ELEMENTI DI DIETA MEDITERRANEA. Lavorazione del pesce essiccato e affumicato nella storia e nella tradizione meridionale

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Copertina posteriore

PESCA e vendita del merluzzo
fresco fra catania e napoli

1. Attrezzi e «ordigni ad amo»
visti dal Costa nella seconda metà dell’800

2. La cattura col conso
per il merluzzo catanese

3. La palangresa utilizzata
dai cossaiuoli napoletani

capitolo secondo
la lavorazione del merluzzo
nordico proibita a napoli

1. Che cos’è il baccalà
nel dizionario del 1700

2. Il pesce di Napoli
che veniva da Gaeta e da Salerno

capitolo terzo
tecniche dei cuochi su salumi,
ammolli e altre conserve di pesce

1. Dissalazione di merluzzo, spada, tonno
acciughe e pesci ammolliti in acqua

2. Lavorazione dei salumi di pesce,
il mercato e la questione dell’igiene
3. Il baccalà alla tavola dei Grandi
come pietanza d’antré di due specie

4. La tradizione che viene dal Nord si fonde
con panzetta e salsicce di tonno e spada siciliane

5. La lavorazione del merluzzo fresco
identica a quella di cefalo e luccio

6. Baccalà, stoccafisso e ventresca
lavorati nei quartieri partenopei

7. Il baccalà importato dai ricchi:
il gustoso mussillo per fregare i poveri

8. La lavorazione del «baccaiuolo»
e la fase del rammollamento

9. Lo stop a salatello, ventresca,
e alla spedrice (stocco e peperoni)

10. Il «guazzetto»: morzelle bollite
in olio, aglio, prezzemolo e peperoni

capitolo quarto
LE SPECIE ITTICHE AFFUMICATE:
TECNICHE TRADIZIONALI E INNOVATIVE

1. L’affumicatura

2. Pesce bianco: il protagonista del progetto

3. Ottimizzazione della composizione del liquido
di affumicatura e dei parametri di processo

4. Realizzazione prodotto affumicato con la tecnica
ottimale e studio della qualità microbiologica

5. Valutazione della qualità nutrizionale

6. Impiego pratico in cucina

7. Conclusioni

Description

LA TRADIZIONE NELL’ALIMENTAZIONE

Il cibo, in senso lato, può essere definito la “chiave di lettura” della cultura e della socialità di un determinato territorio, difatti esso rappresenta un rito di scambio, di chiacchiera che è alla base della convivialità e dell’instaurazione di relazioni interpersonali; in altre parole, il cibo è il mezzo attraverso cui è possibile creare unione e condivisione all’interno di gruppi di persone dando loro una maggiore possibilità di integrazione nel mondo esterno. In aggiunta, la dimensione relazionale comprende anche e soprattutto la simbiosi con il territorio e quindi il cibo entra a far parte della cultura del posto.
La coscienza della propria individualità e personalità passa attraverso il cibo, in virtù del fatto che esso rappresenta un mezzo per definire le radici e le tradizioni legate al luogo in cui si vive; negli ultimi anni si sta assistendo sempre di più alla “rinascita” delle ricette tradizionali per ritrovare una connessione affettiva ma soprattutto, nell’era della globalizzazione, dare un giusto risalto alle culture locali utilizzando il potente patrimonio gastronomico che contraddistingue l’ambiente che ci circonda.
Di fondamentale importanza è ciò che si vuole comunicare a chi ha di fronte un piatto tipico della tradizione, più nel particolare quest’ultimo deve avere un’anima per coinvolgere l’emotività, gli affetti e i sentimenti del consumatore con lo scopo di legarlo per un periodo più o meno breve al territorio in cui si trova. Conoscere il nostro passato è importante e negli ultimi anni si sta diffondendo sempre più l’idea di rievocare culture e tradizioni passate; le ricette che ci sono state trasmesse oralmente dalle nonne hanno permesso di tramandare nel tempo, attraverso le generazioni, un patrimonio culinario non indifferente e di conservare in questo modo la tradizione.
La modernizzazione delle vecchie strutture è alla base del recupero della tradizione, facendo però attenzione a lasciare invariati i sapori decisi della cucina di una volta. La rivisitazione dei piatti tipici potrebbe essere un giusto compromesso tra equilibrio nutrizionale e appagamento del gusto e della vista in virtù del fatto che si utilizzano ingredienti tipici del territorio, genuini e ricchi di gusto.
Il presente lavoro ha come oggetto il cibo in quanto identità culturale e sociale, considerato in relazione agli usi e costumi di un tempo. L’analisi storica aiuta a comprendere la relazione esistente tra uomo e cibo e ad affermare l’identità dell’individuo. In secondo luogo la strutturazione di ricette dell’antica tradizione ha lo scopo di riportare i lettori indietro nel tempo e di portare a comprendere le prospettive future di reintegro della tradizione nell’attuale alimentazione.

