Origine ed evoluzione della produzione del salame in Mugnano del Cardinale (e Quadrelle)

30,00


Copertina posteriore


Prefazione

Il Progetto “Zafia” ha mirato a fornire strutture, strumenti e metodologie di intervento tali da stabilire sinergie e collegamenti con altri interventi previsti sul territorio (servizi per l’impiego e sportello unico) e con i principali attori socio-economici territoriali (parti sociali e datoriali, agenzie di lavoro interinale).
L’area in oggetto dell’intervento è stata quella rappresentata dalla Comunità Montana “Vallo di Lauro e Baianese” comprendente 13 Comuni: Avella, Baiano, Pago del Vallo di Lauro, Quadrelle, Quindici, Sirignano, Sperone, Taurano.
Un accordo di programma stilato dai predetti Comuni, ai sensi della Legge 328/00, ha costituito l’Ambito A5 per la realizzazione di interventi di politiche sociali, socio-sanitarie e giovanili, in ossequio al dettato normativo comunitario, nazionale e regionale, identificando come Comune capofila quello di Mugnano del Cardinale. A tal proposito ci si è rivolti alle piccole aziende del settore agro-alimentare dedite alla trasformazione delle carni, alla produzione dei salumi e alla loro commercializzazione.
Già alla fine del 1800 questa attività aveva coinvolto molte donne del territorio ed era, per lo sviluppo locale, un fiore all’occhiello. Le donne, con le esperienze tramandate dalle madri, hanno saputo incrementare la produzione aziendale creando artigianalmente un prodotto alimentare che trova largo consumo sia in Italia che all’estero. Pertanto la prerogativa di Confcommercio è stata quella di far emergere ed incrementare la creatività e le abilità lavorative delle donne della zona, sui cui potenziali si è già contato in passato, al fine di migliorare lo sviluppo locale già esistente e costituire una ottima fonte di occupazione. Tale è stato un Laboratorio Cantiere finalizzato all’occupabilità femminile dell’Ambito A5, responsabile della gestione di servizi avanzati nel campo dell’orientamento, della formazione di base, dell’informazione e della mediazione culturale. L’obiettivo primario e fondamentale del Progetto “Zafia” è stato quello di coinvolgere la donna occupata e inoccupata a 360° e di offrire delle nuove opportunità di crescita individuale e collettiva, offrendole la possibilità di implementare il suo ruolo nella programmazione e nella realizzazione di nuovi progetti strategici territoriali.
La proposta progettuale ha quindi inteso: sviluppare la capacità delle donne di raggiungere l’indipendenza economica attraverso un impiego remunerativo ma contestualmente consentire ad esse di combinare con queste le cure parentali; creare occupazione attraverso l’analisi della domanda di lavoro femminile che viene dal territorio; promuovere una nuova condivisione del tempo: tempo per il lavoro, tempo per la cura, tempo per la formazione, tempo per sè; favorire una migliore condivisione dei compiti all’interno della famiglia.
Il Laboratorio Cantiere è stato integrato da: percorso integrato di inserimento lavorativo rivolto a venti donne per la durata di circa 300 ore; percorso integrato per attività imprenditoriali e lavoro autonomo rivolto a 15 donne per un totale di 200 ore; formazione per occupate, cioè percorsi per sviluppi di carriera delle donne con 30 voucher formativi.
Il target è stato rappresentato, in primo luogo, da: donne di ogni fascia di età e condizione di scolarizzazione; lavoratrici disoccupate; lavoratrici atipiche (co.co.co, partire IVA, interinali, etc.); donne immigrate; donne che vivono particolari condizioni di esclusione e/o difficoltà; donne occupate.
Il Progetto “Zafia” ha inteso inoltre: favorire la distribuzione delle scelte professionali delle donne, il loro accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale; superare la distribuzione del lavoro in base al sesso, promuovere l’inserimento delle donne in quelle attività e posizioni che sono normalmente prerogative degli uomini; favorire l’equilibrio fra responsabilità familiari e professionali; favorire azioni di sensibilizzazione territoriale valorizzando le competenze femminili provenienti dalla cultura locale; migliorare la qualità della vita della donna; facilitare l’assunzione di donne attualmente disoccupate attraverso la formazione professionale utilizzando le risorse territoriali.
Considerando che la partecipazione al Progetto delle donne selezionate (80 su 500) è stata entusiastica e continua, smentendo le previsioni della vigilia, e tutte le riserve su questo Progetto avviato con la misura 3.14, si può ritenere che i risultati raggiunti e gli obiettivi prefissi necessitano di ulteriore approfondimento e valutazione.
La continuità con le prossime attività non deve disperdere quanto assimilato ed acquisito per non deludere le aspettative di coloro che si sono impegnati con serietà e con la convinzione di poter cambiare vecchi sistemi di vita per promuovere l’inserimento delle donne a pieno titolo in una società nuova.
Siamo certi di aver fatto un buon lavoro, di aver conseguito ottimi livelli formativi anche per la collaborazione e le esigenze che venivano manifestate dalle partecipanti.
Assieme agli altri partners pensiamo di aver contribuito ad un miglioramento della qualità della vita delle donne per una loro piena e totale integrazione nel mondo del lavoro anche in direzione imprenditoriale. Questi risultati assumono maggior significato perchè avviati in un’area della provincia di Avellino, sempre ai margini di nuovi progetti di incentivazione, che finora si è mossa solo in maniera spontanea e prevalentemente empirica e tradizionale.

