12. RAVELLO NEL 1755 (SA)

30,00


Dalla Post-Prefazione del Prof. Luigi Buonocore

La Città di Ravello a metà del Settecento

A metà del Settecento Ravello doveva apparire un misterioso e solitario paese montano, emarginato e inaccessibile. Un processo di progressiva ruralizzazione aveva interessato l’antica Civitas che tuttavia conservava l’antica forma urbana, costituita da un nucleo centrale, contraddistinto da fabbriche religiose e domus aristocratiche, all’esterno del quale si estendevano una serie di casali. Oliveti di piccola pezzatura si distendevano sull’intero territorio ed in modo particolare nelle località del versante sud-orientale della città. Dal Petrito a Torello e da Civita e Marmorata, passando per località più vicine al mare come San Nicola a Bivaro, Sussiero e Casanova, gli ulivi verdeggianti dovevano disegnare i profili delle amene colline ravellesi. Negli stessi luoghi era praticata anche la coltivazione dei soscelleti (carrubi), spesso abbinati agli uliveti, la cui presenza è attestata soprattutto nelle zone prospicienti il mare come la Punta di Sant’Aniello e Castiglione. Un soscelleto era presente nella zona di Santa Catarinella a Civita, toponimo che rimanda all’antica chiesa di Santa Caterina già diruta nel 1577 e annessa alla parrocchia di Santa Maria del Lacco, così come era accaduto per le chiese di Sant’Agnello a Mare, San Giorgio alla Pendola, Santa Maria de Pumice, San Vito e SS. Salvatore di Sambuco. Ampie porzioni di territorio erano coperte da castagneti, a partire dallo sperone di Cimbrone, con le sottostanti grotte di Santa Barbara in cui si trovavano i resti della omonima chiesa, fino al monte su cui era stato edificato il castello di Fratta. Selve e boschi cedui cingevano il versante settentrionale nei siti di Monte Brusara, di San Pietro a Bucito, e Aqua di Scala o in altre località sul versante nord-orientale come Taversa e Sambuco, nota per la produzione di legname. Tra la vegetazione erano ancora visibili le torri e il tratto dell’antica cortina muraria del sistema difensivo settentrionale, ormai simbolico e privo di funzione. D’altra parte, agli inizi del secolo, la città era apparsa al vescovo Luigi Capuano priva di quelle mura di cinta che in passato avevano incarnato l’orgoglio di una città inespugnabile. Le Mura della Città sono menzionate nei pressi della località denominata Porta di Campo, verosimilmente riferita ad una cortina della fortificazione di Fratta. Il vigneto con frutti, spesso censito come vigna fruttata o vigna fruttata et vitata, dominava il paesaggio agrario. In alcuni casi viene annotata anche la presenza di case o vigne con bottaro e palmento a Torello o in località vicine come lo Pastino. I giardini dal carattere anche ornamentale, ad eccezione di quello vescovile, restavano una prerogativa dei personaggi più rappresentativi, come i nobili Girolamo D’Afflitto e Paolo Confalone nel rione Toro, o gli esponenti di un nuovo ceto borghese come il notaio Liborio Imperato nella Punta di Sant’Aniello e Nicola Pisacane a Sant’Agostino, che suggellavano la propria posizione sociale con l’elezione al Seggio dei Nobili o del Popolo. Senza tralasciare Matteo D’Afflitto, patrizio della Città di Scala ma nativo di questa Città di Ravello, che abitava in casa Rufolo con giardino sul quale pagava un censo perpetuo di dieci carlini annui alla Mensa Vescovile. A Marmorata, nella proprietà di Paolo Confalone, viene attestato l’unico esempio di giardino con frutti dolci che beneficiava di una irrigazione organizzata come si rileva dalla dicitura agri ad acquatorio, con peschiere alimentate dal canale dell’acqua proveniente dalla Pendola, riscontrabile anche nella platea vescovile risalente all’episcopato di Biagio Chiarelli. Poco distante era la zona di Bivàro, corrispondente all’attuale via per Zia Marta, nota in passato per la presenza di peschiere. Una sola volta sono menzionati i celsi piantati nel luogo di San Pietro alla Costa, e piedi di agrumi con fontana d’acqua sorgente dentro nel luogo detto Marmorata. E’ presumibile però che i gelsi e le piante di limone e cedrangolo, così come altre colture locali quali fichi, meli, peri e ciliegi, potessero essere comprese nella dicitura di giardino semplice o di vigna fruttata. Una parte del paesaggio agrario era pur sempre caratterizzata da zone sterili e pietrose. L’Università di Ravello, tra l’altro, possedeva la montagna demaniale in parte petrosa e sterile confinante con la montagna di Scala e denominata comunemente Demanio. Solo un’esigua porzione di terreni doveva essere adibita al pascolo, non meraviglia quindi che, tra gli abitanti, solo il bracciale Domenico Di Palma possedesse un gregge di pecore. Le proprietà agricole erano perlopiù parcellizzate in piccoli o medi possedimenti, misurati in giornate di zappa. Non mancavano fondi di grande estensione come due vigne fruttate a Cigliano e Sambuco o un terreno di soscelle, olive e fruttato a Civita pari a cinquanta giornate di lavoro. Le acque sorgenti sono attestate nelle località di Fontana Carosa, Marmorata e Sambuco. Tre cannelle delle sette dell’acqua Sabucana erano di Matteo D’Afflitto mentre non viene menzionato l’antico diritto di proprietà della mensa vescovile che in quegli anni, ad ore stabilite, concedeva l’acqua a diversi cittadini. Gli unici due molini sono attestati lungo i corsi d’acqua di Marmorata, ad est, e di Fiume, ad ovest. I frantoi, denominati trappeti, erano sette, uno dei quali si trovava nella diruta chiesa di Santa Maria a Lago sottostante Santo Cosimo. I nuclei familiari si distribuivano nei territori delle otto parrocchie cittadine. Oltre alla cattedrale erano chiese parrocchiali Santa Maria a Gradillo, San Giovanni del Toro, Santa Maria del Lacco, San Martino, San Pietro alla Costa, Sant’Andrea del Pendolo e San Michele Arcangelo a Torello. Nel luogo del Vescovado seu lo Seggio, in riferimento al Sedile dei Nobili che si riunivano in cattedrale presso la cappella del Santo Rosario, sono attestate perlopiù vigne con qualche casa e una bottega. Il Toro continuava ad essere il rione esclusivo della nobiltà dove si ergevano le aristocratiche magioni rivolte ad est verso i fondi di Gaimano e di San Bartolomeo. Nel catasto preonciario, redatto nel 1646, era stata documentata la presenza delle famiglie Bonito, Confalone, D’Afflitto, Frezza e De Fusco. Nel 1755 il censimento fiscale si è ridotto a soli tre capofuochi i magnifici Paolo Confalone, Girolamo D’Afflitto e Domenico Sasso, Patrizio di Scala che, tra l’altro, si era trasferito a Ravello solo nel 1747. Nel rione Toro sorgeva il palazzo vescovile in cui mons. Biagio Chiarelli aveva impiantato anche una celendra volta alla politura, alla manganatura e alla tintura dei panni di lana, attività già esercitata in città dal 1299 e interrotta con la peste del 1656. L’edificio era dotato di un giardino che consentiva un accesso diretto alla cattedrale, in quegli anni interessata dai lavori del rifacimento barocco non senza difficoltà se si considera che, nel 1755, le somme raccolte erano state integralmente spese senza che il sacro edificio potesse essere nuovamente officiabile. Alcune abitazioni con orti e vigne erano presenti anche nei pressi del Belvedere, l’antica roccaforte del sistema difensivo cittadino. Viene menzionata la sottostante Santa Margarita de’ Grisoni, il cui beneficiato era Don Domenico Romeo Napoletano, mentre non ci sono riferimenti alla vicina Porta Platee. Il luogo della Piazza Publica, l’attuale Piazza Fontana, sembrava aver conservato l’antica vocazione commerciale con la presenza di alcune botteghe di proprietà del magnifico Nicola Pisacane e del bottegaro Giuseppe Carrano, dimoranti in quella località che, per antica tradizione, accoglieva anche le adunanze dei Parlamenti Generali dell’Università. Il ricordo dell’antica chiesa di Sant’Adiutore era ancora presente se consideriamo che la casa di Don Giuseppe Giordano si trovava nella zona denominata Borgo di Sant’Adjutorio presso la Piazza publica. Nel Pianello, sotto l’antica porta de Grache, tra vigne e oliveti la chiesa di Sant’Angiolo dell’Ospedale seu li Frezzi conservava nella denominazione il ricordo dei fondatori. A poca distanza la località dove dicesi a la Marra mostrava un chiaro riferimento all’hospitium domorum Della Marra che già a partire dal Cinquecento appariva allo stato di rudere. A Santa Maria a Gradillo, Ponticeto e Pendolo si attestava il maggior numero di famiglie dell’antico centro urbano, all’interno del quale erano in funzione il Convento di San Francesco, cui erano passate le rendite del Convento di Sant’Agostino e del seminario, e i Monasteri di Santa Chiara e della SS. Trinità. All’estrema propaggine meridionale di Ravello il Cimbrone era abitato dalla Magnifica Isabella Sasso Del Verme, vedova del Patrizio di Ravello Pietro De Fusco. Sul versante orientale, al di fuori dell’antico perimetro urbano, i fuochi erano presenti a partire da lo Traglio, dove sorgeva la cappella di Sant’Agnello eretta da Gerolamo Manso, spesso richiamato in relazione al Monte per il maritaggio delle fanciulle bisognose. Lungo il declivio le abitazioni erano concentrate tra San Giovanni e San Pietro alla Costa in cui ritroviamo anche la località Cerasara, probabile riferimento alla presenza di giardini fruttati. Una sola abitazione è presente a Santo Cosimo, da cui si raggiungeva il vicino Petrito, e nella sottostante Santa Maria a Lago in cui si trovavano vigne e peschiere. A Torello, dove vengono menzionati i luoghi Sant’Angiolo, le Lenze e Masiello, viene censito il maggior numero di unità abitative, costituite da famiglie estese che potevano raggiungere i 17 componenti come nel caso del bracciale Aniello D’Amato. Alcune famiglie vivevano anche a Santa Croce e Santo Nicola al Càrpeno, ai confini di Minori, a lo Vallone e Sussiero sul versante di Marmorata. La vigna denominata lo Capitolo, ancora presente nella toponomastica del linguaggio comune, richiamava l’antica proprietà del Reverendo Capitolo della Cattedrale di Ravello. Proseguendo verso le zone interne sia a Casa Rossa che a Taversa viene censito un solo fuoco così come a Sambuco in cui erano le proprietà boschive del Venerabile Monistero di Santa Chiara a Sambuco piccolo e del forestiere non abitante Filippo Mezzacapo nelle località Riola, Sambuco Grande e Pontemena. Ai confini con Minori, nel territorio sovrastante la valle del torrente Reghinna Minor, tra boschi e castagneti, era presente la piccola chiesa di Santa Maria della Rotonda. Nella zona settentrionale i fuochi si distribuivano principalmente a San Martino e San Trifone con alcuni nuclei familiari a Monte Brusara. A San Trifone abitavano i fratelli Tommaso e Saverio Pisano, lavoranti di panettiere. L’attuale presenza in questa località di una via denominata Casa Pisani, riscontrabile almeno a partire dalla fine dell’Ottocento, potrebbe avere conservato la memoria dell’insediamento familiare. Lo Monte di Brusara, attraverso luoghi dai nomi suggestivi come Creta seu la Posa de lo Vescovo o il Passo de lo Lupo, si spingeva poi all’interno fino agli estremi confini settentrionali della città dove era l’Aqua di Scala. Gli indici demografici non sono particolarmente rilevanti per la zona prospiciente la Marina, ad eccezione della Ponta di Sant’Aniello dove abitava il notaio Liborio Imparato. Le uniche porte cittadine di cui si fa menzione, al fine di specificare le località delle proprietà censite, sono a nord Porta del Campo, Case Bianche seu Porta Penta, Porta del Lacco e ad est Portadonica, nei pressi della quale viveva il marinaio Mattia Palumbo con una famiglia estesa di 19 componenti. La vedova Teresa Fraulo viveva invece nella Torre della Santissima Annunciata che potrebbe verosimilmente essere una delle torri ancora oggi visibili lungo la cortina muraria orientale o una costruzione inglobata successivamente nelle abitazioni edificate nei pressi della porta di San Matteo del Pendolo. Le vie di comunicazione erano costituite da sentieri percorribili più agevolmente a dorso di mulo, un bene prezioso in considerazione della sua attitudine al trasporto. I numerosi toponimi ricordano anche chiese ormai dirute come Santa Maria a Lago (San Cosma), Santo Nicola a Càrpino (Torello), o famiglie che avevano avuto proprietà in determinate zone come Casa Pepe, (Torello), Casa Parere (San Pietro alla Costa) e Casa Fenice (Ponticeto). Scorriamo, pertanto, una lunga serie di denominazioni che ancora oggi identificano gran parte del territorio ravellese. Di alcune, purtroppo, si è perso l’uso comune o, peggio ancora, la memoria. L’analisi delle strutture abitative è solo descrittiva, senza alcuna rappresentazione grafica, e pertanto non può essere esaustiva. Le abitazioni vengono distinte in case proprie e case in affitto e sono descritte anche nelle strutture adiacenti come cortili e giardini. Gli immobili nella disponibilità del capofuoco potevano essere o meno gravati da censo, spesso dovuto a istituzioni religiosi o privati cittadini. Le abitazioni erano esenti da tasse mentre le rendite provenienti dalle case in affitto venivano tassate al netto delle spese di manutenzione o di riparazione, che in genere ammontavano ad un quarto del canone. A Ravello vengono censite solo cinque case palaziate, uniche testimoni dei fasti di una stirpe gentile che si erano poi dissolte nella generale decadenza delle periferie meridionali. Erano state edificate secondo i canoni della domus medievale ravellese, a più piani, con luoghi terranei, sale coperte a volta, accessibili attraverso un ambulacro e cucine. Queste ultime erano tradizionalmente poste nella zona superiore per consentire la dispersione dei fumi e degli odori ma potevano essere localizzate anche al pian terreno. Per quanto riguarda le abitazioni solo in alcuni casi si specifica la presenza di più stanze soprane o sottane. In genere, purtroppo, registriamo l’assenza di qualsiasi informazione in merito ai vani abitativi, a servizio non solo di famiglie formate da una coppia, con o senza figli, ma anche di famiglie estese ad altri membri del gruppo parentale. Questa circostanza però non deve indurci a credere che si potesse trattare di abitazioni di un solo vano, anche in considerazione del fatto che il fuoco poteva raggiungere un ragguardevole numero di componenti. Il cognome più diffuso è Manso, presente sull’intero territorio cittadino così come, in misura minore, Guerrasio, Coppola e Gambardella. Alcuni cognomi sono riconducibili a specifiche zone come di Palma, tra Costa e Torello, d’Amato, tra Pendolo e Torello mentre l’unico esponente della famiglia Cioffo, originario di Minori, viveva a San Martino. Numerosi sono i benefici ecclesiastici in capo a cappelle, chiese, congreghe ma anche a sacri edifici ormai diruti che tuttavia avevano conservato rendite e pesi. Piace addurre come esempio il beneficio della chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie e ai santi Gennaro e Michele nella località di Marmorata il cui beneficiato era il canonico tesoriere della cattedrale Don Lorenzo Risi. Eretta a spese del minorese Gennaro Manso e consacrata il 29 luglio 1751, come apprendiamo dall’atto notarile del Magnifico Notaro Luise D’Amato, la chiesa aveva una rendita costituita da una casa, oliveti e soscelleti con il peso di 25 carlini per le messe e 3 carlini per la visita del vescovo. Nel catasto sono elencati anche gli antichi diritti della mensa vescovile che a quei tempi fruttavano poco o nulla. L’episcopio possedeva lo jus della doganella, cioè il diritto su tutte le merci che si acquistavano e si vendevano, lo jus dello scannaggio, sul macello degli animali, lo jus fumatico sulle fornaci di calce della città che, stando ai dati, sarebbero a Sambuco, al Monte Brusara e a Lo Ietto nei pressi di Casa Rossa. Lo jus seu la decima sopra il pescato di Castiglione, dalla Marinella fino alle Fontanelle, rendeva poco e si era rivelato di difficile gestione alimentando una storia clamorosa di liti e scomuniche. C’è anche un riferimento al cattedratico, anticamente corrisposto al vescovo nel giorno della resurrezione e della nascita del Signore dal capitolo e dai parroci. Un tempo costituito da prosciutti a Pasqua e da capponi a Natale, veniva ricambiato con il “prandium de ipsis clericis”, offerto dal vescovo al capitolo e ai parroci della città il Giovedì Santo e nella solennità dell’Assunzione della Vergine Maria, titolare della cattedrale. Nel 1648, però, il capitolo aveva rinunciato al pranzo e da allora il cattedratico era stato pagato in denaro. Il catasto onciario di Ravello offre una serie di elementi utili alla ricostruzione del paesaggio e dell’urbanistica della Ravello settecentesca, riassunti in questa breve presentazione che potrà essere esplicitata in modo più analitico e integrata con le molteplici indicazioni di carattere socio-economico e demografico in esso contenute. Si tratta di una fonte preziosa da oggi accessibile ad un più vasto pubblico di studiosi e cultori della storia cittadina, con pagine inedite in cui ritrovare luoghi e persone dai nomi familiari e forse, non è da escludere, anche qualche frammento di storia personale.