Dott. Gennaro Scognamiglio
Pres. Unci Agroalimentare

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Editorial Review

La lavorazione del merluzzo proibita a Napoli

Il Baccalà detto dagli zoologi Morhua «è un genere di pesce di mare notissimo con nuotatoje molli. Il Ray distingue i Baccalà in due specie, cioè in quelli che hanno tre nuotatoje ful dorso, ed in quelli che solamente ne tengono due.
Quelli della prima specie sono il Cabiglio, o Cabeliano, il Baccalà verde detto Witling, il Baccalà nero appellato Carbonajo, il Baccalà giallo, l'Aiglesin chiamato Schel-fisch, ec. Que’della seconda specie, sono il Merluzzo o Merlucio, ed il grande Baccalà propriamente detto. Tutti Baccalami differiscono per la grandezza, pel colore, e per alcune macchie onde vanno fregiati.
Qui noi accenniamo soltanto le specie, che meritano d'essere maggiormente conosciute, sì per le loro differenze, e per l’utilità che ne traggono gli uomini nel loro nutrimento. Gli inglesi, e gli Olandesi pescano di continuo nel Mare Baltico un'infinità di Baccalà, che salano al sole, ed esitano poi con loro gran vantaggio per tutta l'Europa.
La pesca del Baccalà, dice lo Schon-neveld, è, senza contraddizione, uno dei maggiori oggetti di commercio, non che una delle prove più luminose della Provvidenza, la quale fa abbondare questo pesce nei paesi settentrionali, cioè nella Danimarca, nella Svezia, nell’Islanda, nelle Isole Orcadi, in vari luoghi della Moscovia, ed in altre Regioni, le quali non producono frumento a cagione del freddo troppo grande, e dell'inclemenza dell’aria.
Per poco che la pescagione siane favorevole, non solamente tutti gli abitanti si nutrivano di siffatti pesci, sì freschi come seccati, in luogo di pane, ma ne vendono ancora una grande quantità ai Mercadanti foraltieri, che gli traportano nell'interiore dell'Europa.
Ippocrate, il cui intelletto sovrano non tanto si ravvisa nelle considerazioni particolari, quanto nelle generali, lasciò scritto fin dai suoi tempi: fa di mestieri regolare il proprio vitto, e variarlo secondo le proprie abitudini ed età, giusta la stagione ed il paese che si abita. Un tal precetto non solo venne ritrovato vero ed utilissimo dall'esperienza di ventitrè secoli; ma col progredir delle mediche discipline ricevette maggiore incremento e più estese applicazioni».

