Description
NON SEMPRE BENEVENTO FU ENCLAVE E NON SEMPRE ARIANO NU NEL REGNO
Il 26 novembre 1444, sotto il pontificato di Papa Eugenio, tre civili di Civitate Beneventana, i signori domini Del Pesce, Rapinella e de Vipera, vengono citati nel primo atto notarile cartaceo dell’attuario pubblico, il chierico Nicola Russo, oggi conserato, restaurato e custodito presso l’Archivio di Stato di Benevento e inserito fra i notai anonimi vari: Nicola Russi clerici et civis beneventanj publici aptica ante notarij et testibus infrascriptores presentia Domino Goffredo de Piscibus, Thoma Rapinella et Nicolaj de Vipera civium et habitatorum beneventanorum ad infrascripta moratorjum ad hibitorum personaliter et rogatorum.
Siamo sicuramente nella Benevento attuale, in quanto l’atto è sottoscritto apud Civitatem Beneventana, precisamente in S.Sofia, in quello che viene definito venerabilis monasterio Sancte Sofie et proprie in Camera Reverendi inxpo Abatis dicti monasterii. Ma i tre beneventani citati in precedenza da Russo erano solo i testimoni che vi si sono recati al seguito del nobile cittadino Roberto d’Aquino fu Giacomo, perché constituitus personaliter Robertus de Aquino nobilis huius Civitatis filius condam Domini Jacobi agens et intervenienti ad infrascripta.
Roberto è il fratello del ‘ministro’ del regno di Napoli Francesco d’Aquino, o meglio del Magno Siniscalco del Regno di Alfonso Re di Napoli, che è anche Conte di Loreto e che restò in carica quattro anni, dal 1438 al 1442. Roberto e Francesco si ritrovavano ambedue eredi del Palazzo, quello appartenuto al padre Giacomo e alla madre Orsolina de Gioia, nel quartiere della Parrocchia di S.Eustachio, ubicato poco distante, nell’ex Civitate Beneventana, cioè nel borgo antico distrutto dal terremoto del 1348, quando nacque poi la nuova urbe arcidiocesana che integrò le diocesi molisane e pugliesi.41
Nello stesso atto notarile del clerico Russo, Roberto d’Aquino parla anche a nome del consanguineo Francesco, conte di Laureto e Satriano, in quanto dichiara possedere con domino Francisco de Aquino suo fratre Comite Laureti et Satriani at magno siniscalco serenissimi Alfonso domini regis Aragonie et Neapolis nonnulla bona stabilia et feudalia iusdem perventam ej hereditate condam Jacopi et Orsoline de Jola paternum et spetialiter domum paterne habitationis dictj condam Jacobi sitam et positam in hac Civitate in parrochia sancty eustachij justa suos.
Ovviamente il discorso cade sui soldi poiché è necessaria parecchia pecunia, che Roberto non ha, in quanto necessitano 4000 ducati de monetis argentis per il restauro del Palazzo, già diviso dagli eredi in quanto l’appartamento di Roberto situato in detta domus è separato dall’altro che appartiene al ramo d’Aquino e pare abitato, o solamente difeso, da un certo Mascambroni canonico della Chiesa Madre beneventana, per intermediam personam Dominj Meulj de Mascambronibus canonici majoris ecclesie beneventane, in quanto anch’egli civium et habitatorum beneventanorum ad infrascripta moratorj.
L’istrumento del 26 novembre 1444 viene citato in un atto successivo scritto di mano del medesimo notaio e inserito nello stesso rogito ricomposto e conservato presso l’Archivio di Stato di Benevento. Questo secondo atto di quattro anni dopo è datato 2 ottobre 1448, sotto Papa Nicola, citandosi sempre Roberto de Aquino filius Domini Jacobo e Orsolina de Jola, cioè dell’ex Comitibus Acerre et Lauretj, ma stavolta nel documento si riesce a leggere anche il nome di Don Lorenzo Capobianco, in quanto si legge heredi nobilis Domini Laurentius Capobiancus.
Anche quest’atto è scritto apud in Civitatem Beneventana, anzi proprio nel Palazzo d’Aquino, ubicato lungo la Via Pubblica, nel quartiere della Parrocchia di S.Eustacchio, ereditato quattro anni prima quando si accennava ai 4.000 ducati d’argento necessari al restauro.
