Description
Catepanato Italia di Civitate Troia-Benevento
Montevirido dell’episcopio Consinii di Santa Maria di Civitate Cunse – Il primo documento longobardo in italiano – Il Catepanato di Troia nell’anno Mille – Il papa vuole anche Troia e anche il Catepanato Italia e stringe l’accordo con i Normanni nel 1022 -Il Comitato Arianensium di Troia – I dodici castelli antinormanni – La rivolta ufficiale con l’occupazione di Capua
1. Montevirido dell’Episcopio Consinii di Santa Maria di Civitate Cunse dell’anno 897
Di un Monte Verde, la prima Montevirido di cui si ha notizia, si parla in una pergamena dell’897 relativa a Civitate Cunse, cioè della diocesi dell’episcopio consino, conservata nell’archivio delle pergamene di Troia. Essa così recita:
Adelardus diaconus et vicedomininus sancte Marie sedis episcopii Consini eo quod intus Cunse civitate ante Arichisi iudice coniunxi me in conbenientia cum Iohanne figlio Leodelgarii de fine salernitano qui modo habitante est intus castello de Montevirido. Si parla di quanto tenet in loco qui bocatur Columne presso cassa Longuli, in ipsa petra maiore, ipsa fabritta, ipsa bia, ipso ribo qui descendit ipsa pescaria, fine episcopii.
A nostro parere questo luogo di Montevirido non ha nulla a che fare con l’attuale Monteverde, nè Cunse con l’attuale cittadella di Conza della Campania. Notizie così antiche sono del resto rare e malamente tradotte. In questi anni intorno all’anno 1000 le Civitate sedi vescovili sono spesso distrutte e le diocesi accorpate a quelle del vescovo metropolita più vicino. E’ convinzione di alcuni che Roberto Il Guiscardo fosse passato per l’attuale Alta Irpinia per andare, “rapidamente” scrive Passaro, dalla Calabria alla Puglia, intorno al 1079.1 Per nostra convinzione Il Guiscardo non arrivò mai nell’attuale Monteverde, in quanto, l’unico storico antico a descrivere questo episodio è Pietro Diacono, il quale, logicamente, non parla affatto di una Monteverde, di Ariano, Trevico e quanto altro si va inutilmente discorrendo in merito, in quanto il Diacono è chiarissimo e i luoghi di cui parla, sono in tutt’altra zona dell’Apulia. Diacono infatti dice che il Guiscardo mosse per il Castrum di Monticulus, assoggettando Carbonaram, Petram Palumbi, Montem Viridem, Gentianam una cum Spinaczola, e non certo le attuli cittadelle, anche se alcune di esse hanno un nome similare.
Exinde antem dux, movens axercitum supra castrum quod Monticulus dicitur, obsidionem fecit: quod cum cepisset, Carbonaram, Petram Palumbi, Montem VIridem, Gentianam una cum Spinaczola similiter acquisivit.2
Si racconta inoltre che Roberto il Guiscardo, volendo punire Guido, il Conte di Compfa, zio di Gisulfo II, ed umiliare l’arcivescovo Comsano in quanto gli avevano opposto resistenza, gli tolse dei territori per darli alla diocesi di Sant’Angelo, degradando la Civitate da arcivescovado a vescovado, provocando i conseguenti provvedimenti papali .3
Per questo genere di motivi, per esempio, il papa Gregorio VII, decise che i vescovi di Sant’Angelo, Monteverde e Muro dovevano riconoscere l’autorità all’arcivescovo di Salerno (o Falerno), non a quella dell’arcivesco consano, la cui chiesa veniva anch’essa sottomessa a quella di Salerno (o Falerno).4
Per comprendere che la Monteverde in oggetto è nei pressi di Troia Itaca (Benevento), dobbiamo conoscere la storia di Civitate Troia Noba.
