Scartoffie Beneventane 4. Il Ducato sannita perde Ariano e i notai registrano la peste, l’invasione di Spagnoli e Francesi, e la ricostruzione delle badie di s.Nazaro, Terrajulia e Venticano lungo la via Appia nuova del 1591

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Addio all’Appia: la nuova Via delle Puglie

Nel 1588 Carlo Tapia ricevette dal Viceré Zúñiga conte di Miranda, la nomina ad Uditore per il Principato Ultra, cioé di magistrato. Questi si distinse perché stanò la collusione dei baroni locali verso banditi e contrabbandieri. «L’extraterritorialità di Benevento facilitava il contrabbando in generale e soprattutto la speculazione sul grano, che, durante il raccolto, contravvenendo alle prammatiche del regno che prevedevano la concessione di un’autorizzazione per le esportazioni, veniva ammassato da tutta l’area circostante nella città per poi essere immesso sul mercato della capitale quando il prezzo era salito. Tapia agì duramente contro questa pratica nel 1588, incarcerando alcuni baroni riconosciuti colpevoli di aver portato illegalmente grano a Benevento, e, perdurando lo stato di carestia, nel 1589 fu incaricato dal conte di Miranda di fare incetta di grano in Basilicata per alimentare Napoli. Per le capacità dimostrate in tali frangenti, Carlo Tapia, trasferito nel 1591 all’Udienza di Salerno, competente per il Principato Citra e la Basilicata, ricevette contestualmente anche l’incarico di commissario per la raccolta dei grani per queste due province e per quella di Principato Ultra».64

Nel 1590, sotto Filippo II il Prudente, il viceré don Juan de Zúñiga y Avellaneda, Luogotenente e Capitano generale del Regno di Napoli, fece costruire la strada che da Napoli si spinge fino in Puglia, attraversando Dentecane e Venticano, e venne detta Via Nova. Al Miranda: «dobbiamo la strada che da Napoli conduce in Puglia, fatta di suo ordine spianare per maggior comodo de’ viandanti». Il termine Via Nova si legge anche nell’iscrizione posta sulla Fontana Angelica, detta Fontana del Re, sita lungo la s.s.90 delle Puglie, tra Passo di Mirabella e Grottaminarda. La Via Nova fu fatta confluire nella Via Regia consolare delle Puglie nel 1591, una delle vie principali di comunicazione del tempo, in quanto immetteva sulla via Appia delle Puglie, sulla via che portava ad Avellino, e su quella di Benevento. La Strada Regia cominciò, pertanto, a popolarsi di case e di gente, mentre la vecchia subì il progressivo crollo dei ponti romani, come si vede a Paduli, Apice e Casalbore. «L’importanza di tale strada era legata a vari fattori, tra cui: la transumanza delle greggi verso la pianura e la presenza della Dogana delle pecore di Foggia, il traffico cerealicolo, derivante dalla fertilità del Tavoliere delle Puglie, e dei prodotti di allevamento, la possibilità di imbarco per l’Oriente dai porti pugliesi». La strada venne utilizzata soprattutto per il trasporto dei cereali destinati al mercato delle principali piazze commerciali e di Napoli (giugno settembre) e il ritorno in pianura delle greggi, che nei torridi mesi estivi si erano rifugiati sulle montagne (settembre novembre).65
Non vi era sicurezza, all’epoca sulle strade, come ricorda il Messafra: «Avanti che si costruissero le strade rotabili, cioè fino ai primi anni del secolo decimonono, si aveva l’abitudine di fare testamento prima di intraprendere un viaggio a Napoli».66
A dorso di bestie, o a piedi si percorreva quasi tutto il Regno delle due Sicilie. Viaggiavano, naturalmente, solo i ricchi. I viaggi comportavano spese non lievi, perché duravano giorni, (sette giorni da Lecce a Napoli). La linea di Puglia, relativamente più sicura, attraversava Foggia, Ariano ed Avellino.67
Da Ariano ad Avellino, si incontrava il valico della Serra dove si sostituivano i cavalli con i bovi.
«Prima del 1860, e cioè prima della costruzione della strada ferrata Napoli-Benevento-Foggia, l’industria e il commercio erano fonte di ricchezza, in quantochè la Strada Regia Consolare delle Puglie (che attraversava Dentecane al km 289, Passo di Dentecane e Campanarello km 288 e 287) era battuto da viandanti di cinque province. Vi transitavano circa 300 vetture al giorno, oltre le tante carrozze che trasportavano passeggeri. Ben 25 locande ospitavano detti viaggiatori, che davano un reddito non indifferente. Maggior contributo era dato dalla prestazione di buoi, adibiti per tiro dei carri, che battevano la salita della Serra. Si fa ascendere il reddito a ducati 200 al giorno, poiché circa 100 pariglie di buoi venivano giornalmente richieste e tutto il basso popolo era occupato in tale industria. Gli antenati chiamavano la salita della Serra il Monte d’oro»

