15. COMUNE DI CASSANO NEL 1743 (AV)

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Copertina posteriore

 Povertà nonostante gualchiera, ferriera e canne da moschetto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima operazione del barone Andronico Cavaniglia di Cassano fu quella di dare in fitto a Tesauro e Melchiorre Foglia del Gauro di Gifoni la “balchiera di Cassano, con drapperia, seu tenta” come risulta dagli atti del notaio Boccuti (Archivio Notarile, Consalvo Boccuti 1569-71). Di pari passo aumentava il numero di coloro che provavano ad evadere anche con grosse fandone. Nel 1575 alcuni pretendevano di non pagare le tasse perchè si dichiaravano letterati mentre risultavano dei semplici fatigatori (PS, 707, fol.319).
Dal canto suo il barone fece addirittura inviare all’Università una copia della Prammatica Pro bono regimine Universitatis perchè se ne inculcasse l’applicazione, chiedendo anche al Percettore provinciale di stabilire all’Università di Cassano un termine entro il quale rimettergli la dichiarazione delle robe del feudatario da cui si pretendeva il pagamento della Bonatenenza; l’Università, a sua volta, chiedeva allo stesso Percettore di costringere il barone a pagare la bonatenenza per i beni burgensatici (PS, vol.707, f.336, vol.759, f.105 e vol.759, f.376).
E il percettore sequestrò beni del barone da vendere all’incanto; e il barone Andronico rispose ordinando al Capitano di imporre ai forestieri quando vengono a comprare o vendere granaglie ed altri, di pagare gabelle e dazii come i cittadini in quel 1577 (PS, vol.767, f.201 e vol.799, f.28).
Intanto, nel 1580, il sale si consegnava alla dogana di Salerno e non più a quella di Napoli (PS, vol.858, f.20), mentre cominciavano anche le contese sugli usi civici nella Difesa di Ogliara tra Volturara e Montella, al punto che si interrogarono i vecchi e il più vecchio di essi, Desiderio de Amatetto di 110 anni, la cui parola valeva molto, visto che il padre era morto a 125 anni nel 1541 (Pandetta nuova seconda 1153–, fol.139, 160 in Scandone, L’Alta Valle del Calore, op.cit, pag.123), così come dichiarava (in Scandone, op.cit.).
L’aumento della povertà, oltre che dalle dichiarazioni fasulle, si vede soprattutto dalla guerra scaturita fra il barone Andronico Caviniglia e l’Università, fino alla sua morte avvenuta l’8 luglio 1581, quando il feudo di Cassano passava al figlio Pietro Cavaniglia pagando il rilievo al regio fisco nel 1582 (Registri, Significatorie, vol.25, f.32). Nel 1587, con Regio Assenso, il sui successore, Pietro Cavaniglia vendette il feudo di Cassano per 17.000 ducati al napoletano Scipione Gallucci (Quinternione 121, già V, f.191) e subito nacque il ricorso dell’Università per impedire il Baglivo baronale e la Fida nel demanio degli animali forastieri in quanto l’erbaggio non era sufficiente neppure ai bisogni dei cittadini cassanesi (PS, vol.1134, f.305). Ma in quello stesso anno, il 24 di aprile, il sindaco ed i quattro eletti debbono riunire il parlamento proprio per prestare l’assicurazione feudale al nuovo barone Scipione Gallucci, dicendosi prontissimi ad obbedire fatti salvi i diritti dell’Università (Archivio Notarile, protocollo notarile di Paolo Boccuti, f.136-7). Ma le cose andarono subito storto e il barone pensò di revocare il beneficio all’Università della Camera Baronale, scrivendosi lettere alla Regia Camera e alla Scrivania di Razione (PS, vol.1112 bis, f.31 t).
Nel 1591 l’Università concedeva a Francesca Sacco e compagni la facoltà di fare e vendere pane pubblico con lo jus prohibendi, cioè col divieto di Panizzare ai singoli cittadini, esigendo dagli assuntori per i bisogni dell’Università un annuo estaglio, mentre il barone cominciò a volere la Fida perfino per gli animali forestieri in territorio padronale e l’Università a dare in fitto gli erbaggi ad Angelo Chiarolanzo (PS, vol.1161, f.65, vol.1191, f.78 e vol.1191, f.64 t) sempre in quel 1591………

1. Delitti del barone Giaquinto e le dispute col vescovo di Nusco

Certo è che il barone Francesco Giaquinto non dovette piacere all’Università di Cassano e viceversa. Nel 1676 l’Università riferiva al Collaterale che il barone, con una comitiva di 5 armati, fra cui Antonio Mazzeo, andava effettuando furti di pecore e quindi era considerato una persona facinorosa temuta dalla gente (Collat. Curiae, vol. 145, f.120). E fu egli stesso oggetto di un’archibugiata mentre era con una donna in casa sua; da qui l’ulteriore accusa di Orazio Mancini di essere protettore di banditi e autore di azioni criminose. Il barone fu quindi incarcerato a Montefusco dopo un’istanza del vescovo di Nusco verso cui aveva anche attentato, ricevendo la confisca dei beni per contrabbando di tabacco, mentre si procedeva all’accertamento dell’accusa in quel 1681 (Viglietti Vicereali, Principato Ultra, vol.3171). Nel 1682 ancora si trovava nel Carcere della Vicaria per contrabbando di tabacco, dopo averne acquistato 150 libbre dai padri del monastero di San Severino in Napoli nella quaresima del 1681, nascondendole in uno stanzino della sacrestia di Santa Maria delle Grazie in Cassano. Se la cavò con una transazione da 150 ducati, disponendosi il dissequestro dei beni (Cons. della Summ., vol. 78, f.114).
Nel 1683 Mancini insiste nell’accusare il barone che lo avrebbe bastonato con gravi ferite, come accaduto ad altri cittadini, ma in qualità di sindaco, perchè difendeva i diritti dell’Università. Altri erano gli omicidi commesi, ma la Regia Corte decidette di non procedere asserendo che il Mancini era stato solo istigato da Nunziante Maiorana (Viglietti Vicereali, Principato Ultra, vol.3171 e vol.3173). Fu quindi liberato dal carcere il barone di Cassano il 27 giugno 1686.
Sentendosi però perseguitato dal vescovo di Nusco, protettore del sacerdote Geronimo Maiorana che insieme ad un suo fratello e alla complicità di Michele Sangermano, fratello del vescovo, gli avevano tirato delle archibugiate, continuò a ricorrere contro le minacce di Nunziante Maiorana e altri chierici e laici di famiglia, protetti dal vescovo, al punto che dovette rifugiarsi a Montoro inviando le prove contro Nunziante, Giuseppe ed altri Maiorana, istigati dal suo nemico ecclesiastico. Lettera inviata al Preside provinciale che si invitava ad accertare solo se gli inquisiti non fossero ecclesiastici, respingendola di fatto.
La lettera fu inviata unitamente ad un memoriale di Giovanni Carfagno contro i fratelli Maiorana, accusati di aver ucciso suo padre Giuseppe Carfagno tentando di uccidere anche lui che era scappato maltrattando Lorenzo Carrozza che non gli aveva rivelato il luogo dove si nascondeva beccandosi solo il colpo del calcio di una scoppetta (VV, vol.3171 e vol.3172).
Il vicerè nel settembre del 1686 invia poi al Preside un’altra lettera del Barone che denunzia le vessazioni dei mastrodatti, scrivani e caporali della Regia Udienza che avevano incarcerato un suo vassallo perchè andava armato di scoppetta, sebbene non fosse uscito dal feudo, chiedendo di inviare a Cassano un Regio Governatore che fu nominato nella persona del dottor Tommaso Procaccini il 18 gennaio 1687. Nell’agosto del 1687 insiste anche Giovanni Carfagno contro Giuseppe Maiorana che si dice rifugiato a Chiusano. Ne seguirono due anni dopo dei disordini a causa della recita in pubblico di una commedia, alla presenza dei marchesi di Bonito e Mirabella che non avevano richiesto licenza al Preside, finiti a discussione con i soldati di campagna che facevano la scorta armata al fiscale con alcuni spettatori montellesi insofferenti dei loro soprusi perchè il fiscale favoriva alcuni della sua provincia. Nel 1693 sono i cittadini ad inviare un reclamo al Vicerè contro il Barone (Viglietti Vicereali, Principato Ultra, vol.3174, vol.3175 e vol.3177).
Nel novembre dello stesso anno è il Vicerè che comunica al vescovo di essere stato informato della temerarietà del suo vicario foraneo Catalano e delle sue impertinenze commesse da lui e dai congiunti, in specie da Don Tommaso de Aurilia contro il Barone ed alcuni suoi vassalli costretti a consegnare loro della roba senza pagamento, eredità di Don Francesco Caposele, sopreso da morte repentina. Appena deceduto, infatti, il vicario era entrato in casa insieme insieme con il notaio G.Battista Catalano ed aveva fatto redigere l’inventario degli effetti esistenti distribuendoli a suo arbitrio mancando il de Aurilia di rispetto verso il Barone e il vescovo lo aveva punito mandandolo per tre giorni a Bagnoli Il vescovo veniva quindi invitato a dargli dovuta mortificazione, altrimenti il Vicerè si vedeva costretto a servirsi de’ mezzi suggeriti dalla suprema ragione di Stato. Nel 1695 il vescovo aveva riferito in un suo memoriale che il Barone Francesco Giaquinto non solo proteggeva il chierico Nicola Mongelli processato nella Curia Vescovile per omicidio, ma gli permetteva di passeggiare liberamente in Cassano dove il padre del Mongelli, anch’egli nuscano, era Governatore, aggiungendo che il Barone ed i due Mongelli lo minacciavano della vita. Dal canto suo il Giaquinto accusava Michele Sangermano, barne di Monteverde e fratello del vescovo di attentati vari per mezzo di congiunti e sudditi di lui. Nel 1696 seguì un altro memoriale, stavolta del Giaquinto, in cui si denunziava la mala qualida…………………………….re il 1 settembre dei cittadini modello tra magnifici (viventi del proprio) e, al massimo, massari, negozianti ed artigiani proposti dalla stessa amministrazione uscente, previo visto provinciale. Il pubblico parlamento eleggeva il sindaco e i nuovi eletti, per voce e con alzata di mano, per l’amministrazione annuale dei beni comuni (o della Comune) della Terra di Cassano, insieme ad un cancelliere del regno, che li aiutava e li controllava nell’amministrazione delle rendite. Oltre al sindaco, quindi, l’amministrazione era composta dal capoeletto e da un eletto i cui nomi variavano annualmente ad ogni elezione.

