco olivetano. Il cittadino Giuseppe Greco, cui corsi disperatamente un dopo pranzo di està a 18 e mezza per avvisargli, che quel giovane che in tribunale cercava farsigli confidente, era il perfidissimo spione Giuseppe Spagnuolo, mi era noto, ma non amico. La famiglia Fasulo per la quale tanto rischiai, ed a cui resi certamente un importante servizio, io non la conoscea neppure dipinta col carbone.
Ed è mai ragionevole il pensare, che la mia anima cosi’ fatta, cosi sensibile, tanto costantemente benefica sia capace di corruzione? Bisogna confessar il vero, che per la maggior parte gli uomini sono senza carattere, e non sanno conoscere chi ne ha. Luigi Cotti era mio amico, è vero; ma egli avea dispensato ad imprestito circa 600 ducati a varie persone, fuorchè a me; e niuna di questa fu per lui nella sua disgrazia. Alcuni dorati pappagalli del patriottismo gli negarono fino al più misero soccorso, ed egli farebbe morto di fame, se non avesse avuto me, e se non si riduceva a far il pedante per vivere. Cittadini, sulla mia fede quando io vi nomino Luigi Cotti, concepitene la più alta stima, se, per vostra disgrazia, non lo avete ancora trattato.
mentre io scrivo questo capitolo della mia apologia, io provo tanta nausea a raccontar, da me stesso, queste mie cose, per quanto piacere gustò quello sciocco infame, che il primo mi segnò nella insensata lista delle spie.
Io amava soddisfare il mio cuore con far del bene a tutti, senza svelarmi, perchè ho sempre creduto che la pomposità delle parole sia la defloratrice della Virtù. Il cittadino Nicola Magliano può attestarvi, che io gli negai presso Fontana Medina quel che gli avea detto il cittadino Michele Gallo, somasco; cioè che io era quello che soccorreva a Luigi Cotti nel carcere. E Gallo può dirvi, che io lo sgridai, appunto perchè io non volea far sapere cosa di me. Se adesso pubblico tutto, o gran parte in istampa, è il bisogno di rivendicar la mia stima, e non la vanagloria che mi ci astringe. L’altrui malvagia loquacità ha voluto mordermi, ed il mio decoro esigge che io confonda i malevoli.
Se io fossi stato uno scelerato, quanti di voi, o cittadini, sarebbero stati accusati da me? Trovate un solo fra voi che non solo non sia stato accusato; ma che, nel bisogno, non sia stato da me ajutato. Il cittadino Giuseppe Laghezza fu testimone ed interventore a tutte le unioni patriottiche fatte in casa di Ferdinando Rodriquez, presso S.Anna di palazzo, e di tutte le attenzioni, che io potei usargli in alcuni suoi rincontri.
Chi più di me era a giorno di tutti gl’intrighi patriottici di Napoli, ch’eran tanti derivati della grande unione Massonica che un tempo esisteva in casa Nuselli-Aragona? Il cittadino Kiliano Caracciolo mi ha sempre confidato tutti i più reconditi segreti del suo cuore. Chi più di me si è impegnato colla massima disinvoltura andare a fare il consolatore degli afflitti patrioti nel carcere di Parete. Il cittadino mario pagano non se ne sarà certamente dimenticato. ma bisogna che io vada a finire.
La famiglia Canzano mi è stata, e mi è ancora perfettamente ignota; eppure Luigi Chi potrà dirvi quanto io feci per appurar quelche Guidobaldi e Salvatore Cuomo, in Guglioneri, avean fatto per far morire il buon Andrea Coppola, Luigi Cotto era quello che, per mio incarico, riferiva tutto alla affezionata madre dell’oppresso giovane.
Mentre io rischiava la vita per slvare dall’eccidio la famiglia Fasulo, io strappai dalle branche degli assassini Peppino Riario; e poche ore dopo, io ne liberai altri sette giovani che non sapea, nè so chi siano; come pure non avea mai trattato Riario. Ed il buon cittadino Giuseppe Scacchi, per quattro continui anni di carcere domestico, in me solo ha trovato (come si esprimeva) l’amico sincero, che gli ho profuso tutto il mio sentimento, tutta l’assistenwa, e tutto qul misero soccorso ch’era proporzionato alla tenuità delle mie scarse finanze.
Dippiù, se l’adorabile innocenza delle virtuose sorelle dell’ottimo cittadino Alessandro Petrucci, non fu neppure tentata dalla versipelle scellerataggine dell’infame Giuseppe Spagnuolo, l’opera certamente è mia. Avendomi egli detto in casa Bosco, che volea introdurci a farle avvisare della qualità del soggetto, per mezzo della madre e sorelle del cittadino Giuseppe Santoro, che le abitava allato, nella strada della Pignasecca.
Cittadini, prima che io finisca, voi giudicherete unanimamente, che un solo entusiasta del patriottismo potea far tanto. Or sappiate, che questo entusiasta appuinto è quello che vede il suo nome confuso con quello degl’infami nemici della patria. Tanto più la calunnia, e l’Ignoranza!
Si è arrivato a dire, che io, unitomi a Jerocades, abbia accusato Monticelli. E questo è poco ancora. Si sta attualmente dicendo per Napoli, che io accusassi nella giunta di Stato Severo caputo. Per questo ultimo sanno molti, che io fui il suo proccuratore, e non il suo accusatore. ma per Monticelli è necessario che sappiano tutti, che io per due anni continui, gli ho fatti venire, a sue spese, il vino di Soropaga, che gli capitava sopra Santermo per opera del cittadino Saverio Capano. Dippiù, poco prima che si facesse la sua causa, io gli regalai del molto vino di Soropaga stessa. Noi ci abbracciammo su quel castello nella mattina de’ 14 Luglio 1798. ed egli prima di partire mi fece pervenire i suoi ringraziamneti per regalo fattogli di quel vino, per mezzo dello stesso Capano. Mille volte io dimando a me stesso: Come va, che facendo sempre bene, io ne ricevo sempre male? una voce interna mi risponde: E’ forza di destino. E’ l’ignoranza. E’ l’Invidia.
Io però sono stufo di più incensar me stesso. E’ questa una viltà cui non so più prestarmi. La stessa correzione delle stampe mi annoja. Sotto la tirannia ho passato de’ giorni cosi tristi, che avrei piuttosto desiderato trovarmi chiuso in un criminale di castello, che vedermi incessantemente molestato dalle spie e dalla miseria. Ed oggi, in mezzo alla libertà, io soffro de’ punti che’ mi fanno desiderare l’emigrazione, per non esser più nella umiliante circostanza di far l’apoteosi a me medesimo. ebbe ragione Temistocle di lasciar Atene, e Scipione di abbandonar Roma, piuttosto vedersi astretti ‘a giustificarsi innanzi alle goffe turbe de’ ridicoli e degl’imbecilli, giacchè le persone da senno eran tutte per essi.
Ma io devo finire. Avrei a dire più del doppio; ma voglio tacerlo. Io non desidero, io non cerco impieghi, perchè comprendo che cosa è la Democrazia, e quanto pesa qualunque carica in una Repubblica democratica. Io anzi ho pregato per non averne. Una sola cosa desidero, e questa è la grazia della mia quiete.
Lasciate, o cittadini, che dopo dieci anni di desiderj, di speranze, di proggetti, di sofferenze, di rischi, d’interessi, di miserie, e di persecuazioni, io possa chiamare mio zio paterno, Giambattista Albarelli, in giudizio, alla restrizione di quanto mi ha frodato, ed il mio fratello Vincenzo (Albarella d’Afflitto), al rimborso di quanto mi ha rapito.
Permettere, o cittadini, che dopo aver sofferto, per dodici anni continui, l’instancabile calunnia di mio zio e mio fratello, che mi andavano proclamando per ateo, per giacobino; tanto era l’impegno di vedermi in carcere. E giunsero sino a dire che io era stato già carcerato. Questo eroico mio fratello fu quello che, vedendosi sempre deluso nelle sue speranze, ebbe il coraggio di falsificar una firma di polizza, e passarmela, per farmi andar cosi carcerato. Il cittadino Gianlionardo Palumbo è testimone di questo aneddoto da me prudentemente sofferto.
