19. COMUNE DI REINO NEL 1753 (BN)

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I luoghi di Reino nel Catasto Onciario

Negli atti preliminari, nelle rivele e negli apprezzi del Catasto Onciario dell’Università di Reino sono riportate le denominazioni dei quartieri abitati e delle località di campagna.
Le contrade, o rioni, del centro abitato di Reino nel 1753 sono le seguenti: Costapagliaro, la Fontana, sotto la Fontana, sopra la Fontana, la Valle, lo Castello, sotto al Castello, a lo Palazzo del Signor Principe, Porta della Terra, la Risca, Santo Nicola, Santo Pietro, lo Cimitero, Porta della Valle, la Piazza Publica, Isca, la Chiesa, sotto la Chiesa, lo Campanile, lo Toppo, la Porta della Piazza, la Torretta, sotto il Castelletto, la Dogana, sotto la Taverna e li Fossi.
È evidente la conformazione urbanistica con impianto fortificato, collocato alle pendici del castello e protetto da una cinta muraria medievale. Sono infatti ancora presenti tre porte del borgo, che si aprono nelle mura difensive: la Porta della Terra – riportata di rado anche come Porta dentro Terra per specificare la porta principale oppure una porta inglobata in quel periodo nel tessuto urbano, e quindi forse appartenente ad una cinta muraria più antica e interna ad una successiva cinta – che doveva essere la porta d’ingresso della Terra di Reino; la Porta della Valle, che introduceva al rione detto la Valle, all’epoca molto abitato; la Porta della Piazza, che conduceva a la Piazza Publica, dove si svolgono i publici parlamenti dell’Università, ovvero le riunioni pubbliche dell’antico Comune di Reino.
Le contrade maggiormente abitate sono, oltre alla Valle e alla Piazza Publica: Costapagliaro, la Fontana con le sue zone adiacenti sopra e sotto di essa, lo Castello e sotto lo Castello, la Risca, Santo Nicola e la Chiesa. Costapagliaro è un quartiere così denominato per le abitazioni costruite con legno e paglia, dette appunto pagliari, in cui vivono molte famiglie ancora nel 1753, mentre la Risca, a cui probabilmente va assimilata l’Isca, quest’ultima derivata per aferesi della lettera “r” iniziale, ha origine forse in un toponimo più antico come potrebbe essere la Prisca. È da ricordare infatti che stesso il nome Prisca ha provenienza remota, ed il nomen Priscus già significava nell’antica Roma “delle prime età”, “molto vecchio”. Un ulteriore ipotesi di derivazione si può formulare considerando la denominazione Crisca, che si ritrova in altri toponimi rurali. Santo Nicola doveva così chiamarsi per la presenza, in passato, di una cappella o una chiesetta intitolata a questo santo, già inesistente nel 1753.
Poche sono invece le abitazioni che si ritrovano a Santo Pietro, lo Cimitero, la Torretta e lo Castelletto, che sono per lo più aree rurali in cui sono coltivate vigne e vi sono terreni seminatori, oppure a lo Toppo, la Torretta, la Dogana, lo Campanile, sotto la Taverna e a li Fossi78. Di Santo Pietro, ricorda Alfonso Meomartini: è su una collinetta verso Colle Sannita. Verso la prima metà dell’800 gli anziani vi ricordavano una chiesetta con le sepolture, la tradizione ne faceva una terra abitata. Era terra abitata e feudale, che si chiamava Sanctus Petrus Collectanus e si possedeva da Malgerio de Marcla, lo stesso che possedeva Pesco menzionato nel Catalogus Baronum. Non era nella Contea di Buonalbergo come Reino ma in terra di Capitanata79. Lo Cimitero doveva trovarsi vicinissimo alla Chiesa madre dell’Annunziata, seppellendosi i morti fino all’editto di Saint Cloud80 nelle chiese stesse, così come pure lo Campanile (da intendersi della chiesa madre), dove vive il massaro di campo Giambattista Capone che nella sua rivela specifica abitare a lo Campanile confinante con la cupola e la strada. La Dogana, istituita nel 1583 dal Viceré Spagnolo, la Torretta, lo Castelletto e la Taverna, alcuni di questi ancora oggi esistenti come toponimi, erano sicuramente altri punti importantissimi della Reino del Settecento. Del Castello restano oggi soltanto le fondamenta, visibili sul costone di roccia che sovrasta la chiesa dell’Annunziata81.