Con la dinastia dei Principi stabili di Falerno e Benevento e una certa autonomia nella Contea di Capua, il sogno della Longobardia unita stava divenendo realtà. Ma sfiancati dagli Arabi siciliani che continuavano a scorrazzare in Longobardia, Benevento e Falerno prima, e Capua poi, erano stati costretti ad alleari con i greci, riconoscendo la Signoria degli abati di Bisanzio, ormai padroni di tutto il vecchio Ducato di Benevento, col nome di Catepanato Italia. I Bizantini immaginavano di poter creare uno stato forte.
Sogni che nel 969 tenterà di distruggere il duca di Spoleto che incluse le tre signorie autonome di Benevento, Capua e Falerno, con lo stesso nome di Catepanato Italia, nell’impero occidentale. Ma con la sconfitta del 982 di Ottone II, battuto a Kroton dai Saraceni, crollò il sogno dell’estensione del dominio tedesco (Bruhl, Fodrum, in Kolner, Historiche, 1968).
L’anno Mille si apriva come si era chiuso il secolo precedente, con i principati di Benevento, Capua e Falerno volutamente assoggettati all’impero di Bisanzio sempre col titolo di Catepanato Italia e con a capitale la storica Troia Itaca. Bizantini che favorironio l’autonomia della nostra piccola Italia greca.
I placiti cassinesi sono una raccolta di tre placiti e di un “memoratorio” su pergamena, coi quali, basandosi su una testimonianza giurata, si dibatte dell’appartenenza di alcuni territori di tre monasteri dipendenti da San Benedetto: sono stati pronunziati a Capua noba, a Sassula e a Tiano Apulo, Civitate del Principato di Benevento, in quegli anni riunito a Capua (960-963).
Il placito più antico è quello Capuano, è del marzo del 960, che riporta una formula testimoniale, ritenuta uno dei più antichi documenti in lingua italiana: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti”.
“So che con quelle terre per quei confini che qui contiene, le possedette per trent’anni San Benedetto”, con quel “Sao ko kelle terre”, puro dialetto della Valle del Sabato (non ci pare che a Firenze si parlasse il dialetto beneventano), testimonianza più vera che quel mondo appartiene a questi popoli che, sotto i Bizantini, intendevano svincolarsi proprio dal governo tedesco.
Ed è grazie al governo di Bisanzio che Benevento, Capua e Falerno, nonostante le continue distruzioni soggette agli imperatori tedeschi che imporranno il dominio Normanno nel Sud, riusciranno a far partire quella macchina costituita dai Comitati dei Comes per debellare i distruttori venuti dal Nord sul proprio territorio con quel (seppur complesso) meccanismo delle Baronie inventato, e la storia lo dimostra, dai Longobardi di Capua e non dai Normanni.
3. Il Catepanato di Troia-Benevento nell’anno Mille
Può mai essere la strategica Civitate Troia, alla cui diocesi appartiene l’originaria Montis Viridi, l’attuale Troia di Puglia? Non è più verosimile pensare che Troia fosse Prata-Atripalda e che la prima fondazione di Montis Viridi fosse fra gli attuali territori di Avellino e Benevento?
All’inizio del secolo la Valle del Sabato si presenta come il fulcro, nonostante le distruzioni, del Catepanato Italia.
Dalla documentazione presente nelle abbazie dell’Alto Medioevo, infatti, il “classico” confine che si dava alla fascia pedemontana di Monte Vergine o di Monte Vergili non è affatto quello delll’attuale Montagna di Montevergine, bensì quello della Montagna delle Tre Vergini di Chiusano, a monte e del fiume Sabato.
Il vero ostacolo all’unificazione della Longobardia era rappresentato dalla potentissima Civitate di Troia Itaca, capitale per antonomasia della Grecia italiana, con a sede la camera cittadina di Sant’Eleuterio, dipendente dal Castello di Boviano, futuro castello di Montefusco.
Nel 1020 la Valle del Sabato contava una cinquantina di chiese e svariate Civitate intorno a a Troia. Le pergamene confermano che ci troviamo ai piedi del bosco delle Vergini sito in località Acqua dei Colombi, che è poi il luogo, Malliano, dove San Vitaliano aveva atterrato il famoso tempio di Virgilio e dove San Guglielmo fece nascere la prima chiesa di Santa Maria del Monte Vergine. Non dunque sul Partenio fu la prima Montevergine, bensì nel bosco delle Vergini della montagna di Chiusano.