Nella seconda parte del libro si trascrivono fedelmente le notizie essenziali con l’elenco delle famiglie numerate e riordinate per nome del capofamiglia, anziché per cognome, con la stessa impostazione di ordine delle rivele. Tutto è registrato e trascritto dai deputati e dagli apprezzatori incaricati alla redazione del Catasto: i nomi e cognomi di tutti i capifamiglia sono riportati in ordine alfabetico di nome…. Si contano tra i capifamiglia 68 bracciali, uno zappatore, 11 fabbricatori, un mastro fabbricatore e un manipolo, cioè operaio apprendista muratore, 10 bastasi, 8 marinari, 4 mastri d’ascia, 3 tessitori di tela, un lavorante di lana, un macellaro, 2 scarpari, 3 sartori, 4 carbonieri, un bottegaro, un coco, un apprezzatore, un estimatore, un panettiere e un lavorante di panettiere, 2 notari, un secatore, uno sportellaro, un serviente della Regia Corte, un servidore, 5 inabbili a fattighe, un privileggiato, tre stroppi, 2 mendicanti e 7 famiglie di Magnifici, delle quali solo alcune patrizie di Ravello o di Scala.
Alcuni esempi, per i bracciali o zappatori, sono il bracciale Angiolo Manso del quondam Gaetano di 65 anni che abita in casa del Signor Don Girolamo d’Afflitto pagandone carlini 10 d’affitto, Antonio d’Amato del quondam Giacomo di 63 anni che possiede la casa dove abita con orticello nel luogo detto le Lenze, Andrea di Palma di 60 anni che abita nel luogo di San Pietro alla Costa con orto di proprio uso, oppure il bracciale Pantaleone Palumbo di 50 che abita nel luogo detto Casa Coppola con la moglie Maria d’Amato di 48 anni ed i figli. Ci sono casi di bracciali inabbili a fattighe, ovvero che non possono più esercitare il proprio mestiere per l’avanzata età o problemi fisici, come ad esempio Carmine Manso del quondam Sebastiano di 66 anni, Giovanni d’Amato del quondam Antonio di 65 anni, Matteo Fraulo di 62 anni e Nicola Coppola del quondam Domenico di 74 anni. Un bracciale è convalescente ed inabbile, ed è Nicola Buonocore di 70 anni, che possiede la casa dove abita dove dicesi Casa Coppola con orto di proprio uso, e vive con la moglie Catarina Manso di 64 anni.

Categoria imprenditoriale è quella dei fabbricatori, mestiere esercitato dalle famiglie d’Amato, Guerrasio, Manso, Coppola, Infante, Prota e d’Auria. Fra queste, risultano più attive in questo settore le famiglie Guerrasio, rappresentata dai fabbricatori Aniello di 66 anni, Tommaso di 68 anni e Pietro Guerrasio manipolo di 26 anni, i Coppola con Leonardo di 54 anni, Trifone di 26 anni e Tommaso di 77 anni, ed i Manso, questi ultimi con i capifamiglia Francesco di 80 anni, l’unico ad avere il titolo di Mastro fabbricatore, Andrea quondam Gaetano di 66 anni e Gennaro quondam Gaetano di 60 anni.
Anche i Mastri d’ascia si distinguono nel cuore del commercio ravellese della metà del XVIII secolo, con esempi di facoltosi imprenditori come il Mastro d’ascia Domenico Guerrasio di 71 anni che vive nella propria casa nel luogo di Sant’Agostino, il cui figlio Angiol’Antonio di 43 anni, anch’egli Mastro d’ascia, è sposato con Costanza d’Amato sorella del Magnifico Francesc’Antonio d’Amato che vive del suo per le proprietà lasciate da uno zio prete Manso e per i numerosi prestiti con percentuale d’interesse che concede ai suoi concittadini, come è d’uso in quest’epoca. Altro intreccio tra queste due famiglie si ha con il matrimonio del fratello di Francesc’Antonio, Vincenzo d’Amato vivente del suo di 33 anni, con Angiola Guerrasio di 28 anni figlia del predetto facoltoso Mastro d’Ascia Angel’Antonio Guerrasio.