Una serie di toponimi sono legati alle aree rurali: l’Acqua Salza, l’Aria di Caruso, l’Aria di Piacquadio, l’Aria vecchia, lo Bosco / sotto il Bosco, Bosco del Monte, le Brecce, lo Canale, li Capanni, lo Calabrese, Castellone, Cavavallone (o L’Aiavallone), Cefaloni / Cefalone, le Cese, li Cerri di Carlone, la Cerza, la Cerza dello mpiso, le Cerze di Francesco Fragneto confinante con Santo Pauolo, la Chiusa, la Chiusella, Chiusa delli Verzini, Cicco Chiatto, la Chiusa di Francesco Chiatto, lo Cimino, lo Cimitero, la Crocella, Croce di Rocco, la Cupa, Cupa dello Perillo, li Demaniali, le Diserre, Lo Favale, li Fiancolli, lo Fiume, la Fiumara, la Fonatana, Fontana del tufo / la Fontana de’ Tufi, Fontana del Occhio, Fontana di Cuculo, Fontana di Santo Pauolo, Fontana di Sant’Elia, Fontana delle Peraglie, Fontana di Cola Domini, Fonte tre piedi, la Fontanella, Fonti Fiorillo, Fontepascale / Fonte Pascale, lo Fornillo, li Fornace, li Galizzi, lo Giardino, Grezzetella / Grezzete / Grasetello, Gresno, li Grutti, Insulano, Iaparente, Isca di Carlo, Isca di Censo, Isca di Laura (o di Lauora), li Laghi, li Lati, le Lame, l’Oliveto del Signor Principe, l’Ortera, Massaria di Petrillo, Montedino, le Mortine, le Morge, le Murge di Cimino, li Paduli / lo Padulo, li Pagliarini, lo Pagliaro per Morcone / lo Pagliaro di Morcone / lo Pagliaro di Morrone, le Pagliare, lo Pagliaro vecchio, la Piana, la Palata / la Palata del Molino, Parasacco / Parasano, lo Pastino, le Peraglie / le Perelle/ le Peraghe, lo Pesco di Carlo, Pesco Ceraso, Pesco Ianotto / Pesco Iannotto / Pesco Iannozzo, Pesco Marotta, Pesco di Pago, Pesco delli Monti / Pesco del Monte / Pesco de’ Monti, lo Pesco dello Fico, lo Pesco della Ficora, Pesco di Sacco, Pesco della Pietra, Pesco di Lembo, lo Petraro / lo Petrale, le Petrelle, Petrone, li Pianelli, lo Piano di Piatto (o di Piatta) / Piana di Chiatto, li Piani della Parata, Piano Milano (a volte Ianni Milanni), Pianello del Rosario, Pietra uta, Pietre Longa / le Pietre Lunghe Pietrelunghe, Pietro Cavota, Lo Piscaro, Piscero, lo Piscone, la Pischeta o Pischera, li Pirazzi, lo Pozzo (o pozza, o puzzo) dello Monaco, lo Puzzo, lo Puzzo strano, Pozza di Cionona, lo Pozzo di Cicco Chiatto, Puzzo di Pischetto, Puzzo di Lembo, Puzzo di Mastro, La Risca / la Crisca, Rondicino, li Salci, la Sappera, le Saude / li Saude / li Saudi82, le Serre, Serra di Campo, la Serra del Ceruso, lo Serrone, la Serra di Santo Janni / Costa di Santo Janni, Sant’Angelo, Sant’Elia, Santo Paulo, Santo Pietro, la Starza, Terre della Corte, li Termini, li Tufi, la Saleca, li Streppari / lo Stripparo / Streppara, li Soppara / la Sappera, lo Stortizzo, la Sturza, la Taverna, lo Toppo, lo Toppo di Russo, Toppo delle Perelle / Toppo delle Pecorelle, Toppo di Santo Pietro, Toppo la Serra, lo Tratturo, lo Vado delli Vaticali, lo Vario, lo Vallone / li Valloni, lo Vallone dell’accquaviva (o del Acquaviva / del Accquaviva), la Varcha, la via per beneventana, la via reggia, via nera, Vignera, la Vigna vecchia, la Vignaletta, la Vigna della Chiesa, li Vignali.
Per molti di essi si può facilmente risalire all’origine, o comunque ipotizzarla: l’Acqua salza per la presenza di acqua salata o sulfurea; i toponimi come l’Aria di Caruso83 o l’Aria di Piacquadio definiscono le aie con i loro antichi proprietari; le fontane, i pozzi, i fiumi e le fiumare e riconducono ai tantissimi luoghi ricchi di acqua presenti nel territorio di Reino; i toppi erano le alture; i peschi e le morge fanno riferimento alle aree rocciose; le serre, le chiuse, le lame e le coste sono territori agricoli delimitati naturalmente; le vigne, vignere e vignarelle riconducono alla coltivazione praticata; i percorsi e le vie di comunicazione sono segnalati da termini come il tratturo, il vado o la via.
Oggi, molti di questi toponimi sono rimasti quasi integri nella forma, tramandati da secoli fino alle nostre generazioni. Alcuni esempi sono: la Salera (dalla Saleca), la Fontana dell’Occhio (dalla Fontana del Occhio), la Cupa Perella (dalla Cupa delle Perelle), l’Isca del Mulino, il Padulo, il Piano, il Bosco del Monte, le Crocelle, la contrada San Paolo, via Dogana, Sant’Elia, via Castello, Petrara, Piscero, Saude, via Torretta, contrada Castellone, Montedino, Cefalone, Streppone, Strepara e Taverna del Ponte.