Nel 1020, il papa si serve degli Arabi per scacciare i Bizantini dal Catepanato Italia di Troia (Benevento, Capua e Falerno) e consegnare quella che chiamerà Longobardia all’imperatore Tedesco.
Il Catepanato in mano bizantina indusse il papa Benedetto VIII, nel 1020, a chiedere aiuto ad Enrico II.
La situazione politica che meritava una sistematina. Il papa Benedetto VIII (1012-1024) favorì l’alleanza fra la santa sede e i Normanni vista l’importanza fra Papato e corona germanica (pa.380) per l’indipendenza dell’Italia dai Saraceni.
Il papa quindi nominò Il Melo (Yismahel) Duca di Apulia, assoggettando Benevento nel 1022 sottomettendo Pandolo IV di Capua e Guaimario (Waimar) di Falerno con 20.000 uomini, ristabilendo l’autorità dell’impero occidentale (Segl, in San Vincenzo, 1985) e facendo rintanare gli anti-bizantini a Troia.
L’unica infatti che risultava invincibile fu proprio Troia che rimase sotto il dominio bizantino del Catepanato Italia con sede in Boviano (cioè a Montefusco).
Assediata e rasa quasi al suolo ma senza piegarsi, la nostra Troia, riuscì a respingere il re di Francia Henrico II (1002-1024) dopo una estenuante battaglia che non dovette lasciare indenne il circondario, con i suoi luoghi di Lavella, Mallianim, Burgani, Nucis, Civitate Arpum, Arpi, le Trium Virginim, i fiumi Aquinolis e Cervarii, la camera di Sant’Eleuterio, Monte Arato, Monti Albani e l’antica Telesia.
Nelle pergamene di Civitate Troia è detto chiaramente che di Troia Itaca si tratta. Ne era certo anche Autperto (Chronicon Volturnense), il monaco che descrive la storia di San Vincenzo al Volturno, in base alla cui cronaca, ancora scevra dalle manomissioni del successore Giovanni, si ricava che il monastero di San Vincenzo, il primo, stava fra il Sabato e il Calore, fiumi che un tempo erano considerati, data la portata un solo fiume che girava intorno alle montagne del Beneventano e quindi chiamato Volturno. Ragione per cui, la prima fondazione di San Vincenzo al Volturno, risulta a monte di Prata, dell’antica Telesia e di Troia, città che, ai tempi dei romani, era sita nella regione Asia, una circosrizione del Calore. Autperto fa un po’ la cronistoria di Troia, assicurandoci che proprio di Troia Itaca si tratta, quella di Enea, “que Ilium dicta esta, civitate dei Troiani in Meotidas paludes”, cioè nella palude delle Mefiti. Le Mefiti non appaiono dunque tanto le attuali Mefiti, quanto quelle di Prata, o di Salza, rammentando che lo Zigarelli fece razzia delle “Dee” che vediamo nel Museo Irpino, anche nelle grotte del Fenestrelle, senza specificare il luogo dei ritrovamenti.
La Mefite, del resto, ha molto a che fare con la vera Melfia dell’anno 1000. Nel “1089”, scrive Falcone Beneventano, “Urbanus papa per Benevento transiens fecit sinodum Melfim”. Melfim è fin troppo vicina a Benevento. Del resto, nel Cronicon di Santa Maria (p.14), è detto chiaramente che “papa, venit Beneventum et tenuit synodum mense Martii ibidem et in Troia et in aliis locis Ytalie”. (Gli annales, pag.77). Insomma, Benevento, Troia e Melfia sono più o meno vicinissime. Inoltre non si capisce perchè mai bisognava scrivere ‘a Troia e in altri luoghi d’Italia’, se Troia non fosse stata la capitale della piccola provincia di Italia. Se fosse stata in Sannio si sarebbe scritto a Troia e in altri lughi del Sannio, o della Apulia, etc. Invece Troia fu nella piccola Italia, dov’era anche Melfia.