Ing. Oreste La Stella
Direttore Confcommercio della Provincia di Avellino

Description

Introduzione

L’indagine conoscitiva sulla condizione femminile nell’area del Vallo di Lauro e del Baianese, condotta all’interno delle attività previste dall’Azione A.2.1. del Progetto “Zafia” e curata dalla Bcg.it Pari Opportunità e Sviluppo Sostenibile srl, si è posta quale duplice obiettivo quello di dare voce alle donne attraverso la manifestazione dei propri fabbisogni da un lato, mentre dall’altro quello di fornire ai decisori locali uno strumento per progettare e sostenere azioni di sviluppo della risorsa femminile sul territorio.
Le attività realizzate all’interno del Laboratorio per la progettazione e la sperimentazione di strategie locali per l’aumento dell’occupabilità, infatti, oltre alla realizzazione di due ricerche, delle quali qui viene pubblicata una, sono state tutte focalizzate sulla valorizzazione dei percorsi e dei profili delle utenti, sull’integrazione dei saperi e sulla crescita individuale. Le sessioni di orientamento, di bilancio delle competenze, i workshop ed i seminari specialistici hanno avuto tutti il chiaro intento di rafforzare la consapevolezza del sè, ma soprattutto di facilitare il percorso verso l’inserimentop e/o il reinserimento nel mondo del lavoro.
Come si leggerà anche nell’elaborazione dell’indagine, quello el lavoro come “opportunità negata” resta uno dei maggiori punti critici da affrontare e rimuovere. La difficoltà di inserimento lavorativo, però, viene vissuta dalle donne sia come vincolo oggettivo che soggettivo, lì dove la realizzazione professionale e lavorativa si scontra con le aspettative di vita privata e familiare.
Il campione indagato, oltre 70 intervistate segmentate su una fascia d’età di 25 ai 45 anni, costituisce uno spaccato delle donne dell’area sia in termini di caratteristiche socio-demografiche che di bisogni emergenti ed emersi.
Le aree di indagine, relativamente alle quali sono stati rilevati i dati, sono stte sei: la famiglia, la formazione e gli studi, il lavoro, il tempo libero, il ruolo della donna, la tecnologia.
I primi tre item sono di carattere prettamente socio-economico, mentre gli altri tre toccano aspetti più qualitativi e relativi al vissuto delle intervistate.
Quando si considerano i fenomeni femminili il punto di partenza è sempre la famiglia, vissuta sia come potenzialità che come impedimento, ed il nostro campione conferma tanto gli stereotipi negativi quanto quelli positivi legati alla posizione della donna all’interno del nucleo familiare.
Oltre il 50% delle intervistate è coniugato e con figli, in molti casi la convivenza è estesa anche ai propri genitori o ai genitori del coniuge, confermando la difficoltà (soprattutto economica) di uscire dalla propria famiglia di origine. I problemi nella gestione familiare vengono confermati dall’analisi del reddito medio, che per oltre il 70% del campione non supera i 1.200 euro al mese. Se si considera che la maggior parte delle famiglie è monoreddito, si può facilmente immaginare come da un lato il lavoro della donna venga vissuto come una necessità oggettiva di integrazione delle entrate familiari, ma dall’altro la mancanza di servizi integrati di custodia e la necessità i ricorrere a strutture a pagamento per la cura dei figli, sia un costo non sostenibile dai più.
A fronte delle caratteristiche del mercato del lavoro, di una domanda non sempre in linea con le richieste di professionalità specifiche e specialistiche, le donne rappresentano un’eccezione positiva sia in termini di qualità dei saperi che di risultati scolastici. Eppure, nonostante i dati sui tassi di scolarizzazione, istruzione e formazione nell’ultimo decennio siano tutti a netto favore delle donne, il sistema ancora resiste di fronte alle richieste di parità di accesso e trattamento da parte delle lavoratrici. Un’incongruenza questa che rischia di penalizzare non solo le donne, ma soprattutto il mercato del lavoro che spreca risorse e competenze.
I dati emersi durante la ricerca evidenziano un campione altamente scolarizzato, ma soprattutto soddisfatto del proprio corso di studi, scelto con consapevolezza ed autonomia. Forse l’unico punto contestabile è il permanere degli stereotipi di genere nella scelta formativa, oltre il 70% delle intervistate, infatti, ha avuto un percorso di tipo umanistico o comunque legato a ruoli sociali e/o di cura.
E’ proprio sull’orientamento alle scelte formative che ha insistito il Laboratorio/cantiere, le attività di bilancio delle compentenze, di ricerca attiva del lavoro, di analisi delle opportunità di impiego sono state tutte indirizzate a ricostruire il “saper fare” delle utenti, anche di tipo informale e quindi non certificabile con titoli di studio tradizionali.
Visto che il tema portante del Progetto “Zafia”, come dell’intera Misura 3.14 del Por Campania 200-2006, è l’occupabilità femminile, intesa come l’insieme delle azioni per migliorare l’accesso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, una particolare attenzione è stata rivolta all’interno della ricerca al rapporto donne/lavoro/territorio.