«Il Mare somministra, come la Terra, il nutrimento agli uomini, e fornisce del pari materia alle arti di necessità, di comodo e di lusso. La Pesca, sorella della Caccia, fu già un’arte primitiva, che nacque prima, che le Società fossero istituite, e dopo l’istituzion delle medesime divenne più lucrosa della Caccia. Essa servì da principio pio alla necessità, poi al comodo ed al piacere; finalmente al lusso ed al Commercio. Ora ne for ma un ramo de’ più lucrosi per alcune Nazioni: Il Mare, da cui è circondato questo Regno, non somministra specie alcuna di pesce in abbondanza, che formar possa un grosso ramo di Commercio; come quello delle Aringhe e del Baccalà: e quel le specie, che somministra, appena bastano, ne sempre nè da per tutto, ai bisogni ed all’uso giornaliero della Nazione. Non so se tali effetti debbano attribuirsi alla povertà del mare, o alla mancanza de’ Pescatori.
Non ci son quasi altri, che Napoletani e i Tarantini, in guisa che non si ha buon pesce negli altri lidi, se non qualora vengan eglino a pescarlo...Vi sono alcuni pochi Pescatori nelle Provincie, ma non ne meritano il nome perchè senz’arte e senza ordegni. Infatti Tarantini e i Napoletani’ pescano pesci, che quegli non san trovare. I Bareli, che scorron l’Adriatico pescando alla vela, come fanno que’ di Gaeta nel Tirreno, non so se fi possan chiamare Pescatori o devastatori della pesca».4
A dire di De Renzi, nella Napoli dell’Ottocento, vi entravano annualmente circa 12 mila cantaie di pesci, di cui la metà proviene dal golfo di Salerno e marina contigua, l'altra metà è prodotta dalle pescagioni, che si fanno nel golfo di Gaeta, isole Palmeari, Ischia, Capri ec. Nei giorni di maggiore abbondanza entrano in Napoli 80 cantaia di pesci. Questa cifra divisa per 500,000 abitanti ad un o bel circa dà una mezz'oncia per individuo. Che riducendo a solo 4 once ogni porzione, una sola ottava parte del popolo potrebbe mangiarne.
In realtà il fatto acclarato è anche più antico e risale a poco prima del Cinquecento, quando Napoli non aveva neppure una pescheria e avvenne la nascita della sua prima pietra del pesce, dove il pescato si lavorava in piazza e si vendeva.
L’istituzione del primo mercato del pesce, cioè della pescheria alla minuta, fu infatti una conquista del popolo napoletano ottenuta nel corso dei festeggiamenti seguiti alla incoronazione della Regina Giovanna III di Napoli, seconda moglie di Re Ferrante, avvenuta nella chiesa della Piazza dell’Incoronata, riconducibile allo slargo di via Medina.
Il 21 ottobre 1477 la Piazza di Napoli ebbe infatti il suo dono, guadagnandosi il banco del pesce, la preta del pesse con le prete. Percorrendo la strada dalla Cappella di Santa Maria delle Gratia a quella di San Giovanni Battista ci si imbatteva quini in questo piccolo quartiere di Napoli che da prima del 1500 cominciò ad essere chiamato dal popolo nella Preta del Pescie per via della realizzazione del primo punto vendita per i pescatori in cambio di un dazio all’edificio clericale adiacente, nato 50 anni dopo.
Qui la chiesa era quasi un tutt’uno con la cappella di metà Cinquecento che De Stefano dice: “E’ stata fondata nel mio tempo; have d’intrata circa ducati cento cinquanta, et de più certo pescie che vi donano li pescatori che lo portano nela preta a vendere, che vale più assai de detta intrata”.
La Cappella non aveva padroni, ma antesignani dei presidenti dei moderni comitati festeggiamenti, in quanto era governata da maestri e quindi va assunta fra le associazioni di confraternite, visto che nella seconda metà del 1500 “si governa per mastria, et in verità molto bene la governano, ch’ivi tenono preti otto et diaconi quattro, et vi tenono organo, et ogni anno maritano una o due figliuole povere, che me pare mirabil opra con tanto poco d’intrata far tanta dispesa; anci vi fanno predicare la Quatragesima in ciascun anno, che basteria si fosse qual si voglia chiesa grande, che per tutte le dette cause li mastri di detta cappella si fanno grandissimo honore e meritano essere molto laudati”.
In questo quartiere napoletano dove si vendeva il pesce un povero pescatore si era messo in testa i costruivi un ospedale per battere la concorrenza della potente Annunziata, fondazione feudale che costruiva ospedali per i poveri in tutti i feudi del Regno acquisiti per donazione o in seguito a commissariamenti regi.
A tal proposito De Stefano cita un racconto molto singolare del pescivendolo che voleva costruire il ricovero per i poveri, ricordando di come “d’incontro la porta piccola de Santa Maria del Carmino vi è una stanza a modo d’una cappella con la figura dela Madonna sopra la porta. S’intese dali vecchi passati che uno detto Cola de Fiore havea incominciato ad edificar ditto luogo per uno hospidale; ma lo Diavolo, sempre inimico delle buon opre, s’interpose di modo che ruinò tal opera”.
