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STORIE E RACCONTI SULLE STREGHE DI BENEVENTO DALLA VIVA VOCE DEI PROTAGONISTI NEL LIBRO DI VIRGILIO IANDIORIO E TERESA ZEPPA
BENEVENTO – Leggere questo libro è come tuffarsi nella Benevento delle favole, ma con storie verie, appartenute ai Beneventani. Tullia si fa coraggio e chiede notizie delle streghe, scrivono Zeppa e Iandiorio: “Ma è proprio vero quello che ho sentito poco fa da quel signore forestiero?”. E l’oste con un pizzico di saccenteria: “La nostra città di Benevento è conosciuta perché le streghe, come posso dire, sono di casa. Perché a queste donne, le streghe, basta pronunciare la formula magica:
Unguento unguento
mandame alla noce de Benevento supra
acqua et supra vento.
Si vuole che con queste parole le streghe di tutta Europa si rechino qui a Benevento per radunarsi a convegno intorno ad un secolare albero di noce. E questo avviene ogni anno nella notte del solstizio d’estate, ante diem nonum kalendas Quintiles, per uno dei loro sabba. Streghe e stregoni arrivano al sabba unti con il grasso del Diavolo (grasso di bambini bolliti) per non graffiarsi salendo nel camino della propria casa e levarsi in volo. Questo unguento talvolta li trasforma in animali o in mostri. Arrivano in volo su bastoni, conocchie, scope o ceppi che si trasformano in mostri o animali se unti con unguenti diabolici”.
Silvie esclama: “Non ci posso credere! E’ vero che gli uomini ci dipingono, noi donne, come dei diavoli, ma queste trasformazioni mi sembrano pure fantasie”.
“A dire il vero –dice con un tono più scanzonato l’oste- di sicuro è che in quella notte del solstizio noi raccogliamo le noci, ancora tenere, dall’albero. La noce rappresenta l’uomo, con uno scheletro interno fragile (ossa) e un succo da estrarre (sangue). Lo possiamo considerare un simbolo della supremazia delle streghe sugli uomini.
In questa notte si raccolgono i malli di noce per preparare un liquore particolare che noi chiamiamo “nocino”, una tradizione in molte famiglie sannite. La ricetta, vi dico. Si prendono ventiquattro noci fresche, che in quel punto della loro maturazione sono solo mallo; si spaccano in quattro parti e si mettono in infusione in due sextariis di vino bianco (alcool). Dopo quaranta giorni si tolgono le noci e si aggiunge al vino, che è diventato di colore marrone scuro, dello sciroppo. C’è chi vi aggiunge l’orzo tostato ( il caffè), chi vi aggiunge aromi e spezie. Si ottiene in ogni modo una bevanda gradevole e digestiva”.
E mentre gustiamo il digestivo liquore, entra nella sala un signore dall’aria gioviale.
Si rivolge all’oste e ad alta voce:” Domani tutti a teatro, c’è l’ultima commedia di quel drammaturgo delle nostre parti, che scrive palliate alla maniera dei nostri avi. Sarà un divertimento assicurato”. Guardiamo tutti l’oste, incuriositi. “Si tratta -dice l’oste con un fare da intenditore- di un commediografo della vicina città di Aeclanum33, è Pomponio Bassulo34. Lo conoscete? “. Tutti insieme con la testa facciamo cenno di no.” Non perdetevi questa occasione!” ci consiglia, sussiegoso. Il nuovo arrivato, si avvicina a noi:” Vi consiglio di fare una visitina alla scuola di Orbilio35. Anche se è occupatissimo con tanti scolari, troverà il tempo per scambiare quattro chiacchiere con dei forestieri. E’ un tipo un poco burbero, ma sa il mestiere di insegnante. Dalla sua scuola sono usciti tanti professionisti e anche poeti che sono poi diventati famosi nell’orbe terracqueo”.
Non ci resta che salutare l’oste e andare a dormire. Domani faremo l’attesa visita alla città e andremo a teatro e alla scuola di Orbilio.
Ci svegliamo di buon mattino. Le mattinate beneventane sono una cosa particolare, perché il trovarsi la città tra due fiumi porta sempre un’arietta sfiziosa. Facciamo colazione velocemente, perché la scuola di Orbilio, che andiamo a visitare, è alquanto distante dal nostro albergo.