L’Università di Cassano, in quel 1742 era composta dal sindaco Michele Russo, dal Capo Terra Francesco Prundente e da tre eletti: il capoeletto Giacinto Bocchino e il secondo e terzo degli eletti, Giulio Majorana e Giovanni Mongiello.
Era a discrezione dell’Università la nomina dei Deputati membri di varie commissioni delle quali facevano in genere parte ex amministratori e agrimensori che dovevano tassare, prendere le misure delle proprietà (apprezzo di fondi, case, chiese) e censire la popolazione (stato delle anime). Mentre la commissione lavorava altri componenti erano tenuti a fare la rivela, ossia il riscontro con i cittadini che dovevano dichiarare il vero sulle loro proprietà. Fra il rilevato e l’apprezzato si imponeva la tassa da pagare (A.Bascetta, Torrioni nel 1700, ABEdizioni).
I diversi naturali dell’Università, uomini e persone (quasi certamente s’intende contadini e cittadini), ricevevano quindi dei beni: è l’acquisto a censo dei fondi.
Questo permise ai naturali di una Terra di divenire abitanti di un’altra Terra, specie quando i fondi era sui confini. Caso registrato già con gli abitanti delle Fontanelle di Summonte che presero in massa terreni della Terra di Capriglia, o come quelli di Tufo che occuparono le terre di Torrioni.
Alcune volte i feudi, appartenenti allo stesso proprietario, erano accorpati in Stati. Cassano e Montella, per esempio, essendo feudi appartenenti allo stesso feudatario, si trovano accorpati. Altro esempio è lo Stato di Salsa che comprendeva la Città di Montemarano e la Terra di Salsa. Alla morte del tirolare di quel feudo, Don Girolamo Strambone, passò a Dominio Regio e, le rendite, al Regio Fisco. Proprio in quel documento vengono involontariamente confermati i confini con Cassano. Da cui la conclusione del Pellegrini che, seppure Montella sosteneva di aver fatto terraggi, Cassano ben aveva dimostrato l’opposto.
Dalla Cappella delle Croci, salendo la dorsale del monte Serrapullo, correva per i luoghi di l’Aspra, Colle Mortaro, Fuogno, Scivorti, scendendo per il vallone di Luccolo, lasciando a destra per Montella la difesa di Rosa, passa la Via di Pittolo lasciando a destra i Cannavali, giungendo alla sorgente del Bagno, dov’era il corpo feudale del barone di Cassano denominato la Ferriera che, toccando il bosco di Folloni, per metà del letto del fiume giungeva al Ponte di Stratola, conducendo al Vallone del Serrone di Capone, indi alla fontana di Elena e per la via che viene da Nusco. Le posizioni contrarie non reggono. Si passa quindi ai racconti anrtichi per confermare un falso. Si ricorda quindi Montella inespugnabile munita di un antichissimo castello, oltre i sei altri castelli subalterni, dicendosi Montella una delle antiche Gastaldìe, avvenuta nella divisione del Principato di Benevento e di Salerno, desumendo che Cassano fu uno dei suoi casali.
Improprie erudizioni, concludeva il Pellegrini, asserendo che fosse noto che i Gastaldati si intesero alla venuta di Alczeco, Duca dei Bulgari, ma furono minori, non essendo feudatari, in quanto subalterni dei Conti, “erano a buon conto una specie di fattori ed indi amministravano le rendite della Corte”. Nel Ducato di Benevento furono qualcosa in più cominciando a confondersi coi conti, restando nella loro stessa qualità di ministeria e non mai di dignità. Montella fu compreso nei Gastaldati che Grimoaldo Duca di Benevento assegnò ad Alzecone Duca dei Bulgari fra quei luoghi incolti intorno a Benevento che questi, giusto il racconto del muratori, ottenne ad habitandum (bella confessione col vuoto di sei secoli), dai duchi di benevento ai nostri aragonesi). Quindi ricco di galantuomini (!). Montella da Re Alfonso nel 1455 fu eretta in Contea concedendola a Garzia e unendovi e sottoponendovi Bagnolo e Cassano.
E quindi, conclude il Pellegrini, i veri confini con Montella erano: Ferreria, Ischia del Salaconito (Salaconeto), Castaneis delli tauri, nemore delle Vallicelle o Serruni, Territorio Delli Corvini. E quindi il confine tira per il Vallone detto Varufo al Troppolicchio vicino a Cassano e per il Vallone della Arena salendo per la costa della Gattara, va a Serro della Croce. Indi tira per Capitino e passava per Montecalvo e va al Vallone Montemaranese, includendo le contrade di Montecampana, Fuogno, Pittolo, Scuorti, Valle d’Orfa, Serrapullo, Tauri, Molara, Bolofano, Lepre e Sava. Al di qua di Monte Campana con Monte Scivorti. Da: Vincenzo Pellegrini, Per lo Barone, e per la Università di Cassano coll’illustre Principe di Angri, e coll’Università di Montella, Napoli, 2 agosto 1795 (A.Bascetta, 27.Cassano, ABE, pag.43). Unire o dividere un feudo era un fatto normale in questo periodo. Era un’operazione effettuata soprattutto per pagare meno tasse laddove ne risultasse la convenienza. La famiglia Piatti di Torrioni distaccò Torrioni da Tufo, tenendo il titolo per quasi cent’anni e passandolo poi a Giacomo Antonio, nel 1731, che lo accorpò nuovamente a quello di marchese di Tufo e Torrioni. Al signore di origine veneziana, gli abitanti dell’Universitas del Casale di Terre iune, così come rileviamo dal Catasto onciario, pagavano non poche tasse, come quella sulla mastrodattia, sulle capre, sulle pecore e gli altri animali (A.Bascetta, Torrioni nel 1700, abedizioni).
Se da una parte i contadini avevano avuto i terreni a censo, dall’altra c’erano le tasse da pagare all’Università per l’amministrazione dei beni possedi e, soprattutto, per continuare ad essere una Comune, una Terra indipendente, con stemma, gonfalone e capacità propria di sottrarsi al resto delle tasse del Regno.
In genere l’Università acquistava dal feudatario, e quindi poi imponeva agli abitanti del paese, il pagamento della tassa catastale, sopra le teste dei suoi cittadini ed habitanti, loro beni stabili, animali ed industrie, come scrive Barionovi per Cervinara. Ma poteva detenere anche più diritti o jus che da una parte sborsava al feudatario e, dall’altra, incassava dai cittadini, ai quali offriva la gestione della Cosa Pubblica per l’organizzazione dei fatigatori (lavoratori) utilizzati per zappare, disboscare, costruire strade in maniera giornaliera.
Le Terre del 1700 hanno in media poche centinaia di anime che durante il periodo del Viceregno austriaco (1709-1741) e per i primi anni del Regno di Napoli (1741-1799), sotto Re Carlo I di Borbone, continuavano a pagare il debito contratto dall’Università, per quante once possedesse ogni famiglia, cioè la tassa sui fuochi, direttamente alla Regia Corte, o ad un giureconsulto incaricato per la riscossione.
Non sempre poi il Comune poteva far fronte ai debiti verso la Corte del Re, e a quelli verso i privati cittadini che avevano acquistato il diritto di riscossione di alcune tasse. Per cui, nate con l’intento di sgravarsi del peso delle imposte, quelle regie e quelle feudali, le Università, spesso indebitate fino al collo, finirono col far aumentare la pressione fiscale su tutti i naturali, uomini e persone, a beneficio di chi già era benestante.
Essere feudatario di un Terra, comunque, non significava possederne per sempre tutti i diritti. Si poteva per esempio avere un feudo e vendere l’esazione dei censi ad altri. In tale situazione, in caso di eredità, il feudo passava alla proprietà dell’erede, ma i diritti alla riscossione restavano a chi li aveva acquistati, casomai concedendo un prestito, una parziale donazione, una dote, un credito bancario, complicando ancora di più la già intricata matassa.
Vi erano per esempio i cittadini che avevano chiesto un prestito e che quindi, per censi redimibili, pagavano un tasso annuo e/o una porzione di capitale. Titolo della Terra e rendite della Terra potevano quindi essere di persona fisica o istituzione, e altri beni della stessa Terra di altra persona fisica o istituzione. In questi anni, per esempio, il grande feudo di Sant’Angelo ad Scalam, di proprietà di don Gennaro Salvi, passava in eredità alla marchesa donna Antonia Salvi, cugina di don Gennaro, che comunque si impegnava a pagare a don Francesco Ricciardi un beneficio di 125 ducati annui; cioè il 41,5% dei ducati recuperati dai censi, corpi burgensatici feudali e titolati descritti, al quale don Gennaro Salvi aveva venduto il diritto. Nell’atto notarile, datato Napoli 28 dicembre 1752, redatto in presenza della marchesa, c’è scritto che don Gennaro, a suo tempo, si era impegnato a pagare i 135 ducati ogni anno terzialmente, cioè 1753 ducati in avanti, alla restituzione, e pagamento dei 3.000 ducati di capitale. La marchesa di Sant’Angelo era una novizia, non ancora professa del Monastero di Santa Egiziaca di Napoli, “fater nuncia it dixit” dei beni di don Gennaro, in quel momento assente da Napoli il quale avrebbe dovuto poi ratificare l’istrumento col notaio entro 15 giorni. Dall’istrumento apprendiamo che nella Terra di Sant’Angelo, la marchesa possedeva “Giurisdizione, Palazzo baronale, Mastrodattia, Taverna, Passo, Molina ed altro”. Oltre la zona detta La Torretta (Torrette di Mercogliano?). V’erano poi i ducati pagati dall’Università di Sant’Angelo a Scala, 145 per “causa Funzioni Fiscali”, 45 per Zecca, Portolania e Forno. Donna Antonia era l’erede di Giuseppe Salvi, con preambolo redatto dalla Gran Corte della Vicaria. Ma la signora marchesa diceva di voler professare voto in monastero e per questo necessitava della somma di 3.000 ducati, “cioè ducati mille di essi per pagare la solita dote sui elemosina dotale al detto Regal Monistero; altri ducati mille per la solita Piatanza, e gl’altri ducati mille per la Festa, per la Sua Professione, spese utensili per la sua cella, di Biancheria, ed altro, che giè necessario, siccome appare, e costa dalla Fede fattane dalla Regal Suora Madre Caterina di Luna d’Aragona, Badessa di detto Regal Monastero”. Come da istrumento del notaro Angelo Verroni del 1753 redatto a Pietrastornina, quindi, apprendiamo che don Giovanni mostrava i documenti dove si evinceva che egli aveva una rendita di 300 ducati annui provenienti dai censi su Pietrastornina, Sant’Angelo ad Scalam e Summonte, Terre del Principato Ultra, in virtù di cariche e scritture a suo beneficio apparenti, come confermato dai testimoni locali. Poi v’erano altri 64 ducati che gli dovevano Mattia de Fazio, Egidio Picariello e Nicola Caccia di Sant’Angelo, sopra la porzione di una masseria in località Malfetana, accanto agli altri beni già di proprietà della marchesa (A.Bascetta, Il tesoro del Marchese di Capriglia, ABEdizioni)………………..sco Giaquinto e dei suoi sobrinos che lo Scandone chiama congiunti, cioè familiari come Geronimo Guarnieri del patriziato di Campagna (Sa) marito della sorella Margherita Giaquinto che, a torto o a ragione, si distinse per i suoi delitti (Scandone, Docc.417-427 del 1700-1701, in Vigl. Vicer., vol.3181), e il di loro figlio, Tommaso Guarnieri, che avrebbe ereditato il feudo alla sua morte, rinunciando ai diritti l’altra sorella del Barone, Francesca Guarnieri (Quinternione 281, già 202, fol.54, in Scandone Doc.430), col patto di assumere il doppio cognome di Giaquinto – Guarnieri, cioè il nome di Tomaso Guarnieri Giaquinto.