Un Mastro d’ascia è inabbile, ossia Carmine Manso del quondam Andrea di 72 anni che possiede la casa dove abita con piccolo orto di proprio uso nel luogo di San Trifone, ma la sua attività è esercitata dal figlio Francesco Mastro d’ascia di 44 anni casato con Maddalena Manso di 46 anni e a sua volta padre del ventiquattrenne Andrea Manso, che è garzone presso la bottega di suo padre.
Tra i mastri troviamo anche i sartori, come i capifamiglia Giovanni Guerrasio di 65 anni che abita con la sua famiglia nella casa padrimoniale del fratello parroco nel luogo del Lacco, e Matteo Pisani – o Pisano – di 31 anni, mentre Francesco Guerrasio di 62 anni è solo sartore, oppure il mastro scarparo inabbile Pietro Conte di 86 anni, la cui attività è svolta pure dal semplice scarparo – senza ancora il titolo di Mastro – Trifone Manso di 66 anni.

Un’altra categoria presente a Ravello sono i marinari, coloro che ogni mattina scendono dalla città per recarsi sulle spiagge e guadagnarsi la giornata, come fanno i bastasi, i facchini addetti al trasporto delle merci a mano o aiutati da carrettini di legno. Gli otto capifamiglia marinari sono: Bernardo Lamberti di 64 anni che abita nel luogo di Torello, Crescenzo Manso del quondam Cosimo di 45 anni che possiede la casa dove abita nel luogo detto Casa Fraulo, Cristofaro Mosca di 50 anni del luogo detto Torello, Domenic’Antonio d’Amato di 40 anni che vive con la sua famiglia nel luogo detto Casa Pepe, Giacomo Aniello Fraulo di 65 anni, anch’egli abitante del luogo di Torello insieme ai fratelli Francesco Fraulo e Bernardo Fraulo, anch’essi marinari, il marinaro inabbile Giovanni Fraulo del quondam Giuseppe di 70 anni che possiede la casa dove abita ove dicesi Casa Mola, il marinaro Matteo Prota del quondam Carmine di 60 anni che vive nel luogo detto Sotto San Cataldo e Mattia Palumbo di 42 anni che abita ove dicesi Portadonica. Degli undici capifamiglia bastasi menzioniamo: Giovanni Battista Garofalo del quondam Pietro di 28 anni, Giovanni Pepe di 52 anni, Lorenzo Manso del quondam Bartolomeo di 70 anni, Nicola Battimelli di 65 anni ed i bastasi inabbili Carmine Manso del quondam Gaetano di 65 anni e Pietro Manso del quondam Gaetano di 72 anni.
A favorire il lavoro dei marinari e dei bastasi vi è lo sportellaro, unico a Ravello, Domenico Falcone di 40 anni che abita ove dicesi Casa Marciano: il suo compito è quello di produrre le sportelle, ossia i contenitori o cassette in legno per il trasporto delle merci. Della vendita si occupa, oltre ai marinari stessi che cedono la merce al minuto, il bottegaro Giuseppe Carrano di 63 anni possiede la casa dove abita nel luogo della Piazza Publica.

Altri commercianti sono il macellaro Gennaro Coppola di 55 anni che abita ove dicesi Casa di Lieto, vicino San Trifone, il panettiere Giuseppe Pisani – o Pisano – di 53 anni che esercita il suo mestiere con il figlio Melchiorre di 18 anni, ed il lavorante panettiere Tommaso Pisano di 31 anni coadiuvato dal fratello Saverio di 27 anni.
Alla categoria degli artigiani, oltre ai già citati Mastri d’ascia, sono ascrivibili il lavoratore di lana Francesco Fraulo di 65 anni che abita dove dicesi Casa Fraulo, i tessitori di tela Giuseppe Mosca di 66 anni, Gaspare Trotta di 28 anni e Pantaleone Sammarco di 38 anni, il secatore inabbile Giuseppe di Somma A.G.P. di 75 anni ed i carbonieri Andrea Coppola di 30 anni, Giuseppe Russo di 46 anni, Matteo Conte di 65 anni e Sabbato d’Agostino di 58 anni.

Vivono agiatamente i due notari della città, i Magnifici Liborio Imparato e Luise d’Amato, nonché i Magnifici Domenico Savo di 32 anni vivente del suo, il già citato Francesc’Antonio d’Amato, l’inabbile a fattighe Matteo d’Amato, Nicola Pisacane di 45 anni vivente del suo ed i nobili Don Girolamo d’Afflitto Patrizio della Città di Ravello di 40 anni, Don Matteo d’Afflitto Patrizio della città di Scala di 60 anni, Don Paolo Confalone Patrizio di Ravello di 53 anni e Don Domenico Sasso Patrizio di Scala, nonché la famiglia di Fusco rappresentata dalla vedova Magnifica Donna Isabella Sasso del Verme vedova del fu Don Pietro di Fusco Padrizio di questa Città di Ravello di 34 anni, gli unici, questi con titolo di nobiltà, a risiedere in case palaziate e possedere doviziosi beni di fortuna, tra immobili e censi.

Tutte le altre famiglie patrizie ravellesi, come i Frezza, i Cassitto, i Rufolo, i Della Marra, i Muscettola, i Grisone, i Giusto, i Bovio, i Castaldo, i Grisone, i De Curtis, Longo, gli Appendicario ed altre sembrano essersi trasferite altrove, principalmente a Napoli, la capitale del Regno, per vivere nell’agiatezza della nobiltà partenopea. Di queste resta menzione di qualche componente della famiglia Acconciajoco, caduta in disgrazia, come il bracciale Michele Acconciajoco di 45 anni che possiede la casa dove abita nel luogo di Torello.
Molti ravellesi lavorano per queste famiglie benestanti in qualità di servitori, come Nicola Sanso di 61 anni servidore di casa Confalone insieme a Luca Guido di 37 anni e alle serve Rosa Coppola di 40 anni, Rosa Porpora di 55 anni, Mari’Anna Polverino di 20 anni e Catarina Manso di Scala di 56 anni; il coco (cuoco) Agostino Prota che serve la casa di Don Girolamo d’Afflitto con la servitù costituita da Alessandro Fratejanni di Montagnano cameriero di 28 anni, Giovanna Iavarini di Massa moglie di Fratejanni cameriera di 50 anni, Gaetano Prota figlio di Agostino volante di 12 anni, Melchiorre Criscuolo servidore di 30 anni, Angiola Amodio di Scala serva di 55 anni e Maria Coppola nutrice di 30 anni; i servitori di Don Matteo d’Afflitto, Silvio Mussallo milanese servitore di 25 anni, Isabella Fraulo serva di 36 anni e Maddalena Palumbo serva di 50 anni; ed i servi della Magnifica Donna Isabella Sasso del Verme vedova di Fusco, Carmine Berardino di Gragnano servidore di 30 anni e Catarina Polverino serva di 50 anni.
Tra coloro che lavorano per l’Università di Ravello vi sono il serviente della Regia Corte Francesco Mosca di 62 anni che possiede la casa dove abita nel luogo detto Belvedere e l’estimatore Giuseppe Gambardella del quondam Vincenzo, settantacinquenne.

Vi sono poi gli inabbili a fattighe, ovvero coloro che per problemi fisici o per avanzata età non riescono ad esercitare più alcun mestiere, come ad esempio l’inabbile a fattighe Aniello Fraulo di 68 anni che abita nel luogo di San Giovanni alla Costa, l’inabbile Domenico Manso del quondam Trifone di 70 anni che possiede la casa dove abita dove dicesi Casa Marciano, lo stroppio d’un braccio, zoppo ed ernioso Angiol’Antonio d’Auria di 64 anni abitante nel luogo di Santa Croce a Carpeno, il sordo inabbile a fattighe Francesco Manso del quondam Trifone di 62 anni, lo stroppio Benedetto Manso del quondam Giuseppe di 22 anni che vive nella casa del Reverendo Don Giuseppe Imparato per carità, nonché coloro che erano costretti addirittura a mendicare per sopravvivere come lo stroppio mendicante Pantaleone Fraulo del quondam Silvestro di 25 anni che abita in casa seu in un bascio del Magnifico Notar Luise d’Amato nel luogo del Torello per carità ed il mendicante Sabbato lo Priore di 63 anni.

Numerosi sono i sacerdoti di Ravello: Alessio Manso diacono, Antonio Conte, Angiolo Antonio Manso, Carmine Sammarco, Cesare Manso, Diego d’Afflitto arcidiacono, Fortunato Pisacane, Francesco Manso, Francesco d’Afflitto arciprete, Giuseppe Giordano, Giuseppe Imperato del quondam Francesco, Giovanni Manso del quondam Carmine, Giovanni Manso del quondam Stefano, Gaetano Coppola, Gaetano d’Amato, Gennaro d’Amato, Lorenzo Prota, Lorenzo Risi, Lorenzo Manso, Mattia Prota, Marc’Antonio Guerrasio del quondam Andrea, Nicola Pisano, Orlando Manduca, Onofrio d’Amato, Rosario Manso e Sabbato di Lieto.

Una sola vergine in capillis vive da sola, ed è Anna Pepe figlia del quondam Pietro Pepe di 40 anni, mentre le famiglie vedove sono 16.

Un solo privileggiato napoletano vive a Ravello, il Privileggiato Napoletano bracciale Domenico Manso del quondam Nicola di 77 anni, che possiede la casa dove abita nel luogo detto Torello.

Altre categorie di cittadini sono i clerici, come Giuseppe Prota di 21 anni figlio del cuoco Agostino, Saverio d’Amato di 22 anni figlio del Notar Luise, Dionisio d’Amato di 29 anni figlio di Matteo d’Amato ed il nobile Giuseppe di Fusco di 10 anni figlio della vedova Magnifica Donna Isabella Sasso del Verme.
Vi sono poi altre categorie di cittadini, citate nei vari nuclei familiari: bizoche come Chiara d’Amato di 39 anni figlia del bracciale Aniello del quondam Onofrio, bambini e bambine in fasce o in fascia, giovani applicati allo studio o applicati alla scuola come Andrea Fraulo di 12 anni o Andrea Manso di 12 anni, garzoni come Andrea e Cosimo Manso annoverati nella famiglia del Mastro d’Ascia Carmine Manso, uno scemo, un applicato all’uffizio di Notaro che è Paolo di 20 anni figlio di Notar Luise d’Amato, il lavorante di scarpe Carmine Conte figlio dello scarparo Pietro, ed un cartaro che risponde al nome di Lorenzo Coppola di 24 anni figlio del fabbricatore Trifone.

