Editorial Review
DE BELLO NEAPOLITANO TRADOTTO DAL LATINO PER VOI
Della regina, come richiede la narrazione, dirò poche parole. Il padre di Isabella era Tristano conte di Copertino della famiglia Chiaromonte, che nella Gallia Ulteriore veniva considerata nobilissima; sua madre era Caterina, sorella carnale di Giovanni Antonio Orsino, il Tarantino, quello che ha suscitato questa guerra. Morto il padre, Giovanni Antonio la fece allevare, era infatti in tenera età, ed educare con quattro sue sorelle in Lecce (Lipium), nei Salentini. Collocate in matrimonio le sorelle, e dopo la vittoria di Alfonso, per opera dello zio, ma anche con la condiscendenza di Alfonso, fu data in matrimonio a Ferdinando, che il padre aveva istituito erede del regno di Napoli.
Mostrò costei subito dai primi anni mirabile disposizione alla modestia e alla continenza: in casa sobria, ma non desiderosa di quello degli altri, attenta all’aspetto della sua persona per quanto lo chiedeva la dignità, dedita alla religione non senza superstizione, affabile, schietta, piuttosto che aspra, nel rispondere, di grande animo, di grande consiglio, costante nelle avversità, non superba nelle prospere cose, alla mano nel parlare mostrando niente di finto o di ricercato, amando il giusto e l’onesto fino alla veemenza. La morte impedì che potesse esercitare la gratitudine e la liberalità. Terminata la guerra, non ancora pianamente ricomposta la situazione del regno, morì in Napoli, avendo dato alla luce sei figli. La sua morte fu pianta dal popolo, in particolare le persone buone ritenevano che la sua vita fosse stata di gran lunga molto utile.
Il re, ricomposte alcune compagnie di cavalieri, richiamati anche i soldati della flotta, verso il 15 di ottobre si mosse in direzione di Capua. Distrutta Formicoli (Formicoli), e accettata la resa di alcuni castelli vicini, marciò contro il conte di Cerreto. Subito lo costrinse alla resa, avendo accettato come ostaggio il figlio maggiore Carlo. Di là fu chiamato dai Torrecusani. In un solo giorno riconquistò tutti i castelli dei Caudini, posto l’assedio alla rocca di Airola (Aerola), in cui molti uomini si erano rifugiati, vi lasciò Alfonso Davalo con un presidio, affidandogli la conduzione dell’impresa. Subito si diresse contro Francesco conte di Caserta; distrusse Dugenta (Ducenta), incendiò Maddaloni/Montedecoro (Munditianum), costrinse alla resa Valle (Vallis), e poco dopo la sottomissione di Francesco, riprese Pomigliano, assediò Arienzo, ma il cattivo tempo impedì che il Re si impadronisse con la forza dell’oppido. Infatti, all’ approssimarsi dell’ inverno, si fece più inclemente il cattivo tempo tanto, che molte tende militari vennero strappate o vennero trascinate dai torrenti che scendevano precipitosi dai monti vicini; i cavalli, gli uomini insieme vennero sommersi, insomma tutto andato in rovina; anche le baracche dei soldati, che in quel tempo erano state costruite con paglia, si vedevano galleggiare qua e là. Di giorni il tempo era brutto, ma di notte di gran lunga peggiore.
Matteo Stendardo, saputo ciò, differiva il tempo della sua resa, perché sperava nell’arrivo di Orso, che il Tarantino, andando via dalla Campania, aveva lasciato in Nola con quattrocento cavalieri, il quale, raccolti gli aiuti, sarebbe dovuto venire in soccorso. Tuttavia conosciuta la costanza del Re, l’animo pertinace dei soldati, si diede in potere di Ferdinando. La stessa cosa fece dopo pochi giorni Jacopo Galeota, che controllava Arpaia (Harpadium) con un presidio. Infatti anche Iacopo era passato agli Angioini, dopo che nei Bruzi si metteva bene per i rivoltosi.
Intanto quelli che erano assediati nella rocca di Airola si sentivano perduti, perché si vedevano circondati da ogni parte. Scarseggiavano i rifornimenti né speranza di un aiuto da parte di Orso. Il Re, ormai, era presente con tutte le sue soldatesche. Gli assediati patteggiarono l’incolumità personale e consegnarono la rocca. Conquistata Airola, Ferdinando, poiché la violenza delle precipitazioni non poteva essere più oltre sopportata, andò a svernare nei villaggi di Montefusco. Giacché il Tarantino e Giovanni, lasciata la Lucania e la Campania, si erano portati negli Irpini prima a Gesualdo (Iesualdum) poi a Vallata (Vallata) e Carife (Charifrae), infine erano passati in Puglia e nei luoghi vicini.
E’ risaputo che il Tarantino vedendo che le cose per Ferdinando avevano preso una mala piega, e che il Francese guardava ai suoi interessi, cambiò parere. Lasciata la Campania, cominciò a pensare alle cose sue tanto da invitare Ferdinando, quasi assediato, a venir fuori per rompere l’accerchiamento; di nascosto poi mandò degli ambasciatori a Isabella, che le dicessero di stare di buon animo e rassicurasse il re. Fece questo o perché avesse intuito o perché avesse avuto dei sospetti, per il timore che in lui era molto grande, che quelli, che erano intenti solamente al bene di Giovanni, avessero deciso di pensare a sé. In quegli stessi giorni, dopo che erano state abbattute le mura di Arienzo (Argentium), Roberto Sanseverino conte di Caiazzo (Comes Calatinus), mandato da Francesco (Sforza) con l’esercito dalla Gallia citeriore, per il suo singolare valore e la disciplina militare, sbarcò al porto di Formia e venne con pochi dei suoi dal Re. La sua venuta non solo fu gradita al Re ma anche attesa; sia perché soldato valoroso, pugnace e avvezzo alle vittorie, sia perché essendo figlio della sorella di Francesco suscitò grande speranza nel popolo e maggiore arditezza nel re. A lui che scendeva dalla nave, subito il Re si avvicinò sul lido, e lo informò di come stessero le cose sue e dei nemici; tutto gli espose: che cosa volesse fare, che cosa stava preparando. Per prima cosa il Re lo esortò di caricare la cavalleria sulle navi, e di trasferire tutto l’esercito da Formia (Formianus ager) e Fondi(Fundanus ager) a Pozzuoli (Puteolanus ager). Questi fatti si compirono quasi in due anni.
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