Dopo tanti, e lunghi crepacuori, che un vero patriota ha silenziosamente sofferto sotto la tirannia, permettetegli, o cittadini, ch’egli, nella libertà, possa farsi restituire quel pane, che fu strappato dalla sua bocca, e da quella degl’innocenti suoi figli. e lasciate pure una volta di più avvelenargli quella pace ch’ei gode in seno della sua famiglia, che foròa la sua vera, la sua sola delizia. Salute e riflessione.
Il cittadino
Giuseppe Albarelli.

In adempimento della nota alla pag.8 siegue l’inno.
L’inno
L’Invito a’ popoli d’Italia.

Dov’è? Dov’è del Lazio
L’almo coraggio anticao?
Dov’è? Dov’è il gran Cassio
Di Libertà l’amico?
Quiriti! omai destativi
Dal vostro obblio profondo:
Sorga il Latino Genio
A liberare il mondo.

Nò, più soffrir non puotersi;
Da rie carene oppressa,
Appiè de’ sogli vittima
Langue Innocenza istessa.
Già Temi più non mostrasi
Dall’alto Campidoglio:
I re, tiranni, imperano
Con ingiustizia e orgoglio.

Invano appella il misero
Al Giusto ed all’Onesto;
Grida un ministro perfido:
Il re comanda questo.a
E noi, d’Italia o popoli.

Il soffriremo a scorno
De’ nostri prodi avoli
Che i re sprezzano un giorno.
Ah! nò, su via destiamoci:
Deh, ci rinasca in petto
L’antico onore italico,
Di libertà l’affetto
Rivendichiam solleciti
Di Libertate il dritto;
Di libertade amabile
Che ognun nel core ha scritto.

Scettri e corone regie
Cadano a’ nostri piedi;
Su, rovessciamo i solj
E le loro empie sedi.
Illustre a tutt’i secoli
Dove ne andasti, o Bruto!
Dunque il tuo grande esempio
Fin tra noi perduto?
Tu l’empio re tarquinio
cacciasti allor di Roma
Che, di potente e libera,
Era languente e doma.
Le stesse tue vestigia
Cassio, tuttor, calcando,
Contro il tremendo Cesare
Vale impugnare il brando.

Di te, di te sol’emolo
Il Genio di parigi,
Seppe fiaccar l’orgoglio
Dello empio re Luigi:
E, tutto a Cassio simile,
L’eroe di Stokholmo
Fe il petto al re, suo despota,
Di apre ferite colmo.
Tu dunque al core ispiraci
L’amor di Libertà;
Tu fa tra’ noi risorgere
Dell’or la bella età.

note

1. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. “La Biblioteca del Principe di Tarsia è superba: la sua scuderia è magnificamente dipinta e decorata, prova che l’intenzione del signore non era quella d’onorare le Muse. La Biblioteca del Principe di Tarsia era non solo ricca di opera, ma le pareti e gli scaffali, di fregi ed oro. Una sala fornita di molti strumenti matematici, un’altra di ritratti d’uomini dotti, nazionali e stranieri. Sulle porte, in caratteri d’oro, si leggeva il seguente distico di G. B. Vico:
Heic Jovis e cerehro quae in coelo est nata Minerva
Digna Jove in terris aurea tecta colit.
La Regina ha raccolto, da qualche anno a questa parte, una Biblioteca di opere tedesche per suo uso; Fuger, pittore di Vienna, l’ha dipinta con molto gusto. Erano, su per giù, queste le condizioni e la fisonomia sociale del Regno fino ai tempi di Carlo III, salvo, s’intende, quelle differenze proprie delle provincie cagionate dalla maggior o minor prevalenza del feudatario, del cattivo amministratore, e della maggiore minore lontananza dalla Capitale, ove era accentrato il potere il quale, per mancanza di sollecite comunicazioni, di frequenti scambi, non poteva infondere un’azione rapida e concorde in tutte le membra del Reame”.
2. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
3. Lettere di Ferdinando IV alla Duchessa di Floridia, 1820-1824, Volume 1, Sandron, 1914, pag.50. Cfr. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
3 bis. Archivio di Stato di Avellino, notai di Apice e Pietrastornina. Risalire ai vestiti femminili per antonomasia che le donne di Apice si tramandavano di madre in figlia attraverso la dote non è stata impresa facile. Possiamo però dire, alla luce delle ricerche effettuate presso l’Archivio di Stato di Avellino [fasc.17290], di aver reperito, fra i volumi notarili conservati, sebbene per la maggior parte illegibili, la raccolta di alcuni atti che si sono rivelati utili ai fini della ricerca. Stando a questi pochi, ma preziosi fogli, è stato quindi possibile capire come fossero fatti gli abiti, quelli che oggi chiameremmo costumi tradizionali, che le donne da marito, le vergini in capillis, qui chiamate “zite”, portavano in dote nel giorno del matrimonio.
C’è da dire, aprendo una parentesi, che è stato possibile decifrare qualche pagina fra il 1741 e il 1742, ma è evidente che i vestiti sono di gran lunga precedenti al XVIII Secolo in quanto si ripetono ugualmete da donna in donna, sebbene solo gli ornamenti siano di diversa fattura in base al ceto sociale.
Ma andiamo per ordine e seguiamo qualche passo dei Capitoli Matrimoniali.
Il primo è del 1741 e si riferisce alla zita in capillis Teresa Verucci figlia legittima di Biaso Verucci(o) e Barbara Galiarde, [i quali], si abbiano di dotare à Andonio Cociniello, della altra parte, [in quanto prossimo marito e] figlio di Cirijaco Cociniello è Cecilia Laurito; e il predetto Andonio si contenta di pigliarsi per sua cara e ligittima sposa alla detta Teresa seconno comanna il rito della Santa Madre Chiesa Cattolica, che si sono convenuti, dalla una è dalla altra parte, cioè detta Teresa, di pigliarsi al predetto detto Andonijo per sua cara e legittima sposa alla predetta Teresa, e dalla aldra parte il detto Bijaso e Barbara , [i quali], si obbligano di dotare sua figlia seconno Iddio li spira e non[n] facenno crede[re che] sia detta robba di detto Biaso:
in primis promette di darli di contanti Docati 40,0 con annui cinque di tempo, con pagarne ogni anni Docati 8 e Carlini spari;
item anna tre di panni di tutte sorte;
item [per] rama e ferro, Carlini 3.2.10;
più un letto fornito solamente il materazzo mangante;
più una gonnella di saia imperjale con maniche di saia scarlatina;
più cassa di noce di tomola 3.
Da citato documento, quindi, veniamo a sapere che ad Apice, quando si marita una vergine, i genitori hanno diversi anni di tempo per pagare la dote al marito in soldi che serviranno alla famiglia (danaro, asciugamani, lenzuola, rame e ferro per il letto). Mentre fin da subito avviene la dotazione del materasso, regali vari ma, principalmente la veste.
Essa è rappresentata da una gonnella di saia imperjale con maniche di saia scarlatina.
Nel secondo documento preso in esame, quello del matrimonio fra Rosaria Paragone e Domenico Altiero, fra i beni dotali, vi sono il letto fornito, consistente in un saccone, un materazzo con [rotoli] venti di lana, con due coscine, una manta di lana di libre [scrive “libere”] venti, una co[pe]rtina di straccia [in pezzi] 24 con pontilli in mezzo, due lenzuola di panno...
In questo caso il genitore ha quattro anni di panni secondo l’uso e consuetudine di questa Terra [all’in]fuori delle due lenzole. Item Docati cinque di rame e ferro.
L’atto notarile non facilemente decifrabile e non ci viene incontro nella ricerca. Ma la curiosità è subito soddisfatta da un capitolo successivo, del 1742, relativo al matrimonio fra Vittoria di Sunno e Gennaro Vetere. In questo caso il genitore per parte femminile deve soddisfare tre anni di pannamenti secondo l’uso di questa Terra fra il termine di anni 3. Item carlini 30 di rame e ferro per il termine di anni 2. Si citano quindi altri beni: il solito materazzo con rotole di lana, il saccone [di foglie di pannocchia altrove dette preglie], una manta cardata di lana di Ducati 4,50.
Finalmente ricompare, fra le cose dotali, una gonnella di sai[a] imperiale con maniche guarnita con trame [o trene=lacci?] di seta.
Questo tipo di gonna, quindi, è un elemento preciso, sempre presente, che si tramanda di madre in figlia, insieme alle lenzuola e al materasso.