Nel Catasto Onciario sono annoverati, infine, sette forastieri abitanti lajci con le rispettive provenienze, che rispondono ai nomi di: Aniello di Guido della Città di Vico Equense di 54, Andrea Cioffo della Città di Minori di 35 anni, Benedetto Oliva della Città di Scala di 40, Domenico Rella della Città di Nocera de’ Pagani di 44 anni, Magnifico Domenico Sasso Padrizio della Città di Scala di 66 anni, Giuseppe Guidone della Città di Vico Equense di 64 anni, Giovanni Manso del quondam Ambrogio della Città di Scala di 40 anni, Gaspare Pirozzi della Città di Nocera de’ Pagani di 25 anni, Michele Buonocore della Città di Vico Equense di 37 anni, Nicola Schiavo della Terra di Tramonti di 35 anni, Nicola Vitolo della Città di Nocera de’ Pagani di 42 anni, Paolo Imparato della Città di Scala di 66 anni e Salvadore Imparato della Città di Scala di 48 anni. …

Description

DALLA PRESENTAZIONE DEL DOTT.SALVATORE AMATO

Nel 2013, in occasione del Convegno di Studi: “Ravello nel Settecento: Chiesa, Società, Istituzioni”, organizzato dall’Associazione per le Attività Culturali del Duomo di Ravello, Fabio Paolucci offriva un primo contributo d’insieme sugli aspetti socio-economici del territorio ravellese rivelati dallo studio del catasto onciario del 1755.
Invero, l’accenno alla riforma attuata da Carlo III e al suo utilizzo come fonte storica relativamente al territorio della Costa d’Amalfi si riscontrano già dalla seconda metà del XIX secolo nelle opere di eruditi locali, a partire da quella che Filippo Cerasuoli dedicava alla Città di Majori.
Nel definire gli incarichi che il Sindaco dell’Università distribuiva tra gli eletti, annoverava anche quello della formazione del catasto, in ordine alla predisposizione di bandi, ordini, inviti, processi verbali, fedi e attestazioni varie. In nota, poi, chiariva meglio la funzione dello strumento di rilevazione fiscale in questi termini: «Esiste tuttora il catasto del 1754, che dicevasi pure onciario, perché tassava per oncie (moneta) l’imponibile daziario: il quale catasto è un complesso, non tanto dello stretto suo significato, quanto del più esatto censimento, della più precisa statistica, e quasi un registro ipotecario ancora».
Dopo alcuni anni, Matteo Camera, nel secondo volume delle Memorie storico-diplomatiche dell’antica Città e Ducato di Amalfi, ritornava sul catasto carolino, facendone menzione non solo in un “succinto ragguaglio” relativo all’imposizione del focatico, ma soprattutto nella narrazione delle vicende generali del Regno di Napoli nel corso del XVIII secolo. Infine, l’onciario veniva utilizzato dallo storico amalfitano a proposito del patrimonio boschivo del Comune di Scala, tassato nel 1754 «per annui ducati dugento e per legnami e carboni».
Bisognerà, tuttavia, aspettare la metà degli anni Sessanta del Novecento perché il catasto onciario cominciasse a divenire un osservatorio privilegiato per la ricostruzione di alcuni particolari momenti della Costa d’Amalfi nel Settecento. Fu, appunto, un fortunato saggio di Franca Assante, La ricchezza di Amalfi nel Settecento, ad avviare un sistematico utilizzo del catasto per la definizione delle vicende demografiche e sociali, per l’individuazione delle categorie professionali e delle attività industriali del capoluogo costiero.
Dopo alcuni anni, Marina Azzinnari e Rossana Spadaccini, in occasione dell’incontro di studi sulla Costa d’Amalfi nel XVIII secolo, offrivano un contributo sulle fonti documentarie conservate presso l’Archivio di Stato di Napoli, indicando gli oltre cento volumi catastali relativi alle Comunità della Costiera come sicura miniera di informazioni: dalla composizione sociale e istituzionale degli abitati alle attività commerciali e manifatturiere.
In tempi più recenti, la fonte catastale è stata utilizzata anche per ricerche di indirizzo storico – architettonico, come quelle condotte da Vincenzo Sebastiano per il complesso di San Cataldo in Scala o da Giuseppe Fiengo e Saverio Carillo per il palazzo Rufolo di Ravello.
All’importanza dell’onciario per la storia del paesaggio e dell’urbanistica dedica un rapido cenno anche Antonio Ferrara, nell’articolo dedicato alla località ravellese di Sambuco, collocata nell’alta valle del Reghinna Minor.
Infine, il rinato interesse scientifico e professionale per le ricerche di storia familiare e nobiliare ha permesso al catasto onciario e, soprattutto, agli atti preparatori, di attestarsi – ha scritto Renata Pilati – «come potente indicatore di numerosi fattori intersecantisi che definiscono la consistenza della popolazione, la composizione del nucleo familiare e, all’interno di questo, strategie matrimoniali, stratificazioni sociali, per qualche aspetto forme di ereditarietà e mentalità degli individui gruppi».
Su questo aspetto i catasti preonciario (1646) e onciario (1755) di Ravello sono stati utilizzati recentemente da Angelandrea Casale e Vincenzo Amorosi per ricostruire le vicende dei nuclei familiari nobiliari appartenenti al Seggio cittadino.
Mancava, però, per Ravello, come ancora per altri Comuni del territorio, un contributo che indagasse finalmente in maniera sistematica i processi formativi del catasto carolino con le connesse dinamiche demografiche e socio-economiche.
Le tessere di questo composito mosaico vengono oggi ricomposte da Fabio Paolucci, che al catasto ha dedicato finora un ragguardevole numero di pubblicazioni, arricchite in appendice dalla paziente trascrizione della documentazione.
Nelle pagine dell’onciario ravellese del 1755 si riflette la vita sociale, economica, la prassi giuridica, i rapporti tra la società e la Chiesa di una realtà rurale e orgogliosamente urbana del Settecento meridionale. Di essa, come meglio dirà in questo volume Luigi Buonocore, sono ben definiti gli elementi tipici del paesaggio agrario, nel quale primeggiava la coltura della vite, insieme all’olivo, al fico, al pero, al melo e al carrubo, che volgarmente era conosciuto con il nome di soscella.
Una realtà che non riusciva, però, a nascondere le difficoltà di una situazione economica radicalmente modificata, coincidente con la decadenza di alcuni settori che erano stati il fiore all’occhiello non solo in ambito regnicolo.
Per tale motivo, all’esito della formazione del catasto, il governo dell’Università ravellese, riunito in parlamento il 14 settembre 1755, supplicava la «Real Clemenza della maestà del Re nostro Signore» di dispensarla dal pagamento dell’onciario, perché «per essere situata e posta sopra un monte sterile ed infruttuoso, tanto che i territori sono di poco anzi di niuna rendita, e che i poveri cittadini per ricavare il loro vitto e sostentamento, altro ricapido non hanno che le sole spalle sulle quali a forza di sudore asportano legname e quanto occorre in essa città alle marine per vivere a giornata».
Molti restano ancora gli aspetti da considerare sul Catasto onciario ravellese del 1755, essendo davvero sterminate le informazioni che offre alla riflessione degli studiosi di oggi.
Se tante sono le suggestioni stimolate dallo studio di questa fonte insostituibile, dobbiamo essere grati a Fabio Paolucci per avercelo nuovamente ricordato, magari con l’accorata esortazione di un collega riferita in anni lontani da Augusto Placanica: «Catasti! Catasti, ma andate a studiare i catasti!».

Dott. Salvatore Amato

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Paolucci

Editore

ABE Napoli

Recensioni

Recensioni

Non ci sono ancora recensioni.

Only logged in customers who have purchased this product may leave a review.

Editorial Review

Un breve cenno dell'Autore dott.Fabio Paolucci

 

....ACCONCIAJOCO (una famiglia) - Antica casata nobiliare ravellese, ebbe come maggiori esponenti Alberigo, giudice per l’imperatore Federico ll e Nicola Accongiajoco, che con gli altri Ravellesi Tommaso Coppola , Alessandro d’Afflitto, Nicolò Freccia, Andrea Bonito, Matteo Rufolo, Giannizzo di Palma, Angelo Pironti e Nicola Confalone, partecipò nel dare in mutuo mille once d’oro a re Carlo I d’Angiò, il quale diede loro in pegno la real corona ingemmata. Gli Acconciajoco, con i Rufolo, erano i provveditori del Real Palazzo ed un Henrico Acconciaioco di Ravello, dottore di legge, fu giudice delle cause di appellatione del Regno, per comandamento della regina Giovanna II: compilò i riti della Gran Corte di Vicaria. Gli Acconciajoco furono baroni di Castrignano nel 1343 e godettero nobiltà anche in Bari, Barletta e Monopoli. Il ramo principale di Ravello, fu compreso nel diploma di esenzione a prò della nobiltà locale della regina Giovanna II del 1419. Nel Catasto Onciario del 1755 risulta solo una famiglia contadina, rappresentata dal bracciale Michele Acconciajoco di 45 anni che possiede la casa ove abita nel luogo di Torello con la moglie Angiola Prota di 38 anni ed i figli Saverio Acconciajoco di 15 anni, Stefano di 8 anni, Carmine di 2 anni, Mari’Anna in capillis di 17 anni, Santa di 5 anni e Barbara di 4 anni, e con il fratello Onofrio Acconciajoco di 40 anni anch’egli bracciale sposato con Teresa Paulillo d’Atrani di 36 anni e padre di Gaetano di 7 anni, Giuseppe di 5 anni, Cristina di 10 anni e Maria di 4 anni.....

....

AMATRUDA (1) - Cognome tipico della Costiera Amalfitana, più diffuso ad Amalfi, Tramonti, Castellammare di Stabia, Agerola, Maiori, Salerno, Minori e Pagani, deriverebbe dal nome femminile longobardo Amatruda, attestato nel Codex Cavensis nell’anno 897, poi cognominizzato in senso matronimico.

AMENDOLA (1) - Tipico campano della fascia costiera salernitana e napoletana, ma con ceppi presenti anche nel Lazio a Roma e in Calabria nelle province di Catanzaro e Cosenza, diffuso maggiormente a Salerno e a Napoli nonché nei Comuni di Amalfi, Pagani, Castellammare di Stabia, Ercolano e Gragnano, ha alla base il termine dialettale mendola - o amendola - che risale al tardo latino amendula, a sua volta derivato dal latino classico amygdala, con il significato di “mandorla”. Una seconda ipotesi, meno attendibile, ricondurrebbe il cognome al toponimo Amendolara, in provincia di Cosenza. Personaggio illustre tra i ceppi familiari campani fu Giovanni Amendola (Salerno, 15 aprile 1882 - Cannes, 7 aprile 1926), di famiglia piccolo-borghese originaria di Sarno, docente universitario, giornalista e uomo politico che fu barbaramente pestato ed ucciso da una squadriglia fascista8..  Cognome tipicamente campano, è maggiormente diffuso nei Comuni di Sant’Antonio Abate, Cave de’ Tirreni, Agerola, Napoli, Salerno, Angri, Scafati, Castellammare di Staba, Lettere e Pozzuoli. Dal punto di vista etimologico, dovrebbe derivare dalla cognominizzazione del nome del capostipite Battimello, personale medievale composto da Batti (Battista) e Mello (Carmelo). Nel catasto onciario sono registrate le famiglie del bastaso Nicola Battimelli di 65 anni, che vive nel luogo di Santo Martino, e quella di Maria d’Amato di 39 anni vedova di Pasquale Battimelli. Il cognome risultava all’epoca più frequente a Scala.