E così anche nei secoli a seguire, perché «è certissimo» che in Napoli la quantità dei pesci fosse «scarsa in proporzione del numero degli abitanti, ed è perciò che le qualità più pregiate si vendono a caro prezzo, e si comprano solo dalla gente agiata: e noi qui parleremo solo delle qualità inferiori, che si smerciano a prezzo più mite, e si mangiano ordinariamente dalle persone del volgo. Infatti queste sogliono fare le loro zuppe di pesci per lo più con le diverse specie del genere Blennius volgarmente dette Vavose, e con le specie del genere Conger chiamate Ruonchi, nonchè con quei pesci che si chiamano Marvizzi. Ma il nostro popolo minuto è massimamente ghiotto delle fritture di pesci: e basta volgere lo sguardo a quelle bettole, dove egli ordinariamente va a fare il suo pasto, per vederne preparati dei grossi piatti. Queste fritture sono per lo più composte dal Guarracino nero (Chromis vulgaris), dal Guarracino rosso (Anthias sacer), da quelli che il volgo chiama Sauri e Sarurielli (Charanx trachurus), dalle diverse specie del genere Gobius (mazzuni), e dalle altre specie del genere Torpedo (tremolelle) , dal pesce che dicesi Pescatrice (Lophius piscatorius), dalle varie specie del genere lulus che vanno sotto il nome bizzarro di Cazzilli di re, ed infine dalla Platessa nuda (suace), e dal Gadus minutus (fiche), e molto spesso si sentono i nostri pescivendoli gridare Fiche e suace. Ma quel la miscela di minuti pesci falla per lo più dai piccoli delle Triglie e dei Serrani detta volgarmente Fravaglia costituisce una frittura gradita, che si mangia spesso anche dalle persone agiate; mentre il popolo minuto mangia più ordinaria mente un'altra miscela di pesciolini maltrattati e di poco conto che appella col nome vernacolo di mazzamme.
Lo stesso può dirsi delle Alici (Engraulis ercrasicholus); sebbene di queste il volgo mangia talvolta le più piccole e le meno pregiale, poichè le altre si vendono a caro prezzo. Meritano poi special menzione le Anguille, (Muraena Anguilla), e tra esse specialmente le più grosse, che in Napoli dicosi capitoni, e che formano il cibo di rito della vigilia di Natale, come pure il Tonno (Tymnus vulgaris), il quale nei mesi estivi si fa arrostito e si conserva nell'olio ed aceto; ma siccome esso si suol vendere a caro prezzo, così avviene che il volgo compera per lo più il residuo di altre vendile antecedenti, che suole essere sovente mezzo putrefatto; e questo pessimo uso è causa d'infiniti danni. Ricordiamo infine quei pesciolini che volgarmente diconsi Cicenielli (Atherina hrpsetus), i quali ordinariamente si usano per condire le torte (pizze). Si vendono io Napoli molte altre specie di pesci più pregiati, de quali quì non dobbiamo parlare, perchè non si usano dal volgo.
Dobbiamo solo fermarci alcun poco sui pesci salati dei quali in Napoli si fa un consumo grandissimo. Infatti, le alici salate adornano per lo più le mense degli agiati; mentre le persone del volgo usano per ordinario cibo della quaresima le Aringhe, le Salacche (Alosa communis), e le Salacchine che differiscono dalle prime per essere più piccole. Man giano pure talvolta la Tonnina salata (Tymnus tonina); ma fanno poi in ogni tempo un grande sciupo dello Stoccofizzo (Gadus morrhua), e dei Bacculari (Gadus merlucius). Volgete infatti uno sguardo specialmente a quelle strade, che sono più popolate dal basso popolo, come Porto, Pendino, Porta Capuana ec. e troverete anche nei mesi più caldi di està un gran numero di venditori di baccalare; non pochi altri ne incontrerete, che vanno attorno per la città, e non potrete non riprovare il pessimo uso di gettare l’acqua, in cui si sono ammolliti e lavati i baccalari in mezzo alle strade, le quali perciò massime nei luoghi sopra accennati sono luride, sporche ed emanano un puzzo specifico.
Accennate queste diverse particolarità di fatto, dobbiamo ora considerare in generale qual valore nutritivo possono avere i pesci usati dalla nostra plebe.
Noi abbiamo innanzi fatto notare come il consumo, che si fa in Napoli dei pesci freschi, è assai scarso in proporzione del numero degli abitanti; or se ne togliamo gl'intestini, le spine ed anche le teste, che in molti pesci si gettano via, noi vedremo di molto diminuita la quantità della carne, che serve per cibo; e se ricordiamo quello, che tutti sanno, che cioè la carne di pesce è in generale poco stimolante e meno nutritiva, e perciò nelle prescrizioni religiose si ritiene per cibo magro (fatto del quale il Liebig vuol trovare la spiegazione nel difetto di ossido di ferro); noi possiamo dagli esposti fatti ragionevolmente conchiudere che i nostri popolani potranno con i diversi pesci freschi interrompere la monotonia del loro pasto, ma non già trovare in essi un vero nutrimento. Oltrecchè se riflettiamo che le fritture di pesci nelle bettole del volgo si fanno con grassi rancidi, ed olii cattivi; che quelle zuppe scioperatamente fatte disperdono molto di albumina solubile, che si contiene nei migliori pesci, e facilmente si deposita nei brodi; che siffatti cibi si sogliono talvolta conservare per molti giorni e perciò alterarsi; e massime poi se consideriamo che ordinariamente si vendono a minor mercato alle persone del volgo quei pesci già mezzo putrefatti, e che sono il residuo delle vendite antecedenti: allora non solo troviamo di molto diminuirsi il valor nutritivo di questi alimenti, ma eziandio scorgiamo in essi la causa di molte malattie.