Procediamo con un altro documento, sempre del 1742. Riguarda il matrimonio fra Teresa Pagliuso e Bartolomeo Carchietta. Teresa porta in dote un saccone, un materazzo con rotoli di lana [che] è proprio quello tale e quale che fu di detta quondam sua moglie con le cuscine, una manta cardata di Ducati 4, una co[pe]rtina di braccia 24, un tornaletto.
Ma eccoci, come tradizione (ormai appare scontato) al vestito della festa: una gonnella di saia con maniche di saia scarlattina.
E’ proprio simile alla dote precedente, ma appare più signorile, quella che Rosa Pagliuso porta allo sposo Giovanni Chiucchiuso, nel 1742: una gonna di saia imperiale di saia scarlatta guarnita però le maniche con trame di seta.
La ricerca si completa con gli ultimi due documenti del 1742: quello relativo al matrimonio fra Vittoria Pagano e Alessandro Barrasso, e fra Vittoria Cacciatora e Angelo Capone. Il primo, però, appare indecifrabile, ma annovera fra l’altro sicuramente quattro camicie a ccannatora di tela e pizzilli, due mesali di bambacie fine, due sarvietti in tela a coppetiello e due mesali pure a coppetiello. La Cacciatora, invece, sicuramente più ricca, porterà in dote una gonnella di saia imperiale con maniche anche di saia, guarnite solamente le maniche e il busto di trame d’argento da darola in die sposalitij.
Ed è proprio quest’ultimo documento la vera ciliegina sulla torta: quella che sancisce il giorno del matrimonio come il momento in cui, come da prassi e come da rito in Terra di Apice, viene consegnata la gonna che rappresenta una sorta di testimone. Ma non solo. In questo caso particolare, la gonna lunga, nella parte del busto e delle maniche, si impreziosisce di trame d’argento.
Abbiamo quindi rinvenuto in ben cinque casi su sette una dote che si caratterizza dalla donazione, nel giorno del matrimonio, di una gonna scarlatta con fregi diversi a seconda dello stato sociale delle donne di Apice:
1. gonnella scarlatta di saio imperiale con maniche in saio.
2. gonnella scarlatta di saio imperiale con maniche in frene di seta.
3. gonnella scarlatta di saio [imperiale] con maniche in saio.
4. una gonn[ell]a scarlatta di saio imperiale con maniche in frene di seta.
5. una gonnella [scarlatta] di saio imperiale con maniche maniche e busto in trame d’argento.
I costumi ufficiali di Apice sono rappresentati dall’uomo in pantalone e camicia bianca e dalla donna in abito lungo scarlatto con fregi ai polsi dello stesso tessuto, seta o anche d’argento.
Presumibilmente si tratta quindi di una gonnella di panno scarlatto tagliato a guisa di toga o stola fino al tallone e lavorata a mano. E’ ornata nel lembo da varie fasce sempre di scarlatto o vellutino in seta uguale o diverso da quello della toga. Le cuciture delle maniche sarebbero quindi ornate di liste di scarlattino o vellutino forse ad interlaccio che può ornare anche il busto. Il caso dell’argento è forse propriamente della chiusura della pettina, così come in alcuni usi, con bottoni d’argento o lacci di seta. L’abito a gonnella si completerebbe quindi, nella parte sottostante, con la vera tunica senza maniche, una sorta di casacca, mentre le gambe, a questo punto, sarebbero coperte da calzette ricamate in seta con ai piedi i classici pianelli ma anch’essi ricamati.
Non resta che rovistare nelle soffitte alla ricerca della veste scarlatta.
4. Lettere di Ferdinando IV alla Duchessa di Floridia, 1820-1824, Volume 1, Sandron, 1914, pag.50. Cfr. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. Dice Conforti: “E un contemporaneo cosi dipingeva i suoi tempi fingendo che Pietro Giannone visitasse Napoli: Arrivato io dunque in questa capitale dopo la lontananza di 69 anni - quanti ne corsero dal 1723, nel di 29 di aprile giorno memorando del mio ostracismo fino al presente come che l’avessi trovata diversa...”.
5. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
6. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
7. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
8. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
9. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
10. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. Sulla smania della imitazione delle mode straniere, vedi Coco: Saggio critico pag. 31 e 32.
11. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. Cita Lancellotti: “Erano i RR. preceduti da buona fama; sicché a Genova alcuni di quei nobili, secondati da persone della Corte pensarono di offrire al Re la signoria della Repubblica. Egli all’ offerta affrettò il viaggio, e redarguì il cortigiano zelante”.
12. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
13. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.4.
14. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.4. Scrive Dumas: L’Inghilterra era contentissima del dissesto finanziero e politico nel quale ci trovavamo, il quale non poteva, nè sotto il primo nè sotto il secondo rispetto, rimbalzare su lei. La Spagna, s’indeboliva sotto il suo nuovo Re, Carlo IV, che lasciava le cure dello Stato alla Regina Maria Luisa, ed al favorito della Regina, Godoy, Principe della Pace, e che non s’occupava d’altro che di strigliare, da se stesso, i suoi cavalli, e di tenere esattamente il giornale di caccia di suo padre, che avea fedelmente continuato dopo la sua morte. La Prussia avea l’occhio sulla Polonia, che si preparavano a smembrare, e di cui ella contava avere la sua parte. La Russia lottava con gran pena contro i Turchi, suoi eterni nemici, il Piemonte, doppiamente agitato, tanto a causa dei suoi patrioti, che provavano il contro colpo della Rivoluzione francese, quanto per gli emigrati francesi che abbondavano in casa sua, vedeva la Savoia in insurrezione, o vicina ad insorgere e lungi dall’essere quella potenza militare che è diventata poi, abbisognava per sé di tutti le sue milizie.
15. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
16. Drusco Pietrabondio, Anarchia popolare di Napoli dal 21 dicembre 1798 al 23 gennaio 1799. Manoscritto inedito dell’abate Pietrabondio Drusco ed i monitori repubblicani del 1799 corredati di note del medesimo autore per chiarire la verità dei fatti. A cura del cav. Michele Arcella. Napoli 1884, pagg. 251.
17. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.4. Così Dumas: “Gli istruttori, che successivamente eransi fatti venire di Austria e di Francia, non avean potuto far nulla di buono. Il sig. de Pomereuil solo aveva bene ordinata la artiglieria, ma gli arsenali erano male approvvigionati, ma si mancava d’arme, ma l’amministrazione della guerra, siccome tutte le altre amministrazioni, riboccava di ladri, ed era piena di soprusi; ma le fortezze, rimaste, per ben quarant’anni senza riparazioni, rovinavano. La marina era, è d’uopo dirlo, in uno stato meno deplorabile, il governo avea tre vascelli di alto bordo sette o otto fregate, dieci o dodici corvette in tutto, trenta bastimenti da guerra comandati da buoni uffiziali, e montati da abili e coraggiosi marinari. E lungo tempo che noi abbiam detto dover essere l’Italia Meridionale una potenza marittima, e non già militare, errore nel quale sono caduti tutti i suoi Re. Per quanto la sua marina alimentata dai suoi mille porti Napoli, Baja, Ischia, Gaeta, Procida Ponza, Ventotene, Castellammare, Salerno, Palermo, Messina, Siracusa, Reggio, Marsala, Taranto, Brindisi, Manfredonia, e che so io? può darle bravi arditi ed avventurosi marinari, altrettanto le sue città, molli, effeminate, delle spiagge, delle sue montagne, scoscese ed inaccessibili, le danno una cattiva razza militare. Il tesoro era press’a poco ruinato. Due viaggi pomposi, uno in Italia, l’altro a Vienna, una corte prodiga, e per se stessa e per i favori accordati da lei”.
18. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.4.
19. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.4.
20. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.4.
21. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.5.
22. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.5.