BUONOCORE (3) - Caratteristico campano, tipico del Napoletano e del Salernitano, Buonocore deriverebbe dalla cognominizzazione in senso patronimico del nome del capostipite Buonocore, formato da “Buono” e “Core”, da cuore, e quindi con il significato augurale di “buono di cuore”, “dal cuore buono”. Nel 1755 le famiglie Buonocore sono tre, rappresentate dai ravellesi Giuseppe, bracciale di 48 anni che abita nel Vescovado, e Nicola, bracciale convalescente ed inabbile di 70 anni che vive nel luogo detto Casa Coppola, nonché dal forestiero abitante laico Michele Buonocore di 37 anni, trasferitosi a Ravello dalla Città di Vico Equense.

CARRANO (1) -  Cognome registrato a macchia di leopardo in tutta la Penisola, maggiormente diffuso al Settentrione ma con larga concentrazione anche in Campania nelle aree del Salernitano e del Napoletano, deriverebbe dal toponimo Casa Nova, ovvero Casa Nuova, da cui il capostipite avrebbe preso il cognome per indicarne la provenienza. Alla base vi sarebbe, dunque, il nome di una località o di un particolare fabbricato10.

CASCONE (1) - Tipico campano, maggiormente diffuso nei Comuni di Castellammare di Stabia, Pompei, Gragnano, Scafati, Santa Maria La Carità, Napoli, Pagani, Angri, Torre Annunziata, Sant’Antonio Abate e Casola di Napoli, deriverebbe dal termine di origine spagnola “casco”, sorta di elmo a calotta tonda usato dai fanti in guerra e dalle guardie, probabilmente ad indicare che i capostipiti fossero guardie, soldati o scolte. ... Attualmente diffuso nella forma pluralizzata Cioffi e ampiamente radicato in tutte le province campane, il cognome presenta picchi di maggiore diffusione nei Comuni di Napoli, Vico Equense, Cervinara, Maddaloni, Salerno, San Felice a Cancello, Ravello, Caserta, Santa Maria a Vico, Sarno, Castellammare di Stabia e San Cipriano Picentino. Tale forma cognominale ha avuto origine con la cognominizzazione in senso patronimico del personale medievale Cioffo o Ciofo (Ciofus), documentato già nel 1126 a Caivano con un Ciofus de Sancto Arcangelo11. Nel 1755 a Ravello è registrato tra i forestieri laici abitanti Andrea Cioffo della Città di Minori di 35 anni.

CONFALONE (1) - Antica casata nobiliare, era ascritta al Sedile di Ravello e a quello di Scala e godette di nobiltà anche a Palermo. Nicola Confalone fu tra i mutuatori delle mille once d’oro date a re Carlo I e un Giovanni Battista fu avvocato celebre del Real Patrimonio e poi presidente della Regia Camera della Sommaria nell’anno 1647. Alessandro suo figlio fu giudice di Vicaria ed avvocato fiscale. Ferdinando fu vescovo di Nicastro nel 1647. Carlo fu cavaliere di Malta e luogotenente di Capitanata, decorato con il titolo di Marchese di Petina.... Cognome panitaliano, ovvero ampiamente diffuso in tutto il territorio nazionale, ha alla base il nome medievale Conte, formato attraverso titoli e nomi di dignità e di carica e più spesso soprannomi, da “conte”, che continua il latino comes, comitis, col significato di “compagno di viaggio” e poi di “alto funzionario al seguito dell’imperatore. Nel Medioevo “conte” assunse anche altri significati, e specialmente quello di alto dignitario investito dal re o dall’imperatore di poteri vari, e preposto a una contea, quindi signore autonomo e sovrano di contee o altri territori, per diventare infine titolo nobiliare, ma il nome normalmente indicava chi era al servizio di un conte, o comunque ne dipendeva, o continuava soprannomi scherzosi o allusivi12.

COPPOLA (7) - Tra i più diffusi nella Ravello del 1755, Coppola deriverebbe dal soprannome o dal nome di mestiere formato dalla voce italiana coppola, “berretto tondo”. Nella storia di Ravello fu prestigioso il ricchissimo mercante Francesco Coppola ai tempi di re Ferdinando I. I Coppola sono ascritti ai patriziati di Ravello e di Scala, nonché ai sedili napoletani di Portanova e Montagna, al quale ultimo furono reintegrati il 22 dicembre 1577. Nel Catasto Onciario sono registrate soltanto famiglie di umile estrazione sociale: carbonieri, macellari, bracciali e fabricatori sono i capifamiglia Coppola residenti a Ravello nella metà del Settecento, ad eccezione di Don Agostino Coppola di 23 anni che vive del suo civilmente e possiede la casa dove abita nel luogo detto Brusara.

D’ACAMPORA (1) - Cognome attualmente raro, ma prettamente campano, deriva dal toponimo di provenienza della famiglia, Campora di Agerola. Nel Catasto Onciario di Ravello è registrata solo una famiglia d’Acampora, con capofamiglia il bracciale Nicola d’Acampora di 50 anni che possiede la casa ove abita nel luogo di Torello. Molto più diffusa, specialmente nel Napoletano e nel Salernitano, attualmente la forma cognominale Acampora, che continua quella antica d’Acampora.

D’AFFLITTO (2) - Tra le Casate più illustri di Ravello, era ascritta ai Sedili di Scala, Amalfi e Ravello, nonché a quello napoletano di Nido. Secondo la tradizione, la famiglia discenderebbe da Placido, romano, maestro dei cavalieri dell’imperatore Traiano, che fattosi cristiano si diede il nome di Eustachio (dal greco Eustáchios, cioè “che dà buone spighe”) e patì le pene del martirio sotto l’imperatore Adriano, arroventato dentro un bue di bronzo. Il ramo dei d’Afflitto di Ravello ha goduto nobiltà in Lettere, Castellammare, Benevento, Lucera, Bitonto, e Palermo ed ha posseduto più di cinquanta feudi di cui alcuni con titoli di principe, duca, marchese e conte. Si ricordano Leone, doge della repubblica amalfitana (800); Landolfo, consigliere di Ruggiero il Bello (1140); Giorgio, presidente della Regia Camera della Sommaria; Leone, luogotenente del gran camerario e consigliere di Maria di Cipro moglie di re Ladislao; Leonardo, vicario e gran cancelliere del Regno nel 1414; Marino, maestro razionale della Gran Corte e regio consigliere (1422); Lorenzo, giustiziere di Principato Ultra e gran camerario (1472) ; Matteo, regio consigliere, poi presidente della Regia Camera della Sommaria; Filippo e Giovanni Battista, giustizieri rispettivamente nel 1497 e nel 1556; Andrea maestro di campo dell’Imperatore Carlo V; Gregorio, reggente della Regia Camera della Sommaria; e Maria morta in concetto di santità. Vi furono poi Camponello, signore di Reliegaldo e gran maestro dei templari e moltissimi dei cavalieri gerosolimitani....

D’AGOSTINO (1) - Panitaliano, ovvero ampiamente diffuso in tutto il territorio nazionale, è una forma cognominale patronimica con alla base il supernomen latino imperiale Augustus, diffusosi nel mondo romano per essere stato il titolo del primo imperatore Gaius Iulius Caesar Octavianus, nominato Augustus dal Senato nel 27 a.C. Il termine “Augusto” deriverebbe del verbo augeo, che ha in latino il significato di “accrescere”: dunque gli “Augusti”, gli imperatori, erano considerati come coloro che avevano il compito e la capacità di accrescere la ricchezza, il benessere, la floridezza dello Stato, grazie al potere che rivestivano. L’appellativo Augusto vuol dire anche “venerabile” e, soprattutto, “protetto dagli dei”, “consacrato agli àuguri, favorito da buoni auspici”, ricollegandosi all’aggettivo greco sebastòs, col significato di “venerabile”, utilizzato in Oriente per indicare le divinità o i sovrani più importanti, innalzati al grado di teòs dopo la morte. Una seconda ipotesi indurrebbe invece a far derivare il nome, e quindi anche il cognome, dal soprannome “Agosto” o “Agostino”, attribuito nei secoli passati agli infanti venuti alla luce nel mese di agosto. Il nome si diffuse poi nei primi secoli del Cristianesimo grazie al culto di Sant’Agostino (354-430), Padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, autore delle famose Confessioni13.

D’AMATO (19) - Cognome panitaliano, specifico dell’area meridionale della nostra Penisola, è originato dal nome augurale Amato, cognominizzato in senso patronimico e registrato anche nelle varianti Amati e D’Amato, quest’ ultima derivata dall’antica forma cognominale de Amato. Una seconda ipotesi da considerare è la derivazione del cognome, in alcuni casi, dal nome arabo Ahmad, da Muhammad, derivato dal verbo hamida, col significato di “lodare, encomiare”: tale tesi potrebbe meglio adattarsi ai ceppi Amato della Sicilia, la cui conquista islamica iniziò nell’anno 827 d.C. e si concluse nel 965 con la presa di Rometta nel messinese. A Ravello il cognome è documentato fin dal XIII secolo con il notaio Matteo de Amato della frazione di Torello, mentre da un tale Carmino d’Amato - o de Amato -, vivente nella seconda metà del Seicento, discendono tutte le famiglie Amato ravellesi14.....

D’AURIA (2) - Diffuso a macchia di leopardo in tutta Italia, ma maggiormente presente in Campania nei Comuni di Sant’Antonio Abate, Napoli, Castellammare di Stabia, Gragnano, Scafati, Salerno, Santa Maria La Carità, Fisciano, Pomigliano d’Arco, Arzano e Mercato San Severino, deriverebbe dalla cognominizzazione in senso matronimico del nome di persona Auria, dal latino aurea, “d’oro”, personale augurale....

DI FUSCO (1) - Famiglia nobiliare ravellese, ebbe otto vescovi, tra cui Angelotto che fu commendatario di Cava e creato cardinale il 19 marzo 1431 da papa Eugenio IV. Paolo fu vescovo di Ravello dal 1570 al 1578 e poi di Sarno, notissimo per essere stato autore di opere dotte di carattere giuridico ed ecclesiastico. Tra i più noti della casata annoveriamo: Ambrogio, ciambellano di re Carlo III di Durazzo; Antonio, consigliere dello stesso Re; Nicola, signore di Acerno, coppiere anche del medesimo re Carlo, poi Commissario di re Ladislao per le Puglie e Basilicata; Nicola, signore di Valenzano e Monterone, carissimo a re Ladislao del quale fu tesoriere e generale di esercito. Per il suo gran valore e talento fu anche consigliere di Ludovico II d’Angiò e della regina Giovanna II, che esentò cosi lui che i suoi discendenti da ogni qualsiasi imposizione fiscale nel 1417. Vi furono inoltre molti celebri avvocati.