Quasi il 60% delle intervistate ha dichiarato di aver lavorato almeno una volta nella propria vita e quasi il 75% alle dipendenze di qualcuno, mentre la libera professione e il lavoro autonomo rappresentano meno del 15% del campione. La propensione all’autoimpiego resta ancora piuttosto bassa nell’area di riferimento, nonostante la Campania sia la seconda regione d’Italia con il più alto indice di imprese femminili, solo il 12,5% del campione ha svolto o svolge attività di tipo imprenditoriale. La scelta del lavoro dipendente piuttosto che autonomo è spiegata dalle caratteristiche economiche del territorio, dalla necessità di stabilità, ma sopratutto dalla richiesta di tempo che un’attività in proprio comporta.
Sul tema della conciliazione torneremo più avanti, anche se il doppio ruolo della donna si presenta ancora una volta come elemento fondante la cultura ed anche il sostrato socio-economico del territorio di riferimento.
Sempre in tema di occupazione la ricerca ha messo in evidenza tutta la criticità derivante dalla flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro.
Anche se le politiche e strategie comunitarie hanno posto quale prioritario il tema della flexicurity, ovvero la coniugazione tra flessibilità e stabilità, i contesti locali sono molto distanti dalle buone prassi e la precarizzazione del lavoro femminile va a nutrire un clima generale di sfiducia e mancanza di prospettive.
Oltre l’80% del campione vive il lavoro come condizione transitoria e tutt’altro che sicura, dal lavoro a progetto al lavoro nero, al lavoro interinale, queste sono le tipologie contrattuali maggiormente applicate alle donne del nostro campione. Da questo punto di vista, ed in negativo, la ricerca conferma i dati a livello nazionale sullo stato dell’occupazione, lì dove l’incremento dei posti di lavoro è determinato in larga misura da neo-assunte e quasi esclusivamente con contratti a tempo determinato. In riferimento al rapporto/lavoro, la ricerca ha indagato anche su altre variabili come: gli strumenti utilizzati per la ricerca del lavoro, il grado di soddisfazione per il proprio impiego o contratto.
Dopo gli item socio-economici, la ricerca ha affrontato tre temi “qualitativi” riguardanti il vissuto delle donne, gli interessi, le motivazioni, ma soprattutto il rapporto con il tempo.
Il lavoro negato va di pari passo con “il tempo negato” e con le difficoltà oggettive incontrate nella conciliazione del doppio ruolo della donna: il ruolo di forza lavoro attiva e quello di cura della famiglia e di se stessa.
La custodia dei figli costituisce uno dei vincoli maggiori per un sereno rapporto con la propria dimensione lavorativa, “fortunatamente” le caratteristiche demografiche dell’area continuano a preservare una forma di famiglia allargata, grazie alla quale il sostegno dei nonni garantisce ancora una buona copertura delle esigenze delle donne lavoratrici. Nel 66% dei casi, infatti, le intervistate rispondono alla domanda “a chi ti rivolgi per la custodia dei figli nell’orario lavorativo?” che questi vengono affidati ai nonni. La rete di supporto inter-familiare per i piccoli centri è senza dubbio più funzionale che nelle città, ciò nonostante le donne del campione hanno manifestato l’esigenza di strutture e assistenza territoriale per la conciliazione dei tempi.
E sempre in relazione al tempo, un’ulteriore variabile trattata è stata “il tempo per sè”. La maggior parte delle intervistate trascorre il proprio tempo libero in famiglia o comunque in attività che vedono coinvolti i propri familiari, mentre oltre il 50% dichiara di dedicare a se stessa non oltre un’ora e mezza al giorno. Il peso del doppio ruolo, e soprattutto dei carichi domestici non sempre equamente ripartiti, influisce notevolmente sulle componenti sociali della vita delle donne, lì dove di fronte alla scelta su come impiegare il poco tempo libero, questo viene utilizzato nella maggior parte dei casi per badare ai propri familiari.
Nonostante uno stile di vita dichiarato molto “tradizionale”, legato a ruoli e valori che vedono la donna come elemento portante della famiglia, ma ne valorizzano la presenza nella società, le donne campione hanno espresso giudizi e consapevolezza estremamente positivi circa la rivisitazione dei modelli e della posizione delle donne nella società. Il cambiamento di ruolo all’interno delle relazioni familiari è stato valutato come positivo ed auspicato dalla maggioranza delle intervistate e stesso vale per la richiesta di una migliore ripartizione dei carichi domestici tra moglie e marito.
L’indagine ha affrontato, come sarà possibile leggere, una serie di variabili che, partendo dalle evidenze demografiche del campione, passano ad analizzare elementi qualitativi e relativi al vissuto ed alla percezione delle intervistate circa la propria condizione lavorativa e di contesto.
L’utilità di uno strumento quale le rilevazioni campionarie trova il proprio compimento all’interno di un progetto, quale il Progetto “Zafia”, ma soprattutto nell’integrazione tra le attività messe in essere dai singoli attori che hanno contribuito alla sua realizzazione. L’obiettivo è quello che le informazioni raccolte ed elaborate attraverso le interviste, i colloqui individuali e di gruppo, il set di strumenti adoperati durante il Laboratorio/cantiere consentano la trasferibilità del progetto, ma soprattutto una maggiore conaspevolezza dei bisogni e delle richieste delle donne residenti nell’area.
Per la realizzazione dell’indagine, la progettazione, somministrazione e l’elaborazione, la Bcg.it Pari Opportunità e Sviluppo Sostenibile ringrazia per la preziosa collaborazione la dott.ssa Loredana Marino.

