Description
Il Casale dei braccianti abitato dai forestieri
Ad Aiello vivono comodamente quelli che possiedono un vero palazzo e quelli che si trovano citati col titolo di nobili viventi che vivono di entrate o annue entrate. Per il resto sono quasi tutti braccianti.1 In pochi rappresentano la figura del ricco che vive nobilmente, altrimenti detto nobile cittadino o nobile uomo, distinguibile dalla massa perchè vive del suo. Uomini nobili che diventano magnifici appena entrano nell’amministrazione della Cosa pubblica dell’Università comunale per vivere civilmente, cioè di rendita, come un magnifico, quasi tutti appartenenti alla famiglia Gaeta.2
In altri luoghi del Regno, specialmente ad Avellino in Principato Ultra e a Santa Maria in Terra di Lavoro, sono decine.3 La gran parte di essi, ha anche un negozio,4 come a Torre di Caserta che, senza badare a spese, per scegliere un servo, lo fanno venire da Atripalda, oppure, come i Giaquinto, dediti solo all’allevamento di annicchi, cavalli, giumente e vacche. Ad Aiello in prevalenza le famiglie posseggono un somaro, e poche terre.5
Gli altri ricchi forestieri, ricordano un po’ gli ozi di Capua antica: sembrano ancora più stanchi dei patrizi. Sono magnifici, vivono del proprio, si danno del Don e perfino del Signor, mandando a scuola i piccoli scolari e facendo frequentare maestri napoletani di elevata cultura gli studenti più grandi. In altre parti del Regno c’è addirittura chi, come i Del Balzo e i Cipullo, si fregia del titolo di patrizio capuano.6 C’è però da dire che chi viene definito senza mestiere potrebbe essere assessore comunale, cioè eletto, o anche solo consigliere, ed avere quindi la qualifica di Deputato all’Unità come accaduto per Santa Maria.7 In quella cittadella, per lettere e imbasciate, non ci si reca di persona dal destinatario, ma si utilizza uno dei due corrieri, sebbene siano una quindicina i signorotti che si servono di cocchieri e galessieri per spostarsi, e non solo per lavoro, col calesse scoperto oppure coperto se d’inverno. Il calesso viene utilizzato anche per lunghi viaggi, fino a Palermo, avendo l’accortenza di attaccare al calesso una pariglia di cavalli domati, altrimenti, dopo poche leghe diventano irrequieti e ingovernabili e finiscono per rotolare nella polvere trascinandosi dietro passeggeri e bauli col rischio non remoto di essere strangolati dai finimenti. A quel punto non resta che andare alla ricerca della stazione di posta più vicina per la riparazione. Ma basta che la pioggia infanghi la strada per bloccare la corsa dei cavalli, nonostante le frustate, come quelle che presero le povere bestie che trasportavano il marsala siciliano per l’ammiraglio Nelson alla guida di un calessiere troppo furbo.8
C’è pure qualche aiellese che non dichiara mestiere.9
Ma mentre ad Avellino o a Santa Maria sono davvero tanti i servitori salariati di cui potersi fidare, ad Aiello i pochi nobili sono senza servitù.10
Del resto si avvicina il tempo dei malandrini e bisogna guardarsi da tutti, specie dagli alguzzini;11 ognuno insomma si arrangia come può, fin da piccolo.12
Alla figura del benestante, che tutto può, si contrappone quella dell’impossibilitato a muoversi definito inabile. Ma l’inabile può essere ricco o povero.13
Scarsa quindi ad Aiello la schiera dei cortigiani, di quei magnifici cioè che ruotano intorno al re per aver avuto in affidamento feudo e suffeudi di Capua divenuti non solo comuni a sè, ma anche Terre Règie non più dipendenti da Corti baronali.
Indicato sul frontespizio con il titolo di Aiello Casale d’Atripalda, inizia la lettura del Catasto Onciario di Aiello del Sabato, con le dichiarazioni dei singoli capifamiglia, ad esclusione dei residenti di Tavernola e della sua frazione di Sabina in quanto rappresentano un altro Casale a se stante. Segue l’elencazione dei 172 fuochi in ordine alfabetico per nome del capofamiglia, con relativo cognome, età di ogni componente della famiglia e mestiere per chi supera i 16 anni. In particolare sono i Giovanni e i Nicola a distinguersi, ma per poche unità, stando tutti a poco meno di dieci unità, da Antonio ad Andrea, da Ceriaco a Domenico. Per le donne, invece, i nomi più diffusi sono Maria, Catarina e Angela. Contrariamente che altrove la scrittura dei compilatori del Catasto di Aiello non è molto chiara in tutte le pagine, almeno sull’originale dell’Archivio di Napoli. Come nei volumi precedenti, il lettore troverà, per ogni famiglia, una sintesi fedele di ogni singolo nucleo e, laddove è stato possibile, la trascrizione dei beni di maggiore entità e dell’effettiva tassa da pagare calcolata in once. Il numero che precede casali e nuclei abitativi è solo indicativo per meglio individuare nella ricerca i capifamiglia che qui si riportano elencati in ordine alfabetico di cognome e non di nome, per una più facile consultazione.