Arrivati nel quartiere dove ha sede la scuola, ci accoglie sulla porta della casa una signora anziana, che vedendoci attenti ad osservare il luogo, si avvicina e si presenta: “Sono Claudia Ianuaria la custode di questa scuola. Il maestro è in aula, sta facendo lezione ai suoi alunni“. Le risponde Tullia: “Siamo anche noi degli studenti, siamo con i nostri compagni venuti dalla Gallia a visitare Benevento. Abbiamo tanto sentito parlare di Orbilio, che abbiamo chiesto di poter visitare la sua scuola”.
Nell’aula il maestro, del poeta Orazio, è intento a dettare i versi di Virgilio: est locus Italiae medio sub montibus altis,/nobilis et fama multis memoratus in oris…”.
Juliette prende il libro VII dell’Eneide e legge i versi 563-571. “Dovete sapere -dice Orbilio- che questi versi si riferiscono alla Valle di Ansanto, non molto distante dalla nostra città; ed era la valle dove sorgeva il tempo della dea Mefite. Tanto e tanto tempo fa Mefite era la dea di questi luoghi protettrice delle sorgenti, ma anche degli armenti, dei campi e della fecondità. Largisce i benefici derivanti dall’utilizzo delle acque termali e quindi solforose con le quali dà la “sanatio”, per la cura di malattie degli uomini e degli animali.
Dovete sapere che Mefite è una dea. Il suo nome in osco deriva forse da “medio-dluitis”, donde “mefifitis” e quindi Mefitis, cioè “colei che fuma nel mezzo”, altri dicono che il nome in origine fosse “Medhu-io” cioè “colei che si inebria”. Mefite è una divinità pacifica, ma ha il potere di fare da tramite, cioè di presiedere al passaggio, di personificare colei che presenzia ai dualismi come la vita e la morte, il giorno e la notte, il caldo ed il freddo, il regno dei vivi e l’oltretomba. La stessa sorgente è il simbolo della forza dell’acqua che dalla terra sgorga e quindi passa all’aria, e la dea Mefite presenzia questo passaggio. Essa riassume in sé le valenze, celesti ed ultraterrene, quelle stesse che i Greci attribuiscono ad Afrodite, Demetra e Persefone.
Benevento accoglie i culti mediorientali di Iside e di Cibele ed il culto del Sol Invictus, che si sono diffusi nelle città vicine. [ Il Cristianesimo è stato accolto sin dalle sue origini e la città fu sede vescovile già agli inizi del IV secolo]. Il tempio di Iside è la riprova che nella città ci sono molte persone provenienti dall’oriente che praticano il culto di Iside.
Perdonate la mia digressione. Non vi ho detto che lo storico Velleio Patercolo ha avuto parenti che erano della vicina città di Aeclanum per parte di madre. Già, la famiglia Magia! Non vi sto a dire l’importanza di questa gens, che si è mostrata sempre fedele a Roma, mentre in genere le popolazioni del Sannio si andavano alleando ai nemici di turno dei Romani. Mi viene in mente, ma consideratela una mia suggestione, che la madre del poeta Virgilio si chiamava Magia Polla. Che sia anch’essa della stessa famiglia Magia? Chissà”….
Lasciamo gli alunni attenti alla lezione del loro maestro. Ci spostiamo in altra parte della città, dove si trova il teatro cittadino. Un bell’edificio, somigliante a quello che abbiamo visto a Pompei.
C’è molto pubblico, perché si rappresenta una commedia palliata di un autore proveniente dalla vicina città di Aeclanum.
I legami con Benevento sono molti e per un drammaturgo di una cittadina di provincia esibirsi a Benevento è un grande traguardo.
L’influsso della città di Benevento si percepisce nell’organizzazione stessa della vita cittadina, sociale ed economica delle città vicine: l’attenzione che queste ripongono nel tenere efficienti le strada per la città sannita ne è una riprova.
Benevento ha il suo centro di produzione libraria che diffonde libri ad un pubblico vasto di lettori; si tratta di testi quasi popolari, che potresti trovare anche sulle bancarelle del trafficatissimo porto di Brindisi, dai libri di curiosità locali alle poesie di autori contemporanei.
Lo dice Aulo Gellio (Noctes Atticae, IX, 4,1): ”Quando siamo ritornati dalla Grecia in Italia alla volta di Brindisi, appena messo piede a terra, abbiamo fatto una passeggiata in quel famoso porto e abbiamo visto fasci di libri esposti per la vendita”.
