IL MARCHESE DI PIETRASTORNINA. Il 1799 di Francesco Federici

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PIETRASTORNINA AI TEMPI DEI TIGLI DELLA LIBERTA’

introduzione

Un Marchese poco conosciuto
non solo a Pietrastornina

Si stampa il profilo storico sul Marchese di Pietrastornina Francesco Federici, martire della Repubblica Napoletana. L’Associazione Turistica Pro Loco ‘Donato Massa’, ne era presidente l’editore Arturo Bascetta, gli intitolò il tiglio prospiciente la casa palazziata, con tanto di targa alla memoria del famoso cavaliere decapitato dai Borbone. Il pratico testo esce dopo la pubblicazione su Durazzano dedicata a Nicola Mazzola, a cura del preside Virgilio Iandiorio, e si propone di dare vita all’intera collana tematica sui dodici eroi finiti sul patibolo per aver sposato le idee di Donna Eleonora Pimentel Fonseca.
La famiglia Federici ha dato un notevole contributo alla storia d’Italia – scrive il titolare della ABE Napoli di via Mancini – e autorevoli rappresentanti di questa nobile stirpe furono sicuramente gli altiliesi Vincenzo e Francesco Federici, padre e figlio detti «dei Capobianco», processati dalla Gran Corte Criminale speciale di Cosenza con l’accusa di “attentati e cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato”. Sembrava una omonimia, in realtà, Francesco Federici era già stato maresciallo borbonico, poiché viene definito proprio “antico maresciallo, uomo di genio, che all’elevatezza de’ talenti militari aggiungeva le cognizioni politiche, e che morì con la massima presenza di spirito” di cui parla Francesco Lomonaco, come patriota napoletano, nel Rapporto fatto al cittadino Carnot Ministro della Guerra facendolo scoprire di Pietrastornina. Questo militare nacque nel piccolo paese del Monte Vergine, in quanto figlio di una Pietrastorninese, o forse a Napoli, per essere poi allattato, nella casa palazziata che portava il suo nome, ubicata al rione San Rocco, da una nutrice locale, come d’usanza per i nobili napoletani. In ogni caso è evidente che si tratti del Maresciallo Francesco Federici, le cui origini sono ancora discusse dagli storici, ma ch’ebbe sicuramente per titolo quello di Marchese di Pietrastornina e, per madre, una donna del posto: Gelsomina Minucci.
Nato dunque a Napoli nel 1735, o a Pietrastornina nel 1739, Federici fu comunque in qualche modo legato a questo piccolo paese dell’Avellinese, allora ricadente nella giurisdizione beneventana del Principato Ultra, extra enclave della città capitale di Benevento, rimasta nello Stato della Chiesa.
Sabato Cuttrera

introduzione di sabato cuttrera
un marchese poco conosciuto
non solo a pietrastornina

presentazione

premessa
dal governo provvisorio
alla repubblica partenopea

– La Repubblica Napoletana come la Repubblica Romana
– Sei ministri di nomina consolare e 21 Consiglieri di Stato
– I 5 ministri del Governo e i 20 consiglieri provvisori
– Il Corpo municipale di Napoli capitale
– Si iniziava la Repubblica con sette anni di ritardo
– Il finto principe-erede che ribellò la Puglia
– Pagano pro Filangieri e il progetto ‘Costituzione’
– L’Armata Repubblicana: l’esercito con la Cavalleria
– La fine della Repubblica e il ritorno della Regina con Nelson
– Nicola Mazzola, il giacobino di Durazzano

i.
il cospiratore calabrese
e i due francesco federici
Il cospiratore calabrese detto dei «Capobianco»
Il Generale di Pietrastornina e l’omonimo nipote napoletano

Ii.
da marchese a cavaliere:
chi era l’uomo della libertà
Il Comandante Generale della Repubblica Napoletana
Registri parrocchiali e Catasto Onciario solo il Principe
Il profilo del milite nei dispacci del Diario di De Nicola

IIi.
le ultime notizie:
la fine di un sogno
Don Francesco da Pietrastornina
L’arresto del Generale e la Giunta militare
Il Generale sale sul palco della forca

appendice documentaria

I.
Vite degl’Italiani benemeriti
della libertà e della patria
da Mariano D’Ayala

II.
ATTO «DELLA REPUBBLICA NAPOLETANA»
da Martedì 5 marzo 1799. n.10

III.
iL MONITORE NAPOLETANO
da Giovedì 9 Maggio 1799. n.26

IV.
i giustiziati di giustino fortunato
da Giustino Fortunato, I Giustiziati del 1799

V.
la citazione dal diario napoletano
da Carlo De Nicola, Diario Napoletano del maggio 1799

Vi.
rapporto lomonaco al ministro
da Francesco Lomonaco: Rapporto al cittadino Carnot 1799