23. “Il Cav. Luigi Medici di Toscana de’ Principi di Ottaiano era nato il 22 aprile 1759. Dicono i suoi biografi che discendesse da quel Bernardetto dei Medici che fu cugino di Cosimo e di Giulio dei Medici. Il feudo di Ottaiano fu comperato dalla famiglia Medici nel 1567. Carlo III col diploma di nomina a Grande di Spagna di D. Giuseppe Medici, ricordava l’antica e nobile origine della casa e lo diceva “bisnepote di D. Bernardetto de’ Medici , fratello dello stesso pontefice che portò la detta casa dalla Toscana nel Regno di Napoli, ov’è oggi una delle prime del detto Regno e delle più cospicue d’Italia”. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
24. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
25. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. “Armando Luigi Barone di Mackau era nato il 1759. Entrò prima nell’esercito, poi dal Marchese di Bombelles, suo futuro cognato, e Ministro del Re presso la Dieta Germanica fu adibito al Ministero degli Esteri, quindi nominato ministro plenipotenziario presso il duca di Wortemberg. Al cadere della Monarchia prestò giuramento, tra i primi, alla Repubblica, e fu nominato nel 1791 ministro in Toscana. Ma non si recò presso quella Corte; sicché al 30 aprile 1792 fu, dal ministro degli Esteri Dumouriez, nominato al posto di Napoli”.
26. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
27. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
28. Basseville ebbe l’incarico di informarsi delle intenzioni e delle mire del governo romano e dello stato del Forte S.Angelo, giungendo nella sede papale già la sera del 13 novembre 1792, sena neppure il passaporto e, come unico documento che attestasse la sua qualità, una lettera di Mackau per il Cardinale de Zelada”. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
29. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.

 

1. Come da prammatica del 10 luglio 1751. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
2. Come da prammatica del 12 settembre 1775. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
3. Jerocades era nato a Parghelia “il 10 settembre 1738 di proba e civile famiglia che fin dai primi anni lo destinò al sacerdozio. Studiò teologia e filosofìa nel Seminario di Tropea, quindi a Monteleone alla scuola di un frate Caruso”. Ebbe “relazioni con uomini importanti, fra i quali il Genovesi. Si agitava e si ponea in vista, aprendo scuole nel paese natio, dettando lezioni di lingue, filosofìa, pubblicando versi e prose.Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
4. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
5. Dal sito internet: www.sanmangomia.it, Armando Orlando, E venne il tempo delle rivolte. Scrive Orlando che “alle forze del male l’abate contrappose la festa della luce, con un invito ad accettare le nuove libertà e preparare un futuro fatto di progresso e di fratellanza, al di sopra delle differenze linguistiche, religiose ed etniche. Convinto che ogni cambiamento politico necessitava di un preventivo mutamento in campo pedagogico, auspicò una rivoluzione culturale in grado di creare le condizioni per una trasformazione radicale della società. Lo Stato era, per lui, lo strumento per ammodernare la società e redimere le plebi dalle condizioni di arretratezza materiale e di sottosviluppo culturale, e per riformare lo Stato, Jerocades passò dalle idee all’azione, cominciò ad inneggiare alla rivoluzione francese e declamò versi contro la tirannide”.
6. “In questi anni scrisse e pubblicò numerose opere; tenne, come sostituto, la cattedra del Genovesi; e tra i lavori e la scuola esercitò una propaganda instancabile e fruttuosa nel moltiplicare le conventicole Massoniche, per le quali compose un poema ed un codice, La Lira Facente. Adescò gli animi con essa ai misteriosi conveni, alle dolci lusinghe di un sicuro trionfo. Col linguaggio immaginoso della Bibbia preannunziava il regno dei cieli, l’impero della virtù, che avrebbe distrutto tutte le ingiustizie e le disuguaglianze sociali. Appare come un impasto di Augure e di Orfeo. Adattava da se stesso ai suoi inni ed alle sue canzoni la melodia, e li cantava o declamava fra allegre brigate, nella scuola, per le vie, trascinando giovani, vecchi e donne, infervorandoli con la certezza di un nuovo ordine sociale. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
7. Dal sito internet: www.sanmangomia.it, Armando Orlando, E venne il tempo delle rivolte.
8. Gregorio Mattei, Congiure. In: Benedetto Croce, La Rivoluzione Napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche, Giuseppe Laterza & Figli, Bari 1912. La Società era composta “in sezioni, tutte riunite per mezzo di deputati, e questi anche divisi in altre sezioni, che andavano finalmente a terminare in un’adunanza centrale. Tali divisioni e suddivisioni furono imaginate per ottenerne la minima possibile responsabilità; giacché con questo metodo si otteneva che i congiurati non conoscessero che i pochi compagni d’ogni particolare sezione, ignorando quelli delle altre. Si è però convenuto dagl’inventori medesimi che questo piano fu la rovina di molti congiurati, perché mancava della forza delle grandi unioni o della sicurezza delle piccole. L’oggetto era di democratizzare gli spiriti, di aumentar il numero dei rivoluzionari, di conoscerne e bilanciarne il coraggio e i talenti, e tenerne in serbo un numero opportuno per i gran colpi. Verso il cominciare dell’anno 1794 (v. s.) si pensò d’istituire un’adunanza rivoluzionaria, e siccome si era sparsa la voce che i Despoti colla famiglia volean ritirarsi in Vienna, cosi si determinò di disfarsi di loro; ma non si calcolò che mancavan le forze sufficienti, giacché a quell’epoca i patrioti non eran più di trecento”.
9. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793. Conosco benissimo don Carlo Laubergh, monaco spogliato della religione da’ Scolopi, in occasione ch’ essendomi portato in Napoli per studiare sin dal mese di novembre dell’anno 1792 dalla mia patria di Gioia di Bari, fui raccomandato al canonico don Biaggio DelRe ed a don Michele suo fratello, paglietta, per essere del proprio mio paese, onde, avendo bisogno di maestro della filosofia e geometria, essi medesimi Del Re, in un giorno che non mi ricordo il positivo, mi invitorono a pranzo in casa loro, dove pranzò anche un prete, che per allora intesi chiamarsi don Carlo Lanbergh monaco da poco allora spogliato dalla religione de’ Scolopi, e vi mangiò pur anche il fratello di detto Laubergh, che si trova adesso in Chieti. In quel giorno conobbi che vi era stretta amicizia tra detto Laubergh e li sudetti fratelli DelRe, perché mi proposero per uno de’ suoi discepoli per lo studio, dicendomi ch’era un gran maestro, com’in effetti io mi portai a sentire le lezioni suddette nello studio di Laubergh, il quale, a contemplazione di detti fratelli Del Re, non volle da me mesata alcuna, come si rileva da una lettera scritta dal medesimo don Biagio a mio zio don Antonio Patarino in Gioia; e, continuando io da discepolo presso il Laubergh, più volte abbiamo insieme mangiato nella casa de’ nominati fratelli Del Re, con altra gente, ed alcune volte colla medesima sorella del Laubergh, e tra quasta gente, che non conosco, mi ricordo avervi pranzato il segretario di Maddaloni, chiamato don Giuseppe. E, continuando io a continuamente trattare con detto Laubergh e detti fratelli Del Re, rilevai che i medesimi erano celebri giacobini inimici della monarchia, a motivo che i medesimi li vedevo venire con don Annibale Giordano lettore di matematica nella Nunziatella, con Rocco Lentini di Monopoli studente di Conforto, con don Emmanuele De Deo di Minervino, don Silvio Bonavoglia di Gioia, don Pietro Romanazzi di Putignano, don Ignazio Ciaia officiale di Segretaria dell’Ecclesiastico, don Filippo Carella di Conversano, don Raffaele Netti di S. Eramo, don Giuseppe Banchi e suo fratello, un padre olivetano, che intesi chiamarsi don Raimondo Grimaldi, don Gregorio Tresca, e molti altri che non so il nome (ma, vedendoli, mi fiderei conoscerli, per averli più volte visti), con tutta la massima riserva ora nella casa di detto Laubergh, ora nella casa di detti fratelli Del Re ed ora altrove, e trattavano con tale segretezza in detta unione, che non permettevano l’entrata a persona veruna, guardandosi anche di me medesimo. Ed io ho giudicato essere giacobini, come di sopra ho detto, non solo per l’unione segreta, che vedevo fare, ma perché l’intendevo sparlare contro il monarca, lodando la condotta de’ Francesi e biasimando quella de’ sovrani. Dicevano pur anche che i Francesi sarebbero venuti sicuramente e si sarebbero fatti padroni del Regno, ed in tal guisa si sarebbe introdotta la libertà ed uguaglianza, e si opprimeva il nostro sovrano, [dicendo] fosso peggiore di quello de’ Francesi e questo descorso era in bocca di ognuno di detti soggetti, i quali dicevano che il sovrano era una schiavitù. Me ne confirmai in questo sentimento, perché, nella venuta della navi francesi in Napoli, tre o quattro volte nella comitiva predetta si posero le coppolelle rosse sotto la loro giamberga, nella stessa maniera che; la portavano i Francesi: e questi furono li sudetti don Rocco Lentini, don Raffaele Netti e don Michele Del Re; e li medesimi mi confidarono ch’ erano andati a mangiare sopra le navi predette, vantandosi che altri non erano stati ricevuti, e che l’officialità francese li trattava con intrinsichezza, dicendo a me che, se fossi, andato io, m’avrebbero buttato a mare.
