Description
Introduzione
L’indagine conoscitiva sulla condizione femminile nell’area del Vallo di Lauro e del Baianese, condotta all’interno delle attività previste dall’Azione A.2.1. del Progetto “Zafia” e curata dalla Bcg.it Pari Opportunità e Sviluppo Sostenibile srl, si è posta quale duplice obiettivo quello di dare voce alle donne attraverso la manifestazione dei propri fabbisogni da un lato, mentre dall’altro quello di fornire ai decisori locali uno strumento per progettare e sostenere azioni di sviluppo della risorsa femminile sul territorio.
Le attività realizzate all’interno del Laboratorio per la progettazione e la sperimentazione di strategie locali per l’aumento dell’occupabilità, infatti, oltre alla realizzazione di due ricerche, delle quali qui viene pubblicata una, sono state tutte focalizzate sulla valorizzazione dei percorsi e dei profili delle utenti, sull’integrazione dei saperi e sulla crescita individuale. Le sessioni di orientamento, di bilancio delle competenze, i workshop ed i seminari specialistici hanno avuto tutti il chiaro intento di rafforzare la consapevolezza del sè, ma soprattutto di facilitare il percorso verso l’inserimentop e/o il reinserimento nel mondo del lavoro.
Come si leggerà anche nell’elaborazione dell’indagine, quello el lavoro come “opportunità negata” resta uno dei maggiori punti critici da affrontare e rimuovere. La difficoltà di inserimento lavorativo, però, viene vissuta dalle donne sia come vincolo oggettivo che soggettivo, lì dove la realizzazione professionale e lavorativa si scontra con le aspettative di vita privata e familiare.
Il campione indagato, oltre 70 intervistate segmentate su una fascia d’età di 25 ai 45 anni, costituisce uno spaccato delle donne dell’area sia in termini di caratteristiche socio-demografiche che di bisogni emergenti ed emersi.
Le aree di indagine, relativamente alle quali sono stati rilevati i dati, sono stte sei: la famiglia, la formazione e gli studi, il lavoro, il tempo libero, il ruolo della donna, la tecnologia.
I primi tre item sono di carattere prettamente socio-economico, mentre gli altri tre toccano aspetti più qualitativi e relativi al vissuto delle intervistate.
Quando si considerano i fenomeni femminili il punto di partenza è sempre la famiglia, vissuta sia come potenzialità che come impedimento, ed il nostro campione conferma tanto gli stereotipi negativi quanto quelli positivi legati alla posizione della donna all’interno del nucleo familiare.
Oltre il 50% delle intervistate è coniugato e con figli, in molti casi la convivenza è estesa anche ai propri genitori o ai genitori del coniuge, confermando la difficoltà (soprattutto economica) di uscire dalla propria famiglia di origine. I problemi nella gestione familiare vengono confermati dall’analisi del reddito medio, che per oltre il 70% del campione non supera i 1.200 euro al mese. Se si considera che la maggior parte delle famiglie è monoreddito, si può facilmente immaginare come da un lato il lavoro della donna venga vissuto come una necessità oggettiva di integrazione delle entrate familiari, ma dall’altro la mancanza di servizi integrati di custodia e la necessità i ricorrere a strutture a pagamento per la cura dei figli, sia un costo non sostenibile dai più.
A fronte delle caratteristiche del mercato del lavoro, di una domanda non sempre in linea con le richieste di professionalità specifiche e specialistiche, le donne rappresentano un’eccezione positiva sia in termini di qualità dei saperi che di risultati scolastici. Eppure, nonostante i dati sui tassi di scolarizzazione, istruzione e formazione nell’ultimo decennio siano tutti a netto favore delle donne, il sistema ancora resiste di fronte alle richieste di parità di accesso e trattamento da parte delle lavoratrici. Un’incongruenza questa che rischia di penalizzare non solo le donne, ma soprattutto il mercato del lavoro che spreca risorse e competenze.
I dati emersi durante la ricerca evidenziano un campione altamente scolarizzato, ma soprattutto soddisfatto del proprio corso di studi, scelto con consapevolezza ed autonomia. Forse l’unico punto contestabile è il permanere degli stereotipi di genere nella scelta formativa, oltre il 70% delle intervistate, infatti, ha avuto un percorso di tipo umanistico o comunque legato a ruoli sociali e/o di cura.
E’ proprio sull’orientamento alle scelte formative che ha insistito il Laboratorio/cantiere, le attività di bilancio delle compentenze, di ricerca attiva del lavoro, di analisi delle opportunità di impiego sono state tutte indirizzate a ricostruire il “saper fare” delle utenti, anche di tipo informale e quindi non certificabile con titoli di studio tradizionali.
Visto che il tema portante del Progetto “Zafia”, come dell’intera Misura 3.14 del Por Campania 200-2006, è l’occupabilità femminile, intesa come l’insieme delle azioni per migliorare l’accesso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, una particolare attenzione è stata rivolta all’interno della ricerca al rapporto donne/lavoro/territorio.