VII.
l’arresto riportato dal GIORNALE
da Mercoledì 5 giugno 1799. n.34

VIII.
FEDERICI PARTE PER la puglia
da Sabato 25 Maggio 1799. n.31

IX.
la sosta ad ARIANO
da Carlo de Nicola, Diario Napoletano, marzo 1799

x.
IL GENERALE sul tricolle
da Sabato 14 mAGGIO 1799. n.28

xI.
a proposito di ARIANO IRPINO
da Sabato 11 Maggio 1799. n.27

fonti / note bibliografiche

Description

LA STORIA CHE SCONVOLSE IL MONDO DENUNCIATA CON LE CANZONI DEGLI EMIGRANTI

Sono trascorsi 100 anni dalla grande emigrazione, avvenuta nella Napoli di Carlo Nazzaro e Matilde Serao, direttori del Mattino e del Roma, quotidiani partenopei.
Tra essi vi furono Alfredo Bascetta, editore italo-americano, voce di Sacco e Vanzetti; e Joseph Bascetta detto Gino Bardi, direttore dell’Unità del Popolo, giornale socialista di New York.
Alfredo Bascetta nato a Pietrastornina (Av) il 14.09.1889 – morto a 93 anni, il 6 dicembre 1982 in Saint Lucie, Florida, fu uno dei massimi cantanti partenopei emigrati in America. Il suo spessore, la voce di tenore, l’amicizia con Gilda Mignonette, faranno di lui un personaggio amato anche dall’avanspettacolo, dal teatro, dalla sceneggiata che con lui prese forma, di pari passi alla denuncia anarchica sullo stato sociale. I continui viaggi fra Napoli e New York, anche più volte all’anno, e il mancato ritorno al paesello natio, che lo terranno lontano dall’amata madre, faranno della sua canzone un motivo struggente di vita.
Sui palcoscenici americani trascinò perfino il fratello piccolo, Amerigo, sebbene quest’ultimo fosse più portato per la poesia, a cui si dedicherà completamente al suo ritorno in Italia, ad Atripalda (Av).
Da qui l’improvviso tuffo nella sceneggiata, che allora nasceva, come avanspettacolo, per camuffare fatti che accadevano fra gli emigranti, anche sconvolgenti e luttuosi. Idem con le canzoni in cui Alfredo arrivò a denunciare i soprusi della polizia americana, dal 1917 in poi, quando si videro arrestati e uccisi tantissimi napoletani e siciliani in una sorta di ribellione sindacale, quindi legata alla paga bassa e alle conquiste su orari e sicurezza sul lavoro. Arriviamo così alla canzone-denuncia di questa parentesi socialista, che è quella dedicata a Sacco e Vanzetti, «Lacreme ‘e cundannate», dopo della quale poche altre canzoni saranno di attenzione, anche per via della nascita di una propria casa editrice e discografica a cui si dedicherà per tutta la vita, tornando raramente a Napoli e nella sua amata Pietrastornina.
E eccoci a Gino Bardi (1907-1978) alias Joseph Bascetta, parente stretto dello zio Alfredo, giunto piccolo in America. Gino è un altro personaggio da ricordare che d’improvviso ritroviamo nel pieno della lotta comunista, più che anarchica, come direttore dell’Unità del Popolo, ma anch’egli editore di questa diversa casa editrice per la pubblicazione di notizie italiane fatte dal popolo e per il popolo. La stranezza, e non se ne conosce il vero motivo, è che Joseph cambia nome, adottando quello di «Gino Bardi» come pseudonimo, quasi a scimmiottare il gerarca fascista di Roma.
Terminata la guerra lo ritroviamo nel mondo del cinema, ma dietro le quinte, al fianco di registi del calibro di Luchino Visconti, del quale fu traduttore di testi e di alcune opere teatrali, mostrandone forte amicizia. Ma eccolo anche con Dino De Laurentiis, allorquando lo scopriamo in alcune foto insieme al celebre Orson Welles. In questo caso il tratto d’unione sembra essere la boxe, sport amato da tutti in famiglia, ma Gino è per certo un personaggio di rilievo tutto ancora da scoprire.
Nato in Italia il 12 giugno 1907, si trasferì col padre Biagio in America, tornando a Napoli svariate altre volte, da marins e dopo la guerra, ma non più a Benevento, né a Pietrastornina, non avendo rinvenuto alcun riscontro. In fondo è in America che si stabilì definitivamente, laddove poi morì e fu sepolto nel 1978, a S.John, nel Queens.
A loro abbiamo dedicato questo primo lavoro di una collana editoriale che ci apre mondi sconosciuti alla nostra generazione, o forse solo dimenticati. Perciò ABE si è affidata all’esperienza di latinisti e letterati, quali Virgilio Iandiorio, Antonio Polidoro, Fausto Baldassarre, Enrico dell’Orfano, per creare un punto di partenza, quindi, che ci portasse lontano da Pietrastornina, per capire cosa realmente accadde in quegli anni intorno ai nostri protagonisti.