Don Tomaso o Tommaso Guarnieri Giaquinto non era dunque di Cassano, ma di Campagna d’Eboli e vivrà ancora all’epoca della redazione del futuro Catasto del 1743 con il nome di Tomaso Guarnieri Giaquinto, occupando il feudo di Cassano dopo averlo ereditato. Qui vi giunse ad abitarlo, insieme alla moglie, Donna Terese Pepe o Papa di Montoro, ma senza figli a tutto il 1743. Secondo il Ricca Don Tommaso Guarnieri Giaquinto sposerà Donna Teresa Pepe di Montoro, figlia del dottore il legge Leonardo Pepe (Ricca, La nobiltà, I, p.205), invece nel Catasto di Cassano del 1743 troveremo che la moglie di Don Tomaso si chiamerà Donna Teresa Papa di Montoro. Alla lettera “T” di Tommaso, compare infatti l’Illustrissimo Possessore Don Tommaso Guarniero Giaquinto Barone di questa Terra di Cassano oriundo della Città di Campagna d’Eboli e Donna Teresa Papa di Montoro e con essi Michele Fazio cameriero, Donata Ciccariello (insegnante) di Laurea, Saverio Saluotto volante, Sebastiano di Feo guardiano, Carmine Chiarolanzo legnaiolo, Catarina di Marco serva, Teresa di Bolena serva, Candida Lupo serva, abitante nel palazzo baronale sito nel mezzo di detta Terra con giardino contiguo alla proprietà Corrado. Ancora quindi alla data del 1743 il marchese di Cassano non aveva figli (ACC, Catasto Onciario di Cassano, lettera “T”).
Non per questo non ne ebbe. Alla morte del barone don Tommaso Guarnieri Giaquinto seppellito nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Cassano, infatti, che avverrà il 4 dicembre del 1764, con decreto di preambolo del 18 gennaio 1765 della Gran Corte della Vicaria di Napoli, i beni saranno ereditati per successione dal primogenito Don Francesco Guarnieri Giaquinto che ripristinerà la tassa della gabelluccia di 2 grana a tomolo sulla macina effettuata nel mulino cassanese ed in quello bagnolese, dando luogo ad un lungo contenzioso con il Duca di Bagnuolo, Don Ferdinando Majurga Renzi Strozzi.
L’intestazione feudale di Cassano avvenne con la concessione in cedolario il 18 dicembre 1765 (Cedolario del 1732?, fol.610; E.Ricca, Op.Cit., Vol I, p.205 in Scandone, L’Alta Valle del Calore, Vol.VI Cassano Irpino, Scuola Tipografica, Napoli 1956).
La seconda metà del 1700 sarà caratterizzato da una singolare disputa fra il Ducis di Balneoli, Don Ferdinando Majurga Renzi Strozzi cum Magnifico Barone Terrae Cassani Don Francisco Guarnieri Giaquinto presso la Regia Camera della Sommaria. Il barone di Cassano Don Francesco Guarnieri-Giaquinto aveva infatti mosso causa al Duca di Bagnoli, che rispose con l’opposizione, perchè voleva intascare la gabelluccia sulla macina dei mulini che riteneva essere appartenuta a Cassano fin dai tempi della vendita del feudo di Cassano avvenuta molti anni addietro ad opera del Conte di Montella. Per fare opposizione il Duca di Bagnoli dovette quindi ricorrere all’istrumento relativo alla vendita del feudo di Cassano e di due mulini ad acqua, il molino di Bagnuolo sul fiume Bagno e il molino situato fra due gualchiere in territorio di Cassano che portavano una rendita di 357,5 ducati annui, avvenuta anni prima, da parte del Conte di Montella Don Garcia Cavaniglia a suo nipote Don Andronico Cavaniglia. Si tratta di un fascicolo – senza data, senza intestazione e senza firme scritto da una sola mano – conservato presso l’Archivio dell’Abbazia di Montevergine a Loreto di Mercogliano (Disputa sull’Istrumento di Vendita del Feudo di Cassano del 1569, Inv.XV-XX, Busta n.2). Cassano era probabilmente pervenuta ai Cavaniglia, quando questa famiglia, dell’allora Don Giovanni Garzia Cavaniglia, nel 1445, ebbe concessa Montella dal Re Alfonso D’Aragona. Alla famiglia Cavaniglia, con il figliolo di Giovanni, cioè Diego, fu anche la riconferma di Re Ferrante che gli donò il titolo di Conte. Tal famiglia avrebbe regnato, almeno su Volturara, per 148 anni, fino al 1597, come dal rilievo pagato dal Conte Don Traiano Cavaniglia per gli anni 1550-51, quale feudatario di Montella, Bagnoli, Cassano e Volturara. Questo avveniva quando anche Volturara era casale di Montella, forse nato dal toponimo Vola Terrae in quanto anche i danari di Volterra sono detti Volturari, anche se i Monti Tremuli del Terminio si fanno tutti originare dalla città di Sabazia indentificata con Ogliara di Serino (Goglia degli Appennini) compresa sotto la stazione degli Irpini Sabatini, detti Uslabandi, Montagnone degli Appennini poi finito in regione Hirpiniis, indi in Principato Ultra. Il Terminio, da Verteglia a Campolaspierto, affaccia sulla Valle del Dragone con l’ultima collina, un monte che sta a “cavaliere” del paese di Volturara, chiamata Monte San Michele Arcangelo, dove vedonsi i ruderi del maniero che pare fosse stato eretto dai Carafa, non lontano da contrade in comune con gli altri paesi, come Monte Calendo presso Bagnoli, Saraceno di Montemarano e Monte Calvanico, poi Calvario (dove furono rinvenute le ossa più remote, prima della costruzione del cimitero di Volturara presso la cappella di San Carlo sita sulla strada che porta al lago Dragone), o la contrada Monte dove furono rinvenuti alcuni stradi di carbon fossile. Altra cosa è il campo di Campanare sul Monte Costa. Una grande distesa montuosa ricca di acque, ma non di fiumi (Nunzio Pasquale, Storia di Volturara Irpina ristampa dell’edizione del 1915 a cura di Edmondo Marra, Edizione L’Altra Napoli, pagg.16-18, 23, 52-55, 64, 68, 70, 73, Napoli 2001).
I fatti si riferiscono all’impugnativa fatta dal Duca di Bagnoli contro il ricorso del barone di Cassano che accusava il duca di intascare impropriamente la gabelluccia, una tassa sui mulini di Bagnoli siti in territorio di Cassano.
Il Duca di Bagnoli doveva provare che quanto richiesto con supplica dal Barone Don Francesco Guarnieri al Sacro Regio Consiglio non corrispondesse alla realtà, cioè che la gabelluccia spettava allo stesso Duca di Bagnoli, contrariamente a quanto supplicava il Barone di Cassano il quale asseriva di essere l’erede della rendita perchè nel 1569 Don Garzia Cavaniglia Conte di Montella e di Bagnuolo, e Cassano vendè a Don Andronico Cavaniglia la Terra di Cassano e segnatamente con due molini ad acqua, uno di essi animato dal fiume Bagno, e l’altro chiamato il molino di Bagnuolo destinato all’uso, a macina de’ naturali di Bagnuolo posto in mezzo a due valchiere nel territorio di Cassano dell’annua rendita di ducati trecentocinquantasette e mezzo. E che sebbene la Terrae di Cassano fosse passata dal detto Don Andronico Cavaniglia ad esso Barone Don Francesco Guarnieri Giaquinto per la vendita del molino, si esigeva (e quindi si doveva continuare ad esigere) dall’articolante (Barone di Cassano,) sotto il nome di gabelluccia(, la somma) di grana due a tomolo (imposta sulla macina) di qualsivolglia vettovaglia.
E che (pertanto, per tale motivo, il Barone) chiese astringersi(, cioè a consegnare a lui le spettanze, ad) esso articolante(, unitamente) alla restituzione delle somme esatte (fino ad allora dal Duca di Bagnoli) per detta gabelluccia, e di astenersi in avvenire dall’esigerle, ma astringersi i naturali di Bagnuolo di corrisponderla ad esso lui, (fatto considerato non giusto, perchè il Duca di Bagnoli Don Ferdinando Majurga Renzi Strozzi riteneva toccare a lui la gabelluccia, fatto per) cui (era nata la) impugnativa davanti al Sacro Regio Consiglio.
Pertanto il Duca di Bagnoli intendeva e voleva provare che quanto richiesto dal Barone fosse errato, cioè che la assertiva sia sfornita di ogni appoggio ed ingiusta la domanda, che se ne deduce; perchè dagli atti non costa, che l’articolato Barone di Cassano rappresenti la persona di Don Andronico Cavaniglia o abbia dritti di costui indipendenti dal feudo di Cassano quod varum testibus et servigi.
Soprattutto perchè dal contratto di compra e vendita del feudo di Cassano passato fra Don Garzia e Don Andronico Cavaniglia si deduce da essa copia d’istrumento postillato sistante ne’ fascivoli di Notar Antonio Vitale di Napoli rogato ai 16 luglio 1569 di cui copia si è prodotta colla clausola d’aversene quella ragione, che per dritto a’ permesso. Per cui esso articolante (Barone) intende provare, che il suddetto istromento postillato no’ debba formare stato a danno d’esso articolante (Barone), quod verum testibus…
E che nel caso il tenore dell’istrumento fosse legale e non interpolato, nel medesimo non si contiene, chè il molino di Bagnuolo fosse venduto da Don Garzia Cavaniglia al suo nipote Don Andronico. Ma solo si apprese che il detto feudo teneva nella sua giurisdizione il molino di Bagnuolo, il quale apparteneva all’Università di Bagnuolo per antiche concessioni alla medesima fatta da’ conti Cavaniglia: E si era indotta alla servità in doversi il suddetto molino animare colle acque del Contado, ed ogni possessore del feudo era obbligato a non dar molestia a’ Bagnolesi per l’esistenza di detto molino, quod… Pertanto, qualora il Barone attuale di Cassano pretendesse acquisire la vendita di detto molino e valchiere da 357 ducati diverso fosse barone dal rivenditore Don Garzia al compratore Don Andronico Cavaniglia d’espressioni poste nella copia siano o non che o alterate ma che nel migliore e più naturale senso denotino che la vendita del molino di Cassano, e le due valchiere sensa compresi quello di Bagnuolo (nel quale nè prima di quei tempi, nè mai si è esatta molitura) davano la designata somma di 357 ducati e mezzo. E che la famiglia di Don Garcia Cavaniglia perdè il feudo di Bagnuoli, e nel 1603 quel paese si trovava in Demanio dell’Università, e per bisogno della medesima fu esposto vendere per decreto della medesima Regia Camera della Somnmaria; e fu venduto dalla Regia Camera con istrumento di 24 ottobre 1603 per Notar Bartolo Giordano di Napoli alla Illustre Donna Antonia Pisanello, Marchesa di Chiusano e fra i corpi i dritti compresi con detto feudo di Bagnuolo fu venduta la gabelluccia di grana due a tomolo sopra tutte le vettovaglie del feudo; per cui la suddetta feudataria compratrice dalla Regia Camera, ed Università possedè pacificamente la suddetta gabelluccia; come corpo veramente annesso e dipendente del feudo di Bagnuolo. Che il Feudo di Bagnuolo fu sequestrato nel 1658 per ordine del Sacro Consiglio ad istanza dei creditori del Duca di Bagnuolo dipendente dalla Donna Marchesa di Chiusano e ne fu fatto l’appresso dal tavolario del Sacro Consiglio, Giuseppe Gallerano, e fra i corpi apprezzati vi sta la gabelluccia della grana due a tomolo compresa dell’uso delle acque feudali di Bagnuoli concedute ai Naturali di quella terra, e riportate per la rendita di Ducati 160. Si intese quindi essere pronti a dimostrare che Don Giovanni Battista Majorga Strozzi Marchese di Forano per diritto di prelazione acquistò il detto feudo di Bagnuolo con tutti i corpi e dritti dinotati nell’apprezzo del cennato tavolario Gallarano e che non ha niente in comune con la molitura del molino di Bagnuolo (e)sistente in Cassano, che pretende esiggere il Barone Gualtieri-Giaquinto colla gabelluccia della grana due a tomolo, dritto inerente il Feudo di Bagnuolo per cui non vi è ragione da pretendere l’incorporazione al Feudo di Cassano. E che il Duca di Bagnoli è assolutamente strano il pretendere la molitura nel molino di Bagnuolo sito in Cassano, perchè questo tal molino si mantiene a spese dell’Università di Bagnuolo, la quale si tiene un molinajo stipendiato suo cittadino a cui paga Ducati 40 annui ammessi nello Stato Discusso, e fa franchi di molitura tutti gli avventori Naturali di Bagnuolo, nè altro straniero vi si ammette a macinare. E perciò se vi si introducesse l’esazione della molitura, quest’apparterrebbe all’Università. Imperciochè il Barone di Cassano per l’uso dell’acqua ex pacto Istrumento del 1569 niente, almeno per la servitù acquistata dall’Università di Bagnuolo può esiggere quod verum testibus.
Quello che si voleva quindi dimostrare è che la gabelluccia delle grana 2 a tomolo appartiene al feudo di Bagnuolo, non già per la molitura del molino di Bagnuolo, ma per le concessioni fatte di varij d(i)ritti alla detta Università, e per virtù di transazione con Regio Assenso e costanza osservanza di secoli. E perciò se cessasse l’esazione di detta gabelluccia rinascerebbero tutti i dritti transatti, e caduti in beneficio dell’Università, ed accrescerebbero la rendita della Camera Baronale di Bagnuolo. Onde la suddetta gabelluccia non mai appartenne al feudo di Cassano quod verum testibus.
Tutto questo perchè ha tenuta diversa origine la detta gabelluccia della pretesa molitura, che si esigge la suddetta prestazione col titolo di gabelluccia prima che le derrate vadano nei molini, sia in quello sito in Cassano, sia in altri paesi, sia negli stessi molini dei particolari cittadini di Bagnuolo, come sarebbe in quello di Don Vincenzo D’Asti (sito nel luogo) detto Paterno, sia in altro molino dell’Università sito nel luogo detto Calento vicino all’abitato, stante che la suddetta gabelluccia gravita sul genere, e non è un pagamento della molitura. Per cui quelli i quali non macinano ne’ molini dell’Università, sito uno in Cassano, l’altro a Colento vicino l’abitato, ove non si paga molitura, vanno a molini particolari, pagano a padroni rispettabile molitura come meglio possono convenirla, oltre della gabelluccia delle grane 2 a tomolo… (Disputa sull’Istrumento di Vendita del Feudo di Cassano del 1569, Inv.XV-XX, Busta n.2).
La lite durò per molti anni ed ebbe una prima risoluzione solo nel 1810. Il 7 gennaio del 1811, infatti, l’intendente del Principato Ulteriore e Cavaliere dell’Ordine Reale delle Due Sicilie, Giacomo Mazas, circa la lite del mulino ricadente nel territorio di Cassano, scriveva ai decurioni del Comune, annunciando l’arrivo di un incaricato, il signor Cassitto, per la esecuzione della sentenza profferita dalla Commissione Feudale nella causa con l’ex feudatario al quale bisognava dare il compenso dell’esecuzione di D.14, avvisandoli dicendogli: capacitarvi di non darvi opposizione di farne seguire il pagamento.
L’esborso della parcella avveniva perchè il Comune di Cassano si era visto riconoscere, dopo due secoli, la spettanza della Bonatenenza sul molino e la restituzione dello stesso che, seppure non esplicitamente dichiarato in territorio del proprio comune, gli sarà riconosciuta con una sentenza della Commissione Feudale.
Il 20 gennaio 1811 l’incaricato per la esecuzione della sentenza, Gennaro Catalano, fu in Cassano, dove, alla presenza di quel sindaco e al cospetto del sindaco di Bagnoli Giuseppe Rullo e dell’agente generale dell’ex feudatario di Bagnoli, Francesco Saverio Cione, scrisse l’atto in cui si invitava a pagare la Bonatenenza in beneficio della Comune di Cassano dal Generale Catasto. Chiamato poi in disparte il sindaco di Cassano gli comunicava che però la Commissione Feudale si era riserbata la decisione sulla spettanza del detto Molino, di cui è quistione sul secondo capo, come pel contenuto nei capi successivi, rimettendo nella sostanza tutto in discussione. La sentenza della Suprema Commissione Feudale presenterà infatti sentenza per la causa del Comune di Cassano in Principato Ulteriore e il suo ex Barone e il Comune di Bagnuolo, su rapporto del Cancelliere, vertente su tre capi mel 1814. Essa rececita che Cassano aveva preteso ed ottenuto che l’ex barone e il comune di Bagnoli gli rilasciasse ciò che per usurpazione han posseduto nel suo territorio che siano condotti a pagare l’importo della Bonatenenza di due secoli; che mai han soddisfatta dalla fondazione di un molino, che chiede anche restituire perchè di sua pertinenza essendo nel suo suolo… Che siano condannati alle spese, ed ai danni che per tali usurpazioni ha sofferto. La Commissione Feudale per la sua requisitoria del Regio Procuratore feudale per esserne delle Istituzioni Civili Ordine sul secondo riserbata la decisione sulla pertinenza del molino, di cui è in tal caso, paghi la causa all’ordine del giorno, tanto l’ex feudatario, che il comune di Bagnoli pagano la bonatenenza da lì General Catasto, a questo effetto, cioè dal 1743, anno della redazione del Catato Onciario al 14 aprile 1814, data della sentenza di secondo grado. Ma si procedette quindi alla visura del Catasto del Comune di Cassano, allora in distretto di Sant’Angelo dei Lombardi, solo il 30 agosto 1819, come nella formazione del General Catasto l’anno 1743 (in cui) furono i forastieri non abitanti tassati cinque grani per… de’ loro beni, ed abolito poi il d(i)ritto proibitivo del tabacco per l’imposizione di questo, e per quella del mantenimento della Regia Strada versò l’oncia a grani sei; imposta poi la decima salì a grani otto ed imposta la doppia decima l’oncia di detti Forastieri non abitanti fu tassata ad un carlino, e grani 11. finalmente quando fu imposto il dieci per mille… Il sindaco Pasquale Amatetti e i decurioni di Cassano affondarono il coltello nella piaga. Furono essi a leggere il catasto. La lettera è infatti firmata, oltre che dal primo cittadino, da tutti i decurioni Francesco Gudieri, Gioacchino Vecchi, Gennaro Vecchi, Nunzio Sacco, Amato Fusco, Giovanni Covoloni, Michele Majorana, Giulio Chiarolanza e Pietro Paolo Lauria segretario. Ma la cosa dovette proseguire ancora per anni, evidentemente perchè sempre rimandata. Sarà infatti il Cancelliere Archiviano, che è poi l’ex sindaco Pasquale Amatetti, a riaprire la questione il 15 giugno del 1828, procedendo nuovamente alla lettura del Catasto, asserendo che dal Generale Catasto del Comune di Cassano, le rivele fatte dai possessori di beni, a termini delle istruzioni catastali l’anno 1743, che si conserva nell’Archivio del Comune nel foglio 918 ho rinvenuto la rivela fatta dagli amministratori di Bagnuoli per un molino che tennero in questo tenimento, e dell’Università della terra di Bagnuolo in Fondo Demaniale in territorio di questa Terra di Cassano ammontante a Ducati 540 (?), che sono once 800. E non sappiamo, in verità, alla fine come è finita.
La documentazione rinvenuta sia nell’Archivio di Montevergine che nell’Archivio di Stato di Avellino, fra sentenze ed appelli, pare manchi di una decisione finale, anche se alla fine, almeno in primo momento, dovette spuntarla sicuramente Cassano (Pel Comune di Cassano e l’ex Feudatario del Comune di Bagnuolo, Archivio di Stato di Avellino, Fondo Atti Demaniali del 1504-1957, Busta 120, fascicolo 857).