Annalisa Bozzetto Responsabile Progettazione Progetto Zafia


Presentazione

Tra le varie opere che negli ultimi anni sono state pubblicate sul nostro territorio, questa relativa a “Origine ed evoluzione della produzione del salame”, è tra le più interessanti per motivi sociali e storici. E’ da sottolineare come il testo interessi un mondo prevalentemente al femminile perché l’attività di cui tratta é basata principalmente sul lavoro delle donne, che si impegnavano, senza limiti di tempo, anche in orari notturni.
Altro aspetto é l’importanza della “tavola” di lavorazione delle carni suine, occasione d’incontro per parlare, “inciuciare”, cantare, trasmettere usi e tradizioni, il tutto relazionato al periodo religioso. Questa attività lavorativa è da considerare come primo elemento integrativo, della economia della comunità e del territorio, che sommava i proventi della povera agricoltura con quelli delle attività commerciali a conduzione familiare. “Sfaticati” e “fannulloni” venivano sempre messi al bando ed avevano difficoltà matrimoniali; guai a finire sotto i coltelli delle insaccatrici, per qualunque motivo, era condanna certa. La vita della donna operaia era legata alla vita del maiale; lo seguiva sin dalla nascita, lo ingrassava con abbondanti pastoni e razioni di ghiande, di cui i nostri boschi sono ricchi; utilizzava ogni prodotto commestibile, senza sprecare niente, provvedendo al fabbisogno della cantina per un intero anno.
Questo lavoro approfondisce alcuni aspetti di una realtà femminile, tutt’ora presente, ne coglie luci ed ombre evidenziando tentativi evolutivi che non sono legati alle singole donne, ma sono condizionati da una realtà complessa e da un livello socio-culturale che non facilita cambi strutturali e non concede crediti alla soggettività femminile.
E’ una realtà che deve cambiare.
L’emancipazione delle nostre donne e la responsabilizzazione collettiva sono una speranza per la crescita del nostro territorio, considerato che il modello di vita familiare è cambiato e che si integra in un contesto aperto ai nuovi bisogni della società. Già si registra una lenta ma discreta volontà di indipendenza confortata da una migliore e più frequente scolarizzazione e da un concetto di famiglia che non perpetua il modello convenzionale delle generazioni passate. Le aspettative mirano tutte alla indipendenza economica e a gratificazioni salariali sicure per uscire dalla cerchia di un mondo ristretto. Insoddisfazioni delle donne, disagi e malcontenti per il lavoro, contratti non sempre appaganti: sono i segnali di un sistema di vita in trasformazione alla conquista dei diritti a tutela di una esistenza civile, sempre più umana.
La qualità della vita e l’organizzazione tra il personale ed il pubblico manifestano la volontà, il dovere di “essere ovunque” per concorrere alla crescita di una civiltà nuova, sottolineando che al centro di tutto permane la propria famiglia. L’attività delle donne operaie, la loro storia costellata di stenti, privazioni e sacrifici, ne fa autentiche artefici di una popolazione che deve serbare gratitudine e memoria. Capita poi che sistemi sociali ed economici si trasformino, che la realtà civile si incammini verso processi moderni ed associativi di altro tenore e le protagoniste, le “pioniere” di queste conquiste, vengano dimenticate e non resti memoria, né traccia del loro passato. Noi vorremmo fare giustizia, sfatare questo luogo comune che vede cadere nel dimenticatoio degli uomini e della storia i periodi più difficili e ricchi di sofferenza, con la realizzazione di un monumento alle “insaccatrici”, un atto di amore verso le lavoratrici delle nostre fabbriche, verso le protagoniste di un mondo (per fortuna) già lontano e privo di umanità. L’Amministrazione Provinciale di Avellino può patrocinare e sponsorizzare l’iniziativa collocando l’opera all’inizio del territorio provinciale, un atto dovuto, un riconoscimento teso ad indicare l’ingresso in una terra appartenente a popolazioni operose, che non dimenticano la propria storia.

Prof. Francesco M. Maietta
Direttore Progetto “ZAFIA”

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Editorial Review

Notizie storiche sul prodotto

 

Il salame è un insaccato di carne suina tritata e salata, insaccata in budelli con cubetti o fettine di grasso e granelli di pepe, che si lascia stagionare. Il termine maiale corrisponde in greco al termine “sùs”, su cui si è modellata la forma latina “sus- suis”;invece la parola salume è resa in lingua greca con “almuròs”, che indica vivande salate, che è stata modificata dai latini in “salmeria”, per indicare i prodotti conservati in salamoia. Le prime notizie sull’esistenza di un allevamento di maiali, così chiamato da Maia madre di Hermes, risalgono ad Omero.

Odissea xiv, vv.13- 22:
Eumeo aveva costruito dodici stalle, aveva
Dentro il recinto, l’una all’altra vicine,
per giaciglio dei porci;e chiuse in ciascuna
cinquanta scrofe feconde giacevano al suolo;
fuori dormivano i maschi , molto inferiori
per numero; e sempre più scarso
era il gregge per l’avida gola dei
Proci ,che ad essi sempre il porcaro
mandava il migliore di tutti
I maiali più grassi;a contarli
Erano in tutto trecentosessanta.