DI GUIDO (2) - Cognome patronimico, ossia derivato dalla cognominizzazione del nome del capostipite Guido, ha alla base il termine gotico-germanico wit(h)o e wido, “legno di bosco o foresta” e, per estensione, “uomo che vive nella selva” o figuratamente “persona o famiglia isolata, lontana”. Nell’Onciario sono registrate due famiglie di Guido: quella del ravellese bracciale Luca di Guido di 37 che anni possiede la casa ove abita nel luogo di Sant’Andrea del Pendolo, e l’altra del forestiero abitante laico Aniello di Guido della Città di Vico Equense di 54 anni, che possiede la casa ove abita dove dicesi Cigliano15.

DI PALMA (5) - Diffuso a macchia di leopardo in tutta Italia, con maggiore concentrazione nelle regioni meridionali ed in particolare in Campania, nel Napoletano e nel Salernitano, trae origine, almeno in Campania, dal toponimo Palma, attuale Palma Campania, e quindi dal luogo di provenienza del ceppo familiare. In altri casi deriva dalla cognominizzazione in senso matronimico del nome femminile Palma, personale Palma, diffusosi in epoca medievale soprattutto grazie al ritorno dei pellegrini dalla Terrasanta che erano soliti portare in patria una palma, appunto, in segno di pace. A Ravello nel 1755 risiedevano cinque famiglie di Palma, i cui capifamiglia Aniello, Andrea, Domenic’Antonio, Domenico e Giovanni erano tutti bracciali, pur essendo menzionato un Giannizzo di Palma tra coloro che diedero in mutuo mille once d’oro a re Carlo I d’Angiò.

DI SOMMA (2) - Cognome campano, maggiormente diffuso nei Comuni di Castellammare di Stabia, Napoli, Torre del Greco, Somma Vesuviana, Gragnano, Marano di Napoli, Pompei, Scafati e Pomigliano d’Arco, deriva dal toponimo Somma, ad indicare l’origine, ovvero la provenienza della famiglia. Nell’Onciario di Ravello sono registrate solo due famiglia con questo cognome, quella del secatore inabbile Giuseppe di Somma A.G.P. (Ave Gratia Plena) di 75 anni, e la famiglia di Maria Coppola vedova di Lorenzo di Somma............

DONNARUMMA (1) - Tipico Campano, diffuso soprattutto nei Comuni di Castellammare di Stabia, Gragnano, Pompei, Pimonte, Scafati e Napoli, deriverebbe dalla cognominizzazione dell’appellativo “Donna” con il nome di persona femminile Rumma, quest’ultimo originato dalla dialettizzazione del personale Domenica (Rummeneca, da cui Rumma)16.

FALCONE (1) - Patronimico, deriva dalla cognominizzazione del nome di persona medievale Falcone. Un esempio illustre dell’antica pratica di attribuire questo personale in area campana è offerto dal famoso Falcone Beneventano (1070 circa - 1144 circa), storico longobardo, notaio e giudice, autore del Chronicon Beneventanum17.

FRAULO (6) - Tipico di Ravello, attualmente maggiormente diffuso a Minori, Napoli, Mercato San Severino, Salerno, Casalnuovo di Napoli, Pozzuoli, Pompei, Eboli, Roccapiemonte, Sorrento e Tramonti, sembrerebbe originato dal soprannome dialettale Fravulo o Fraulo, da “fragola”.

GAMBARDELLA (4) - Tipico del Napoletano e del Salernitano della fascia costiera, e specialmente diffuso nei Comuni di Napoli, Nocera Inferiore, Amalfi, Salerno, Castellammare di Stabia, Pozzuoli, Pagani, Cava de’ Tirreni, Minori, Sorrento, Bacoli e Gragnano, trae origine dal soprannome e nome di persona medievale Gambardello, con alla base il termine “gamba”. Più probabilmente, si po’ ipotizzare un’origine longobarda dal nome di persona femminile Gambara, divenuto poi Gambardella.

GALLO (1) - Patronimico, è originato da Gallo, nome documentato in Italia con alta frequenza già a partire dall’VIII secolo. Deriva da un soprannome scherzoso o polemico nell’accezione di “gallo, pollo”, oppure dall’etnico Gallo, ossia “abitante, oriundo della Gallia”: il soprannome esisteva già in tutti e due i valori semantici in epoca romana, con il cognomen Gallus18..............

GAROFALO (1) - Di origine medievale, dal nome di persona Garofalo, è documentato sin dal Medioevo nella forma Garofalus, attestato in Liguria nel 1157, come Carofalus in Puglia nel 1273. È originato dal greco karyòphillon e dal latino caryophyllon, con il significato di “noce” o “frutto con foglia” 19.

GIORDANO (1) - Largamente diffuso in tutta Italia, deriva dal personale medievale Giordanus, già documentato in iscrizioni latine cristiane del II e III secolo come Iordanus e Iordanes: il nome, dall’aramaico Yurdenah ed ebraico Yarden (col significato di “fiume a due bracci”) si diffuse in Europa nell’XI secolo per effetto delle crociate in Terrasanta, essendo il nome del fiume Giordano della Palestina dove fu battezzato Cristo20.

GUERRASIO (6) - Tipico campano, maggiormente diffuso a Mercato San Severino, Roccapiemonte, Salerno, Scafati, Nocera Superiore, Forino, Scafati e Bellizzi, ha alla base il soprannome o appellativo Guerra, formato da “guerra” con motivazioni varie (già nel XII secolo troviamo le forme Guerra, Guerraccius e Guerresius) o derivato, come ipocoristico abbreviato, da nomi composti con “guerra” come ad esempio “Vinciguerra” 21...........

GUIDONE (1) - Diffuso a macchia di leopardo a Sud Italia ma con maggiore concentrazione nella fascia costiera tra Napoletano e Salernitano, deriva dalla cognominizzaione in senso patronimico del personale Guidone, nome del capostipite del ceppo familiare. Il nome è attestato in epoca medievale nelle forme Wido e Wito, nel VII secolo, e diventa comune tra l’XI e il XII secolo. Il termine germanico widu, “legno, bosco”, è alla base del nome. A Ravello, nel 1755, è attestata la presenza del forestiero abitante laico Giuseppe Guidone della Città di Vico Equense di 64 anni, che possiede la casa dove abita nel luogo detto Sambuco.

IMPARATO (3) - Cognome tipicamente campano, diffuso principalmente nei Comuni di Napoli, Castellammare di Stabia, Salerno, Gragnano, Torre del Greco, Pimonte, San Giorgio a Cremano, Cicciano, Casoria e Caserta, trarrebbe origine dal personale o soprannome Imparato, cognominizzato in senso patronimico. Nel Catasto Onciario di Ravello sono registrate tre famiglie Imparato, solo una delle quali è ravellese, e cioè quella rappresentata dal Magnifico Notar Liborio Imparato di 39 anni che risiede nel luogo di Sant’Aniello, mentre le altre due famiglie sono forestiere, con capifamiglia Paolo e Salvadore Imparato, entrambi della Città di Scala.

INFANTE (1) - Infante è tipico delle città di Napoli e Salerno, ma è diffuso capillarmente in tutto il territorio campano, mentre la sua variante Linfante è rara, in quanto risulta registrata solo nei Comuni di Sala Consilina, Casalnuovo di Napoli, Torre Orsaia, Napoli, Cerreto Sannita, Roccagloriosa e San Lupo. Dal punto di vista etimologico, deriva dalla cognominizzazione del termine “infante”, dal latino infans, col significato originario di “muto, che non può parlare”, quindi di “neonato, pargolo in tenera età” 22.

LAMBERTI (1) - Cognominizzazione in senso patronimico del personale Lamberto, deriva dal nome germanico di tradizione francone Lamberto, con il significato originario di “illustre nel proprio paese”, essendo formato dai termini landa (“territorio, paese”) e bertha, (“splendente, illustre”). Il cognome è diffuso in Campania principalmente nei Comuni di Cava de’ Tirreni, Salerno, Napoli, Nocera Superiore, Nocera Inferiore, Orta di Atella nel Casertano e Pontecagnano Faiano23.

LO PRIORE (1) - Registrato in Campania nella forma Lo Priore soltanto nei Comuni di Mirabella Eclano, Fontanarosa, Mercogliano, Sant’Angelo, Bisaccia, Napoli, Calitri e Taurasi, è più frequente nelle forme Priore, largamente diffuso a Napoli e centri limitrofi nonché nel vallo di Diano nella provincia meridionale di Salerno, a Polla e Sala Consilina e Del Priore, tipico di Sant’Angelo dei Lombardi, Guardia Lombarda ed Avellino ma presente anche a Battipaglia e Salerno. Deriva dalla cognominizzazione del soprannome priore, attribuito al capostipite del ceppo familiare...........

MANDUCA (1) - Diffuso per piccoli ceppi in Campania, Calabria e Sicilia e a macchia di leopardo nel resto d’Italia per effetto dell’emigrazione dal Sud, ha alla radice il termine greco mantic, “indovino”. Il soprannome si sarebbe poi cognominizzato nelle forme Mantica, Manti, Manduca e Mangiola24.

MANSO (51) - Cognome tipico di Scala e Ravello, ma diffuso anche a Minori, Salerno, Napoli, Maiori, Amalfi, Scafati, Pagani e altri centri campani, sopravvive oggi nella forma pluralizzata Mansi. Il cognome deriverebbe da Manso o Manzo, nome longobardo che si trova anche in forme composte come ad esempio Mansoaldo. All’epoca del Catasto Onciario del 1755, era il cognome più diffuso a Ravello, contando ben 51 nuclei familiari con tale patronimico.

MOSCA (5) - Tra i più comuni nella Ravello del Settecento, ben cinque capifamiglia avevano questo cognome. Tutte famiglie di lavoratori: il marinaro Cristofaro di 50 anni, il serviente della Regia Corte Francesco di 62 anni, il tessitore di tela Giuseppe di 66 anni, il bracciale Giovanni di 50 anni e la famiglia di Teresa Fraulo vedova di Giovanni Mosca. Il cognome è attualmente panitaliano, ovvero largamente diffuso in tutta Italia, con maggiore concentrazione in Lombardia, Piemonte e Campania, e deriverebbe dal soprannome “Mosca” attribuito al capostipite. Un suo derivato campano è il cognome Moscariello.

OLIVA (1) - Attestato nel Catasto Onciario del 1755 solo per la famiglia del forestiero abitante laico Benedetto Oliva della Città di Scala di 40 anni che abita in casa del Convento di San Francesco, è un cognome panitaliano largamente diffuso al Nord in Liguria, Piemonte e Lombardia, al Centro nel Lazio e nelle Marche, e al Sud in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Alla base avrebbe il soprannome “Oliva”, attribuito al capostipite per specifiche caratteristiche fisiche o per il mestiere di coltivatore di oliveti.