Il Barone restringeva la Via del Curso, mentre perfino i bracciali cominciavano a chiedere l’esenzione perchè oppressi dalle tasse, andando a macinare le granaglie in altri molini, anche lontano, che non erano del barone provocando le sue ire, oppure sfidandolo, a nome dell’Università, per la costruzione di un molino votato dal Parlamento spendendo 400 ducati, cosa impedita dal Sacro Regio Consiglio (PS, vol.1215, f.4, vol.1206, f.207, vol.1247, f.53 e vol.1283, f.210).
La Ferriera, dal canto suo, diverrà un vero e proprio oggetto di commercio in quanto verrà data anch’essa in fitto dal barone a Consalvo Volpe, che ancora la possedeva nel 1603, contro cui ricorrerà nel 1607 il gabellotto dei fiscali, Luca de Maczeo, che non voleva pagare asserendo senza prova di essere iscritto altrove nei fuochi (PS, vol.1499, f.314 e vol.1754, f.134 t).
Appena qualche anno dopo, nel 1604, fra la Regia Corte e il dottor Pietro Santacroce sarà anche stipulata una convenzione per la costruzione di una fabbrica di canne da moschetto con la trasformazione del molino di Montella e di quello di Cassano per servirsi dell’acqua del Bagno. Nascerà qui una lunga lite fra il barone di Montella e quello di Cassano che voleva la nascita dell’edificio nel proprio territorio. Nel 1605 quindi, si ordinerà al barone di Cassano di non opporsi all’erezione della fabbrica delle canne di moschetti in un angolo del Bosco di Folloni (Processi Antichi della Sommaria, 65, n.453, fogli 2, 17, 19), come riferisce lo Scandone (in Scandone, p.cit.).
Tutte queste tasse porteranno a non pochi scontri tra popolazione e Università e tra Università e feudatario, per effetto della decaduta transazione, allorché in alcuni feudi più grandi, già dal 1608, si era dichiarato nullo il pagamento delle tasse al feudatario, come Bagliva, Portolania, Presento di Natale, Camera Riservata (o Camera Baronale), sulla Montagna. E’ dal 1655, dopo la rivoluzione di Masaniello, che le Università del Regno già avevano cominciato ad alzare la voce contro i feudatari. Le tasse erano diventate decine e decine, compresa quella Catastale e l’altra sulla Bonatenenza, come dimostrano i Bilanci comunali sottoscritti dagli Eletti e dal Cancelliere. Una decadenza che per Barionovi si manifestava sotto l’aspetto economico nel modo più concreto.
A parte il fatto che il titolare del feudo presentava la stessa rivela ad ogni università di tutti i feudi posseduti, dai Catasti si nota che oltre ai corpi giurisdizionali e all’esezione di terratico e censi descritti, in genere, il feudatario possiede anche altri corpi feudali, dai mulini alle valchiere (gualchiere), alle serre delle tavole (segherie), e continua ad esiggere dall’Unità, oltre i corpi giurisdizionali come Bagliva e Piazza, somme annue per la difesa, le parecchiate dai Massari e le giornate da Fatigatori per zappare o per mietere.
Inoltre vi sono i pesi, come assegnamenti familiari, vitalizi che i baroni spendono per i familiari e altri pesi fatti da terzi che riguardano le Spese per lo Stato (feudo e suffeudi) per la manutenzione di castelli e palazzi….

Description

 Il Castellione di Cassano diventa Casale di Montella (1164)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Senza qui volerci dilungare sulla presenza dell’antico Castellione di Cassano, oggetto di altro studio più completo di prossima pubblicazione, se ne ricorda ancora la presenza anche prima del 1164, con il nome di Castellionem Cassani abitato da Davide figlio di Ursonis Maraldi di Castellionem Cassani, con i suoi uomini in Serra Campi e Maionis, che purtroppo lo Scandone confonde con il milite David de Montella citato come teste nello stesso documento cavense e ben definito con il nome di David figlio del Milite Guidonis.
Fermo restante il fatto che il Castellionem di Cassano non ebbe poi lunga vita, perdendosene le tracce già nel 1184, gli uomini delle terre di Cassano furono poi donati alla Chiesa di San Giovanni de Gualdo e assoggettati a Castelli Montelle con il titolo di Casale di Cassano, ma solo per una cinquantina di anni, fino cioè all’arrivo degli Svevi che, a loro volta, lo sottometteranno, Montelle compresa, al Castello Imperiale di Giffoni.
La comunità religiosa dipendenza di Cava chiamata San Giovanni del Gualdo era fatta di uomini che coltivavano anche le terre ai piedi del Castillione di Cassano, che furono quindi presso il luogo ubi Polentina dicitur, iuxta quendam fluvium terrae nostrae, dove si riunì la Curia Solenne, per risolvere una controversia feudale fra Vescovo di Nusco e Abate di Fontigliano, alla presenza del delegato regio, Guglielmo de Tivilla, figlio e successore di Simone di Tivilla, che nel 1164 possedeva in capite diversi feudi, fra cui quello di Cassano e Bagnoli in servitium. Ciò avveniva cioè nel dodicesimo anno di Re Guglielmo di Sicilia, alla presenza di Giovanni Giudice di Montelle, Davide fu Guidonis milite di Montelle, Davide figlio di Ursonis Maraldi di Castellionem Cassani con i suoi uomini in Serra Campi e Maionis, figli di Giovanni Andree di S.Iohanne (Arch.Cava, XXXI, 88).
Le terre di Cassano, quindi, prima del 1164, non furono abitate da soldati Normanni, ma da homines di Ursone Maraldi assoggettati dal Milite David de Montella e donati alla Santa Trinità di Cava quando si ritrovano dipendendi dalla Chiesa di San Giovanni del Gualdo, facendo nascere un Casale di Cassano nelle stesse terre abitate già da prima, e dipendenti dal Castellione, cioè a Serra Campi e Maionis.
In una seconda pergamena del 1184, quando Riccardo de Aquino Conte di Acerra conferma la conquista normanna in territorio di Re Guglielmo di Sicilia, abbiamo la certezza che la donazione del Casale Cassani fu fatta dai feudatari di Montelle a San Giovanni de Gualdo……….