Il Catasto Onciario elenca anche gli istituti religiosi, cosiddetti luoghi pii, di Reino: la Chiesa della Santissima Annunciata e le Venerabili Cappelle della Santissima Annunciata, del Santissimo Rosario e di Sant’Antonio di Padua della Terra di Reino che vivono nella Communità eretta nella Chiesa della Santissima Annunciata di detta Terra.
La chiesa arcipretale dell’Annunziata nel 175384 è gestita dall’arciprete Reverendo Signor Don Domenico Fusco di 55 anni, figlio di Carmine ed Olimpia Granato coniugi della Terra di Vitolano, Arciprete di questa Terra di Reino, il quale rivela che la tale chiesa possiede la decima di tutte le vittovaglie a raggione d’ogni 11 tomoli ed esige capitali da diversi cittadini.
Le Cappelle della Santissima Annunziata, del Santissimo Rosario e di Sant’Antonio di Padova, secondo la rivela presentata dall’economo Ambrogio Zampelli, si reggono con i censi derivati dagli affitti di molte proprietà in Reino. Tantissimi sono i reinesi fittavoli delle proprietà delle cappelle o debitori di denaro da queste prestato con tasso d’interesse.

Description

I COGNOMI DI REINO (BN)

Il notaio Gaspare di Nunzio ha rogato a Reino dal 1750 al 1792 e ha lasciato ai posteri il ricordo della carestia del 1764 vissuta a Reino. La sua memoria, conservata presso l’Archivio di Stato di Benevento, ci racconta che le povere genti hanno perito (sono morte); si periscono fin dal mese di agosto. In quest’anno 1763 esta (c’è) la scarsezza d’ogni cosa grana (cereali), leume (legumi), frutti di ogni sorte, non si è fatto cosa alcuna. Nel mese di novembre fame grande. Le maggesi metà restate da seminare, fuvvi grandine nelli 25 del detto mese di novembre 63 vi fu una neve cosa mai veduta, da circa palmi sei di neve in queste parti ma nelle montagne di Colle, Circello e Santo Marco paesi vicini sono entrati nelle case per le finestre per la tanto neve consederate la fame sono ridotte le genti a mangiar carne di cavallo. Nel mese di dicembre provveduto il Re nostro Signore con ordini per la robba, ma non se ne ritrovano denari per comprarla, sfigurate la gente, morti i cani e le galline dalla fame. Le meglio case sono ridotte a mendicar volendo vendere e non ritrovano. Anno doloroso dello sessanta quattro che Iddio ce ne liberi più di tale annata, dal mese di gennaio sino ad agosto si sono vedute cose che mai al mondo si sono sentute, mortalità di ogni cedo (ceto), morire per le strade di fame senza sacramenti, mangiare carne de cani carne d’ogni schifoso animale. Il grano gionto a queste parti nostre ad Otto ducati il tomolo l’orzo e la granodindia a docati cinque il tomolo, il pane nell’ultimo prezzo arrivato, sino a grana tredici il rotolo e non se ne ritrovava, la brenda d’orzo e di grano à grana quattro e cinque il quartavolo, nella dogana di Benevento e di Montesarchio, ed Avellino è gionto a docati quaranta e trenta il sacco dal Re si è comprato il grano in Benevento con grande impegno a docati sette il tomolo in questo nostro paese, erano otto cento cinquanta anime nel detto anno 64 ne