Odissea, xiv,vv.416-437:
Ed i porcari portarono un porco quinquenni ben grasso;
lo posero dritto sul fuoco. Né si scordò
Eumeo dei Numi immortali, molto assennato.
per prima cosa gettava nel fuoco
i rigidi peli del porco zannuto invocando
da tutti gli dei il ritorno di Ulisse
e quindi in alto levando un troncone di quercia
percosse il maiale e gli tolse la vita.
E poi lo sgozzarono e il fuoco accostarono
e svelti tagliarono in pezzi; il porcaro dispose
su strati di grasso pezzi di carne
cruda tagliati per primi da tutte le membra
e sparsavi sopra farina di orzo
li gettò nella fiamma; e il resto spezzarono
e lo infilarono in spiedi e arrostirono,
e poi lo sfilarono attenti e i pezzi
gettarono in mucchio sopra la mensa.
Il porcaro fece le parti : bene sapeva
la giusta maniera: spartì
e divise in sette porzioni la carne:
una alle Ninfe ne offerse e ad Ermes figlio di Maia
pregando; le altre diede a ciascuno
e Ulisse onorò con tutta la schiena del porco
rallegrando il cuore al padrone.

Nell’ Odissea XVIII, vv. 118-119 troviamo le prime informazioni sulla conservazione della carne suina che veniva insaccata in budelli di capre con l’aggiunta del sale: “Antinoo gli porse davanti un lungo budello colmo di grasso e di sangue”. È attestato poi che anche i Romani colonizzatori del territorio campano conoscessero bene le tecniche di conservazione delle carni tramite essiccamento, salagioni e affumicamento. Invece la tecnica di preparazione tradizionale, in seguito consistette nel mescolamento della carne di macinato a pezzi di grasso di suino. L’impasto veniva poi insaccato in budello naturale, legato con spago, poi bucato per permettere la fuoriuscita della bolla d’aria e collocato in un ambiente adatto e favorevole alla stagionatura. Attualmente ciascun paese si avvale di un proprio procedimento per la preparazione di questo prodotto e ogni paese vanta una propria tecnologia di produzione artigianale.

 

Mugnano del cardinale sorge nella valle di Baiano ad una altitudine di 260 metri, ai piedi delle diramazioni occidentali del massiccio del Partendo, distante 36 chilometri da Napoli e 18 da Avellino. Il toponimo di Mugnano deriverebbe dalla divinità “Giove Ammone” , di cui alle falde del colle del Litto doveva sorgere un tempio, oppure da un precedente insediamento, luogo di un antico antro latino del Lazio Antico, da dove si sarebbero spostate le popolazioni, appartenute a veterani romani, in seguito ad attacchi o ad eruzioni vulcaniche, come vuole Bascetta. Nel Medioevo sono attestate le forme muniarum, miniarum, munnianum, e mianum; lì si farebbe derivare appunto da un fundus Moenianus o Munnianus O Minianus o Mindianus o Monnianus, che deriverebbero da un moenius, munius o minius o monnius, presenti nelle Inscr. Regn. Neapo. Lat. Del Mommsen. Alcuni credono che sia la derivazione da Minius o Munius per l’esistenza di un Proedium Minianum o Munianum in epoca romana presso il burrone del Maesone dove ora è il Ponte di Basso, come scrisse Iamalio. Mugnano del Cardinale ha antiche origini. Si ipotizza, sulla base di quanto hanno sostenuto storici locali, che sia stata abitato fin dall’epoca romana, anche se ciò risulta in contrapposizione con la notizia contenuta nella Corografia della provincia di Avellino, compilata dal capitano Trivero Quirino, 1875: Comune nel mandamento di Baiano, circondario di Avellino, con 3171 abitanti. Questo villaggio sorge su di un falso piano presso la strada maestra che da Avellino mena a Nola, poi a Napoli. Fu fabbricato nel XI sec., e forse dov’era l’antica Litto. Certo è che nei suoi dintorni si veggono avanzi di vetusti monumenti. Il suolo comunale è piuttosto fertile e ben coltivato a cereali,vini,castagne, olivi frutti e pascoli. Nel 1799 il Cardinale Ruffo, con un branco di Masnadieri fu in questo luogo e vi fece strage di uomini sospettati in odore di liberali. Si festeggia S.Felice il 15 novembre. Vi sono scuole e istituti di beneficenza, fra cui primeggia il ginnasio municipale titolato Alessandro Manzoni.
Non possiamo sapere fino a che punto questa fonte sia attendibile, soprattutto se si presta attenzione al riferimento alla festa di San Felice. Il Remondini sosteneva che furono gli abitanti del Litto a fondare Mugnano, verso il secolo XII, nel tentativo di sfuggire ai saccheggi dei banditi. Purtroppo queste ipotesi non risulta avere un fondamento, qualora si consideri che sin dal 1264, il castello del Litto, era nel privilegio di Urbano IV, quindi gli abitanti del Litto non potevano aver fondato Mugnano. Allo stesso modo non è credibile l’ipotesi del De Lucia, che riteneva che gli abitatori del Litto, per sottrarsi alle invasioni barbariche, si fossero stabiliti alle falde del Morricone, in quanto è illogico tentare di trovare rifugio, come dice Iamalio, in uno spazio aperto, facilmente accessibile. Si sa che i migliori ripari sono i luoghi forti ed aspri: si pensi alla fuga delle donne troiane dopo aver incendiato le navi, in Eneide V, vv. 676-677: ma quelle fuggono per i lidi sparse e sgomente e in selve e in rupi incavate si appiattano. Mugnano era un fondo di proprietà di Riccardo I Scillato, ma nel 1312 fu concesso all’abbazia di Montevergine, in cambio di altre terre che i monaci avevano a San Marzano. Questo scambio fu voluto dal monastero di Montevergine al fine di poter disporre delle entrate dei luoghi di ristoro che erano ubicati lungo la strada che passava per Mugnano e Monteforte. Solo allora Mugnano fu concesso all’abbazia di Montevergine. Intanto Nicolò Orsini, conte di Nola, ottenne in affitto le terre del Litto, Pontemiano e Quadrelle e, alla fine del 1300 lo incorporò nella baronia di Abella. In seguito Raimondo Orsini, marito di Isabella Caracciolo, si alleò con Marino della Leonessa, in una guerra contro l’abate feudatario di Montevergine. Papa Martino V decretò poi la scomunica dei ribelli, favorendo gli usurpatori, con l’affidamento dei possedimenti dell’antica Badia di Monte Virgilio al nuovo monastero del Montevergine: Homines casalis mugnani.
Nel 1400 il cardinale Ugone Lusignano ebbe in concessione da Palamides il feudo che entrò a far parte dell’abbazia di Montevergine. Il cardinale Commendatario governò Mugnano in Cardinale, dove lasciò i monaci suoi delegati, e per questo il centro abitato fu chiamato Mugnano del Cardinale. Nella metà del 400 la popolazione di Mugnano si dedicava non solo alla coltivazione dei campi, ma anche all’allevamento dei maiali, la cui carne veniva utilizzata per la produzione dei salami, per la quale Mugnano oggi è nota. Nel 1757 l’apertura della via regia delle Puglie rappresentò un fattore di incremento economico e di collegamento tra Napoli e la Puglia. Infatti dalla Puglia giungevano olio, formaggi e bovini e, a sua volta, Mugnano, esportava salumi in Puglia.