Cassano, Montella ed altri feudi, conquistati dagli Svevi, furono fatti ricadere nella giurisdizione del Castello imperiale di Giffoni (Sa) con il titolo di Universitas.
L’Amministrazione Comunale dell’Università di Cassano nacque quindi sotto Federico II ed era affidata ad un Procuratore, l’unica personalità giuridica delle Università.
Nel 1240 Cassano, Volturara, Montella, Bagnoli, Nusco, Appido, Baiano e Serino sicuramente erano già stati trasformati in Università e possedevano in bene demaniale gli ex territori normanni dai quali si esigevano tutti i diritti sugli usi civici propri, non mancando già all’epoca le prime contese con i nuovi feudatari a cui gli Svevi avevano concesso parte dei vecchi feudi o nuovi territori infeudati.
Al periodo Svevo risalirebbe infatti la prima lite fra Montella e Cassano sugli usi e la proprietà demaniale e la vertenza del feudatario di Montemarano, Giovanni de Lagonessa, che pretendeva la restituzione del territorio denominato Sava, poi Dragone, dalla Università per privilegio curiale. Un’altra citazione riguarda il feudatario Tommaso I de Aquino, Conte di Acerra. E’ del 1239-40, quando l’Università del Casale di Cassano e quelle vicine, furono obbligate a ricostruisce a proprie spese il Castello imperiale svevo che aveva giurisdizione sulla zona perchè distrutto durante la guerra, cioè il Castra Exempta di Gifoni…………….Giffoni indica la gestione delle terre dell’Università di Cassano con l’esazione di un tributo da versare alle casse statali.

L’Università, già da allora, pagava infatti alla Casa Sveva una tassa in base alle famiglie, la tassa sui fuochi, numerata in 24 unità, come risulta ai tempi di Corradino di Svevia nel 1268.
Ma la dichiarazione pare non corrispose al vero in quanto l’Università dovette pagare la multa di 1 augustale, pari a 15 carlini per ogni fuoco, la nuova moneta introdotta dagli Angiaini, relativamente ai mesi di settembre ed ottobre. Somma versata nel 1272 al Giustiziere di Principato e Terra Beneventana dai primi sindaci di cui si ha notizia, Giovanni Mangiacervo e Pietro De Giovanni. Anche se nel 1275 il Giustiziere pretendeva altri 360 carlini, cioè 24 augustali contabilizzati in 6 once, ma l’Università mostrò ricevuta di avvenuto pagamento da un triennio (In Scandone, op.cit., Docc.4, 8, 12).
E’ cioè una tassa incamerata dall’Università che colpiva le famiglie soggette a lavorare le terre della chiesa di San Giovanni de Gualdo tenuta al pagamento. Conteggi dai quali i contadini, servi della chiesa, probabilmente erano anche esclusi, essendo servi, quindi bene della chiesa ……………………………………..uochi, che si disse tassa per la Spesa di Generale Sovvenzione dello Stato, e pagata da ogni provincia che la ripartiva in base alle università, che, a loro volta, la facevano ricadere sulle famiglie. Soldi che servivano anche per la repressione del brigantaggio, per la coniazione e la distribuzione dei carlini d’argento fatti coniare da Re Carlo I, che andarono a sostituirsi agli augustali coniati da Federico Augusto Imperatore, per la costruzione delle navi necessarie contro l’insurrezione dei Vespri. Il De Fucularibus, così si chiamò, era pari ad 1 augustale al mese. Cassano ne doveva pagare per armare 6 uomini, Avellino per 20. La tassa sarà stabilita definitavamente in occasione dell’assedio di Lucera da parte di Re Carlo che aveva obbligato le Università a fornire soldati in proporzione al numero dei fuochi oppure a versare la somma in danaro se non possedeva, come nel caso di Cassano, uomini adatti.

Nel 1270, con un altro provvedimento, Re Carlo I ordinava al Principato Ultra di pagare un’altra tassa, il Baiulo, a Roberto Malerba, addetto alla vigilanza delle strade, compreso il bivio fra la Via Antiqua Campanina e la Via Saba Major. Nei documenti angioni si parla solo della Strata, quella lastricata proveniente dall’Avellano, perchè è scritto da Montis Fortis propre Cimiterium, usque Atripaldum strata Atripaldi per viam qua itur Guardiam Longombardorum per frontem S.Lucia, cioè Strata Atripualdi, qua itur Guardia Lombardorum per Pontem S.Lucia; et a Ponte de Nusco, usque Guardiam et a Guardia per viam S.Leonardi usque Ufidum et Melfiam, citata anche come la Saba Maioris a Sereno usque ad Pontem Nuski, che passava per la Valle del Dragone in direzione di Ponteromito, facendo infatti intedere che Sereno, Guardia e Ponte Santa Lucia erano proprio nello stesso circondario del Ponte di Nusco.
La strada insomma che si sarebbe chiamata Via Cupa, cioè Via Romana, proveniente da Atripalda, passante per il Dragone di Volturara, saliva a Bolofano e scendeva al Ponte di Cassano (Riziero Roberto Di Meo, Storia di Volturara Irpina, pag.245, Avellino 1987), proseguendo per Santa Lucia di Sereno.
Nel libro delle Platee angioine, quindi ancora nel 1200, questo tratto di strada collegava in sequenza Melfiam, Ofidum, Oppido, Nuski, Pontem usque Bolifanum, Saba Maiors, accertando quindi che provenisse dalla Cività Sabatrai (o Sabazia) sita sui monti del Turminio, ricadente nel perimetro di Serino.
E’ proprio la strada che collegava Sabazia con la Piana del Dragone che sarebbe passato per lo Vucc………………..al Re, ma tenuto a rendere l’omaggio della Università anche al feudatario prendendosi la responsabilità di pagare in solido gli oneri dovutigli, oltre che l’impegno di ascoltare i testimoni in tutte le inchieste, delle vertenze attinenti le multe, della riparazione del Castello.

Il 6 maggio del 1279 re Carlo I emanò l’ordinanza in cui si obbligavano le Università di Città, Terre e Casali, e di Castelli e Ville a restituire gli ex sigilli ufficiali al Giustiziere della provincia di Principato Ultra perchè dovevano essere distrutti, dichiarando che tutti gli atti pubblici e privati che non erano sottoscritti da giudici, notai e testimoni non erano considerati legali.
La carica del Sindaco non era permanente. Egli veniva eletto dal popolo nell’assemblea annuale convocata dal Giudice e dal Mastrogiurato in origine il 1 settembre di ogni anno, data in cui cominciava l’anno amministrativo fino al 31 agosto dell’anno dopo, il tutto registrato da un Notaro. Al Sindaco toccava poi sbrigare le questioni che regolavano il buon andamento del governo delle Università che quindi fu retta da funzionari locali.
I primi di cui si ha notizia sono il Giudice (per la giustizia) Roberto de Marini e il Mastro Giurato (per la polizia) Marco de Cassano del 1272, il cui Notaro era Ruggiero di MaestroNicola (per la redazione degli atti).
Il peso maggiore restava proprio la spesa per lo Stato.
Nel 1269 l’Università contribuisce per lo stipendio di un uomo a cavallo pari ad un’oncia d’oro e 15 tarì al mese (Reg.Ang. 6, f.54), nel 1272 sempre per la Generale Sovvenzione da pagarsi alla Regia Corte pari a 7 once e 18 tarì. (Reg.Ang. 207, f.69) nelle mani del giustiziere Gualtiero di Collepetrano da Giovanni Mangiacervo e Pietro de Giovanni (Reg.Ang. 21, f.245), i due sindaci di quell’anno (in Scandone, op.cit.).

Dettagli

EAN

9788872970829

ISBN

8872970822

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

I Deputati alla redazione del Catasto Onciario del 1743

 

Per la realizzazione del Catasto Onciario di Cassano la Curia vescovile nominò quindi i deputanti ecclesiastici per l’ascolto delle “rivele”, la verifica e il conteggio delle tasse. Il tutto fu riportato in un librone di 944 pagine redatto, come per legge, dopo il decreto della Regia Camera Sommaria del 20 settembre del 1742, firmato da Don Ludovico Paterno. Siglato a tergo dal notaio Gramignani, fra il timbro ad inchiostro e quello a secco dell’Università di Cassano alla pagina 943, il Catasto è firmato direttamente con il nome e cognome degli interessati o, per chi non sapeva scrivere, col segno di croce seguito dal nome e cognome vistato. Esso sarà consegnato nel 1743. Gli atti preliminari per il nuovo Catasto Generale di Cassano furono iniziati il 18 settembre del 1741 dall’amministrazione di quell’anno formata dal sindaco Nicola Granata, dal copo eletto Stefano dello Polito e dagli eletti Francesco Mongiello, Sabato Andreano, Francesco Carfagno. Alla presenza del Governatore Giovanni Tommaso Paglia, il 1 ottobre del 1742, tornò a riunirsi il Generale Parlamento e furono quindi eletti anche i Deputati per il Catasto nelle persone che firmeranno l’atto di Michele Mangino (Francesco Michele Mancini), Giacomo Antonio del Corpo (Giacomo Andrea di Corpo), Domenico Mascolo, Domenico Amatetti e quelli analfabeti con segno di croce Giacinto Bocchino, Carmine Faia (Carminantonio Faya).
I nomi fra parentesi sono quelli così come li lesse Scandone, aggiungendovi a quelli già citati anche altri due nomi, Giovanni di Giuseppe di Lauro e Giuseppe Saulino (in L’Alta Valle del Calore, Volume VI, Cassano Irpino, riedizione Dragonetti, Montella 1999, pag.79, da Onciarii di Principato Ultra, nell’Archivio di Stato in Napoli, vol.4953, foglio 1) che non abbiamo riscontrato nella copia del Catasto Onciario presente nell’Archivio Comunale di Cassano, ma che probabilmente si riferiscono alle due persone scelte per l’apprezzo che però non sono deputati. Ma anche il loro nome appare diverso quando Scandone, al rigo successivo, scrive che per l’apprezzo dei beni furono scelti Giuseppe Di Lauro e Giuseppe di Luca Saulino relativamente alle terre di Cassano, mentre Giovanni Camillo Rosa e Marco Granese per l’accertamento in Montella, sostenendo che erano assai numerosi i territori in quel di Cassano, aggiungendo che vennero nominati scrivani Domenico Rossi e Giovanni Di Corpo. E che per i beni ecclesiastici fu invitato a far la nomina dei deputati ecclestiastici il vesovo di Nusco che elesse il Reverendo Don Giuseppe De Blasio di Cassano ed il padre Andrea Marchitto, conventuale del monastero di San Francesco a Folloni di Montella (Onciario cit., foglio 5, 11, 41, in L’Alta Valle del Calore, Volume VI, Cassano Irpino, riedizione Dragonetti, Montella 1999, pag.79).
Il 25 novembre tornò intanto a riunirsi il Parlamento per la costituzione del nuovo Governo. Furono quindi eletti gli amministratori che poi firmeranno il Catasto Onciario di Cassano: il sindaco Michele Russo, il Capo Terra (Capo-eletto) Francesco Prudente e gli eletti, cioè il Primo Eletto Giacinto Bocchino e gli altri due eletti Giulio Majorana e Giovanni Mongiello.
Lo Scandone, dalla copia conservata nell’Archivio di Napoli, riesce anche a leggere i nomi degli esperti che si sostituirono ai vecchi, individuati nelle persone di Domenico D’Urso di Cassano e Donato Vitagliano di Montella.
Scandone commenta che continuarono così le operazioni finchè non fu compilato per intero il Libro del Generale Casto del 1743 firmato dal sindaco in carica Russo non essendo passato il mese di agosto del 1743 e dai suoi eletti (Onciario cit., vol.4953, foglio 48; Onciario, vol. 4957, foglio 1 a t.; in L’Alta Valle del Calore, Volume VI, Cassano Irpino, riedizione Dragonetti, Montella 1999, pag.81).
A tergo del Catasto seguiranno poi i deputati firmatari. Essi ebbero tale appellativo che riscontriamo scritto nel Catalogo anche durante le rivele, pertanto sono confermati, come precisato accanto ai loro stessi nomi. Firmano quindi i sei deputati per il catasto già citati: il vaticale Carmine Antonio Faija, il bracciale Domenico Amatetti, il medico cerusico Domenico Mascolo, lo speziale Michele Mancino, il manolese Giacinto Bocchino e il giudice Giacomo Antonio Di Corpo. Si tratta de: il vaticale di Ponzone, Carmine Antonio Faija con un castagneto alle Ramate; il bracciale di Fundano, Domenico Amatetti, con una terra ai Vacantali; il cerusico di Tufo Luongo, il magnifico Domenico Mascolo con un cavallo per proprio commodo; lo speziale manuale, il magnifico Michele Mancino che abita in casa patrimoniale dell’arciprete Amato Mancini e possiede due somari; il manolese di Fundaco Giacinto Bocchino; il giudice di Fundaco, il magnifico Giacomo Antonio di Corpo che incassa decine di esazioni e possiede una giumenta.
Come si vede sono esclusi dalla firma i due nomi, Giovanni di Giuseppe Lauro e Giuseppe Saulino, che legge invece lo Scandone nel Catasto conservato nell’Archivio di Napoli, il quale, esclude dalla firma altri due nomi, Carmine Antonio Faija e Giacinto Bocchino (Scandone, op.cit., pag.81).
A seguire vi sono gli altri deputati che si differenziano da quelli precedenti perchè sono i tre deputati per formare l’Onciario: il dottor Francesco Sacco, Domenico Mancini, Giuseppe Antonio Mongiello, quelli che Scandone dice essere destinati ad invigilare sulla redazione finale dell’Onciario, con il quale si concorda.
Infine compare la firma di Don Francesco Bruno, deputato ecclesiastico per parte ....(?) e segue il visto del notaio (Vito) Gramignani, il magnifico notaro che abita con la moglie Flavia Catalano a Fundaco ed è l’unico con tal cognome. Di questi ultimi due nomi Scandone non fa alcun riscontro sulla copia del Catasto rinvenuta a Napoli.