morirono 439, e poi, fatto meglio il cunto sono morti 461 non già di naturale ma di pura fame, li genti mettevano a sponzo (a bagno) li cuoi de cripi (setacci) e stivali, pelli di ogni sorte d’animali, e poi se li manciavano trasfigurati dalla loro natura il vino caro à grana 4 la caraffa l’oglio à grana 18 la caraffana ol lardo à carlini 4 il rotolo, pena penuria grande si era scanosciuto il tutto che padre abbandonava i figli e moglie e la moglie abbandonarsi marito e figli ad andar mendicando per vivere loro morti in campagna, per strada (…) in Napoli secondo le relazioni morivono il giorno da circa 700 persone il giorno, per queste altre parte convicine è stata una mortalità grande andandosi a seppellire fuori dell’Abbitato con bruciargli ancora per la moltitudine di cadaveri in sino li soreci (topi) si mangiavano per la fame38.
Ritornando al Catasto Onciario, le famiglie delle vedove sono 9: Anna Tozzi, Angela Boffo, Angela Ruggiero, Carmina Paolella, Domenica Cerrito, la Magnifica Giovanna Fasulo, Rosa Farasso e Gerolima Verzino, alcune delle quali già citate e tutte di estrazione popolare, fatta eccezione per la Fasulo.
La prole, all’interno delle famiglie, è parte integrante dell’economia domestica tramite la propria attività lavorativa. Già dall’età di 9 o 10 anni, le femine di casa sono considerate vergini o zite in capillis, quindi maritabili, mentre ai maschi sono assegnate mansioni di avvio alla dura vita lavorativa di campagna. Ci sono tantissimi bracciali adolescenti, tra cui Felice Penna, Anzelmo Borza e Nicola Cocca di 11 anni e Filippo Calzone di 12 anni39, oppure gualani, che sono giovanissimi lavoratori agricoli a contratto annuo, addetti alla custodia di terre o alla cura e al governo di animali (equini e bovini) che impiegano nei lavori di trasporto o di aratura, come Ignazio Tozzi di 16 anni, Silvestro Orsillo di 14 anni, Domenico Mastronunzio e Marco Caporaso di 13 anni, Nicola Volpe e Ludovico Tozzi di 12 anni, Giovanni Pietro Tozzi e Alesio (Alessio) Verzino di 10 anni e Giuseppe Smiraglia addirittura di 9 anni. Minori sono anche i custodi di bestie, come il porcaro Paolo Boffo di 10 anni figlio di Antonio, il custode di bovi Domenico de Masi di 15 anni e i custodi di pecore Domenico Verzino e Felice Tozzi, rispettivamente di 15 e 14 anni, nonché i pecorari Festo Orsillo di 16 anni, Ignazio Boffo di 14 anni, Giovanni Cacciano di 13 anni, i fratelli Gioacchino e Giovenale Tozzi di 12 e 10 anni, e Girolamo Vetrone e Gennaro Capone di 9 anni.
I più sfortunati sono il malsano Filippo di Nunzio di 23 anni figlio del bracciale Gianbattista, il malsano e matto Rosario Campolieto di 20 anni figlio della vedova Angela Boffo e l’inabile trentenne Ambrogio Cacciano figlio del bracciale Giovannangelo.
Singolare, infine, è il caso del massaro di campo Giuseppe Piacquadio, originario del Colle, che nella rivela risulta avere 100 anni e nell’apprezzo addirittura 106 anni, ma che nello Stato delle Anime del 1752 allegato al Catasto è registrato come poco più che ottuagenario.