“Se da lontano arrivate e buoni salumi volete assaporare, a Mugnano del Cardinale dovete sostare, dove i migliori salumi potrete trovare”. Dal 1890 a Mugnano del Cardinale si tramanda l’ arte degli insaccati. Il segreto? “Carne, fumo aromatizzato, clima e genuinità sono il marchio di questi prodotti”. Ormai da più di un secolo la famiglia De Lucia, in via V. Vittorio Emanuele di Mugnano del Cardinale,gestisce un salumificio, che produce “salami solo salami, non prosciutti, perché se togli un prosciutto dal maiale, per il salame rimane ben poco”, spiega Carmine De Lucia, nipote di Giovanni De Lucia, che proprio nel 1890 ha avviato l’ attività. Giovanni De Lucia ha tramandato la tradizione ad Angelo De Lucia, padre di Carmine De Lucia, che attualmente amministra il salumificio, in collaborazione con la moglie Generosa, i figli Angelo e Giampaolo. In passato erano coinvolti nel processo di produzione e di vendita 15 componenti della famiglia, a conferma del fatto che la gestione dell’ azienda era di tipo familiare e non si trattava pertanto di una società tra più persone, e inoltre 20 operai. Tutto aveva inizio, anche tutt’ora, con la compera dei maiali. I maiali venivano comprati vivi al mercato del bestiame di Atripalda, Lacedonia, e di Benevento, e macellati e lavorati sul posto. La carne veniva lavorata usando solo sale e pepe. Poi veniva tritata con i coltelli e impastata a mano. Durante la lavorazione l’unica macchina adoperata era l’insaccatrice a mano. A prodotto finito, si procedeva all’essiccazione con fumo naturale e con la collocazione in stanze ben ventilate. In seguito i salami venivano venduti ai salumifici del Nord Italia e di Napoli. Attualmente invece i maiali arrivano ogni settimana dal Nord: Carmine De Lucia preferisce acquistarli solo da Amadori, in quanto ha dichiarato che il maiale è “delicato”. E’ sua abitudine portare su in montagna, al Litto, i maiali per farli riposare un paio di giorni, perché il viaggio di 700-800 chilometri li sfianca. Infatti stare in piedi nei camion, che li trasportano a Mugnano del Cardinale, comporta un grave rischio: l’indurimento delle cosce. Dopo due giorni sono pronti per essere macellati. Per la lavorazione vengono adoperati alcuni macchinari, la tritacarne, l’impastatrice e l’insaccatrice, che hanno sì velocizzato i tempi di produzione, migliorato la lavorazione,ma hanno ridotto il numero dei dipendenti da 20 a 7, 6 femmine e 1 maschio, assunti con un contratto a tempo determinato. Non occorre soltanto carne di qualità, ma bisogna saper rendere il salame profumato. La sala di affumicazione è una stanza semibuia, piena di fumo profumato, per la qualità della legna che arde, con centinaia di salami appesi. Aiutato dal figlio Angelo, il signor Carmine, sveglio dalle quattro del mattino, sistema e alimenta il fuoco, che deve rimanere sempre acceso, a fiamma costante. Si procede in questo modo per 4/5 giorni, poi un altro mese per ogni “partita”, finchè il salame non acquista il suo profumo, arricchito dalla salubrità delle correnti d’aria presenti nella conca mugnanense. La conservazione del prodotto è stata migliorata con l’introduzione dell’atmosfera modificata, che permette di aumentare i tempi di conservazione. I prodotti vengono venduti sui mercati di Napoli, Milano e Svezia. Non ci sono limiti all’espansione della società, anzi la sede è stata ristrutturata da poco. Da sempre l’azienda intrattiene buoni rapporti con gli altri operatori locali del settore e si sta impegnando per la formazione di un comitato di sei salumifici per il marchio Idop.
Nel 1930 Raffaele Schettino aprì a Mugnano, prima in via Mancini e poi in via Roma, il Salumificio di Raffaele Schettino, ora con sede in Baiano alla via Calabricita, ove è stato costruito un salumificio all’avanguardia. La gestione dell’azienda era di tipo familiare: infatti erano coinvolti nel processo di produzione e di vendita quattro componenti della famiglia ed erano impiegati 30 operai. I maiali erano acquistati dalla famiglia Schettino vivi al mercato del bestiame e poi macellati. Durante la lavorazione si utilizzava qualche macchinario, seppure rudimentale, la tritacarne e l’insaccatrice a mano. I prodotti venivano, dopo la fase di lavorazione, conservati con l’affumicazione a legna oppure