Queste le firme a conclusione del Catasto Onciario di Cassano:
+ Segno di croce di Michele Russo Sindaco
+ Segno di croce di Francesco di Paulo Prudente Capo Terra
+ Segno di croce di Giacinto Bocchino (Primo eletto)
+ Segno di croce di Giulio Majorana | Eletti
+ Segno di croce di Giovanni Mongiello |
Giacomo Antonio del Corpo Deputato
Michele Mongino Deputato
Domenico Mascolo Deputato
Domenico DAmascato Deputato
+ Segno di croce di Giacinto Bocchino |
+ Segno di croce di Carmine Faia | Deputati
V. Magnifico Francesco Sacco Deputato per l’Onciario
Domenico Mancini Deputato per formare l’Onciario
Giuseppe Antonio Mongiello Deputato per formare l’Onciario
F.to Don Francesco Bruno Deputato Ecclesiastico per parte decosto (?)
V. Gramignani (sul timbro ad inchiostro e quello a secco di Cassano)

Come si nota anche dalla fotografia dell’originale non vi sono solo crocesegnati, ma anche firmatari di proprio pugno. Contrariamente che ad altri Catasti, questo di Cassano, è preceduto dal dispaccio regio, possiede delle pagine bianche fra una lettera e l’altra, riporta l’ordine alfabetico per nome e termina con questa ultima pagina dei firmatari.
Dall’elenco dei capifuoco che nel 1743 presentarono rivela sappiamo che sono riportate in ordine di nome e cognome del capofamiglia, del mestiere (o professione) seguito almeno dal nome e cognome della moglie per avere un minimo di distinzione in caso di omonimia, e preceduto dall’eventuale titolo dei “don” (magnifico, deputato), laddove se ne è avuta notizia ed è stata chiara l’interpretazione della scrittura.
I sacerdoti sono in numero elevato, probabilmente perchè fra essi vi sono persone divenute chierici per evadere le tasse. Noi ne abbiamo letti 20, lo Scandone ne riportò 32 inserendovi anche quelli che abitavano in altri nuclei familiari.
I 32 sacerdoti che abitavano da soli e in altre famiglie: Giovanni Battista Aurilia, Carlo e Giuseppe De Blasio, Francesco Bruno, Francesco e Nicola Carrozza, Donato Catalano, Giovanni Chiarolanza, Guglielmo Chiarolanza, Nicola Cieri, Salvatore Di Corpo, Marco Granata, Carlo Maiorana, Amato Mancini arciprete, Ferdinando Mancini, Michelangelo Ninni, Giuseppe Prudente, Alessio Pico, Giuseppe Pico, Orazio Pico, Pietro Pico, Amato Russo, Annunzio Sacco primicerio, Lelio Sacco, Marco Sena, Andrea Vecchia, Bartolomeo Vecchia, Donato Vecchia, Donatantonio Vecchia, Francesco Vecchia, Giovanni Vecchia, Pietropaolo Vecchia.
Oltre i 2 diaconi: Giuseppe Carrozza e Giuseppe Solimine. Sui sacerdoti si concorda quindi con lo Scandone, anche se non se ne conteggiano 32 ma solo i 20 che fanno “famiglia” a se; altra cosa ancora erano gli assenti, trovandosi altrove, in quanto sacerdoti emigrati. Si tratta dei 7 sacerdoti emigrati: Carlo Maiorana economo in Arzano Casale di Napoli, Carlo de Blasio assente in Napoli, Giovanni Chiarolanza Arciprete della Cattedrale di Montemarano, Marco Granata assente in Arionegro (Rionero in Vulture) con fratello medico, Mario Sena che era senza residenza, Nicola Cieri in Napoli, Pietro Paolo Vecchia in Montemarano.
Il lettore trova in un Catasto i nomi con il relativo mestiere (per esempio: massaro, bracciale, ferraro, campese, falegname, forese, mastro, muratore, calzolaio, sartore, bandieraro o alfiere, dottore in legge, scardassatore di lana), oppure l’invalid.....................ra abitato, compresa la famiglia del marchese nel Palazzo baronale, da 220 nuclei consistenti. Circa 1/5 di tutte le famiglie a Fundaro, 1/5 a Ponzone ed 1/5 a Serra. Le rimanenti erano dislocate per la maggior parte a Pretariello, poi alla Cittadella, alla Ripa e presso la Chiesa Madre.

17 a La Cittadella (1 di Montella)
37 Serra (1 a Serra Campana e 1 a Serra d’Orto)
41 Ponzone (1 di Monte Marano)
29 Pretariello
10 Ripa (1 è di Montella)
45 a Fundaro (1 di Guardia Lombardi e 1 di Montella)
9 Sopra la Chiesa Madre
A queste vanno aggiunte altre 15 famiglie delle contrade: 6 a Tufo Luongo, 2 a Ponte e 3 a Frasale, con 1 sola famiglia rispettivamente in Acquania, Forno, Gargone, Cortiglia. Ne restano altre 16 di cui non si riesce a decifrare la ........................ fare la rivela dei beni e delle industrie e i tecnici apprezzavano gli stabili, mentre l’Università cominciò ad approntare lo Stato, cioè il Bilancio di quell’anno che risultò essere di 1034 Ducati in Entrata, e di 1324,46 in Uscita:

INTROITO
1) Dalli demaniali, per la fida dell’erbaggio,
volendosi affittare potrebbonsi ricavare..........................Duc. 10,00
2) Dal Catasto inter cives....................................................Duc 990,00
3) Dalla bonatenenza de’ forestieri....................................Duc 15,00
4) Dall’affitto del pane a vendere......................................Duc 10,00
5) Dalla chianca..................................................................Duc 4,00
6) Dalla (pesca nella) fiumara..........................................Duc 5,00
Totale 1034,00

ESITO
1) Alla Regia Corte e fiscalarii............................................Duc.654,00
2) Per il donativo (al barone)..............................................Duc. 22,00
3) Per (i crediti) strumentali alla Camera Baronale.............Duc.192,60
4) Al Rev. Capitolo per strumentarii...................................Duc. 8,80
5) Al Rev. Capitolo di Nusco..............................................Duc. 1,80
6) Alla Cappella del SS.mo.................................................Duc. 55,20
7) Alla medesima per contribuzione....................................Duc. 4,00
8) Alla Chiesa di S.Maria della Grazia per strum(entarii)....Duc. 13,20
9) Al Pio Monte del quond(am) Alessandro Sena...............Duc. 0,80
10) A Gius(eppe) Andrea di Corpo per strument(arii).........Duc. 4,00
11) A Vincenzo Mancini......................................................Duc. 1,40
12) Alla Camera Baronale per custodia del castello
senza saperne causa......................................................Duc 18,00
13) Al Rev(erendo) Capitolo per le decime sacramentali....Duc 14,00
Al medesimo per libbre 32 1/2 di cera lavorata...................Duc. 14,00
15) Alla mensa vescovile di Nusco.................................... Duc. 7,00
16) Al Governatore per li banni pretorii.............................Duc. 10,00
17) Al sindaco e 4 eletti per loro provvisione.....................Duc. 26,00
18) Al Cancelliere e Notaro................................................Duc. 18,00
19) Al Predicatore quaresimale...........................................Duc. 30,00
20) A chi pone a segno l’orologio........................................Duc. 8,00
21) Alli beccamorti...............................................................Duc. 6,00
22) All’Avvocato in Napoli.................................................Duc. 30,00
23) Al Procuratore in Napoli...............................................Duc. 10,00
24) All’Avv(ocato) in R(egia) Udienza...............................Duc. 10,00
25) All’Avv(ocato) in detta Terra........................................Duc. 6,00
26) All’esattore per l’esazione............................................Duc.100,00
27) Feste per i (santi) Protettori..........................................Duc. 30,00
28) All’ospedale per alloggio di pellegrini..........................Duc. 5,76
29) Per accomodo di strade e fontane..................................Duc. 30,00
30) Al sacrestano per sonare li tocchi..................................Duc. 5,00
Totale 1324,49

Fatti tutti i calcoli, veniva fuori che l’Università doveva pagare alla Regia Corte, relativamente ai fuochi dei cittadini moltiplicati per i 12 carlini a fuoco, un totale di 1133 ducati e 6 grani e 1/2.
E, fatti tutti i calcoli, come scrive lo Scandone, relativamente alle entrate ed alle spese, e divise queste per la somma totale delle once, ch’erano 10933 (ridotte a 9457 e 29 tarì per la deduzione dell’importo della bonatenenza) si trovò che ogni oncia doveva pagare 6 grani e 8 cavalli.
Così si andò avanti per diversi anni, conclude lo Scandon...................di La Cittadella; Amato Di Lauzi, bracciale, e Antonia Prudente di Serra; Andrea Pico Piero, bracciale, e Alessandra Cafriello di Il Pretariello; Antonio Baderto, bracciale, e Catarina Piro; Angiolo Vecchia, bracciale, di Serre; Amato Roberto, bracciale, di Serra; Antonio Vecchia, e Annalisa Di Meo, a La Ripa; Angelo Antonio Salvato, bracciale, e Maddalena Roberto di Serra; Agostino Granese, bracciale, e Giovanna Roberto, a Pretariello; Antonio Granese, bracciale, e Grazia di Enzo a Pretariello; Amato Antonio di Pieri, industriante, a Serra; Angiolo d’Enzo, industriante, e Catarina dello Polito a La Cittadella; Antonio Prodente, bracciale, e Grazia Sorice a Lo Tundaro o Fundaro; Annunziante Vecchia, bracciale, e Teresa a Serra; Angiolo Capone, sartore, e Rosa Grasso, allo Pretariello; Alessandro Solimine, calzolaro, e Carmina Prudente, alla Ripa; Amato Carozza, bracciale, e Porzia Cantillo, alla Ripa; Amato Chiarolanza, bracciale, e Antonia Buntaegna, allo Fundaro; Amato di Sapio, bracciale, e Carmina Buntaegna, allo Fundaro; Antonio Majorana, bracciale, e Maria Granato; Antonio Russo, bracciale, e Marta Prio, a Sopra la Chiesa Madre; Antonio Baiano, bracciale, allo Pretariello; Annunzio Granato, bracciale, allo Fundaro; Antonio Ressa, mastro indoratore, a Fundaro; Andrea Capobianco, bracciale, e Anna Granese commotante nella Terra di Montella con casa alla Ripa.