I cognomi registrati a Reino nella metà del Settecento sono, in ordine di diffusione: Tozzo/Tozzi (13 famiglie), Capone/Caponi e Mastronunzio (8), Verzino (7), di Nunzio (6), Boffo/Boffa, Dentato/Dentati, Calzone e Piacquadio (5), Autore, Cacciano, Campolieto e Cocca (4), Altiero/Altieri, Bisconte, Bovino, Ursillo/Orsillo, Smiraglia e Volpe (3), Borza, Cerrito, di Domenico, Mastrodomenico, Palmiero, Perciasepe, Zampelli e Zerrillo (2), Barone, Caporaso, Cusano, D’Antonoli, de Masi, di Maria, Faga, Ferro, Ferrocchia, Fiore, Forlino, Gairro, Gallo, Gentile, Greco, Guarantello, Guerrera, Iacobaccio, Iavasile, Lembo, Pantasilena, Penna, Petrone, Ruggiero, Supino, Tosto, Veteri/Vietri, Vetrone e Volturara/Ulturara (1) 40.
Attualmente, i cinque cognomi più diffusi a Reino sono Tozzi, Verzino, Calzone, Petrone e Orsillo, tutti già presenti nel Catasto Onciario dell’Università di Reino in Principato Ultra del 1753.
Procediamo, quindi, con una sintesi etimologica e storica dei cognomi sopraelencati, seguendo l’ordine di diffusione rilevato nel Catasto Onciario, e non quello alfabetico.
TOZZO/TOZZI – Cognome panitaliano, ovvero largamente diffuso in tutto il territorio nazionale, deriva dall’ipocoristico aferetico Tozzo, originato da personali quali ad esempio Lambertozzo, Albertozzo, Robertozzo, Bertozzo, etc. Da non escludere la possibile origine dal longobardo Tozo o Tozilo, documentato in Italia a Bergamo già nella metà dell’VIII secolo, oppure dal soprannome canzonatorio cognominizzato “tozzo”, dal latino tunsus o tusus, participio passato di tundere (pestare, ammaccare), col significato di “persona dalla bassa statura e corporatura pesante e massiccia” 41. Si distinsero, con questo cognome, i sindaci Teodoro (1810-11), Giovanni (1846-51) e Donato (1851-56). Oggi a Reino resta il cognome più diffuso ed è registrato solo nella forma pluralizzata Tozzi42.
CAPONE/CAPONI – Tipico meridionale, deriverebbe da un soprannome formato da “capo” (testa), attribuito al capostipite in rapporto alle caratteristiche fisiche, esteriori, della testa o, in senso figurato, a peculiarità intellettuali e caratteriali. Può essersi formato, dunque, per denominare sia chi aveva “una testa grossa”, che colui che era “testardo”43.
MASTRONUNZIO – Estinto a Reino, e probabilmente assimilato al cognome di Nunzio, a sua volta trasformatosi nell’unica forma cognominale De Nunzio, ha origine nella fusione dell’appellativo mastro, ovvero magistro, da magister, “maestro artigiano”, con il personale Nunzio, a sua volta formatosi dal nome Annunziato che si diffuse in epoca altomedievale per il culto cristiano di Maria Vergine Annunziata44. Nei documenti antichi, il cognome è sempre trascritto nella forma abbreviata e in due elementi staccati: mro Nunzio (o mro Nuntio), con il significato, appunto, di Mastro Nunzio.
VERZINO – Tipico cognome sannita, originario di Reino e diffuso in Italia in due ceppi distinti soltanto nei Comuni di Reino, in Campania, e Rocca di Neto – presso Crotone – in Calabria, trae origine dal patronimico Verzino, nome derivato dal personale latino Vergelius, corrotto nella forma germanica Verzelius. Una seconda ipotesi etimologica ricondurrebbe l’origine del cognome al nome Vergino, legandolo al culto della Santa Vergine45.
DI NUNZIO – Oggi registrato soltanto nella forma De Nunzio, è tra i cognomi più antichi di Reino. A questo patronimico con ogni probabilità è stato assimilato anche il cognome Mastronunzio, che nei documenti a volte si ritrova a sua volta pure nella variante semplice Nunzio o Nuntio. Una famiglia di Nunzio, poi appunto De Nunzio, si distingue a partire dalla metà del Settecento con il notaio Gaspare di Nunzio, che rogò a Reino dal 1750 al 1792 e che durante la redazione del Catasto Onciario del 1753 è menzionato come Locotenente – luogotenente – della Terra di Reino. La casata annovera diversi sindaci: Francesco (1816-1820), Gaspare (1831-35), Remigio (1840-46), Nicola (1861) assassinato dai briganti, e Francesco (1883-1884).
BOFFO/BOFFA – Ancora presente a Reino e tipico di Pesco Sannita, ma registrato anche nel Salernitano, nell’Avellinese e nel Napoletano, dove è abbastanza diffuso, rappresenta la cognominizzazione del personale Boffo o Boffa, attestato nelle forme maschili Boffus e Boffo già in epoca medievale. Il cognome in questione potrebbe essere messo in correlazione anche con il termine dialettale “boffo”, o “boffato”, nel senso di “rigonfio”, “panciuto” (da “abboffato”). A titolo di curiosità, si ricordi un Boffo Grillo di Salerno, capitano reggente di Montefuscoli nel Sannio dall’anno 142546……….