con il sale. In seguito pronti per essere gustati venivano venduti ai salumifici della Campania e della Puglia. Attualmente il salumificio è gestito dal figlio di Raffaele Schettino, Simeone, insieme al fratello Domenico e ad altri sei componenti della famiglia, che sono i promotori del comitato Igp. L’organizzazione aziendale è cambiata rispetto al passato, con l’introduzione della tecnologia. Infatti l’affumicatura viene eseguita con macchinari, e per la conservazione viene usato l’asciugatore, che emettendo aria calda permette l’essiccazione. Pertanto la tecnologia ha influito senza dubbio sulla produzione dell’azienda migliorandola, ma non ha ridotto fortunatamente il numero degli operai. Il salumificio ha assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato 20 operai, di cui 16 femmine e 4 maschi, che svolgono le loro mansioni dalle ore 7:30 alle 12:30, e dopo la pausa-pranzo, riprendono il lavoro dalle ore 13:30 alle 17:00. Salumi, capicolli, pancette, culatelli vengono venduti sul mercato nazionale. La famiglia Schettino ha da sempre buoni rapporti con le altre aziende. Il salumificio di Grazia Canonico, ubicato in via Vittorio Emanuele 228 di Mugnano del Cardinale, è di proprietà dei fratelli Schettino, Angelino, Beniamino, Salvatore, Stefano, figli di Canonico Grazia, che ha avviato l’attività nel 1937. Al principio la produzione era svolta senza ausilio di attrezzature particolari, il tritacarne e l’insaccatrice a mano. Erano impiegati 20 operai e 10 componenti della famiglia partecipavano al processo di organizzazione produttiva. I metodi di conservazione erano la salatura e l’affumicatura dei prodotti, che venivano poi venduti ai grossisti e ai salumifici di Napoli e della provincia. Oggi l’azienda si è trasformata in una società tra più persone, quindi non è più una ditta individuale. Vi lavorano con un contratto a tempo indeterminato quindici donne e dieci uomini, per un totale di venticinque operai. Soppressata, salsicce, capicolli e pancette vengono venduti a Napoli e in provincia, a Caserta e a Salerno. L’uso di macchinari sofisticati ha agito positivamente sulla qualità del prodotto e standard igienici.
Non ci sono problemi ambientali ma di localizzazione legati alla realizzazione di un’aria Pip. Circa sessant’anni fa Saveriano Nicola ha avviato l’attività con l’apertura di un salumificio in via Giovanni XXIII, in Mugnano del Cardinale, attualmente di proprietà del figlio Saveriano Angelo. In passato erano coinvolti nel processo di produzione e di vendita tre componenti della famiglia, con una suddivisione dei compiti: produzione, amministrazione e compravendita. Al principio la lavorazione veniva eseguita a mano e con l’utilizzo della insaccatrice manuale. I prodotti venivano conservati con l’affumicatura e venduti a Napoli, in Puglia e in Lombardia. Attualmente sono tre i componenti della famiglia a gestire il processo di produzione e vendita,che ha subito grandi cambiamenti grazie alla tecnologia. La conservazione dei prodotti è attuata con il ricorso ad impianti di stagionatura e affumicatura con legno di faggio, e i mercati di sbocco sono Campania, Liguria e Germania.
Nel 1950 Guerriero Arcangelo, con il coinvolgimento di due membri della famiglia, aprì il salumificio “Guerriero Carni”. Disponeva all’epoca di venti operai e il mercato di sbocco era rappresentato dalla Campania e dalla Puglia. Attualmente l’azienda di proprietà di Guerriero Alfonso e Carmine non produce più la soppressata mugnanese, non si producono insaccati, ma prosciutti cotti. Il numero degli operai è diminuito, solo tre di essi sono assunti, e l’azienda non fa parte di alcun consorzio per il riconoscimento del marchio Igp o Idop, ma i suoi prodotti vengono ugualmente venduti sul mercato Nazionale.
Antonio, Pasquale e Felice Guerriero sono i proprietari della ditta Sair, fondata nel 1969 da Giuseppe Guerriero, con il coinvolgimento nel processo di produzione e vendita di un solo componente della famiglia. Come abbiamo già avuto modo di dire per le altre aziende, i maiali acquistati venivano selezionati, macellati e lavorati a mano con la collaborazione di 24 operai. Nella lavorazione si utilizzava qualche macchina rudimentale (tritacarne, insaccatrice e impastatrice elettriche), e la conservazione avveniva tramite l’essiccazione a legna. I prodotti venivano venduti ai grossisti, ai negozi alimentari di Napoli e Puglia. Oggi sono coinvolti nella produzione 6 titolari e vengono prodotti salami, salsicce, coppe, capicolli, culatello e il mercato di sbocco resta lo stesso.