PALUMBO (3) - Cognome panitaliano, ma più diffuso in Campania, trae origine dal soprannome e nome medievale Palumbo, forma dialettale del termine “colombo”. In alcune regioni, in passato, tale cognome, così come Colombo, veniva attribuito agli infanti proiett...................., ovvero ai bambini abbandonati presso le ruote degli esposti o brefotrofi. I capifamiglia con questo cognome nella Ravello del 1755 sono: il bracciale Giovanni di 60 anni, il marinaro Mattia di 42 anni e il bracciale Pantaleone di 50 anni.

PARACUOLLO (1) - Attestato nel Catasto onciario di Ravello del 1755 solo per la famiglia del bracciale Alessandro Paracuollo di 65 anni che abita in casa di Pantaleone Gambardella pagandone carlini 20 d’affitto, è un cognome prettamente campano, presente oggi solo nei Comuni di Napoli, San Giorgio a Cremano, Casalnuovo di Napoli, Ercolano, Sant’Anastasia, Cercola, Pollena Trocchia, Ottaviano, San Marco Evangelista, Mondragone e Salerno. La forma cognominale trae origine dal soprannome “paracuollo”, tipo di indumento indossato, come una sciarpa, per riparare il collo dalle basse temperature e dall’umidità.

PEPE (4) - Cognome panitaliano, ma maggiormente registrato nelle regioni meridionali e specialmente in Campania, deriverebbe dal soprannome “Pepe” attribuito al capostipite in relazione a caratteristiche fisiche o fatti riconducibili alla sua persona, come il mestiere di produttore di pepe. Nell’Onciario di Ravello le famiglie Pepe sono quattro e sono rappresentate dai tre bastasi, ossia facchini, Giovanni di 52 anni, Matteo di 55 anni e Simone di 30 anni, e dalla vergine in capillis Anna di 40 anni figlia del quondam Pietro Pepe.

PIROZZI (1) - Tipico campano, dell’area del Napoletano, trae origine dalla cognominizzazione in senso patronimico del nome Piero, divenuto Pierozzo e poi Pirozzo, pluralizzato nella forma cognominale Pirozzi. Nell’Onciario ravellese è registrata la famiglia del forestiero abitante laico Gaspare Pirozzi di 25 anni, trasferitosi a Ravello dalla Città di Nocera de’ Pagani.

PISACANE (1) - Cognome registrato per un solo nucleo familiare di estrazione altoborghese, ha come capofamiglia il Magnifico Nicola Pisacane di 45 anni vivente del suo, che non ha quindi motivo di lavorare per le cospicue sostanze familiari in suo possesso. Il cognome è prettamente campano, diffuso nelle aree del Salernitano e del Napoletano, e deriva dalla cognominizzazione del soprannome Pisacane, formato da “Pisa” e “Cane”..............

PISANI/PISANO (4) - Attestato nel Catasto Onciario del 1755 sia nella forma singolare Pisano che in quella pluralizzata Pisani, deriva dall’etnico “pisano”, ovvero “proveniente dalla città di Pisa”. Oggi il cognome è registrato maggiormente nelle regioni settentrionali e meridionali, mentre è diffuso a macchia di leopardo in Italia centrale. Le famiglie ravellesi Pisano nell’Onciario sono rappresentate da: il mastro sartore Matteo di 31 anni, Francesca Manso di 50 anni vedova del quondam Giovanni Pisano, e i due forestieri abitanti laici Ignazio e Matteo Angelo, entrambi provenienti dalla Terra di Atrani.

POLVERINO (2) - Registrato nel Catasto Onciario per le sole famiglie dei bracciali Giuseppe Polverino di 50 anni ed Onofrio Polverino di 60 anni, è un cognome caratteristico campano delle aree del Napoletano e del Salernitano. Deriva dal soprannome, poi cognominizzato in senso patronimico, Polverino, che ha alla base il termine “polvere”.

PROTA (5) - Tipico cognome campano, specifico del Napoletano, era rappresentato da ben cinque famiglie nel Catasto Onciario di Ravello del 1755. La forma cognominale deriverebbe dal nome di persona medievale Proto, cognominizzato in senso patronimico, o da un soprannome derivato da una carica pubblica, come ad esempio il protonotaro, magistratura già esistente nella prima età normanna, preposta al controllo dei notai addetti alla redazione degli atti della cancelleria regia. La forma femminile del cognome indurrebbe a corroborare la prima ipotesi formulata di origine del cognome come matronimico.

RELLA (1) - Diffuso a macchia di leopardo in tutta la penisola italiana, con maggiore concentrazione in Puglia nel Barlettano, nel Barese e nel Leccese, è attestato nel Catasto Onciario di Ravello del 1755 per la famiglia del forestiero abitante laico Domenico Rella di 44 anni proveniente dalla Città di Nocera de’ Pagani. Il cognome trarrebbe origine dal matronimico Rella, derivato da nomi femminili come Bertarella, Claffarella, Brerella, di origine longobarda . Lorenzo Risi di 55 anni, ricco prelato, trarrebbe origine da patronimici longobardi come Galderisio, Alderisio, Maurisio o semplicemente Risio, suffisso patronimico -isio, tipicamente meridionale divenuto personale25.

RUSSO (3) - Tipico meridionale, deriverebbe dal soprannome cognominizzato “rosso/russo”, in riferimento al colore dei capelli o alla discendenza da stirpe barbara, unna o normanna. Una leggenda amalfitana fa derivare il ceppo dei Russo da un mercante di nome Rubeis o Rubeo, vissuto nel IV secolo d.C. e capostipite di una ricca e nobile discendenza. Il cognome è registrato, nei documenti più antichi, anche nelle forme De Rubeo, De Rubeis, Dello Russo e Lo Russo26.

SAMMARCO (3) - Documentato per quattro famiglie nel Catasto Onciario di Ravello, deriverebbe dal toponimo di provenienza della famiglia o da un soprannome, cognominizzato. Le famiglie sono rappresentate dai capifamiglia Giuseppe, bracciale di 40 anni, Pantaleone, tessitore di tela di 38 anni, e Rosa Manso di 65 anni vedova di Felice Sammarco. Il cognome, di origine meridionale, è attualmente diffuso a macchia di leopardo e specialmente in Campania, Puglia, Calabria, Lazio, Piemonte e Lombardia.  Cognome attualmente raro e presente in Campania solo a Caserta e a Salerno, deriverebbe dal mestiere di sensale, o nella forma dialettale “sansale”, mediatore negli acquisti di case, di bestiame e anche in matrimoni che venivano combinati. L’unico Sanso registrato nel Catasto Onciario di Ravello è Nicola Sanso di 61 anni, che possiede la casa ove abita con orto di proprio uso nel luogo di Sant’Andrea del Pendolo ed e servidore nella casa del Magnifico Don Paolo Confalone.

SASSO (2) - Ramo della celebre famiglia patrizia omonima originaria di Scala che si trasferì a Ravello e ivi fu ascritto al Sedile del patrizio locale, fu detto del Cardinale, da Lucio, fra i personaggi celebri di questa casata, nel XVI secolo vescovo di Ripa e datario della Corte Pontificia, creato nel 1592 cardinale dal titolo dei SS. Quirico e Giuditta. Nell’Onciario è censita anche la Magnifica Donna Isabella Sasso del Verme vedova del fu Don Pietro di Fusco Padrizio di questa Città di Ravello di 34 anni, che possiede la casa palaziata ove abita nel luogo appellato Cimbrone.

SAVO (1) - Attestato nel Catasto Onciario del 1755 per un’unica famiglia benestante locale, è rappresentato dal Magnifico Domenico Savo vivente del suo di 32 anni, che possiede la casa ove abita con piazzette di terra di proprio uso nel luogo di Gradillo. Il cognome è diffuso in Campania principalmente ad Amalfi, Salerno, Atrani, Ascea, Nocera Superiore, Battipaglia, San Giorgio a Cremano, Nocera Inferiore, Montesano Sulla Marcellana, Maiori e Minori e deriverebbe dalla cognominizzazione in senso patronimico del personale medievale Savo.

SCHIAVO (2) - Diffuso a macchia di leopardo in tutta Italia, con maggiore concentrazione in Veneto e in Campania, deriva dal soprannome cognominizzato “schiavo”. Nell’Onciario ravellese sono registrate le famiglie di Sabbatella Manso di 70 anni vedova di Pietro Schiavo e dimorante in Minori e quella del forestiero abitante laico Nicola Schiavo di 35 anni proveniente dalla Terra di Tramonti.

STAJANO (1) - Tipico campano, delle aree costiere del Napoletano e del Salernitano, attualmente attestato nella forma Staiano, deriverebbe dal mestiere di produttore di “staji”, recipienti utilizzati per cereali. Il nome deriva appunto da staio o stajo (al plurale staia o staja) antica unità di misura di capacità tradizionale per cereali ed aridi.

TROTTA (1) - Cognome panitaliano, ovvero ampiamente diffuso in tutto il territorio nazionale, in questo caso ad eccezione della Sicilia, deriverebbe dal soprannome “trotta”, da trota.  Cognome prettamente campano, deriva dalla cognominizzazione in senso patronimico del personale Vitolo, che ha a sua volta alla base il nome latino Vitulus, già attestato in epoca romana con Quintus Voconius Vitulus, magistrato monetario il cui nome è riportato sul verso di un denario datato al 40 a.C. circa27.

Altri cognomi sono registrati nel Catasto Onciario tra i forastieri non abbitanti laici (bonatenenti), sia abitanti laici che non abitanti in Ravello. Questi sono: Manso di Minori, Romano di Scala, Prota di Atrani, Gambardella di Atrani, Falcone di Scala, Brandi di Minori, Manso di Scala, Russo di Minori, Apicella di Minori, Criscuolo di Scala, Bonito di Minori, Mezzacapo nobili di Maiori, di Lieto di Atrani, d’Amato di Minori, Camera di Minori, Colonnese di Atrani, Iannelli di Minori, Pisano di Atrani, Russo di Minori, Esposito di Atrani, Cretella di Atrani, Sparano di Tramonti, Mandina di Scala, Battimelli di Vietri, Camera di Atrani, Battimelli di Scala, di Lieto di Napoli, Amodio di Pogerola, Palumbo di Minori, Pepe di Minori, Albino di Scala, della Corte di Cava, Colavolpe di Amalfi, Pepe di Maiori, Coppola di Sorrento, Manso di Vietri, di Fusco di Napoli, Frezza di Napoli, Amendola di Napoli, Cacace di Napoli, Coppola di Scala, Aurisicchio di Atrani, Bonito di Amalfi, Confalone di Maiori, Manso di Napoli, Infante di Vietri, Abramo di Napoli, Iovene di Atrani, Pandolfo di Scala, d’Afflitto di Scala, d’Agostino di Napoli, Curci di Salerno, Apicella di Minori, Iannelli di Minori, Criscuolo di Napoli, Fraulo di Minori, Cioffo di Minori, Pentangiolo di Lettere, Milano di Nocera de’ Pagani, della Camera di Napoli, Muscettola di Napoli, Cappuccio di San Mango, marchese Garofalo, Castellano di Napoli, d’Amato di Scala, della Camera di Vietri, Capezza di Tramonti, Durazzo di Scala, Oliva di Scala, Cioffo di Vico Equenze e Brandi di Scala.