B - Bartolomeo Carfagno, bracciale, e Maddalena Caputo, a Serra; Bartolomeo Fiorentino, bracciale, e Antonia Pieri, a Ponzone; Bartolomeo Maggiotto, bracciale, e Laudonia Cantillo, a La Serra; Bartolomeo Carozza, bracciale, e Vittoria Cantillo, alla Ripa; Biase Baso, bracciale, e Teresa Tatra, a Serra; Bartolomeo Foglia, bracciale, e Vittoria Vadignone? allo Fundaro; Bartolomeo Prio, bracciale, e Popa Bardone, a Pretaziello; Bartolomeo D’Aurilia, sartore, allo Pretariello; Bartolomeo Roberto, bracciale, e Marzia Benisaegna allo Fundano; Bartolomeo Fadio, bracciale, e Carmina Mascolo, a Serra; Bartolomeo di Lauri, bracciale, e Annamaria di Torso o Borgo a Pretariello; Bartolomeo Pico, bracciale, e Maria Carrozza, alla Ripa; Benedetto di Stona?, bracciale, e Grazia di Lioni allo Pretariello; Bartolomeo Barbone, bracciale, e Grazia Caputo allo Fundano; Biasi Foglia, bracciale, e Carmena di Fazio, alla Cittadella; Bartolomeo della Calca, alla Cittadella; Benedetto Recupido, bracciale, e Salessia Faliento, a Fundano.
Seguono i nomi che cominciano per la lettera “C” con Carmine che batte Ceriaco (Ciriaco), e quelli della lettera “D”, con molti Domenico e svariati Donato.
C - Carmine fu Antonio Pico, bracciale, e Laura Cossa, a Fundano; Carmine Mosca, bracciale, e Camilla Faja, a Porzone; Carlo del fu Agostino Foglia, bracciale, e Aurelia Caputo allo Forno; Ceriaco Barbone, bracciale, allo Pretariello; Carlo di Francesco Foglia, bracciale, e Teresa Mascolo, abitava alla Cittadella; Carmine di Antonio Vecchia, a Pretariello; Carmine Capone, sartore, e Alessandra Bocchino alla Serra; Ceriaco Mogea, bracciale, e Antonia Savino a Ponzone; Carmine Francesco Foglia, bracciale, e Vittoria di Bolera, al Pretariello; Carmine Granato, bracciale, e Carmina della Catta al Fundano; Carmine fu Francesco Carrozza, bracciale, e Teresa Bergantino allo Fundano; Consalvo Prudente, bracciale, e Grazia Filippone a Fundano; Ceriaco Caputo, bracciale, e Angiola Begantino alla Ripa; Cristofano Martone, bracciale, e Teresa Prudente, al Fundano; Ceriaco Granato, vaticale, e Madalena Laveri, alla Cittadella; Carmine di Cerasio, e Giovanna Mascolo a Porzone; Carmine Lacerio, bracciale, e Giovanna dello Palito a Fundano; Carmine Carfagno, massaro, e Sergia Pico alla Cittadella; Carmine Sena, massaro, a Ponzone; Crescenzo Santino, bracciale, e Maria Pico, a Ponzone; Carmine fu Domenico Pico, vaticale, e Isabella Conza, al Pretariello; Carmine fu Giuseppe Carrozza, bracciale, e Angiola Santino, a Ponzone; Carmine dello Polito, e Carmena Granato, a Ponzone; Cristofano Vaiano, bracciale, e Giovanna Petriello, a Fundano; Carmine Mongiello, bracciale, e Orsola Russo, a Serra di Orto; Carmine Chiarolanzo, bracciale, e Giulia Laurio a Fundano; Carmine Antonio Faija, vaticale e deputato, e Anna di Feo a Ponzone; Carlo Corso della Città di Montemarano, a Fundano.
D - Daniele Caputo, impotente, e la moglie Vittoria Romano a Fundano; Donato Foglia, bracciale, e Porzia di Cieri, alla Cittadella; Domenico Petriello, e Giovanna Recupido, a Ripa; Domenico Saulino, e Grazia di Geronimo a Ponzone; Domenico Granato, e Grazia Mongiello, alla Cittadella; Domenico Sena, bracciale, e Carmena dello Polito a Ponzone; Domenico Majorana, bracciale, e Olimpia Bruno a Ponzone; Domenico di Arso o Varzo, bracciale, e Elisabetta Recupido allo Ponte; Domenico Mongiello, bracciale, abitante alla Serra; Domenico Vecchia, bracciale, e Caterina Saulino a Ponzone; Domenico Laurio, bracciale, e Maria Bruno, il figlio Silvestro vaticale a Ponzone; Domenico del fu Felice Caputo di Fundano; Domenico Faija, bracciale, a Ponzone; Domenico Carrozza, negoziante, e Olimpia Conzo col figlio Annunzio molinaro e Gennaro vaticale alla Cittadella; Domenico Fiorentino, mendicante, e Teresa Chiarolanzo; Domenico dello Polito e Grazia Pijagia, a Tufo Luongo; Donato dello Polito, e Margherita Bergantino; Domenico di Biasi Russo, bracciale, e Teresa Saulino abita a Pozone; Domenico di Bartolomeo Russo, e Elisa alla Chiesa Madre; il magnigico Domenico Mancini a Serra Campana; il magnifico Domenico Rossi, speziale manuale, e Costanza Amatetti alla chiesa Madre; Domenico Amatetti, bracciale e uno de Deputati, bracciale, e Maria Majorana, a Fundano; il magnifico Domenico Mascolo, (medico) cerusico e uno de Deputati, e Dorodea Saulino, a Tufo Luongo.
Abbiamo quindi i nomi che cominciano per le lettere “E”, “F”, “G” e “H”. Qui Eliggio è solo contro tutti i Francesco, Giuseppe e Giovanni.
E - Eliggio Fiorentino, bracciale, e Catarina Castagno a Ponzone.
F - Francesco Chiarolanzo, massaro, e Maria Mancino a Fundano; Francesco Mascolo, bracciale, e Antonia di Lauri a Pretariello; Francesco Sena, bracciale, di Ponzone; Francesco Castagno, bracciale, e Aurelia Pieri di Pretariello; Francesco Mosca, bracciale, e Antonia Pica di Ponzone; Francesco Mongiello, bracciale, e Carmina Pico di Ponzone; Francesco di Lauri, bracciale, e Prodenzia Bevilacqua a Fundano; Francesco Sarni, bracciale, e Apollonia Laurio a Fundano; Francesco di Bolera, bracciale, a Fundano; Francesco Civaricchio o Civarullo? e Maria Cantillo alla Serra; Francesco di Paulo Prudente, negoziante, e Antonia Amatetti a Fundaco; Francesco Granato, mandese o mandege, e Teresa Majorana a Ponzone; Francesco Faija, bracciale, e Catarina Bergantino a Tufoluongo; Francesco Solimine, calzolaio, a Fundano; il magnifico notaio? Francesco Amatetti e Anna Vecchia a Pretariello; il magnifico Francesco Catalano, e Nicolina Venuti, a Fundico; Frabrizio Carrozza, bracciale, a Pretariello
G - Erroneamente riportati nella lettera “E” seguono Gennaro Creta e il magnifico Giuseppe Vecchia di cui non si ha notizia e, presumibilmente è lo zio del sacerdote, quello della casa dove abita il sacerdote, il che ingenera non pochi sospetti evasivi; Gioacchino Granato, bracciale, e Teresa Fazio, a Ponzone; Gennaro Petriello, bracciale, e Apollonia Majorana, a Ponzone; Giuseppe di Giovanni Carfagno, e Chiara Santino, abitante in Ponzone; Gennaro De Blasio, bracciale, abitante in Acquania; Giuseppe Majorana, bracciale, e Teresa di Vurso o Orso a Ponzone; Giovanni Majorana bracciale, e Carmina Mosca, abita alli Gargone; Giovanni Mongiello, bracciale, e Porzia Granato, abita a Ponzone; Giuseppe di Carmine Pico, bracciale, e Madalena Di Meo abita a Pretariello; Giovanni Sorice, bracciale, abita con la moglie Grazia Sena a Ponzone; Giuseppe Foglia, bracciale, moglie Teresa Lieri alla Cittadella; Gennaro Vecchia, bracciale e Grazia Carfano alla Serra; Giulio Majorana, bracciale e Teresa Recupido a Ponzone; Gregorio Vecchia, massaro, abitava in casa di suo zio sita alla Serra; Giuseppe di Giulio Chiarolanzo abita alla Serra; Giovanni Foglia, bracciale, e Anna Maria Russo alla Serra; Giuseppe Bruno, bracciale, e Orsola Pico in casa di Don Francesco Bruno suo zio a Ponzone; Giovanni Tomaso Sena, bracciale, e Angiola Scandone alla Serra; Gennaro Foglia, bracciale, a Pretariello; Giovanni Battista Pico, bracciale, allo Fundaco; Giovanni Felippone abita alla Chiesa Matrice; Giovanni Granato, bracciale a Ponzone; Giuseppe Russo Massaro e Teresa di Blasio allo Pretariello; Giuseppe Caputo, bracciale, e Margherita Amatetti a Fundaco; Giuseppe di Salvatore Pico, massaro, e Catarina Pico, abita alla Ripa; Giuseppe Pisapia, bracciale, e Anna Valdo, alla Chiesa Madre; Giovanni Russo bracciale, e Rosolinda Sentino, alla Chiesa Madre; Geronimo di Mazzeo, bracciale e Teresa Amatetti a Serra; Giuseppe del fu Pietro Saulino, bracciale, e Giandonia Sena, alla Cittadella; Giuseppe Vecchia, bracciale, a Ponzone; Giovanni Tomaso Caputo, bracciale, e Teresa Bardone, a Funaco; Giuseppe di Giulio Chiarolanzo, bracciale, e Francesca Areniello a Fundaco; Giovanni Bergantino, bategaro, e Barbara di Marino alla Cittadella; Giuseppe Ciriaco Pico, e Antonia Pica, a Pretariello; Giuseppe Recupido bracciale, e Teresa Laurio, a Fundaco; Giuseppe di Domenico Pico, bracciale, e Antonia Longa; Giovanni di Geronimo, molinaro, e Grazia Chiarolanzo alla Chiesa; Giovanni Battista Laurio a Fundaco; Giuseppe Sena, sacrestito, e Grazia di Balera a Ponzone; Giuseppe Buccella, bracciale e Orsola Pico, a Pretariello; Gennaro Caputo, bracciale a Fundaco; Giuseppe Mongiello, bracciale, e Grazia Mancino a Serra; il magnifico notaio Giuseppe Catalano e la magnifica Teresa Ninni a Serra; Giuseppe Petriello, bracciale, alla Cittadella; Giovanni Buccella, bracciale, e Domenica Chiarolanzo a Fundaco; Giuseppe di Lorenzo Carfagno, e Mabile Majorana, alla Cittadella; Giovanni Battista di Bolera, bracciale; il magnifico giudice Giacomo Antonio di Corpo col figlio magnifico Giovanni, studente, e Francesco scolaro abitanti in Fundaco; Giacinto Bocchino, manolese, e la moglie Laura Buccella, a Fondaco; Giuseppe di Luca Saulino, marcolese, Orsola Caprariello a Tufo Luongo; Giuseppe di Lauri, bracciale, e Madalena Amatetti, alla Serra; Giuseppe Grieco, bracciale, della Terra della Guardia Lombarda, e Donata di Fazio, a Fundaco; Giuseppe de Ficeto, bracciale, della Terra di Montella, e Madalena d’Orso, bracciale, alla Cittadella.
Non essendoci nomi con la “I” e la “Q”, arriviamo alle lettere “L”, “M”, “N”, “O”, “P” ed “R”. Ed eccoci a Lorenzo, pochi Leonardo, i Michele; Nicolò che batte Nicola, Orazio che batte Onofrio, e Pietro.
L - Leonardo Granato, bracciale, e Antonia d’Urso a Ponzone; Leonardo Majorana, bracciale, e Domenica Fierro abita nella casa degli eredi di Berardino Barbone a Pretariello; Lorenzo Russo, bracciale, a Pretariello; Lorenzo Petriello, bracciale, e Antonia Carrozza a Ponzone; Lorenzo Sorice, bracciale, e Teresa Sena a Ponzone; Luca Pasquale, bracciale, a Fundaco; Lorenzo di Bolera, bracciale, e Francesca Grasso a Pretariello; Lorenzo Sena, sartore, commorante in Monte Marano con casa a Ponzone.
M - Michele Majorana, bracciale, e Porzia Buccella a Trasale o Frasale; Michele Vecchia, bracciale, e Camilla Foglia a Frasale; Mario Pico, e Teresa Peccerillo, a Ponzone; Michele Recupido, povero vecchio di 83 anni a Tufo Luongo; il magnifico Don Michele Angelo Vecchia commorante in Napoli e la magnifica Madalena Amatetti; il magnifico Michele Mancino, speziale manuale, uno dei Deputati, e la magnifica Grazia Vecchia abita in casa dell’arciprete Amato Mancini; Michele Russo, bracciale, e Rosalba Cefalo; Michele Angelo Grasso e Anna Maria Rizzo presso al Chiesa Madre.
N - Nicolò Chiarolanzo, bracciale, con Ippolita Carfagno a Ripa; Nicolò Russo, bracciale, con Geronima Mongiello alla Serra; Nicolò Vecchia, e Vittoria Moscariello alla Serra; Nicolò Fiorentino, bracciale, alla Chiesa; Nicolò Sena, negoziante, e Antonia Granato a Fundaco; Nicolò Fazio, bracciale, a Fundaco; Nicolò Vajano, bracciale, ed Elisabetta Bevilacqua; Nicolò di Giovanni Angelo Majorana, bracciale, e Orsola Recupido alla Cortiglia; Nicola Carfagno, bracciale, e Maddalena Saulino abita in casa di Bartolomeo di Lauri.
O - Orazio Mancini, bracciale, e Luisa Vecchia, alla Serra; Orazio Antonio Saulino, bracciale, e Vittoria Sorice, a Fundaco; Onofrio Foglia, bracciale, e Vittoria Saulino, a Serra; Orazio Granese, bracciale, e Maddalena Pico abita in casa di Vincenzo Mancini a Serra; il magnifico Ottavio Ninni e la magnifica Angiola Natelly a Serra; il magnifico Orazio Sacco o Sarro, e Carmena Majorana serva a Ponte.
P - Pasquale Vecchia, bracciale, a Pretariello; Pietro di Blasi, bracciale, alla Serra; Pietro Capone, sartore, e Rosalia Bruno alla Serra; Pietro Carrozza, bracciale, e Agata di Meo a Pretariello; Pietro di Geronimo, bracciale, alla Ripa; Pietro Angelo Pico, bracciale, e Carmina Bevilacqua a Fundaco; Paolo Petriello, massaro, e Maria Pico e il figlio Francesco Forese a Ponzone.
R - Rocco dello Polito, bracciale, e Carmina Petriello a Tufoluongo.
Non essendoci neppure nomi con la “U” e la “Z”, riportiamo le ultime lettere di “S”, “T” e “V” con i vari Stefano, Tomaso e Vincenzo, rimandando ad una lettura personale dell’elenco che qui si riporta.
S - Salvatore Roberto, bracciale, e Vittoria Fiorentino alla Serra; Sabato Andreano, bracciale, e Grazia dello Polito; Sabato Vajano, bracciale, e Madalena Lupo allo Pretariello; Salvatore Di Blasio, bracciale, e Carmina Saliento alla Serra; Stefano Majorana, bracciale, e Angiola Vecchia a Ponzone; Stefano dello Polito, e Teresa di Lauri, a Lo Pretariello; Salvatore Foglia, bracciale, alla Serra; Salvatore Saulino, mandese, e Isabella Chiarolanzo a Fundaco.
T - Tomaso Mascolo, bracciale, e Vittoria Pico allo Pretariello; il magnifico Tomaso d’Aurelia, e Carmea Tobia a Pretariello speziale?; l’Illustrissimo Possessore Don Tommaso Guarniero Giaquinto Barone di questa Terra di Cassano oriundo della Città di Campagna d’Eboli e Donna Teresa Papa di Montoro e con essi Michele Fazio cameriero, Donata Ciccariello (insegnante) di Laurea, Saverio Saluotto volante, Sebastiano di Feo guardiano, Carmine Chiarolanzo legnaiolo, Catarina di Marco serva, Teresa di Bolena serva, Candida Lupo serva, abitante nel palazzo baronale sito nel mezzo di detta Terra con giardino contiguo alla proprietà Corrado.
V - Vincenzo Bergantino, bracciale, e Carmena di Tieri, alla Serra; Vito d’Urso, bracciale, e Rosa Tobia, alla Cittadella; Vincenzo Petriello, e Orsona Tieri, a Ponzone; il magnifico Vincenzo Mancini massaro viveva col figlio Amato figlio vaticale sposato a Grazia Carrozza, con figli Vincenzo e Carmosina. Michele che faceva il forese era figlio di Vincenzo e Antonio che faceva lo scolaro alla Serra; il magnifico notaio Vito Granignani e la m................entificati dal nome della persona che li possiede e dai confini. Quasi sempre sono riportati i nomi dei vicini, altre volte, o contemporaneamente, viene citato anche il luogo. In Cassano, fra le altre, si ebbero quindi terre a castagneti nelle località di Troccole, Sacandre, Cannole, Mancaccaudo, Demanio di Calvaruso, Demanio alla Montagna presso la Cappella del Santissimo, Nocelleta, Longilli, Monte Calvo, Canalone, Tadedidorzo, Tiso, Fuogno, Ramate, Calvaruso, Selva di Monte Campana, Fontana di Maletiempo, con orticelli a Costarenella, Fontana di Messer(e) Roberto, Lauri, Santi Pietri, con seminati a Costariche e all’Acquaria o Acquania, con vigne alli Serroni.