Quasi il 60% delle intervistate ha dichiarato di aver lavorato almeno una volta nella propria vita e quasi il 75% alle dipendenze di qualcuno, mentre la libera professione e il lavoro autonomo rappresentano meno del 15% del campione. La propensione all’autoimpiego resta ancora piuttosto bassa nell’area di riferimento, nonostante la Campania sia la seconda regione d’Italia con il più alto indice di imprese femminili, solo il 12,5% del campione ha svolto o svolge attività di tipo imprenditoriale. La scelta del lavoro dipendente piuttosto che autonomo è spiegata dalle caratteristiche economiche del territorio, dalla necessità di stabilità, ma sopratutto dalla richiesta di tempo che un’attività in proprio comporta.
Sul tema della conciliazione torneremo più avanti, anche se il doppio ruolo della donna si presenta ancora una volta come elemento fondante la cultura ed anche il sostrato socio-economico del territorio di riferimento.
Sempre in tema di occupazione la ricerca ha messo in evidenza tutta la criticità derivante dalla flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro.
Anche se le politiche e strategie comunitarie hanno posto quale prioritario il tema della flexicurity, ovvero la coniugazione tra flessibilità e stabilità, i contesti locali sono molto distanti dalle buone prassi e la precarizzazione del lavoro femminile va a nutrire un clima generale di sfiducia e mancanza di prospettive.
Oltre l’80% del campione vive il lavoro come condizione transitoria e tutt’altro che sicura, dal lavoro a progetto al lavoro nero, al lavoro interinale, queste sono le tipologie contrattuali maggiormente applicate alle donne del nostro campione. Da questo punto di vista, ed in negativo, la ricerca conferma i dati a livello nazionale sullo stato dell’occupazione, lì dove l’incremento dei posti di lavoro è determinato in larga misura da neo-assunte e quasi esclusivamente con contratti a tempo determinato. In riferimento al rapporto/lavoro, la ricerca ha indagato anche su altre variabili come: gli strumenti utilizzati per la ricerca del lavoro, il grado di soddisfazione per il proprio impiego o contratto.
Dopo gli item socio-economici, la ricerca ha affrontato tre temi “qualitativi” riguardanti il vissuto delle donne, gli interessi, le motivazioni, ma soprattutto il rapporto con il tempo.
Il lavoro negato va di pari passo con “il tempo negato” e con le difficoltà oggettive incontrate nella conciliazione del doppio ruolo della donna: il ruolo di forza lavoro attiva e quello di cura della famiglia e di se stessa.
La custodia dei figli costituisce uno dei vincoli maggiori per un sereno rapporto con la propria dimensione lavorativa, “fortunatamente” le caratteristiche demografiche dell’area continuano a preservare una forma di famiglia allargata, grazie alla quale il sostegno dei nonni garantisce ancora una buona copertura delle esigenze delle donne lavoratrici. Nel 66% dei casi, infatti, le intervistate rispondono alla domanda “a chi ti rivolgi per la custodia dei figli nell’orario lavorativo?” che questi vengono affidati ai nonni. La rete di supporto inter-familiare per i piccoli centri è senza dubbio più funzionale che nelle città, ciò nonostante le donne del campione hanno manifestato l’esigenza di strutture e assistenza territoriale per la conciliazione dei tempi.
E sempre in relazione al tempo, un’ulteriore variabile trattata è stata “il tempo per sè”. La maggior parte delle intervistate trascorre il proprio tempo libero in famiglia o comunque in attività che vedono coinvolti i propri familiari, mentre oltre il 50% dichiara di dedicare a se stessa non oltre un’ora e mezza al giorno. Il peso del doppio ruolo, e soprattutto dei carichi domestici non sempre equamente ripartiti, influisce notevolmente sulle componenti sociali della vita delle donne, lì dove di fronte alla scelta su come impiegare il poco tempo libero, questo viene utilizzato nella maggior parte dei casi per badare ai propri familiari.
Nonostante uno stile di vita dichiarato molto “tradizionale”, legato a ruoli e valori che vedono la donna come elemento portante della famiglia, ma ne valorizzano la presenza nella società, le donne campione hanno espresso giudizi e consapevolezza estremamente positivi circa la rivisitazione dei modelli e della posizione delle donne nella società. Il cambiamento di ruolo all’interno delle relazioni familiari è stato valutato come positivo ed auspicato dalla maggioranza delle intervistate e stesso vale per la richiesta di una migliore ripartizione dei carichi domestici tra moglie e marito.
L’indagine ha affrontato, come sarà possibile leggere, una serie di variabili che, partendo dalle evidenze demografiche del campione, passano ad analizzare elementi qualitativi e relativi al vissuto ed alla percezione delle intervistate circa la propria condizione lavorativa e di contesto.