Domenico Isola ha avviato nel 1970 il salumificio “Napolitano Filomena”, oggi gestito dal figlio Giovanni Isola. Produce salami, capicolli, pancetta, salsicce e la loro conservazione avviene mediante acido ascorbico, sale, nitrato e aromi naturali (antiossidanti) con un mercato di sbocco in Campania e Puglia.
Il Salumificio di Paolo Corbisiero fu avviato dalla signora Maria Cavaliere e da suo marito in via Senatore Rega negli anni ‘30; oggi è ubicato in via De Lucia ed è diretto dall’erede Paolo in collaborazione con i suoi figli Carmine e Stefano. Questo salumificio si è sempre contraddistinto per la produzione della soppressata locale o salame Mugnano e di capicolli che vengono esportati su tutto il territorio nazionale. Malgrado l’espansione del salumificio nella attuale sede, questa è l’unica ditta che ha iniziato i lavori di costruzione del nuovo stabilimento situato nel Pip di Mugnano del Cardinale. Attualmente occupa complessivamente circa trenta dipendenti, in prevalenza donne.
Il Salumificio Lisa (Lavorazione irpina salumi e affini) ha svolto sempre la sua attività in via Roma, dove tuttora ha sede. Fondatore dell’azienda è stato Francescantonio Guerriero, padre di Antonio Guerriero, attuale proprietario, il quale, nel 1960, diede inizio alla società a gestione familiare occupando una trentina di operai, prevalentemente donne. Dopo la macellazione la carne veniva impastata e lavorata a mano con l’aggiunta di sale e pepe. Oggi la ditta produce salumi di ogni genere, capicolli, pancette e culatello sempre con gli stessi metodi di conservazione. L’esportazione interessa i mercati regionali di Campania, Puglia e Basilicata.
Parallelamente alla attività dei salumifici era florida nella nostra area, in particolare a Mugnano, un rilevante numero di addetti nell’indotto commerciale. Si contavano un gran numero di commercianti di maiali che importavano i suini da tutte le fiere e da importanti mercati del Meridione. Tra essi si ricordano i Masucci, i Napoletano, gli Stingone, i D’Apolito, i Guerriero e diversi altri che ebbero il merito di anticipare ed investire fondi che non sempre rientravano. Essi rappresentarono l’inizio di una catena commerciale attorno alla quale lucravano in tanti, fra mediatori, ambulanti di insaccati e non, artigiani di ogni genere. Un intero mondo economico che interessava una piccola comunità, un territorio che non aspettava inoperosamente tempi migliori, nè contributi statali, con la parte principale sempre gestita dalle donne, le antesignane delle attuali donne-manager, che si affermavano in un sistema loro ostile, in un mondo certamente patriarcale. Tutto era gestito da queste matriarche nostrane, le quali garantivano il proliferare della famiglia e quindi l’evoluzione delle piccole comunità, superando pregiudizi e difficoltà, e riservando ai partners relazioni esterne, sotto il peso dei lavori più duri. Era avvenimento eccezionale vederle partecipare alla festa patronale più importante quando potevano ostentare il loro nuovo stato economico con vesti di lusso e ornate di gioielli, anche di gran lusso, acquistati e sfoggiati solo per quella occasione. Donne già belle che diventavano più ammirevoli. Tra i salumifici che hanno continuato la tradizione e sono stati fra antesignani di diverse aziende ricordiamo quello di Antonio Tedeschi in via Garibaldi, attività continuata prima dai figli Vincenzo ed Andrea e poi dai nipoti; quello di Vincenzo Canonico in via Casa Bianco; il salumificio di Nunzia Schettino e del marito Filomeno Napoletano in corso Vittorio Emanuele; il salumificio di Carmine Stingone in via Mancini. Purtroppo alcune di queste aziende non esistono più perchè gli eredi dei fondatori hanno optato per altre attività certamente meno laboriose ed impegnative. Tanti altri hanno tentato l’esperienza della lavorazione delle carni suine, ma non sono stati fortunati sia per la qualità della produzione che per l’improvvisazione di una attività che impone una vita di stenti e tanta passione.