Ed eccoci al Francesco Federici napoletano. A lui, «antico maresciallo, uomo di genio, che all’elevatezza de’ talenti militari aggiungeva le cognizioni politiche, e che morì con la massima presenza di spirito» di cui parla Francesco Lomonaco, quale patriota napoletano, nel Rapporto fatto da Francesco Lomonaco al cittadino Carnot Ministro della Guerra, si legherebbe quello di Pietrastornina. E’ questo insomma il militare che appare nato proprio nel piccolo paese del Partenio, in quanto figlio di una pietrastorninese. In ogni caso è evidente che si tratti del già Maresciallo Francesco Federici.20
Se così non fosse, il primo della lista che compare in maniera determinante nella storia di Pietrastornina, sarebbe un altro Francesco Federici, anch’egli di nobili origini, i cui natali sono ancora discussi dagli storici, ma ch’ebbe sicuramente per titolo quello di Marchese di Pietrastornina e, per madre, una donna del posto: Gelsomina Minucci.
Insomma il Maresciallo e il Generale appaiono essere la stessa persona.
Nato a Napoli nel 1735, o a Pietrastornina nel 1739 oppure, a dire di altri ancora, a Cetara di Cava, Federici fu comunque in qualche modo legato a questo piccolo paese dell’avellinese, allora ricadente nella giurisdizione irpino/beneventana del Principato Ulteriore.
Del Generale Francesco Federici, Marchese di Pietrastornina, sappiamo pochissimo. In verità, fino a qualche anno fa, neppure si conoscevano le sue peripezie, fra l’altro ancora in fase di studio, in quanto la confusione fra le diverse figure è stata grande, almeno fino a quando gli studiosi del ramo, in occasione del bicentenario della Repubblica Partenopea festeggiato qualche anno fa, non hanno cominciato a fare chiarezza sul nobile don Checco Federici, come lo chiama il De Nicola. Si è quindi univocamente compreso che le figure dei Federici furono sicuramente due, contemporanee, e che quella del cospiratore andava sicuramente scissa dal Marchese-Generale di Pietrastornina. Questi, però, a sua volta, pare abbia avuto un nipote, di partito diverso, che sarebbe poi quello nato a Napoli.
Del resto, dalla confusione fu preso anche Carlo De Nicola, che nel suo Diario Napoletano, allorquando, in quel 10 Marzo del 1799, ebbe modo di scrivere che erano stati «arrestati il generale de Gambs, l’ex colonnello Bock, un uffiziale Albanese Dillotti, ed un altro militare graduato di cognome Federici, nipote per quanto mi si dice del celebre Don Checco Federici. Il motivo si dice essere stato che promovevano la controrivoluzione».
La confusione era tale che, il giorno prima, egli stesso, nel suo Diario, con data Sabato 9 Marzo, era caduto nell’equivoco e aveva annotato che «la notte scorsa pure fu arrestato l’ex generale de Gambs, e si dice anche Federici, come pure vi è stato l’arresto di molti del popolo, assicurandosi essersi scoverto un complotto che dovea far scoppiare una controrivoluzione».21
Pietrastornina aveva dato alla storia due figli di nome Francesco Federici: uno generale, l’altro maresciallo? In realtà, il maresciallo, appare essere quello nato a Napoli. Ma tutti e due, in ogni caso, si batterono in nome della Libertà e ebbero a che fare con Pietrastornina….