L’utilità di uno strumento quale le rilevazioni campionarie trova il proprio compimento all’interno di un progetto, quale il Progetto “Zafia”, ma soprattutto nell’integrazione tra le attività messe in essere dai singoli attori che hanno contribuito alla sua realizzazione. L’obiettivo è quello che le informazioni raccolte ed elaborate attraverso le interviste, i colloqui individuali e di gruppo, il set di strumenti adoperati durante il Laboratorio/cantiere consentano la trasferibilità del progetto, ma soprattutto una maggiore conaspevolezza dei bisogni e delle richieste delle donne residenti nell’area.
Per la realizzazione dell’indagine, la progettazione, somministrazione e l’elaborazione, la Bcg.it Pari Opportunità e Sviluppo Sostenibile ringrazia per la preziosa collaborazione la dott.ssa Loredana Marino.
Annalisa Bozzetto Responsabile Progettazione Progetto Zafia
Presentazione
Tra le varie opere che negli ultimi anni sono state pubblicate sul nostro territorio, questa relativa a “Origine ed evoluzione della produzione del salame”, è tra le più interessanti per motivi sociali e storici. E’ da sottolineare come il testo interessi un mondo prevalentemente al femminile perché l’attività di cui tratta é basata principalmente sul lavoro delle donne, che si impegnavano, senza limiti di tempo, anche in orari notturni.
Altro aspetto é l’importanza della “tavola” di lavorazione delle carni suine, occasione d’incontro per parlare, “inciuciare”, cantare, trasmettere usi e tradizioni, il tutto relazionato al periodo religioso. Questa attività lavorativa è da considerare come primo elemento integrativo, della economia della comunità e del territorio, che sommava i proventi della povera agricoltura con quelli delle attività commerciali a conduzione familiare. “Sfaticati” e “fannulloni” venivano sempre messi al bando ed avevano difficoltà matrimoniali; guai a finire sotto i coltelli delle insaccatrici, per qualunque motivo, era condanna certa. La vita della donna operaia era legata alla vita del maiale; lo seguiva sin dalla nascita, lo ingrassava con abbondanti pastoni e razioni di ghiande, di cui i nostri boschi sono ricchi; utilizzava ogni prodotto commestibile, senza sprecare niente, provvedendo al fabbisogno della cantina per un intero anno.
Questo lavoro approfondisce alcuni aspetti di una realtà femminile, tutt’ora presente, ne coglie luci ed ombre evidenziando tentativi evolutivi che non sono legati alle singole donne, ma sono condizionati da una realtà complessa e da un livello socio-culturale che non facilita cambi strutturali e non concede crediti alla soggettività femminile.
E’ una realtà che deve cambiare.
L’emancipazione delle nostre donne e la responsabilizzazione collettiva sono una speranza per la crescita del nostro territorio, considerato che il modello di vita familiare è cambiato e che si integra in un contesto aperto ai nuovi bisogni della società. Già si registra una lenta ma discreta volontà di indipendenza confortata da una migliore e più frequente scolarizzazione e da un concetto di famiglia che non perpetua il modello convenzionale delle generazioni passate. Le aspettative mirano tutte alla indipendenza economica e a gratificazioni salariali sicure per uscire dalla cerchia di un mondo ristretto. Insoddisfazioni delle donne, disagi e malcontenti per il lavoro, contratti non sempre appaganti: sono i segnali di un sistema di vita in trasformazione alla conquista dei diritti a tutela di una esistenza civile, sempre più umana.
La qualità della vita e l’organizzazione tra il personale ed il pubblico manifestano la volontà, il dovere di “essere ovunque” per concorrere alla crescita di una civiltà nuova, sottolineando che al centro di tutto permane la propria famiglia. L’attività delle donne operaie, la loro storia costellata di stenti, privazioni e sacrifici, ne fa autentiche artefici di una popolazione che deve serbare gratitudine e memoria. Capita poi che sistemi sociali ed economici si trasformino, che la realtà civile si incammini verso processi moderni ed associativi di altro tenore e le protagoniste, le “pioniere” di queste conquiste, vengano dimenticate e non resti memoria, né traccia del loro passato. Noi vorremmo fare giustizia, sfatare questo luogo comune che vede cadere nel dimenticatoio degli uomini e della storia i periodi più difficili e ricchi di sofferenza, con la realizzazione di un monumento alle “insaccatrici”, un atto di amore verso le lavoratrici delle nostre fabbriche, verso le protagoniste di un mondo (per fortuna) già lontano e privo di umanità. L’Amministrazione Provinciale di Avellino può patrocinare e sponsorizzare l’iniziativa collocando l’opera all’inizio del territorio provinciale, un atto dovuto, un riconoscimento teso ad indicare l’ingresso in una terra appartenente a popolazioni operose, che non dimenticano la propria storia.
Prof. Francesco M. Maietta
Direttore Progetto “ZAFIA”
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