Description


I casali divisi metà in regno e metà nell’enclave: il Re fa rifondare abbazie e grancìe dal Papa

Nel 1592 l’abate Canale di Benevento ebbe in beneficio la rettoria della chiesa di S.Maria delle Grazie del Casale Sannazaro. L’atto in Terra Montis Fuscoli ubi dicitur Li Tempanj è del 14 novembre 1592 parla del Domino Abate Cesaris Canalis Civitatis beneventi rettore beneficiario della Chiesa di S.Maria de Gratia Casalis Sancti Nazari. Il 4 novembre 1591, propre in Santa Maria di Venticano, si attesta che ne era rettore il Domini Abbas Jacobus de Leo de Castro Altavilla, in quanto Abbate Venerabile Ecclesia di Santa Maria di Venticano.
Lasciamo quindi alle spalle il documento dell’anno 1139 (di Orso Maleincapo del Casale di Turrijaionis affidati da Tufo ai frati di Montevirgili), quello del Casale del Torrione soggetto a Montefusco (che Carlo I d’Angiò si riservò nel 1271 fra le terre conquistate soggette al suo dominio) e quello del Casale Terrajuni della Regina Giovanna II nel 1414.69
E ripartiamo dal 1591 spunta probabile abate-sacerdote della Cappella del SS.Corpo, chiamato venerabile Cennerazzo (che gestisce i beni di un Oliviero proprietario di territori nel Casale di Terra Juli), il quale vuole seppellire dei morti nella Chiesa dell’Annunziata di Petruro. Infatti, l’8 dicembre 1591, il notaio Rivello di Tufo si porta a Petruro. Qui faceva notare che per la Istituctione della Santa Casa prescindendo di qualsivoglia testamento, cioé per volere della Annunciata della Casa di Napoli, il Venerabile della Cappella del SS.Corpo dichiarava di doversi ivi seppellire i defunti Carmine e Sebastiano.70
Però, in quel 1591, il Venerabile è Giovanni Angelo Cenerazo, cioè Ceneratius Casalis Terre Juli, citato in un atto successivo in qualità di agente per conto di Salvatore de Olivieri, a titolo di locationis et concessionis nel Casale di Terra ijuli.71
Queste due brevi citazioni attestano che un pezzo di Torrioni si chiamasse Terrajuli e che in zona già esisteva, prima del 1600, una Cappella detta del SS.Corpo di Cristo, del Santissimo, del Salvatore o del Sacramento che dir si voglia che può coincidere o si confonde con l’omonima Cappella del SS.Corpo di Cristo della Chiesa di Tufo o di altra porbabile cappella fra Petruro e Torrioni.
Ben si difendeva anche Atripalda, pur restando solo un paese vivace. Qui i fedeli si videro spesso tartassati dai feudatari, non sempre magnanimi come il Principe Caracciolo, il quale, già dal giugno 1603, aveva concesso al sindaco di Avellino la giurisdizione sulla fiera patronale di S.Modestino.72