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Paolucci

Editore

ABE Napoli

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Editorial Review

Mestieri, professioni e società

Sfogliando le rivele del Catasto Onciario di Reino, si ha la possibilità di immergersi totalmente nella società della metà del Settecento di questa località, “incontrando” tutte le famiglie dell’epoca, una ad una, con le annotazioni dei mestieri o professioni e dell’età di ogni singolo componente.
Nella parte del catasto vero e proprio, poi, si trascrivono fedelmente le notizie essenziali con l’elenco delle famiglie numerate e riordinate per nome del capofamiglia, anziché per cognome, con la stessa impostazione di ordine delle rivele. Tutto è registrato e trascritto dai deputati e dagli estimatori incaricati alla redazione del Catasto: i nomi e cognomi di tutti i capifamiglia sono riportati in ordine alfabetico di nome, con relativo mestiere e composizione del nucleo familiare, seguiti dal parametro dell’oncia per stabilire l’esatto valore del reddito imponibile. Seguono le rubriche delle Vedove e Vergini in capillis, dei cittadini e delle cittadine assenti, dei sacerdoti reverendi, cioè dei cittadini secolari, chiese e luoghi pii. Dopo l’elenco a parte che estrapola i beni ecclesiastici, tassati diversamente in base al Concordato con la Chiesa, il tutto viene registrato, confrontato e assommato nell’operazione di sommatoria definitiva delle tasse, che va sotto il nome di Collettiva delle once, per stabilire l’esatto importo della dichiarazione totale del reddito imponibile relativo all’Università.
La società reinese è prettamente rurale e ciò è dimostrabile dalla presenza, su 144 nuclei familiari registrati36 nel Catasto, di ben 88 capifamiglia bracciali, ossia braccianti agricoli e 2 definiti come lavoratori, ovvero semplici lavoratori di terra (Carlo Tozzi di 30 anni e Pietro Borza di 50 anni). È questa la classe sociale più povera, definita degli inferiori nel Catasto – per distinguerla dai mediocri, gli artigiani, e dai civili, i benestanti – che seppure può possedere una piccola proprietà, il più delle volte vive in condizioni disagiate. Sono infatti frequenti i casi di bracciali che abitano in un pagliaro di casa con le proprie famiglie: Antonio Mastronunzio, Andrea Mastronunzio, Angelo Boffa, Antonio Calzone, Ciriaco Mastronunzio, Domenico Fiore, Domenico Capone, Francesco Iacobaccio, Gianbattista Altieri, Ignazio Mastronunzio, Nicola Pantasilena, Nicola Barone, Pietro Piacquadio, Simone Piacquadio, e Saverio Autore sono i capifamiglia bracciali che abitano in case di paglia, ma non mancano casi di vedove come Anna Ruggiero vedova di Crescenzo Smiraglia e Domenica Cerrito vedova di Simone Vetrone, o dell’unico massaro di campo che è Gianbattista Boffa, che vivono in queste modestissime abitazioni.