Erano talmente vicine che Falcone Beneventano, parlando di Montemfuscum e di Ruggero d’Altavilla, nel 1127, disse che quest’ultimo sottomise Landolfo di Montemarano, Raone di Fragneto, Ugo Infante, etc, aspirando al titolo di Duca. Infatti inviò a papa Onorio “munera multa auri et argenti, sollicitando insuper etiam Civitatem Trojam et Montefuscum”. Il papa era quindi invitato a sedersi nella basilica di Troia a Benevento. Non accontentato comandò ai domini di devastare le campagne e di imprigionare i Beneventani (l.c., p.194).
4. Il Papa vuole anche Troia di Benevento e il Catepanato Italia e stringe l’accordo con i Normanni nel 1022
Benevento, Falerno e Capua sono ormai in Longobardia, anche se continuamente esposti agli arabi Siciliani della Penisola Sorrentina. Non resta, nel mentre, che conquistare il Catepanato Italia. Per far questo il Papa, col consenso di Enrico II invita i Normanni e stringe un patto per la conquista.
I Normanni scendono e distruggono l’invincibile Troia. Civitate Troia e Civitate Vaccarizza, ex dominio bizantino, sono, nel 1022, anch’esse nella Longobardia e affidate al Comitatum del nobile Arianensium.
Tutte Civitate e luoghi che ora appartengono, “sunt de potestate et dominatu Comitatum Arianensium”. Ovviamente nella pergamena che ne descrive i confini uno di seguito all’altro non esiste nessuna Civitate che si chiami Ariano, bensì il comitato, questo, la cui massima Civitate è Troia, affidato dal re di Francia Enrico II, che nel prenderla l’ha distrutta, e fatta rientrare nella Longobardia, affidandola al Conte Ariano, cioè un conte il cui nome è Ariano.
I Normanni non ci pensano su due volte e, in quello stesso 1024, cedono il Comitatum Arianensim un’altra volta ai Bizantini.
Il vero potere centrale della Longobardia era nella nuova Civitate Troia, ai piedi di Chiusano, nella Contea del Comitato di un valoroso condottiero di nome Ariano che, nel 1024, su affidamento del re dei Francia (cioè dei Franchi) Enrico II, è il titolare del Comitato che porta il suo nome, Comitatum Aianensium, nato dallo stato di Longobardia nominato dallo stesso re appena due anni prima, in Troia Vetere, cioè nel 1022 (Gay, p.421-423), nella precedente fondazione di Troia, fra Prata ed Atripalda.
Il Comitato di Ariano era dunque nato nel 1024 quando l’antica Troia, semidistrutta dall’esercito del re di Francia Enrico II era riuscita a respingerlo. Troia e Vaccarizza, che rientrano nel Comitato di Ariano, restano così in Longobardia ma sotto il dominio bizantino di Basilio, protospartario di Italia in Boviano dei territori del principe del sacratissimo impero bizantino.
Nel 1022 la signoria bizantina di Apulia restò esposta agli Arabi siciliani fino al 1035 quando si concluse la pace fra l’imperatore bizantino Michele IV e l’emiro Akhal di Sicilia (Dolger, Regesten, 1925) ponendo fine alle devastazioni che dalla penisola sorrentina, la Sicilia, giungevano puntuali fino al Sabato.
5. Il Comitato Arianensium di Civitate Troia in Benevento
Dichiarando Aquilea metropoli di tutte le chiese d’Italia, l’imperatore aveva spodestato in qualche modo il papa favorendo malumori fra i suoi fautori. Corrado considerava Giovanni IX una persona di poco conto.
Nel mentre, approfittando della confusione politica, Il Duca di Napoli e il Principe di Capua non avevano esitato a ricominciare la guerriglia contendendosi l’aiuto dei potenti Normanni-Francesci stanziatisi a Troia. Duca di Napoli che era in possessò della Contea di Aversa sita nei pressi della pianuretta aversana, esattamente fra Irculanun e l’abbazia di San Benedetto di Castro Casinatium (Casino di Avellino), dove era nato il Principato di Capua nuova.