I Torrioni della Montagna di Montefusco vissero due distinti periodi storici: uno antico legato all’abbazia dell’Angelo del Distretto della Montagna della Valle del Sabato, trattato in altro studio, ed uno moderno, quando quel Distretto fu integrato al Principato Ultra di Benevento e subì un ulteriore sfaldamento con la stabilizzazione delle province del Regno, che ebbero una ripartizione diversa da quelle ecclesiastiche. Una Torrioni fu infatti assorbita dal Regno e l’altra parte dallo stato temporale della Chiesa beneventana, pur finendo, entrambi i nuclei abitati, dal punto di vista spirituale, assoggettati all’arcivescovo beneventano.
Da qui la divisione del territorio in tre casali su tre diversi feudi legati uno a Benevento (Stato della Chiesa), uno Montefusco e uno Tufo (in Principato Ultra).
Dopo l’invasione dei Francesi nel 1500, giunti a rivendicare l’eredità della metà del Regno, ne scaturirono desolazione e peste che portarono alla cacciata degli Aragonesi e alla nascita di un confine immaginario fra Spagnoli e Francesi che vide le tre parti di Torrioni ora distrutte ed ora riabitate a seconda delle calamità e della convenienza politica. Con l’assoggettamento spagnolo all’Impero austriaco, il Parlamento di Napoli, riuscì a dare una spinta alla crescita alle Terre comunali del Regno e ai feudi privati e quindi anche alle tre piccole comunità torrionesi che, nel mentre, restarono divise fra Chiesa e due privati. In seguito al Concordato del 1599 nascerà po una prima amministrazione comunale su uno dei tre feudi chiamato Terra Julii e perciò il paese fu detto Terra (comune) di Terrajulii col ripristino delle riscossioni affidato alla chiesa beneventana essendo un ex feudo delle antiche abbazie commissariatie (Santa Sofia, etc.). A Torrioni c’era quindi l’Università comunale di baronaggio ecclesiastico (il papa che aveva istituito l’arcipretura nel Casale Terra Juli detto del Monte), ma il paese restò monco degli altri due pezzi extra territorio comunale, essendo di baronaggio privato (i Conte possedevano il feudo dei Camilli detto Tuoro e i Piatti avevano il patronato sul feudo del Casale di Mezzo detto di Tufo perché appartenuto ai Signori Del Tufo del paese di Tufo). E’ in questo contesto che prendono vita cappelle ed oratori su rioni diversi, appartenenti chi al comune (Chiesa Maggiore di San Michele Arcangelo ex Cappella del SS.Sacramento del Casale di Sopra con l’Oratorio di Santa Maria di Vascio), chi ai privati (ex Cappella di S.Michele ed Oratorio vecchio del Casale di Mezzo ed ex S.Angelo di Tuoro ormai diruta nel feudo dei Camilli).

Fra il 1500 e il 1600 la maggior parte delle popolazioni del regno finirono in condizione di estrema povertà, mentre la classe baronale borbonica ed il clero accumularono privilegi ed esenzioni accrescendo un enorme potere politico ed economico per due secoli. In questo desolante contesto riuscì a resistere Torrioni, grazie anche al vento di rinnovamento portato dalla seconda occupazione da parte dei Francesi con l’abolizione della feudalità, quando i baroni si lasciarono andare ad una più moderna e radicale ristrutturazione amministrativa e fiscale. Nel 1599, come da Concilio provinciale, l’arcivescovo di Benevento ottenne la facoltà di riconferire le insigne badiali mitrate dentro lo stesso Regno di Napoli. La provincia ecclesiastica aveva 18 vescovi su 25, sebbene fossero stati 32, perché in antico comprendeva tutta la Puglia ed era chiamata Metropoli Campania: latissima est ejus Provincia decem et octo Episcoporum, licet non multum sit temporis, cum viginti quinque esset, ut in valvis aereis ipsius Ecclesiae et nomina Episcoporum, et effigies monstrant. Olim vero triginta due habuise, et Metropolim Campaniae, totiusque Apuliae appellatam esse antiquissima ipsius documenta testantur. L’arcidiacono Nicastro confermò l’uso di mitra e pastorale alle 12 abbazie antiche recensite: usum Mitrae habent; nempe – S.Mariae de Strata, – S.Mariae de Fasolis, – S.Mariae de Eremitorio, – S.Petri de Planisio, – S.Laurentii de Apicio, – S.Maria a Guglieto (e fin quindi ne elenca 6), in presentiarum Collegio beneventano Societatis Jesu unitae, – S.Mariae de Decorata, – S.Maria de Campobasso, – S.Maria de Ferraria prope Sabinianum, – S.Mariae de Venticano Bibliothecae Vaticanae unitae, et – S.Silvestri in Oppido S.Angeli ad Scalam (altre 5).
V’erano altre 4 abbazie et S[anta] R[omana] E[cclesia] cardinalibus commendatur, cioè che risultavano commissariate perché finite in Commenda: – S.Sophiae Beneventi, – S.Joannis in luco Mazzocca, – S.Maria de Cripta in Oppido Vitulani, – et S.Fortunati in oppido Paulisiorum.
Erano poi le 3 Commende Equitum (prefettizie): – S.Joannis Hierosolymitani Beneventi, – Montisfusci, – et in Oppido Montisherculis enumerantur.
E ve n’erano altresì 2 esistenti in Benevento: – Collegiatas Ecclesias S.Bartolomae praecipui Patroni, – et S.Spiritus. Furono invece 6 quelle costruite o da costruire in Diocesi: – nempe S.Joanuis in Balneo praefatae Civitatis Montifusci, – SS.Annunciationis Altavillae, – SS.Assumtionis Montiscalvi, – S.Salvatoris Morconi, – S.Bartholomei Padulii, – et SS.Trinitatis in Oppido Vitulani anno 1716 eretta.
Nella nota seguono i dati sui 178 luoghi, compresi quelli con le grancìe ex dipendenze delle abbazie beneventane, così come descritto negli atti dei Concili. Si tratta di Terre, Casali e feudi compresi in due province del Regno: – Montefusco (in Diocesi di Benevento dipendente dall’Arcidiocesi Metropolitana di Benevento) – Lucera (Diocesi dipendente dalla Metropolia beneventana).