Il notaio riunì direttamente i testi in domo proprie habitationis nobilis familie de Aquino sita e posita intus Beneventij in parrochja Sancty Eustachij justa bias publicas et alios suos fines. Oltre Roberto c’è sempre anche il fratello Francesco. Sono infatti j constitutj nobilis D.Franciscus de Aquino figlio fu Giacomo ex comitibus Acerre comes Lauretj et Satrianj et magnus Siniscalchi serenissimi Alfonsi Domini regius Aragonie et Neapolis ad presente in hac Civitate, cioè quando Alfonso era Re del Regno di Napoli. Un atto successivo di due anni dopo, del 17 aprile 1450, parlerà di un civile beneventano nobile e domino chiamato Bartolomeo de Aquino.43
Dal testamento del 19 dicembre 1444, senza più guerriglie, sembra che l’amministrazione della politica e della giustizia cominciasse ad essere stabile, con i baroni pronti all’assegnazione degli incarichi stabili. Da qui la parvenza che fu ufficializzata una iniziale ripartizione politica delle province.
In quei giorni, Giovanni Sanseverino, così dettava allo scrivano in quel di Castellabate: Item legavit eidem Loysio filio suo Terram, et Castrum Abbatis de Provincia Principatus.44
Era tornata in vigore, almeno nel Cilento, l’indizione riferita alla Provincia di Principato e non di Principato Citra. In effetti, con l’Incoronazione di Alfonso d’Aragona, il regno si stabilizzò e quindi anche le province ebbero un riassetto. Dopo la soppressione del 1407, la diocesi diaconale a cui apparteneva il titolo di urbe, in quanto Civitate vecchia sede del Principato, fu inglobata e continuò a vivere come territorio soggetto alla chiesa beneventana. Il definitivo assorbimento avvenne nel 1450, quando, a proposito del Capitolo beneventano, Niccolò V unì a Benevento la Terra di una antica San Lupo, con giurisdizione spirituale da nullius diocesis, sopra 1400 anime e ben regolato clero, instituendo un vicario indipendente come Governatore dei beni della ex sede dell’Abbazia S.Lupo.
Difficile dire quali paesi appartennero alla soppressa diocesi che forse ebbe fulcro presso Ceppaloni, prima con un suo vescovo e poi solo con un governatore dipendente dall’arcivescovo di Benevento. Ma comincia a delinarsi il quadro della Montagna-Distretto della ex diocesi di Civitate S.Lupo, che aveva giurisdizione su un proprio omonimo feudo di provenienza, detto “di San Lupo”, e ubicato molto lontano, a Colle Petroso.
Nel 1450, infatti, interpretando Nicastro, si legge che Nicolò V unì ufficialmente tutti i beni della Badia di S.Lupo al Capitolo beneventano: il Capitulum Episcopalem habet juridictionem in Oppido S.Lupi de Monte Petroso, ubi et generalem adjungit Vicarium, ibique, et Ceppaloni in Oppido, vel temporalem Olim dictionem habebat.45
Il feudo di Terra S.Lupo appare completamente diverso dall’Abbazia vescovile di San Lupo a cui appartenne (come a dire la distinzione fra Montevergine e un suo feudo chiamato “di Montevergine” quale era l’attuale S.Martino Sannita, oppure Monte Virgo che è l’originario nome dell’intera abbazia murata di Caserta Vecchia) che lancia sospetti sull’antico monastero scomparso di Arpaise, ma resta solo una supposizione, come potrebbe esserlo Tocco di Chieti.
Terra e Abbazia diaconal-diocesana soppresse sono quindi citate in uno stesso documento in contemporanea come luoghi distinti, oltremodo lontani fra di loro, essendo una vicina a Montepetroso e l’altra presso Ceppaloni. Dare lo stesso nome ad un posto, fra l’altro, era cosa che in genere si faceva in passato per delimitare la prima e l’ultima terra appartenente ad un medesimo distretto, oppure ad una medesima provincia. Nel nostro caso, l’arcivescovo di Benevento, integrò nella diocesi l’univerisità Comunale di S.Lupo, ex Terra, sita sul laghetto del Monte Petroso ma chiamò contemporaneamente feudo, cioè castrum con Palazzo, ossia oppido, l’Oppido San Lupo sita presso Ceppaloni e amministrata da un vicario aggiunto: una cosa fu la Terra di S.Lupo di Monte Petroso in Regno di Napoli (dipendente dalla diocesi di Benevento), un’altra fu l’abbazia che si disse presso Ceppaloni come feudo che sarebbe stato parte integrante dello Stato di Benevento, divenendo sede dei confratelli del S.Spirito.
In realtà la sottile differenza risale al tempo del Catalogo dei Baroni pugliesi (malamente detto dei baroni normanni) del Regno di Partenope databile intorno al 1094. Qui si fa specificatamente notare la differenza fra “San Lupolo in Valle Telesia” con la San Lupolo presso le originarie Bonito-Mirabella-Grotta, quelle che lasceranno il posto alla storia normanna di Falcone Beneventano che le indica come Altacauda et Gruita et Submonte, riportandoci perfino a Mirabello e Grotta di Campobasso….
Recensioni
Non ci sono ancora recensioni.
Only logged in customers who have purchased this product may leave a review.