Il lettore attento non avrà notato nuovi mestieri rispetto a quelli descritti in altri volumi e circoscritti al distretto, o ristretto, di Caserta, Avellino o Capua, dove abbondano un po’ ovunque i braccianti chiamati bracciali in tutte le terre del Regno, anche quelle Regie. All’uopo si noti come ogni volta che viene trascritto il nome del re si aggiunga sempre l’esclamazione Dio g., cioè che Dio guardi! Il Catasto di Aiello tende alla chiarezza e non è difficile, sebbene sia complesso, leggerlo in ogni sua parte, perfino nelle sottili sfumature che ci hanno portato toponimi ormai in disuso e ad interpretare tutti quelli punteggiati com l’Att.° per attuario. Talvolta ciò è accaduto anche per i nomi propri, come nel caso di Agnese, Caterina, Salvatore, Giuseppe, Giovanni, Giovannibattista, Biagio e Tommaso, lasciati nella versione di Agnesa, Catarina, Salvadore, Gioseppe, Gio:, Gio.batta, Tomase e Biase. Non per questo si sono evitati sempre errori, sebbene con nomi unisex del tipo Mattia, in alcuni casi, è stato davvero difficile capire se si trattasse di un maschio o di una femmina. Oppure di Catarina così trascritta. La stessa cosa è accaduta per qualche cognome che, nel confronto con lo stato civile del Comune, sono risultati leggermente mutati. Alla D. è stato quasi sempre eliminata la punteggiatura trascrivendo direttamente il Don o Donna onde evitare equivoci. Idem con la N.ro del Notaro, o nel caso dei Priv., ove si è sempre inteso privilegiati, come per il M.°, indicato per magnifico nel caso di un ricco, oppure per mastro se si è trattato di un artigiano e terminava in ro, cioè M.ro seguito dalla relativa specifica, così per Sac. oppure S. divenuto direttamente sacerdote.
Più semplice è stato coi clerici per chierici, come pure casato, nel senso di accasato, di “figlio sposato”, mentre è stata limata l’espressione vive in casa per uso o quella di possiede somaro per uso (nel senso che viene usata, utililizzata, abitata, o di animale che viene utilizzato), con “per suo uso” o “uso proprio”. Per quanto riguarda gli animali sono stati lasciati pressochè invariati le giomente al posto di giumente, oppure la forma arcaica di bovi per i buoi, polledri per puledri, somarri per somari.
Non è escluso, anche in questa pubblicazione, che il lettore troverà riportati alcuni nomi o frasi in dialetto dovute all’uso errato della lingua italiana che non è mai riuscita a sostituirsi al napoletano. Ecco perchè si ritrovano toponimi come masto o mastro anzichè maestro, bracciale, come detto, al posto di bracciante.
Altri sono stati spesso lasciati nella loro forma originale, al contrario di vidua con vedova, quasi sempre italianizzato per evitare di incorrere in gravi errori numerici in quanto possono rappresentare intere famiglie e non la singola persona. Fratello, suocera e sorella vengono invece semplicemente indicati come f.llo, socera e s.lla, come la nonna e il nonno con ava e avo, i due braccianti non sposati chiamati ziti, da ‘zitelle’ al maschile. Le bizzoche, cioè le monache o suore che dir si voglia, o solo novizie anche pronte a spogliarsi, sono state lasciate così come rinvenute, idem per le vergini in capillis, definite anche solo vergini o solo in capillis dalla mano del compilatore.
Nella nota I. che seguono il lettore troverà in ordine alfabetico, per nome di capofamiglia (compresi i pochi toponimi che inizialmente si presentavano illeggibili), i fuochi con l’età di ogni singolo componente. Questo sistema permetterà, a chi volesse approfondire le notizie relative alla propria casata, di individuare nell’immediato tutti coloro che portano il proprio cognome (senza trascurare di visionare la lettera “d” per gli apostrofati avulsi) e di risalire subito alla data di nascita di ogni abitante.I
Alla nota II., invece, si ripropone sempre l’elenco per nome, come nella versione originale trascritta dal Catasto, ma in una semplificazione ridotta all’osso, con l’aggiornamento riferito soprattutto ai luoghi di residenza e alle tasse pagate (cifre espresse in once). Dati più fedeli (sebbene in alcuni casi sia la stessa mano del compilatore a trascrivere i medesimi cognomi in maniera diversa), stavolta recuperati dalla sezione catastale denominata Collettiva o Unione d’once, a cui si potrà fare riferimento in maniera scientifica ed ufficiale.II
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