Più redditizia del bracciale risulta, in alcuni casi, l’attività del massaro di campo: vero e proprio imprenditore agricolo, questa figura professionale disponeva a volte di proprietà e mezzi di un ceto benestante. I massari di campo più facoltosi di Reino nella metà del Settecento, tassati nel Catasto per oltre 100 once, sono nell’ordine: Gianbattista Capone (once 288:14), Giovanni Tozzi (192:24), Antonio Tozzo (165:19), Nicola Orsillo (150:11), Andrea de Masi (144:25), Ambrogio Zampelli (120:24), Tomaso Tozzo (112:02) e Giuseppe Piacquadio (107:04). Ovviamente, influisce sulla tassazione la presenza di altri componenti maschi nella famiglia, che costituiscono reddito stimabile per le braccia da impiegare nel lavoro. Nella maggior parte dei casi vivono con le loro numerose famiglie in case di uno o al massimo due membri, ossia stanze, con la sola eccezione del massaro Ambrogio Zampelli che possiede una casa addirittura di quattordici stanze, e coltivano fondi agricoli di proprietà o tenuti in affitto. Si occupano anche della gestione degli animali, come pecore, vacche, maiali, cavalli e somari, che possiedono in proprio o alla socida o socita – in società – o tengono a menanno o a menando in qualità di parsonali per conto dei padronali di bestiame.
Un solo capraro è annoverato nell’Onciario di Reino, e risponde al nome di Nicola di Maria, originario della Terra di Santa Croce e coniugato con la reinese Catarina Boffo.
Gli unici artigiani che compaiono sono i sartori Albano Autore, Francesco Smiraglia e Militone Tozzo, che vivono in discrete condizioni economiche, e il mastro scarparo Mandato Cusano, quest’ultimo originario della Terra di Vitolano che svolge pure attività imprenditoriale tenendo impiegati 60 ducati in negozio di scarparia, che riceve a credenza dal conciatore di Mataloni, e altri 20 ducati in negozio di panni di lana37.
Benestanti, ma senza alcun titolo onorifico, sono i civili Antonio Ferro, che abita in una casa di sette stanze a la Fontana con il nipote massaro di campo ventunenne Pascale Tozzo, e Nicolantonio Greco, il quale vive con la famiglia in una dimora di quattro stanze a la Piazza e tiene impiegati 22 ducati e mezzo per industria d’agnelli e 4 ducati in negozio di bottega lorda, che è il diritto di privativa spettante all’Università, generalmente offerto all’asta al migliore offerente, per la vendita a prezzi controllati di olio, formaggio, ricotta, salami e pesci affumicati, alle persone povere e bisognose.
Oltre ai civili, godono di una posizione sociale privilegiata pure i sacerdoti Reverendo Signor Don Giovanni Ferro, che abita in casa propria di due membri a la Piazza e possiede una vigna con casetta di fabrica a la Mortina e un terreno seminatorio nello stesso luogo, e Don Bartolomeo Cacciano, che vive in casa propria di sei membri a la Piazza e possiede un pagliaro di restoppia per uso di bovi, vigne a la Serra, un orto a lo Giardino e terreni seminatori a la Chiusa e li Stortizzi.