La potenza dei Nomanni-Francesi del Comitato di Arianensium di Troia era l’invidia di duchi e principi che, in pochissimo tempo, non avevano fatto altro che corteggiarli per allargare le loro mire espansionistiche sulla montagna del Partenio
Fu così che Rainulfo Drengot Il Normanno, per i servigi resi a Hepoli, capitale del vicereame d’Italia contrapposta a Capua, ebbe in dono dal Duca di Heapoli Sergio IV proprio la Contea di Aversa sita ai piedi di Hirculano, il vico averso a Heapoli sulla Montagna del Partenio.
Rainulfo Drengot era il brillante militare, alla guida di un manipolo di mercenari giunti tutti dalla Normandia francese.
Il Duca di Napoli fece dunque in modo che i Normanni chiamati dal papa e dal re non se ne andassero può dalla Longobardia garantendo il quieto possesso delle in nome dell’unificazione dei Ducati minacciata dai Bizantini.
Del resto restava da riconquistare Capua Vetere occupata dal Dukos bizantino e la Contea Apulia finita ora nelle mani degli arabi precedentemente chiamati dal papa.
La piccola provincia dell’Apulia, ormai territorio di scontro fra cattolici e ortodossi era diventata un luogo di continue distruzioni e ricostruzioni di chiese e chiese appartenenti alle tre abbazie altomedioevali.
Purtroppo le cose non andarono proprio così in quanto, vista la potenza dei Normanni, ogni singolo duca o principe cominciò a servisi di loro.
Il Conte Drengot, dall’alto della sua Contea Aversa presso Irculano si ritrovò così fra due contendenti: da una parte il principe di Capua (Avellino) Pandolfo IV e dall’altra Sergio IV di Heapoli.
Non solo. In quello stesso 1030, appunto per stare tranquillo, in dono per i servigi ricevuti, il Duca di Napoli aveva dato a Rainulfo Drengot oltre la Contea Aversa del vecchio vicum di Irculano anche la sorella per moglie.
Ma Heapoli, filo imperatore, non era nelle mire di Drengot, nè in quelle del Papa.
Rainulfo, infatti, rimasto vedovo, ormai padrone della Contea, tornò al fianco del duca di Capua, mirando ai beni del suo stesso Principato. La Contea Aversa di Irculanum era una contea povera rispetto al Principato di Capua. Rainulfo Drengot costruì ben presto un potente castello, il Castello di Hirculano.
I Normanni rappresentavano ormai una garanzia all’unità nazionale fortemente voluta dal papa.
E non Neapoli, ma la nuova Civitate di Troia, costruita poco distante dalla devastata antica Troia Itaca, divenne la capitale della Longobardia quando, nel 1030, papa Giovanni XIX le invia le reliquie dei Quaranta Santi da distribuirsi fra tutte le chiese della Longobardia occupata dai Normanni del Comitato Arianensium.
Nel 1037 insomma Civitate Troia più che al re è direttamente soggetta al papa e a Benevento. Anzi, nel 1037, l’episcopio di Troia è esattamente il nuovo episcopio dell’abate Bisanzio di Santa Sofia. Cioè, Troia nuova, è la Benevento del 1037: “acto civitate Troia in sacro episcopio nostro” (Bertolini, in Schipa, pag.21).
Infatti, non prima del 1073, grazie alla liberazione di Capua Vetere (Benevento), occupata dai Bizantini del Dukos Kostantino sotto il nome di Principato in Dukato, da parte del Guiscardo, il Papa, l’1.8.1073 potrà usurpare Capua Vetere e, il 3.8.1073, dichiararla Civitas di Benevento in Stato della Chiesa.
Dal 1037 al 1073 lo stato di Civitate di Troia nuova fu nella sostanza assorbito dal Principato di Benevento che ebbe per sede la chiesa di Santa Sofia che era stata sede del Principato di Falerno oggi ricadente in territorio di Prata Principato Ultra. Mentre la Civitate restò sotto il dominio di un regolare vescovo feudatario.