Attualmente, a Ravello sono registrati gli stessi cognomi presenti nel Catasto Onciario, con l’aggiunta dei seguenti: Amalfitano, Amatruda, Amatucci, Amodio, Amorelli, Anastasio, Andresini, Angelico, Apicella, Aurioso, Barbaro, Bellogrado, Bonaventura, Bottone, Budetta, Califano, Camera, Cantarella, Cantilena, Capobianco, Capone, Cappotto, Cappuccio, Carotenuto, Cataldo, Cau, Cernicchiaro, Cerullo, Cestaro, Chinigo, Cicalese, Cioffi, Cirella, Civale, Cobalto, Colonna, Correale, Criscuolo, Cuomo, Dattero, De Crescenzo, De Falco, De Ieso, De Iuliis, Della Monica, Della Pietra, Del Pizzo, Del Verme, De Rosa, De Vivo, Di Costanzo, Di Lauro, Di Lieto, Di Martino, Di Natale, Di Riso, Dumas, Dunn Jo, Esposito, Ferrara, Ferrigno, Filocamo, Fiore, Fiorenza, Fortezza, Fortunati, Fortunato, Foti, Francese, Gallo, Gargano, Gennaro, Giordano, Giusti, Gravina, Greco, Harris, Imperato (da Imparato), Langella, Lauritano, Leone, Leopardo, Liguori, Lima, Loffredo, Lucibello, Malafronte, Mandorlo, Mansi (da Manso), Marcellino, Mazza, Migliaccio, Minutolo, Miranda, Mirra, Molisse, Montagna, Mostacciuolo, Nolli, Orlando, Pacileo, Pagano, Pandolfi, Paolillo, Pasayous, Pejrot, Perillo, Petriello, Pinto, Proto (da Prota), Rispoli, Riva, Romano, Ruocco, Sansone, Sbozza, Scala, Schillaci, Scognamillo, Serretiello, Sgrosso, Sisalli, Somma (da di Somma), Sommariva, Sorrentino, Squillante, Stasio, Supino, Tajani, Terracciano, Torre, Vicedomini, Villani, Violante, Vitagliano, Vitale, Vitiello, Vuilleumier, White e Zappia, per lo più cognomi di villeggianti stranieri che hanno preso dimora a Ravello.

I cognomi Accomìnciaioco, Battimelli, Confalone, d’Acampora (rimasto nella forma Acampora), d’Afflitto, di Guido, Falcone (oggi presente a Scala), Garofalo, Guerrasio, Infante, Lamberti, Lo Priore, Manduca, Paracuollo, Pepe, Polverino, Sanso, Savo (attualmente registrato ad Atrani) e Trotta risultano oggi estinti in loco.

4. I luoghi di Ravello nel Catasto Onciario

Negli atti preliminari, nelle rivele, negli apprezzi e negli squarciafogli di campagna dei Catasti Onciari sono riportate le denominazioni dei quartieri abitati e delle località di campagna. Alcuni di questi toponimi sono rimasti fino ad oggi, ma è giusto riportare le antiche denominazioni dei territori di Ravello così come registrate nelle rivele del suo Catasto Onciario.
Per i quartieri abitati, vi sono:
l’Annunciata, Belvedere, il Borgo di Sant’Adjutorio presso la Piazza publica, Brusara, Brusara seu Casone, lo Monte di Brusara, Casa Bonnola, Casa Coppola, Casa d’Agostino, Casa di Lieto / Casa di Lieto, vicino San Trifone, Casa di Rosa, Casa Fenice, Casa Fraulo nel luogo di Torello, Casa Marciano, Casa Mola / Sant’Andrea ove dicesi Casa Mola, Casa Nastro, Casa Parere, Casa Pepe, Casa Rossa, Casa Rufolo, Casa Scannapieco, Casa Totano, Vicino Civita, Fiume, Gradillo, Lacco, le Lenze, lo Monte di Sopra, lo Pertuso, Piazza publica, Ponticeto, Porta del Lacco, Portadonica, Sant’Agostino, Sotto Sant’Agostino, Sant’Andrea del Pendolo / lo Quartiero di Sant’Andrea del Pendolo, Sant’Aniello, Sotto la Chiesa di San Matteo, San Cataldo, Sotto San Cataldo, San Cesario, Santa Catarinella di Civita, Santa Croce a Carpeno, Sant’Angiolo al Torello / Sant’Angiolo di Torello, all’incontro la Parrocchiale di Sant’Angiolo di Torello, Sant’Aniello, Sant’Angiolo dell’Ospedale seu li Frezzi, Santo Cosimo, San Francesco, Santo Martino, San Giovanni alla Costa, Sotto la Parrocchiale di San Giovanni alla Costa, Santo Nicola a Carpeno, San Pietro alla Costa, Santa Maria di Gradillo, San Trifone, Sambuco, Taversa, luogo del Toro, lo Torello, Sopra lo Torello, lo Torello seu a San Cesario, lo Traglio, lo Vallone, Vescovado e infine vicino la Chiesa della Santissima Annunciata Nuova.
Per i le aree di campagna, vi sono:
l’Acqua di Scala, l’Agnesia / l’Angresia, l’Annita, lo Barbacane, Belvedere, Bonia, Brusara, lo Cafaro, la Calcara confinante con le Mura della Città, lo Canale di Rienzo Carola, lo Caramone, lo Carusiello, la Cappelluccia dello Carusiello, lo Capitolo / il Capitolo, Case Bianche, seu la Porta penta, Sopra il luogo delle Case bianche ove dicesi la Porta di Campo, Casa Coppola Sotto Sottribulo, Casa d’Agostino, Casa di Manso, Casa di Lieto presso Santo Cosimo, Casa Marciano, Casa Mosca, Casa Nova / Casa Nova seu lo Trappeto, Casa Pepe, Casa Rossa, Casa Rossa vicino San Giacomo di Sottribulo, Casa Parere, Casa Pisano, Sopra le Case bianche, Casa Scannapieco, Cascia Vecchia, Castiglione, Cerasale / la Cerasara, la Cesaria in luogo di Santo Martino, Cigliano, Santo Marco a Piazzolla / la Chiesa diruta di Santo Marco a Piazzolla (vicino Cimbrone), Cimbrone, Civita, Civita seu lo Pinto, lo Cognulo, la Creta, la Creta seu la Posa del Vescovo, Don Pietro, Don Paolo, lo Faito, Fiume, Focarola, la Fontana Carosa, sopra la Fontana Carosa / da Sopra la Fontana delle Carose, la Fontanella, la Fontana dell’Annita, sopra la Fontana dell’Annita, lo Giardiniello, le Gradelle confinante col Monistero di San Cataldo di Scala, lo Gradone, lo Gradone di Sant’Angiolo, sotto lo Gradone di Sant’Angiolo, lo Gradone di Casanova, Sotto lo Gradone di Casa Nova, seu Masone, lo Gradone di Torello, lo Grasso, la Grotte di Petina, la Grotte di Sossiero, la Grotte dello Iacovo, Ingino, la Lavinola, Luzito, Magnettola, lo Manganiello, Cammarota in luogo lo Manganiello, la Marina, la Marina seu la Ponta di Sant’Aniello, la Marinella, la Marra, Masiello nel luogo di Torello, Masone, Mazzone, la Marmorata, Sopra la Torre di Marmorata, Marmorata seu lo Trappeto, lo Monte di basso, le Mosche, la Mortella, lo Murillo, Pagliarulo, Paradiso, il bosco nominato Passo, allo Passo del Lupo / lo Passo dello Lupo, lo Pastino, la Pendola, lo Pennino, lo Petraro, Petrito, la Piazza della Schifa presso Santo Martino, lo Pianiello, Sotto lo Pianello, alla Piscina, lo Piscinale, Ponticeto, la Pontarola / luogo detto Pontaruolo / Pontarulo, Sotto Pontarulo, la Ponta di Sant’Aniello, la Ponta del Gradone, la Ponta della Cappella, la Porta di Campo (confina con le mura della città), lo Ponticello, Pontemena (montagna di proprietà del cavaliere Filippo Mezzacapo), Portadonica, la Posa di Mazzeo, la Posa del Vescovo alla Grotte di Campo, lo Prencipe, lo Puzzillo, lo Razionale, lo Salvadore, Sant’Andrea del Pendolo, Sant’Angiolo dell’Ospedale, sotto la Chiesa diruta di Sant’Angiolo dell’Ospedale, San Bartolomeo, San Cataldo / sotto San Cataldo, Sotto Santo Cesario, San Giacomo di Sottribulo / San Giacomo a Sottribulo, San Giovanni alla Costa, San Pietro alla Costa, Sopra Santo Pietro alla Costa, vicino la Chiesa di San Pietro, Sant’Agostino, Sant’Aniello, Santa Barbara. luogo detto Santa Barbara confinante con le vene di Cimbrone, Santa Chiara, Sotto Santa Chiara, Santo Cosimo, Santa Croce, Santa Croce a Carpeno, San Francesco, Santa Maria Rotonda, sopra Santa Maria della Pumice, Santa Maria di Gradillo, Santa Maria a Lago (chiesa diruta), Sotto Santa Maria a Lago, Lago, Sotto Lago, luogo detto Santo Marco a Piazzola, Santa Margherita, Santo Martino, di fuori Santo Martino, Santo Nicola, Santo Nicola a Carpeno, Santo Nicola a Bivara, Santo Pietro a Bucito, sotto la Chiesa di Sant’Angiolo di Torello / sotto la Parrocchiale di Sant’Angiolo di Torello, dietro la Parrocchiale di Sant’Angiolo di Torello, sotto la detta Chiesa di Sant’Angiolo dove dicesi lo Vallone, sotto lo Lacco, fuori lo Lacco, Sanbuco / Sambuco, Sette parti, vicino al Sedile, lo Scepponiato, Scorosa, Sommarisco, San Matteo del Pendolo, Sotto la Chiesa di San Matteo del Pendolo, lo Ietto, Sotto lo Ietto, lo Ietto seu Casa Cimmino, lo Spiruto dell’Annita, Sussiero / Sossiero, luogo del Toro, Taversa, Taversa seu la Grotte de’ Francesi, Tiscarano, la Torina, la Torece, vicino la Torina dove dicesi le Croci, la Trinità / la Santissima Trinità, lo Vallone, la Vena, Vescovado seu lo Seggio, Villamena e proprio ove dicesi lo Canale ed in ultimo la zisterna a due bocche a la Brusar....