Terre con vigneti e seminati alla Spineta, alli Serroni, a Chianole, Valle, con cerri e querce a Gargone, Longa, Terra della Torre; o solo a seminati a Cannito, Piano, Melara, Limiti, Cenzo, Vallone, Polentinella, Cerase del Monte, Tuogno, Corvini, Campora, allo Grieco, Varuso o Baruso, alle Valchiere; o solo a vigneti a Toppolo, Li A Cantali, Pioppi, Tremolizzo, Aierile o Airile, Cerzito, Serri, Fiume Vecchio, Trasale, Lupilli, Baruso, Baleidorsa, Valle, alla Rena, (S/T)iracquani(a/e)nti o Siracquania o Stracquan(i)enti, Valle di Marcone, Gramignani, Pennino, Pignatagiano.
Altre terre generiche si ebbero a Barbati o Varvati, Mulino dell’Acqua del Bagno, Tufo Luongo, Toppole, Castanella, Fabbrica, Polentinella, Tempa, Casato presso la Cappella del Santissimo a Fuogno, Apicella, Vacantali, Ponte, Vascone, Pietra Togara, Sorba, Fundano seu Ripa, con Pozzo a Valli o Vatri d’Orsa, Montagna Casaura fra Santa Maria della Longa e Demanio, Canalone e Molara della Montagna, Limorti, Triccorti, Vignadonica, alli Corvini, terre a Isca delli Fossi.
Alcuni esempi riportati nel Catasto di Cassano:
Amato Di Lauzi di Serra possiede beni alle Troccole, Spineta, Cannito, Castagneto alle Secandre; Andrea Pico Piero de Il Pretariello, possedeva fra l’altro un castagneto alle Cannole; Antonio Baderto una viglia a Li Acantali ed un Castagneto alle Cannole; Angiolo Vecchia di Serre un Castagneto alle Troccole, un Seminato allo Piano, una vigna alla Chianola, un seminato alli Limiti, un castagneto a Mancaccaudo, una Vigna alli Serroni, una Vigna alla Chianola; Amato Roberto di Serra una vigna alli Pioppi; Antonio Vecchia di Ripa una vigna allo Tremolizzo e lavorava nel Demanio a Calvaruso; Angelo Antonio Salvato di Serra una vigna alla Valle; Agostino Granese di Pretariello una vigna alla Spineta, un castagneto alla Nocelleta; Antonio Granese di Pretariello una vigna alli Serroni, un Castagneto sito alla Montagna, fra la Cappella del Santissimo ed il Demanio, e una vigna ad Aierile; Angiolo d’Enzo di Cittadella una terra a Serra Campana, un seminato alli Bacantali, una vigna allo Cerzito; Annunziante Vecchia di Serra una vigna alla Longa e un seminato allo Cenzo; Angiolo Capone di Pretariello un seminato alla Valle e un Castagneto alli Logilli, Alessandro Solimine di Ripa un Castagneto sito alla Sorba, una vigna alla Spineta, un seminato alla Torre, un seminato allo Vallone, una vigna alla Spineta; Amato Carozza di Ripa, una vigna sita alle Serri e un seminato alle Cerase del Monte, una vigna sita allo fiume Vecchio; Amato di Sapio di Fundaro un castagneto sito a M. Caluo, una vigna all’Airile; Antonio Majorana una vigna alla Gargone e Chianole, un Castagneto allo Canalone, un seminato a Cannito e alla Melara, una vigna alla Gargone; Antonio Russo della Chiesa Madre, un seminato allo Vallone e Polentinella, Castagneto all’Acquaria, alla Balle, allo Tiso, vigna alla Serra; Antonio Baiano di Pretariello un seminato alla Longa e Castagneti alla Montagna e a Serroni; Annunzio Granato di Fundaro una vigna allo Gargone, castagneto alla Spineta e vigna a Trasale, seminato alla Chianola; Antonio Ressa di Fundaro una vigna alla Longa; Andrea Capobianco di Ripa, un seminato alla Spineta e a Tuogno, castagneto a Serroni, seminato alla Polentinella; Bartolomeo Carfagno di Serra, una vigna a Trasale e Lupilli, seminato alli Corvini; Bartolomeo Fiorentino di Ponzone, con seminato alla Longa, Castagneto sito alla Montagna e Tatedidorzo; Bartolomeo Maggiotto di La Serra, vigna sita ai Baruso pagando censo alla Chiesa di San Rocco, a Castagneto a Baleidorsa, Castagneto a Calvaruso; Bartolomeo Carozza di Ripa, castagneto allo Tiso; Biase Baso di Serra con vigna alla Longa; Bartolomeo Fadio di Serra una Vigna alla Valle; Bartolomeo di Lauri di Pretariello e Cittadella una vigna alla Longa; Bartolomeo Pico di Ripa, un seminato sito ad Acquania, seminato allo Vallone; Benedetto di Stona? di Pretariello, con vigna alla Rena; Bartolomeo Barbone di Fundano una vigna alla Spineta; Biasi Foglia della Cittadella un seminato e una vigna a Toppolo; Bartolomeo della Calca della Cittadella, con vigna alla Gargone; Benedetto Recupido di Fundano un seminato con cerri e querce alla Gargone; Carmine Pico di Fundano un seminato ad Acquania e terra alla Terra della Torre; Carmine Mosca di Porzone un seminato alla Gargone; Carlo Foglia di Forno alla Polentinella; Carmine Capone della Serra una vigna alli Lupilli; Carmine Granato di Fundano, un seminato alla Campora, con vigna e castagni alli Serroni e seminato a Chianola; Carmine Carrozza di Fundano una vigna a Torre e a Lupilli ed una vigna alli Siracquanianti; Consalvo Prudente di Fundano un seminato allo Grieco; Cristofano Martone di Fundano un seminato a Taruso o Varuso (meglio Varuso); Carmine di Cerasio di Porzone un seminato a Vallone; Carmine Carfagno della Cittadella, con beni a Vallone, Aierile, Seracquanienti; Cristofano Vaiano di Fundano con terre a Varvati o Varuati e Bagno sotto il corso del Mulino presso l’acqua del Bagno; Carmine Mongiello di Serra di Orto e castagneto a Fuogno e seminato a Baruso; Carmine Antonio Faija un castagneto alle Ramate; Daniele Caputo di Fundano una vigna...........