Pomponio Bassulo è, in ordine di tempo, l’ultimo autore di palliate, che si conosca. La commedia palliata, che prende ambienti e personaggi dalla commedia greca nuova, mette in scena intrighi amorosi ed avventure di vecchi corrotti, di giovani dissoluti, servi furbi e imbroglioni e padroni imbrogliati. Si è molto più liberi di raccontare i difetti degli uomini collocandoli in ambienti diversi da quelli nostri abituali. E così trasferire le proprie magagne umane in ambienti della Grecia, alleggerisce il peso anche degli spettatori che considerano quei vizi non i loro, anzi lontano da loro.
La commedia è divertente. Gli spettatori sulle gradinate ogni tanto mettono in bocca frutta di stagione, che se ne trova in estate in abbondanza da queste parti.
Non potevamo immaginare che di lì a poco quel poeta avrebbe posto fine ai suoi giorni. Abbiamo saputo successivamente che il duunviro quinquennale Marco Pomponio Bassulo, bravo letterato e commediografo eclanese, prima di suicidarsi aveva scritto l’epitaffio da apporre sul suo sepolcro:
“Per non vivere nell’ozio come un animale fino al termine della vita, ho tradotto alcune tra le più argute commedie di Menandro. Anch’io ne ho composto con cura delle nuove, che poi sono state pubblicate. Però sono stato tormentato dagli affari (pubblici) e da altre ansie nell’animo e da parecchi dolori nel corpo, però in misura tale che gli uni e gli altri sono divenuti addirittura insopportabili”.36
Dopo aver visitato la scuola di Orbilio e assistito ad una rappresentazione di una palliata nel teatro cittadino, siamo ritornati in albergo. Una simpatica locandiera ci rallegra la cena; ci chiede da dove veniamo, ma in un latino impastato di dialetto osco.
Ci parla dei due suoi fratelli più piccoli, della loro vita di pastori, che approfittano della bella stagione per pascolare i loro greggi; ma aggiunge che quando fa freddo, però, restano a casa e la nonna racconta tante storie fantastiche che qualche volta mettono anche paura.
Come quella dello scazzamauriello, una specie di folletto un po’ dispettoso ma buono; è un portafortuna; si dice che sia lo spirito di un bambino morto appena venuto al mondo, che si diverte a lanciare sassi e a mettere fuori posto gli oggetti in casa, ma anche a farli cadere per terra.
La locandiera si trattiene con noi a parlare di spiriti. Paese che vai credenze che trovi. La lasciamo parlare.
“Dovete sapere che oltre agli spiriti buoni vi sono anche quelli cattivi, come il caso dell’Uria. Non si conosce cosa sia questa Uria di certo questa potenza malefica si avverte nella notte, quando all’improvviso ci si sente toccati sulla punta dei piedi e si rimane immobilizzati, senza riuscire nemmeno a gridare e con la spaventosa sensazione di avere addosso un macigno. Tuttavia ci sono degli esorcismi per impedire a questa ombra di entrare in casa: basta mettere davanti all’uscio una scopa di miglio o una spazzola. L’Uria infatti, è irresistibilmente attratta da questi oggetti e si ferma a contarne tutti i fili”.
Ci spiega poi il malocchio, altro malefizio ad opera di gente senza scrupoli che vuole il male degli altri: “Quando si vuole colpire qualcuno con il malocchio si prende l’impronta del piede impressa nel terreno e la si mette chiusa in uno straccio lasciandola affumicare in un camino. Chi è colpito da tale forma di malocchio si ammala o si annerisce come la propria impronta affumicata…. Quando uno avverte dei dolori pensando di essere oggetto di malocchio si procede a fare l’uocchi: si prende un piatto con dell’acqua, si pronunciano le parole schiattete uocchi e si fa gocciolare dell’olio nel piatto; se le gocce si allargano la persona è affetta da malocchio. Solo dopo questo rituale magico i dolori passano”.
Per nostra fortuna la cena è stata buona: ci hanno servito del maiale allo spiedo ottimo…o forse era cinghiale. Il pane poi, una squisitezza. Ne avremmo mangiato tanto, se il vino fosse stato buono. Poi al chiarore di una lucerna saliamo le scale che portano alle stanze dove ci aspetta un letto non troppo comodo, ma con le lenzuola fresche di bucato….
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