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

Recensioni

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Editorial Review

Il 1799: una storia di anarchia e socialismo?

 

Presentazione

Questi brevi e documentati cenni su Francesco Federici si inseriscono nel filone storico, inaugurato dagli Annales, che pone in risalto protagonisti, eventi, e località trascurati dalla cosiddetta grande Storia. Ed ecco venire alla ribalta un piccolo e ameno paesino della verde Irpinia, Pietrastornina, che ha dato i natali al Marchese Francesco Federici, uno dei più accreditati combattenti e martiri della Repubblica Partenopea del 1799.
Un protagonista risoluto dell’organizzazione militare a sostegno della Repubblica e dell’Albero della Libertà, piantato nei territori trascurati dalla storia ufficiale del Beneventano, Avellinese, Pugliese e Calabrese. Un uomo di indiscusso valore militare, ma soprattutto un apostolo della Repubblica, della Libertà, e dell’Uguaglianza contro l’aborrita dinastia borbonica. Fine anche sul piano pedagogico: spiegare alla gente con linguaggio semplice e chiaro, dato il diffuso analfabetismo di quei tristi tempi, i valori della Libertà, dell’Uguaglianza e Fraternità propugnati dalla Repubblica Partenopea. Sempre in prima linea, trascurando spesso anche la salute, capeggiò molte imprese, conquistando alla Repubblica numerosi proseliti che piantarono innumerevoli Alberi della Libertà, simbolo di liberazione e di emancipazione dell’intero popolo del Regno dei Borbone.
Molto operò. Con stile nobile e deciso, innalzando il suo paese natale a protagonista di uno dei più grandi eventi storici d’Italia. Nonostante tanto eroismo la Repubblica fu sconfitta. Sconfitta che portò al martirio le più illustri menti dell’epoca, impiccate in Piazza Mercato o appese agli alberi delle navi inglesi dell’Ammiraglio Nelson. Tra queste menti, nobili e illustri, fu anche quella del pietrastorninese Francesco Federici che, anche sul patibolo, mostrò il grande coraggio che albergava nel suo animo, parlando in quel 23 ottobre 1799 agli astanti del valore della Libertà, dell’Uguaglianza e della Fraternità, sotto gli occhi pieni di ira e di livore della Regina che, con l’aiuto dei Sanfetisti e della plebe, riprendeva il suo posto accanto al Borbone».

Il 1799 rappresenta l’anno della riscossa per Napoli, soprattutto fra i giovani liberali, poi perseguitati e raggiunti nei più piccoli paesi del Regno dove si erano rifugiati. Ricorda Marra che il diciottenne Ferdinando Pennetti era stato uno dei primi a piantare l’albero della libertà nell’atrio dell’Ospedale degli Incurabili per meglio accogliere i Francesi a Napoli il 23 gennaio. «Raccontava le sue avventure nella liberazione di Napoli dal giogo oppressivo del tiranno e parlava sempre dei personaggi che avevano rimpiazzato il Governo in fuga. Lo avevano trovato ammazzato il primo aprile di quell’anno in un vicolo di Salza Irpina».
Fra il 24 e il 25 gennaio 1799 il generale in capo dell’Armata di Napoli Championnet, stando al Monitore Napoletano, si diceva «Persuaso che l'ordine pubblico può senza ritardo stabilirsi mercè la vigilanza e cura di una magistratura popolare, che vegliando con instancabile cura alla sussistenza dei cittadini, alla sicurazza delle persone alla conservazione della proprietà pubbliche e particolari, prevenga con attiva e coraggiosa polizia tutti i disordini e punisca con severità tutti i delitti e tutti gli attentati commessi contro la pubblica tranquillità, decretò la costituzione del nuovo governo e della municipalità di Napoli».
Tornato dalla Francia, dove precedentemente aveva mutato il nome in Laubert, il sacerdote Don Carlo Lauberg fu nominato presidente del Governo Provvisorio della Repubblica Napoletana. Pur restando protagonista, nel 1794 come nel 1799, Lauberg, ancora una volta, si salverà dalla vendetta borbonica. Ma prima di allora, tutti i paesi del Principato Ultra, batterono presto bandiera rossa, gialla e blu. Del Governo provvisorio francese fecero parte i venti uomini più validi dell’ex Regno di Napoli, compreso Carlo II, principe di Montemiletto. Durò cinque mesi, quell’esecutivo...