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Editorial Review

La peste francese sulle montagne di Benevento

 

Nel 1528, dunque, ad affacciarsi sulle colline beneventane fu l’esercito francese di Lautrec, restando in piedi, secondo alcuni, solo la chiesa di S.Maria di Venticano, le cui entrate furono affidate alla Biblioteca Vaticana. Al gran capitano Cordova successe la figlia Elvira che vendette Montefusco e i suoi Casali a Nicolantonio Caracciolo, Marchese di Vico, per 24.000 ducati, il 12 giugno del 1545.29
Per questo motivo, fino alla peste della seconda metà del 1500, per esempio, i feudi di Montemiletto e Montaperto sono in due stati feudali diversi, con Montaperto raggruppato ai Casali di Montefusco, Castelmuzzo compreso.
Il 22 ottobre 1528, passata la peste, il sindaco di Montefusco esponeva alla Sommaria che i cittadini hanno sempre avuto devozione per la Cesarea Mestà nonostante che avessero data odedientia alla Inimica lega e prestato omaggio... s’hanno da tassare i casali di Montefusco che con altre università alzarono le bandiere francesi... La Torre, San Nazzaro, Li Calvi, S.ta Agnessa, S.to Angelo, S.ta Paulina, S.to Iorio, La Ginestra, Santa Maria ad Thoro, Lo Pheudo di Montevergine, La Petra delli fusi, Santo Nicola Manfreda, Lentace et Mancusi, Santo Marco ad Munti et Rocchetta, S.Pietro ad Delicato, Vagnara, Pagliara, Piancha, Pianchetella, Petruro, Terrajone, Toccanisi, Castelmuzzo, Santa Maria in Grisone, Santo Angelo a Cupolo e Monteaperto.
La divisione della Montagna di Montefusco separava perfino piccoli Casali come Torrioni: per la peste et guerra sono state la magior parte sono morti et destrutti, nè bovij nè animali.
Per comprendere questi ultimi passaggi storici, va accettata la tesi che, prima della divisione, erano uniti tutti i paesi della Montagna, sia del versante dei Caracciolo, da Torrioni a Casalbore, come del versante di Montemiletto e Montaperto. Casali, questi, dove il signorotto di turno pensava solo a riscuotere il Laudemio, cioè la quartame partem praedj vulgo dictam quarteria loco laudemii sive quinquagesimae, et hoc non sive violentia, ac propria autorità, lacerando ancora di più i paesi. Non solo.
Le nuove ripartizioni finirono per dividere gli stessi Casali della Montagna da Montefusco: Toccanisi, Torraioni, Bagnara, S.Giacomo, Mont’Orzo, Monti Rocchetto, Montefuscoli, S.Pietro Intellicato, S.Maria a Tuoro, S.Marco à Monti, Casale nuovo, come si rileva dal Catasto del Castello di Toccanisi, da sempre unito a S.Angelo di Torrioni, e non a Torrioni di Tufo, che appartenne al gruppo dei feudi dei “di Tocco”, Conti di Montapero, pronti a mettere le mani su Apice.57
Gravi danni subì Benevento per due mesi per via dei 7000 soldati spagnoli che andarono via il 1 novembre 1528, quando si cantò la litania. A dicembre del 1529 la città tornò sotto l’ubbidienza della Chiesa con Clemente VI. Nel 1530, scaduto il governariato di Girolamo, il papa nominò Ferrante Gonzaga a nuovo governatore di Benevento, fratello di Federico, il quale, il 25 marzo, per concesione di Carlo V scambiò titolo di Marchese Mantova con quello di Duca e non più per un solo anno, ma vita natural durante, come governatore e luogotenente castellano.....