Vi sono poi dei pesci i quali si rendono poco digeribili special mente per l'eccesso dei grassi fosforati, come le anguille, nelle quali come ha osservato il Payen il tessuto adiposo non solo è interposto tra le fibre muscolari, ma forma un'involucro intorno alla colonna vertebrale ed un grosso strato al di sotto della pelle.
Venendo infine ai pesci salati, è vero che il baccalà, secondo le analisi del Payen, contiene molte sostanze azotate; ma è pur certo quello che afferma il Liebig, cioè che è piccolo il potere nutritivo dei pesci disseccati e salati, come lo stoccofizzo, il quale ha bisogno di essere ammollito, e di poi lavato nell'acqua, prima che venga adoperato come cibo.
Aggiungasi poi l'eccesso dei sali e la digestione difficile, e si vedrà chiaro che, se questi cibi non sono da spregiarsi nell'inverno per coloro, che bando valida digestione, riescono certamente dannosi nell’està, e per lo meno sono causa di frequenti disturbi gastrici, specialmente quelle pessime qualità di baccalari, che si mangiano dal nostro basso popolo. Le Aringhe contengono in proporzione minor quantità di sostanze azotate, ed al contrario carbonio e grasso in eccesso, come lo stesso può dirsi delle Salacche; perciò, vediamo che il nostro popolo ne mangia nell’inverno, ma assai più scarsamente in paragone dei baccalari, ed in està non può affatto tollerarle e quasi mai le mangia».5
«In tanta penuria di Pescatori può esserci abbondanza di pesce? Possono esser varie e molte le cagioni di tal penuria. Una forse in alcuni luoghi esser potrebbe la mancanza di libertà, accompagnata da gravezze dovendosi ottenerne la licenza e pagarla: dallia qual paga viene assorbita una porzion del provento della pesca: altra si toglie dalle vessazioni de’ Sopragguardia e Cavallari, ed altra dalle assise capricciose, ove si porta a vendere il pesce. Ciocche resta dopo tante deduzioni non basta per poter vivere con tal mestiere; onde non può animare molti ad abbracciarlo. La miseria delle persone, che potrebbero applicarvisi, forma pure una cagione della divisata penuria. L’esercizio di quest’arte esige qualche spersa di anticipazione, come di barche, reti etc. pochissimi posson farla. Qualunque sia la cagione, la mancanza de’ Pescatori e manifesta; e posta tale mancanza non si può giudicare, se il mare sia abbondante di pesce a tal segno, che possa somministrarne agli Stranieri. Qualora l’esperienza dimostrasse, che la Pesca nel nostro Regno non si possa riguardare come un oggetto di Commercio, potrebbe però sempre considerarti, come un oggetto di sostentamento, di çomodo è di piacere; e quindi dovrebbe attirare la pubblica attenzione, Quanto più si trova da vivere nel mare, tanto meno fi cerca dalla terra; onde questo risparmio de’ suoi prodotti accresce il superfluo destinato all’ esportazione, e così la pesca indirettamente favorisce il Commercio utile. Quando il pesce fresco non manca, cessa il biosogno degli stranieri salumi; onde la Pesca minora il Commercio nocivo, Quindi si rileva, che quando ancor fosse vero e provato dall’esperienza, finora non fatta, che la Pesc nel nostro Regno non possa giugnere a formare un ramo considerabile di Commercio; pure avanzandoci fino al segno di soddisfare a’ bisogni della Nazione non solo accrescerebbe il suo comodo e piacere, ma ancora la sua ricchezza (a). Ma in vece di avanzarsi presso di noi la Pesca, sembra che sia retroceduta, Prima si cercava il pesce ancor ne’ laghi con maggiore impegno e con maggior profitto, Quel di Lesina forniva la materia a ‘ più delicat/ salumi, i quali ora ci vengono dal Levante. Nel mare, oltre il pesce, si cercavano ancora le piante e le Conchiglie. La pesca del Corallo impiegava moltissimi...
Sintanto che fi faccia una maggiore sperienza, quella che abbiamo dimostra, che se non ci è tant’abbondanza di pesce per formare un grosso ramo di eltrazione, cen ‘ è bastante per formar molti piccioli che non convien trascurare, Tali sarebbero il tonno le sarde, gli alici. Nel Faro presso Reggio vi è una specie di pesce, che somiglia alle aguglie, sebbene inferiore di mole ‘ e di gusto, volgarmente chiamato Caflaudelle. In alcune stagioni dell’anno il mare ne formica, come l’Oceano delle Aringhe. Tant abbondanza ne rende vilissimo il prezzo, e non trova compratori se ne fala, ma senz’ arte e senza disegno di: Commercio. Potrebbe introdursi l’una e l’altro»....