Mi persuasi maggiormente di tutti i fatti suddetti dall’aver veduto coi propri occhi praticare in casa di Laubergh il comandante monsieur Latouche, come l’intesi chiamare e, perché vi era detta gente unita in detta casa, cercai di sapere perché detto Latouche era ivi andato, e dal De Deo mi fu detto in confidenza che Latouche doveva dare le regole per introdurre la libertà e l’uguaglianza, e da Bonavoglia intesi che, mentre detto Latouche si presentò al reper portare l’imbasciata in nome della Nazione, si pose la coppolella in capo, e che S. M. si pose a paura; ed in effetti viddi allora che il Laubergh si pose a parlare in francese un pezzo in sua casa con detto Latouche, per cui non era inteso da nessuna persona; ma, essendosi detto Latouche licenziato dal Laubergh, ebbero la curiosità di sapere cosa avevano discorso, giacché, parlando, ridevano fra di loro: onde il Laubergh raccontò a tutti, me presente, che monsieur Latouche era andato a vedere la porcellana di S. M., dove avea trovata la statua di Bruto, iddio della libertà, ed egli in mezzo a tanta gente si aveva posto la coppolella e l’aveva adorato; e, dopo tal racconto, tutti dell’unione da me deposta me ne fecero andar via, restando tra di loro.
Restai anche sorpreso e mi confirmai che tutti di detta unione erano giacobini dall’aver veduto che la lettera mandata da monsieur Latouche al pontefice era nelle mani di Laubergh, che ne dava le copie a tutti i suoi compagni, e facevano pompa d’una lettera, che si diceva fatta al nostro sovrano da’ Francesi, per far vedere lo spirito de’ republicani quanto era più grande (come loro dicavano) di quello de’ monarchici, la quale lettera, tradotta dal francese, la diede a me, per leggerla, don Michele Del Re, e mi ricordo benissimo che nell’ultimo di detta lettera si leggeva; “ o Acton nelle nostre mani, o Napoli in polvere “. E non solo leggevasi detta lettera; ma benanche tutto le scritture, che sono uscite dalla Francia, si trovavano nella mani di detto Laubergh e si leggevano tra di loro, tradotte dal medesimo in idioma italiano, facendoli stampare dallo stampatore Gennaro Ciaccio ed altri stampatori di questa città, secondo io intesi.
Ed è tanto ciò vero che don Silvio Buonavoglia mi confidò che le costituzioni giacobiniche pubblicate in Francia per il nuovo governo, che spiegavano la libertà e l’uguaglianza, con molti capitoli e note fatte sopra le costituzioni sudette, l’aveva tradotte detto Laubergh in lingua italiana, e, l’aveva fatto stampare assieme con detti suoi compagni, non sapendo quante se ne divisero tra di loro. Ma mi costa benissimo, per averle vedute, che sopra la casa de’ fratelli Del Re ve n’erano un numero significante di dette costituzioni, delle quali certe ne mandorono nel loro paese, avendo tutti dell’assemblea suddetta il medesimo assunto di mandare dette carte nel loro paese, forse per far numero di giacobini. Ed avendo avuto io la mira di averne una copia, di queste costituzioni giacobiniche, il giorno de’ 6 delcorrente mese di decembre 1793, essendomi portato a questo effetto nella casa del sudetto don Emmanuale De Deo, a cui l’istesso giorno aveva veduto uscire dalla casa di detti fratelliDel Re con un fascio di dette stampe giacobiniche, datasi l’occasione, nella casa di detto De Deo, che si cocevano certi maccaroni nella cucina nella quale eravamo insieme con detto De Deo, onde finsi di levarmi certa cioccolata da sacca, lasciando il De Deo nella cucina, dove, avendo tirato un tiratoio della sua boffetta, ritrovai dette stampe conservate: ne presi subito una copia di esse, e me la posi nella mia sacca, ritornando nella cucina col detto De Deo. E, come che per bocca di don Silvio Bonavoglia e di don Michele Del Re avevo inteso che, nel tempo delle navi francesi venute in Napoli rovinate dalla tempesta, il prefato don Carlo Laubergh, don Filippo Carelli, che al presente si trova nella sua patria di Conversano, con tutti gli altri dell’assemblea avevano dato giuramento presso monsieur Latouche in casa di don Ignazio Ciaia di essere fedeli sempre ai Francesi e contrari al nostro sovrano, che mi fu confermato di essersi dato detto giuramento da don Rocco Lentini di Monopoli e da don Emmanuele De Deo sudetto di Minervino, che loro anche avevano dato detto giuramento; come pure da detto don Michele Del Re, da Lentini, da Bonavoglia e dagli altri dell’assemblea mi fu detto ed assicurato che il Laubergh aveva fatta la risposta alla relazione di Roma per il fatto di Basaville, [e] infatti vendeva le copie cinque grana l’una; e da più persone dell’assemblea medesima ero assicurato che in Marsiglia i Francesi avevano fatto giuramento di deporre le armi allora quando riducevano in polvere Napoli, e che fra altro poco di tempo si ripigliavano, forse nel mese di decembre corrente, il porto di Tolone, per cui li vedevo tutti attenti a far numero di compagni, dando per certo che da Marsiglia erano uscito 18 navi francesi, che venivano a distruggere Napoli, lagnandosi per disgrazia della carcerazione seguita di un certo ufficiale, detto don Cesare Paribelli, dicendo che avevano perduto uno dei migliori compagni, perciò, essendo entrato io in gran scrupolo di coscienza nel tenere in segreto tutti gli anzidetti fatti, in pregiudizio della suddetta tranquillità, ed anche per essere affezionato vassallo della Maestà del sovrano (che Dio guardi), per cui io vi spargerei il mio sangue, stimai perciò giusto di presentarmi a S. E. il generale Acton, esibire nelle sue mani le costituzioni suddetto in istampa, ed informarlo di tutto ed accúdere presso la, persona di Vostra Signoria illustrissima, come ho fatto, e questa è la verità”. E mostrata a detto testimonio detta costituzione in istampa, che comincia: “Atto costituzionale della dichiarazione in 35 articoli ed atto costituzionale della republica in 124 colle note alla margine “ respondet: Il Signore, questa stampa di costituzioni, che mi mostrate, è l’istessa che io ho esibita a S. E. e per detto effetto da me si sottoscrive”.  Interrogato chi può deponere di tutto ciò, che ha deposto, respondet: “ li sopra detti fatti in parte si possono deponere da don Giuseppe Favale, da Pietro Nicola Favale, da Nicola Basile, Martino Catucci, da don Francesco Colucci e suo nipote, da don Francesco Indelicato, che sa tutti i fatti suddetti, dimorante adesso in Gioia sua patria, e dalla serva di detto don Silvio Bonavoglia, detta Fortunata, e finalmente da Nicola e Filippo La Manna, al primo de’ quali don Emmanuele De Deo suddetto, avendo veduto su la boffetta di detto Lamanna alcune pezze di scarlato per essere egli sartore, gliele dimandò, come li furono dato, ed io feci giudizio che li servivano per fare le coppolelle e di ciò ne parlai al sartore sudetto, il quale si mostrò dispiaciuto”. / Sacerdote Pietro Nicola Patarino ho deposto come sopra.
10. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
11. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
12. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
13. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
14. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
15. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
16. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
17. La popolazione della città, con a capo il Vescovo Fra’ Giovanni Giuseppe della Croce, accorse al tempio e il prelato degli agostiniani scalzi, “assunto poi dalla chiesa alla venerazione degli altari, seguito da immensa calca, tutta a capo scoverto ed a piedi nudi, fu al lido, benedisse il mare, il cielo, le navi naufraghe, e un grido immenso di prece e di conforto infuse alle ciurme speranze e coraggio. Il tristissimo caso spinse l’improvvido governo, solamente allora, a provvedere Gallipoli di un porto; ma la fama della insicurezza di quella rada ne sviò per un bel tratto il commercio e le navi estere”, come vuole il Marnili. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
18. Come da dispaccio al Reggente della Vicaria in data del 15 Dicembre 1792. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
19. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
20. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
21. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
22. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
23.Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, pag.140.
24. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
25.Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, pag.140.
26. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
27.Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, pag.140
28. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
29. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
30. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
31. Michele Rossi “ebbe la fortuna di scoprire un piccolo ma fruttifero gruppo di documenti superstiti della Gran Causa dei rei di stato del 1794; e su tali documenti, e sulle notizie spesso oscure, serbateci dai vecchi storici o cavate fuori da recenti eruditi, lavorò con tanto acume da diffondere una nuova e viva luce su quegli avvenimenti”. A dire di Croce, le sue conclusioni resteranno “quasi in tutto definitive; quantunque si possa desiderare qua e là meglio determinato e colorito il quadro da luì maestrevolmente delineato”. Egli riuscì a scrivere un libro, Nuova luce risultante dai veri fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799, monografia ricavata da documenti finora sconosciuti relativi alla Gran Causa dei Rei di Stato del 1794, in cui, per una buona metà, raccolse tutti i fatti accaduti a Napoli prima della Repubblica. Cfr. Michele Rossi, Nuova luce risultante dai veri fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799, monografia ricavata da documenti finora sconosciuti relativi alla Gran Causa dei Rei di Stato del 1794, Barbera, Firenze 1890. Nato a Pomarico, in Basilicata, nel 1835, Rossi vi mori il 6 marzo 1892. Degli intervenuti il Rossi può indicare con sicurezza due soli nomi: Carlo Lauberg e Giovanni Pecher. Dal libercolo pubblicato nel 1799 da Giuseppe Albarelli col titolo Il Decennio, si ricava che un altro di quegli iniziatori fu di sicuro l’abate e poeta Antonio lerocades. Cfr. Benedetto Croce, La Rivoluzione Napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche, Giuseppe Laterza & Figli, Bari 1912. V. Cap.I giacobini prima del 1799.
32. Benedetto Croce, La Rivoluzione Napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche, Giuseppe Laterza & Figli, Bari 1912. V. Cap.I giacobini prima del 1799. “Il Decennio del cittadino Giuseppe Albarelli. L’ho già citato a p. 26. Il solo esemplare, ch’io ne conosca, esiste in una miscellanea della Biblioteca di San Martino. L’Albarelli fu accusato nel 1799 di essere stato spia borbonica, e questo libretto contiene la sua difesa, ossia il racconto della sua vita nei dieci anni precedenti, con aneddoti curiosi, cui si può prestar fede, perché egli chiama a testimonianza or questo or quello dei patrioti ch’erano allora in Napoli. Condannato a morte al ritorno dei Borboni, gli fu commutata la pena nella fossa a vita alla Favignana (Cfr. Lomonaco, Rapporto).
33. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
34. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
34 bis. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.6
34 ter. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
35.Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.6
36. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
37. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
38. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
39. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
40. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
41. “Non potevano, per conseguenza, al semplice apparire della bandiera francese sconfessare e mutare i loro convincimenti, anche perchè presentivano che il favore del pubblico non sarebbe con essi. Vedevano, ad onta de’ vizi, salda ancora la base della Monarchia nell’opinione delle plebi, cosi per l’indolenrite del lungo governo del Tanucci, come pel genio delle riforme alle quali erasi mostrata favorevole. Il vessillo onorato e portentoso, intorno al quale si raccoglieva in quei dì una mano di uomini eletti e stimati, era tenuto alto da Mario Pagano. I suoi scritti politici, stupenda creazione di un ingegno superiore, codice nuovo di dottrine e di fatti, dettavano a Governo e governati l’osservanza di quella somma di doveri naturali e civili che sono il vero fondamento della libertà”. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
42. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
43. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
44.Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.6
45. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
46. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
47. Dice Conforti: Le idee di Mario Pagano erano quelle di Domenico Cirillo, Teodoro Monticelli, Francesco Conforti, Marcello Eusebio Scotti, Michele Torcia, Pietro Napoli Signorelli, Giuseppe Logoteta, Ignazio Ciaja, Vincenzo De Filippis, Domenico Albanese, Pasquale Baffi, Giuseppe Abbamonti, Domenico Bisoeglia, Prosdocimo Rotondo, Francesco Grimaldi, Luigi Serio, Melchiorre Delfico, Francesco Bagno, Nicola Pacifico, Onofrio Colace, Antonio Scialoja, Ignazio Falconieri, Nicola Fiorentino, Francesco Lomonaco, Gregorio Mattei, Gregorio Mangini, Francesco d’Astore, Giuseppe Cestari, Ercole d’Agnese, Carlo Laubert, Nicola Carlomagno, Forges-Davanzati, Vincenzo Troyse. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
48. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
49. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
50.  Bartolomeo Forteguerri, La spedizione punitiva del Latouche-Treville, trascrizione delle lettere di Bartolomeo Forteguerri a cura di Luigi Di Stadio. Napoli : La citta del sole, 2005,ISBN 88-8292-333-9.
51. Da internet: Wikipedia, l’enciclopedia libera. Voce: Andrea Vitaliani.Giovanni Andrea Vitaliani (o Vitaliano o Vitagliano; Longone, 23 luglio 1761 – Napoli, 20 luglio 1799) è stato un patriota, rivoluzionario e orologiaio italiano. Suddito del Regno di Napoli, di professione orologiaio, trasferitosi a Napoli col fratello Vincenzo, nel dicembre 1792.
52. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
53. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
54. Nicola Nicolini, Teodoro Monticelli e la Società Patriottica Napoletana (1793-94), In: Archivio Storico Pugliese, Bari 1955.
55. Giuseppe La Farina, Storia d’Italia: dal 1815 al 1850, Volume 1, Società Editrice Italiana, Torino 1860
56. Tommaso Pedio, Massoni e giacobini nel Regno di Napoli: Emmanuele de Deo e la congiura del 1794, Levante, Bari 1986.
57. Attilio Simioni, La congiura giacobina del 1794 a Napoli, L. Pierro e figli, Napoli 1914.

 

1. V. Dumas, libro2, cap.6 Così la missiva: - Comunque sieno le fortune degli Alemanni sul Reno, importa all’Italia far barriera d’armi su le Alpi,ed impedire che i Francesi per disperato conforto, sevinti, o per vendetta e conquiste, se vincitori, venissero a turbare la quiete de’governi italiani. Se perciò si collegassero la Sicilia, la Sardegna e Venezia, concorrerebbe il sommo pontefice alla santa impresa; i più piccoli potentatì che stanno tra mezzo seguiterebbero, vogliosi o no, il moto comune ; e si f arebbe cumulo di forze capace a difendere l’Italia, ed a darle peso ed autorità nelle guerre e ne’congressi di Europa. Essere obbietto di quella nota proporre e stringere con federazione nella quale il re delle due Sicilie, ultimo al pericolo, offrivasi primo a’cimenti; ricordando ad ogni principe italiano che la speranza di campar solo, è stata mai sempre la rovina d’Italia.
2. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
3. Drusco Pietrabondio, Anarchia popolare di Napoli dal 21 dicembre 1798 al 23 gennaio 1799. Manoscritto inedito dell’abate Pietrabondio Drusco ed i monitori repubblicani del 1799 corredati di note del medesimo autore per chiarire la verità dei fatti. A cura del cav. Michele Arcella. Napoli 1884, pagg. 251.
4. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.5.
5. In: Istituto fascista di cultura di Torino, Rivista storica italiana, Istituto per gli studi di politica internazionale, Torino 2005.
6. N.Nicolini, Luigi de Medici e il giacobinismo napoletano, Napoli 1935.
7. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
8. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
9. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
10. Così scrive Clodomiro Perrone ricordando l’Elogio di Pagano del Massa.
11. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.6
12. Clodomiro Perrone, Storia della Republica Partenopea del 1799, Napoli 1860, pagg.618. Fatti anteriori al 23 Gennaro (origine della repubblica) Capitolo Primo I Napoletani a Roma.
13. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
14.Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.6
15. Società Napoletana di Storia Patria, Archivio storico per le province napoletane, Volume 23. Napoli 1898.
16. “Editto del 1 Settembre 1793, contrassegnato dall’ Acton. Il Marnili ed altri autori han riferito inesattamente e monco questo Editto; ed il Colletta non fu esatto. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
17.Raffaella Brindisi Setari, Trivigno dal Medioevo all’età Contemporanea, cap. 1799, Trivigno 2001. Cfr. Sito internet: www.basilicata.cc. Così continua:
18. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
19. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
20.Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
21. “Al grado univa nobiltà di antica stirpe scozzese, e il favore della Corte, poiché era fratello di latte del Re Giorgio IV. Però più che un diplomatico era un cultore di studi e di arte antica , della quale faceva anche commercio. Fin al 1789 era vissuto contento di spaziare nel mondo della bellezza classica; allietava le speculazioni del dotto, gli entusiasmi dell’artista, con i passatempi e le delizie dell’epicureo. Gli uomini sapienti l’ono- ravano e lo stimavano, ed era divenuto quasi cittadino di Napoli. Recatosi a Londra apprese con dolore che un suo nipote, Carlo Francesco Grenville, era pazzamente innammorato di una donna per la quale avea dato fondo al patrimonio paterno, e contratto molti debiti. Si affermava che egli era sul punto di liquidare la alterezza della nobile discendenza della sua casa sposando quella avventuriera. Sir Hamilton seppe ben presto la storia di quella donna di cui tutta Londra lodava la rara bellezza e narrava i soliti casi di quelle che dopo di aver morso l’amo di una prima passione del villaggio, corrono l’arringo della celebrità e della fortuna nel lezzo dorato delle capitali”. Per quel che riguarda Emma Lyons, pittori e scultori se la disputavano. “Il nipote di Sir Hamilton come il primo amante, come tutti quelli che videro Emma, non resistette alle seduzioni di quel corpo meraviglioso; la sottrasse all’empirico scenziato, l’amò, ne fu amato, e ne raffinò i gusti e l’educazione, sicché l’ingegno pronto le die’ ben presto i modi e le maniere di una gran dama”. “Sonava e cantava con molta perfezione. Maria Carolina scriveva che dopo essersi intesa la Nina (del Paisiello) cantata da lei, non è più sopportabile quando la cantavano altre”. “Le strettezze di Grenville non soffocarono però lo amore per Emma. Volea sposarla; chiese il consenso allo zio per assicurarsene l’eredità. Ma questi tenne duro, finché Emma non pose il fascino della sua bellezza tra l’orgoglio della razza, e il sentimento dell’onore. Si mostrò al vecchio zio, e vinse”. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
22. “Il foco dei begli anni rianimò le vene aride del libertino stanco, e propose al nipote un indegno mercato. Gli cedesse Emma ed egli avrebbe pagato i debiti. Il patto fu ratificato con un mucchio di banconote, ed Emma Lyons il 6 settembre 1791, nella chiesa di S. Giorgio in Hanover Square fra pompe e corteo, divenne Lady Hamilton. Partirono per Napoli, dove Sir Hamilton riprese il suo posto di ambasciatore e l’ambasciatrice fu presentata a Corte. La Regina era fatta per sedurre una donna come Emma, avida di onori, di feste, d’intrighi galanti, di potere; e di farsi sedurre da lei con l’affetto, la devozione, la bellezza. In breve divennero amiche; poi intima”. “Si narra altresì di quella che ella strinse con Donna Maria Fernanda 0' Connock moglie del Marchese Tories di Matallana, ambasciatore di Spagna a Napoli, alla quale la Regina scriveva firmandosi la tua amorosa”. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
23. Tommaso Pedio, Massoni e giacobini nel Regno di Napoli. Emanuele De Deo e la congiura del 1794, , F.lli Montemurro, Matera 1976. In essa: “Fatto fiscale per lo scoprimento della congiura de’ giacobini accaduta a’ 21 marzo del prossimo passato anno 1794 con le di loro confessioni e carichi, Documento compilato da B. Palmieri”.
24. Gregorio Mattei, Congiure. In: Benedetto Croce, La Rivoluzione Napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche, Giuseppe Laterza & Figli, Bari 1912.
25. Nicola Nicolini, Teodoro Monticelli e la Società Patriottica Napoletana (1793-94), In: Archivio Storico Pugliese, Bari 1955.
26. Da internet: Wikipedia, l’enciclopedia libera. Voce: Andrea Vitaliani. Lo Stato dei Presìdi a cui apparteneva il luogo natale, nell’isola d’Elba, dal 1737 al 1801, era parte integrante del Regno delle due Sicilie. Cfr. Giuseppe Caciagli, Lo stato dei Presidi, Arnera, Pontedera 1992.
27. Dal sito internet: www.sanmangomia.it, Armando Orlando, E venne il tempo delle rivolte. Egli scrive: “Un contributo determinante alle sollevazioni e alle rivolte veniva allora dagli intellettuali calabresi, alcuni dei quali erano tornati da Napoli negli anni tra il 1760 ed il 1770 e, nutriti alla scuola di Genovesi, Conforti e Cirillo, si erano adoperati per la diffusione delle idee illuministe. Cosenza, Catanzaro e Monteleone erano le città dove i fermenti della nuova cultura trovavano nuova linfa, grazie all’opera di uomini come Pietro Clausi di Rogliano, Domenico Condopatri di Rizziconi, Giuseppe Raffaelli di Catanzaro, Domenico Antonio Gully di Chiaravalle. Dalle scuole uscirono ingegni come Nicola Zupo, Giuseppe Spiriti, Domenico Bisceglia, Francesco Saverio Salfi. Luoghi di discussione e di confronto erano pure le scuole di Briatico, Tropea, Luzzi e Lago; i seminari diocesani erano frequentati pure da giovani che non intendevano dedicarsi alla carriera ecclesiastica. Tra il 1785 ed il 1790 erano stati presenti a Catanzaro Pasquale Baffi e Vincenzo De Filippis, entrambi futuri martiri della Repubblica Partenopea nel 1799. Pasquale Baffi, di origini albanesi, era nato a S. Sofia d’Epiro, in provincia di Cosenza, aveva studiato nel collegio di S. Benedetto Ullano e nel 1774 aveva aderito alla massoneria; Vincenzo De Filippis era nato a Tiriolo, aveva studiato matematica a Napoli e a Bologna ed era pure studioso di filosofia”.
28. Dal sito internet: Il portale del Sud, settembre 2009. Pubblicazione internet del dottor Antonio Stiscia, Montecalvo Irpino, Ottobre 2005
29. A.Lucarelli, La Puglia nel Risorgimento (Storia documentata), II, La rivoluzione del 1799, Vecchi & C., Bari 1934.
30.Essa teneva cinque armate: due dalla parte della Germania, una in Svizzera comandata da Massena, una nell’Italia, una quinta in Oriente sotto il comando in capo di Napoleone Bonaparte, ormai potentissimo, per aver collezionato tante vittorie quante battaglie. Ma la forza formidabile caldeggiata dalla Francia era la filosofia, alimentata dagli intrighi delle società segrete e dalla propaganda per fomentare tumulti contro la politica dei sovrani d’Europa. Oltre quelle scoperte a Torino, in Prussia, in Inghilterra, nella Svezia, a Vienna, vi furono varie congiure anche nel Regno delle due Sicilie.Domenico Sacchinelli, Memorie storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo. Scritte dall’Ab.Domenico Sacchinelli, già Segretario di quel Porporato, con osservazioni sulle opere di Coco, di Botta e di Colletta. Volume unico. Dalla Tipografia di Carlo Cataneo, Napoli 1836
31. “Il numero dell’esercito era quasi raddoppiato esso ammontava a 36.000 uomini. L’armata navale si componeva di 102 bastimenti di diverse grandezze. Questi 102 bastimenti erano armati di 618 cannoni e montati da 8600 uomini. La carestia era venuta in ajuto al reclutamento. Gli uomini s’ingaggiavano per non morire di fame. A Napoli sola si reclutò una legione tutta intera che fu armata di spontoni, e i di cui uomini furono chiamati spontonieri. Era una specie di corpo di tiragliatori destinato a combattere ne’ luoghi scoscesi e coperti, o dietro le dighe e le barricate. La loro manovra principale dovea essere di formarsi in quadrati per respingere una carica di cavalleria o caricare eglino stessi alla bajonetta. Questa legione era specialmente formata di Lazzaroni. Credendosi sufficientemente sicuro con tutti questi provvedimenti, il Re dimenticò gli obblighi che avea assunti verso la Francia per mezzo del Sig. La Touche Treville. Firmò un trattato d’alleanza con l’Inghilterra, il 20 Luglio 1793. Il trattato, come si capisce bene, rimase segreto poichè quello di La Touche Treville era ancora d’una data troppo recente per esser rotto palesemente”.
32. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.7. “L’esordire della seconda coalizione, di cui faceva parte secretamente il Re di Napoli, fu fortunato. Magonza s’arrese ai Prussiani dopo un assedio di quattro mesi, Valenciennes si arrese agli Austriaci dopo un assedio di due mesi, Lione era in piena ribellione, la Controrivoluzione pareva prossima a vincerla nuovamente”.
33. Dispaccio del 22 Giugno 1793 dai Registri del Reggente della Vicaria.Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
34. Dispaccio del 22 Giugno 1793 dai Registri del Reggente della Vicaria.Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
35. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
36. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
37. L’11 settembre del 1793, al comando di Orazio Nelson, l’Agamennone gettava l’ancora nel porto di Napoli, recando dispacci e lettere inviate da Milord Hood il 27 agosto precedente, in cui si affermava che gli Inglesi erano divenuti padroni di Tolone. Lettere e dispacci erano diretti all’ambasciatore sir William Hamilton, affinchè chiedesse l’immediato invio delle forze napoletane al Generale Giovanni Acton, ministro dei dipartimenti degli Esteri, della Guerra, della Marina e del Commercio; e per conoscenza al marchese De Marco, Consigliere e Segretario di Stato del dipartimento di Casa Reale. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. Cfr. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.6. “Nelson restò abbagliato dalla bellezza di Emma Lyonna. Egli come l’avea detto Sir Guglielmo era ben lungi dall’esser bello quantunque non fosse ancora mutilalo siccome era nel 1799. Infatti l’anno seguente solamente dovea perdere un occhio all’assedio di Calvi, nel 1797, cioè quattro anni dopo, dovea perdere un braccio a Teneriffa, e nel 1798 dovea ricevere ad Aboukir quella terribile ferita che gli fè scendere sino alla bocca la pelle della fronte, ferita di cui copriva la cicatrice con una fascia nera. In quel tempo era, come abbiam detto, un uomo di 35 anni piccolo di statura, pallido in volto con gli occhi azzurri, quel naso aquilino che distingue il profilo degli nomini da guerra e quel mento rigorosamente delineato che indica la tenacità portata fino all’ostinazione, i capelli e la barba eran d’un biondo slavato, radi e pochi e male acconciati”. Nelson scrive due lettere sole datate da quella città tutte e due del 14 settembre, una a sua moglie che abbiamo già letta, l’altra che dava presso a poco le stesse particolarità scritta al sig. Guglielmo Suecling Esq. “Editto del 1 Settembre 1793, contrassegnato dall’ Acton. Il Marnili ed altri autori han riferito inesattamente e monco questo Editto; ed il Colletta non fu esatto. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. Così scrisse il Capitano in una lettera del 14 settembre 1793. Nelson: — Dopo esser venuto a farmi una visita a bordo dell’Agamennone il Re ha mandato due volte per aver notizie della mia salute. Egli ci chiama noi Inglesi i salvatori dell’Italia e particolarmente del suo reame. Io del resto ho operato per Lord Hood con uno zelo che nessuno certamente non avrehbe potuto oltrepassare e gli reco la più bella lettera che sia stata mai scritta dalla mano d’un re. L’ho ottenuta grazie a sir Guglielmo Hamilton ed al primo ministro che è Inglese. Lady Hamilton è stata ammirabilmente amabile per Iosuah. E’ una giovane signora di maniere gentilissime e che fa onore al rango cui è stata innalzata. Io vo a condurre via di qui 6.000 uomini per Lord Hood. Stando alle rare lettere, si conoscono poche particolarità su questo primo soggiorno di Nelson, specie sulla gratitudine per l’accoglienza che gli aveva fatto l’ambasciatore inglese, dovendo salpare subito per Tolone con i rinforzi di uomini e di bastimenti che era venuto a cercare.
38. Alessandro Dumas, Borboni di Napoli, Voll.1-2, libro2, cap.6
39. Nicola Nicolini, Teodoro Monticelli e la Società Patriottica Napoletana (1793-94), In: Archivio Storico Pugliese, Bari 1955; Archivio Storico, Vol.39, cit.
40. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794.Die secunda mensis maii 1794, Neapoli. Interrogato che sa della congiura e cospirazione tramata contro de’ nostri amabilissimi sovrani e di altri, da chi, quando, dove, in che modo e per qual causa, depone. Così continua: “Siccome il Bonavoglia promise di eseguire e partì; quali carte e satire, per quanto seppi da alcuni miei paesani, che non mi ricordo chi stati fussero, nell’esser giunto l’Indelicati in Gioia, ne fece spaccio a molti, facendole leggere e copiare. Ed avendo avuto premura dal Don Antonio e dal sacerdote Don Colombano fratelli di Losito, altri nostri paesani, per averle, prendendosi l’assunto di pubblicarle, dategliele dall’Indelicati, i medesimi non solo in loro propria casa l’esibivano agli amici per leggerle, ma anche le portavano in piazza, ove pubblicamente le leggevano, smaltendo che la conservavano come un deposito prezioso; ma finalmente furono costretti bruggiarle, allora quando l’uditor Massimi carcerò don Silvio Bonavoglia e don Giuseppe De Deo”. Un’altra copia della Costituzione nazionale francese la diede Indelicati a don Filippo Giordano, anch’egli di Gioia, facendo la stessa cosa dei fratelli Losito, cioè “portandola sempre addosso e facendola leggere a chiunque, per cui alle volte ne riportavano acerbissimi rimproveri da molti di quei onesti cittadini; colla quale lettura di carte ne sia divenuta in Gioia la ruina, fidandosi molto al partito giacobino, sorgendone continui tumulti e l’ infamia di molte famiglie”.
41. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
42. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
43. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
44. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit. Così continua: “Ed è tanto ciò vero che Don Silvio Buonavoglia mi confidò che le costituzioni giacobiniche pubblicate in Francia per il nuovo governo, che spiegavano la libertà e l’uguaglianza, con molti capitoli e note fatte sopra le costituzioni sudette, l’aveva tradotte detto Laubergh in lingua italiana, e, l’aveva fatto stampare assieme con detti suoi compagni, non sapendo quante se ne divisero tra di loro. Ma mi costa benissimo, per averle vedute, che sopra la casa de’ fratelli Del Re ve n’erano un numero significante di dette costituzioni, delle quali certe ne mandorono nel loro paese, avendo tutti dell’assemblea suddetta il medesimo assunto di mandare dette carte nel loro paese, forse per far numero di giacobini. Ed avendo avuto io la mira di averne una copia, di queste costituzioni giacobiniche, il giorno de’ 6 del corrente mese di decembre 1793, essendomi portato a questo effetto nella casa del sudetto Don Emmanuale De Deo, a cui l’istesso giaorno aveva veduto uscire dalla casa di detti fratelli Del Re con un fascio di dette stampe giacobiniche”.
45. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino al generale Acton datata 12 dicembre 1793, cit.
46. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.Disse il prete: — Io, doppo che rappresentai a S. E. il signor generale Acton tutto ciò che in coscienza mi costava su detto fatto, che al presente, alla venerata presenza di loro signori, sono domandato, l’Eccellanza sua si degnò imponermi che accudito avessi per il medesimo assunto appresso la persona del signor consigliere don Francesco Caccia, come io eseguii; e ciò accadde prima della metà del mese di decembre del prossimo scorso anno 1793.
47. Deposizione del sacerdote Don Pietro Nicola Patarino del 2 maggio 1794, cit.
48. Nicola Nicolini, Teodoro Monticelli e la Società Patriottica Napoletana (1793-94), In: Archivio Storico Pugliese, Bari 1955.