Nel 1047 il Domino Beneventano Petrus vende una terra presso la chiesa di San Marci di Civitate Troia; un’altra a Monte Calvello è di un cittadino di Troia nel 1039. Altre al monastero di San Nazzaro “qui situm est in monte Malleano”. Nel 1067 ancora si parla di San Nicandro, Sandorio, San Nazari, Biccari, San Pietro in Burgo e del monastero di San Nicola tutte riconfermate da papa Alessandro II di volta in volta che il cavaliere, il milite Pagano de Biccaro aveva conquistato. Anzi è Biccari stessa ad essere restituita a Stefano vescovo di Troia nel 1067.
Con la nuova ripartizione delle Contee, nel 1080, Civitate Troia è la chiesa del Monastero di Santa Maria del Montaratro.
Gli ultimi documenti della Civitate sono del duca Roberto nel 1080 per una donazione allo stesso Stefano di Civitate Troia, titolare della Chiesa del monastero di Santa Maria di Montaratro.
L’altro, del 1081, sempre del Duca Roberto, parla di una donazione di anlimali e derrate al nuovo vescovo di Troia, Gualterius.
Con il 1081 scompare anche la nuova Civitate Troia per ricompare, unita nel titolo in Benevento, solo nel 1109 col nome di Civitatis Troia.
Boemondo occupa Benevento con Troia e Casali dal 1093-1096 all’1101 e non ci sono documenti fino al ritorno del papa nell’1101.
Nel 1113 si parla di Troiana e Beneventana ecclesia. Il papa è infatti tornato in Benevento col Duca Guglielmo dopo l’assenza dal 1093 all’1111 in quanto Benevento e Troia furono occupate dal Principato di Antiochia di Boemondo.
Nel 1122 il vescovo domino è Guglielmo, e l’episcopio è diventato Troiano e Sipontino sempre fino all’antica Telesia. E il monastero di San Nicola ha un abate domino: Giovanni.
Nel 1123 Domino Guglielmo è il vescovo di Troia; Domino Guglielmo è l’arcivescovo di Siponte; Domino Ugone, il venosino abate.
Nel 1123 firmano l’atto di Guglielmo Altavilla, Comite Raynulfo de Ayrola e Comite Guglielmo de Principato e Guglielmo figlio Duca.
In pratica il Palazzo di Benevento, dal 1037 al 1073, fu in Santa Sofia di Prata P.U. e la sede del Principato di Falerno, a partire dal 1037, grazie alle mire espansionistiche di quel Principe ormai padrone della costa siciliana del Cilento dopo l’alleanza con i bizantini, fu portata nell’attuale Salerno che divenne la capitale del Principato di Falerno in Ducato di Calabria, e del Ducato di Amalfi. Fu quindi poi fondata una nuova abbazia di Cava in Cava dei Tirreni alla quale tornarono tutti i beni in possesso della vecchia Cava (Basilica di Prata P.U.), che, sotto il titolo di Santa Sofia, era stata sede del Principato. Da qui è nato il problema delle permute al quale si darà inizio appena il papa usurperà benevento dichiarando lo stato della Chiesa.
Nel 1037 il Comitatum Arianesium, non esiste dunque più. Non ce n’è bisogno. Nè la chiesa o i Principi di Falerno e Capua hanno più necessità di servirsi di Drengot: si sono alleati. Pandolfo di Capua e Landolfo di Falerno risultano ufficialmente uniti dal 1037 al 1040.
Ecco perchè Drengot diventa un conte come un altro e preferisce riavvicinarsi a Heapoli. In quello stesso 1037 la Contea Aversa di Drengot è parte integrante della Longobardia, confermata dal re d’Italia e Imperatore di Germania, Corrado II.
Ormai il papa è di casa a Capua. Anzi è Capua-Castro Casino (Avellino) che lo designa ed è sotto la protezione del Papa. A maggior ragione che sono tutti di casa.
Nel 1038, la zia di Benedetto IX sposa perfino Pandolfo, fratello del conte Waimario di Salerno ormai titolare del Principato di Falerno, del Ducato siciliano di Amalfi e del Ducato di Calabria alleatissimo perfino dell’impero bizantino sotto al quale finirà Capua Vetere nel 1040 con tutta la vecchia Contea di Apulia.
A questo punto la prima novità, mentre in Contea Sicilia sono rinate le Civitate di Canni con l’episcopio di Santa Maria sul fiume Aufidi, Civitate Trane e Civitate Sipontus, Bario e Canusio sono dipendenze del papa in territorio del Principe di Salerno.
I Longobardi sono ancora tutti qua, nella nuova capitale di Falerno, mentre nell’angolo sono state relegate le Contee del re d’Italia, quindi quelle di Heapoli e di Aversa per non parlade dell’Apulia occupata dai Bizantini.
Nel 1040, insomma, se il re non ferma il papa, il papa si fa l’Italia da solo.
Cominciano quindi una serie di conflitti di competenza che porteranno il papa a riaffermare l’indipendenza da Enrico III (1039-1056) togliendo ad Aquilea il diritto di metropoli usurpato dal predecessore di Enrico, Corrado, che lo vedranno scacciato da San Pietro dove viene eletto Papa Silvestro.
6. I Dodici castelli antinormanni
In quello stesso 1040, il re, in conflitto con il papa, aveva rafforzato il rapporto con altri Normanni, forse non quelli di Aversa e, più probabilmente, quelli dell’ex Comitato Arianensium che si era stanziato a Troia o anche con l’arrivo di nuove reclute.
Non era immaginabile che i Longobardi avessero da soli riconquistato da Falerno, Capua, Benevento e la stessa Apulia che, dagli atti del 1039 sottoscritti dal Principe Guaimaro, appartiene ufficialmente al Principato di Falerno.
Ai tempi di Rainulfo Drengot, dunque, ma non con Rainulfo Drengot si affilano le armi per la sottomissione dello strapotere Longobardo e dei loro alleati bizantini ormai di stanza in Capua Vetere per sopraggiunti accordo.
Il re imperatore, quindi, chiama a raccolta il Comitato Arienensium dell’ex Troia, figlio o parenti che siano di Ariano, con la scusante – per i Longobardi – dell’impresa antibizantina. Ma la prima appropriazione, in quel 1040, sarà della Contea Apulia da parte di Guglielmo Braccio di Ferro.
E’ infatti Guglielmo Braccio di Ferro e non Rainulfo Drengot a partire per la conquista dell’Apulia da consegnare al re imperatore. Da qui l’investitura a 12 conti di 12 singole Contee ognuna rappresentata da un castello da costruire in Apulia.
Il conte di ogni castello dovrà poi occupare la cella vescovile di ogni singola Civitate, “esclut li Conte .XII. pare, à liquel comanda que equalement deuisent partir ce qu’il aquestoroient” (Amato, II, cap.18, p.76). Ad ogni conte venne quindi assegnata una Civitate vescovile fortificata da occupare, utilizzando come base militare un castello da costruire nell’Apulia.
Ogni Civitate sarà destinata a costituire il punto di partenza e non il centro della propria contea (Figliuolo, L’insediamento) che sarà solo la nuova terra da conquistare.
Insomma i Normanni dovranno solo prendere possesso delle abbazie feudali della chiesa longobarda. Prese le Civitate, l’operazione antibizantina avrà inizio con il primo Duca di Apulia in assoluto, Guglielmo Braccio di Ferro, non con Drengot che era titolare solo della Contea di Aversa.
Nel 1045 intanto Rainulfo Drengot passa a miglior vita e papa Silvestro è scacciato da San Pietro, da Benedetto IX che vende la seggiola a Gregorio VI. Nel 1046 infatti Enrico III scende in Italia e depone Benedetto, Silvestro e Gregorio nominando papa Clemente II che morì dopo otto mesi permettendo il ritorno di Benedetto che aveva corrotto i vescovi. Era guerra aperta fra re Enrico III e Papa Benedetto IX.
A tutto il 1045, morto Rainulfo Drengot, mentre i suoi discendenti Raul e Trincanotte non si sono mossi dal Castello di Hirculano, Guglielmo Braccio di Ferro ha fatto tabula rasa in Apulia. Andrum, Cauretum, Vario, Horis… le Civitate cadono una dopo l’altra.
Già nel 1046, mentre Trincanotte continua ad essere confermato solo Conte di Aversa; Drogone, è Conte della distrutta Apulia.
Il fratello di Drogone, invece, Umfredo, era riuscito a prendere le altre Civitate dell’antica Contea Italia (Buxilia, Caureto, Vario, Andrum) che era stata del Conte Petrus figlio di Petrone normannorum del governo bizantino.
Drogone quindi non sta affatto occupando l’Apulia, besì il Ducato Bizantino in Principato di Capua Vetere occupato.
Petro non si arrende ma perde le sue Civitate una dopo l’altra fino al 1073 quando, perduta Trane, e poi Cauratum, è costretto a cedere di passo in passo al Duca Roberto (il Guiscardo) che debella anche Iuvenacius che era di Amici. Cioè tutto il patrimionio che fu di Petrone.
I fratelli Erberts e Goffrida figli di Goffrida normanno e Guarino figlio di Roberto normanno, fedeli del Petro Comite Normannorum e Signore imperiale bizantino resistono ancora nel 1077, a dieci anni dal regno bizantino di Costantino Porfiroggenito, fortificandosi in Civitatem Caurato.
Tutte le popolazioni dell’antica Troia Itaca erano nelle mani di Drogone e Umfredo.
Nella Contea di Aversa muore intanto Trincanotte e gli succede il Conte Riccardo.
Riccardo Drengot regnò per trent’anni, fra i più decisivi del governo normanno per gli scontri con Leone IX° e con Pandolfo IV° e l’atto di vassallaggio al Papa che si concluse con la vittoria dei Normanni, nel 1053, nella battaglia presso il Fortore.
Nel 1053 papa Leone IX per proteggere Benevento venne battuto presso Civita e catturato il 18 giugno 1053 e fu fatto prigioniero per nove mesi. Costringendo alla rottura la chiesa bizantina che chiuse le chiese latine avendo nominato il vescovo Umberto ad arcivescovo di Sicilia anti latino nel sinodo di Siponto che, il 16 luglio 1054, posò sull’altare di Santa Sofia una bolla che scomunicava il patriarca. Fu scisma.
Qui il Papa, concesse la sede episcopale ad Aversa di Irculanum.
Il Castello di Aversa diventava così una Civitate a tutti gli effetti. Non restava che costruire un episcopio.
La parola feudo compare per la prima volta nella Contea di Aversa, nel 1050.
Nel 1058 il papa chiama il Duca di Normandia Goffredo per liberarsi dei signorotti normanni
Nel 1058 Papa Stefano IX contro i Normanni da finanziarsi con il tesoro di San Benedetto, progettando di incoronare imperatore il Duca Goffredo meritandosi il suo appoggio.
Il Duca Goffredo è ora l’incaricato ufficiale che dovrà ristabilire l’ordine nell’Italia meridionale. Scende con validi cavalieri francesi (come Ebulo di Rouci) ed è, ancora nel 1067, il portabandiera del vessillo ufficiale di San Pietro.
Da questo momento in poi il Papa riconosce solo il Duca Goffredo di Buglione e il Duca Guglielmo di Nomandia incaricati di conquistare tutta la penisola. Capitò così che i Duchi Normanni di Normandia raggirarono l’ostacolo dell’Irpinia e, costa costa, arrivarono in Calabria e perfino in Sicilia. E i vecchi normanni di casa nostra, cognominati Altavilla, si rafforzarono nella conquista della Campania dividendo il territorio a tavolino col vecchio sistema dei Comitati. Ogni comitato nasceva in effetti su una Contea della Longobardia ed ogni Contea raggruppò una manciata di Civitate………
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