16. COMUNE DI CONZA NEL 1753 (AV)

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Copertina posteriore

La Cattedrale distrutta (1694) e costruita poco distante con molti danni (1732)

Non si erano ancora spenti i luttuosi eventi del terremoto del 1694, che colpirono Conza, feudo dei Mirelli, che un altro sisma, quello del 1732, fece il resto distruggendo la Cattadrale
La più importante chiesa conzana è sicuramente la Chiesa Metropolitana che possiede un’infinità di territori, fitta danaro, riscuote censi ed esigenze del valore di scarse 2000 once.
All’interno di questa rifondazione della nuova Cattedrale, la Basilica intitolata a S.Maria Assunta in Cielo, ricostruita dall’arcivescovo Gaetano Caracciolo (1682-1709) dopo il sisma del 1694 e ristrutturata dopo il terremoto del 1732 dal vescovo Giuseppe Nicolaj (1731-1758), vi sono diverse Cappelle sotto il patronato specialmente di private famiglie che le hanno fatte costruire per devozione e al fine di seppellirvi i propri morti arricchendole di rendite annue e di donazioni di territori amministrati spesso da un procuratore. Nella fattispecie, erano state costruite sicuramente all’interno della Cattedrale, due di esse: la Cappella di Sant’Antonio era della famiglia Moscato e la Cappella di S.Marco e S.Leone, beneficio della famiglia Capone del valore di 122 once.
Ancora oggi, tale rifondazione, è attestata da una lapide, sovrastante il portale rimasto in piedi fra i ruderi, che così recita: d. o. m. / vetustissimam hanc et insignem basilicam / hirpinorum metropolim / deipare in coelum assumptae dicatam / tot terrae concussionibus pluries eversam / postremo de anno mdccxxxii / hominibus fere quinquaginta misere oppressis / funditus convulsam ac solo aequatam / joseph nicolai archiepiscopus compsanus / ne sponsae solatio destitueretur / magno sumptu, / maiori cura / firmius et elegantius / e fundamentis restituendam curavit / a.d. mdccxxxvi. Ossia: Quest’antichissima ed insigne basilica Metropoli degli Irpini / Dedicata alla Madre di Dio Assunta in cielo / Più volte sconvolta da tanti terremoti / E in ultimo nell’anno 1732 / Essendo miseramente morte una cinquantina di persone/ Rovesciata dalle fondamenta e rasa al suolo / L’Arcivescovo di Conza Giuseppe Nicolai / Per non venir meno al voto / Con grande spesa e ancor più grande cura / Più saldamente ed elegantemente / Curò che fosse ricostruita dalle fondamenta / Nell’anno del Signore 1736.
Un’altra scritta era sull’arco dell’altare di S.Erberto e si riferisce alla consacrazione del 16 maggio 1751, joseph nicolai archiepiscopus compsanus: consecrandum curavit die xvi mensis maii a.d. mdccli, restando in vita fino al definitivo abbandono, che si preannunciava nel 1921, quando l’Arcidiocesi fu unita alla Diocesi di S.Angelo dei Lombardi.

Era un beneficio del sacerdote Don Giovanni Capone che possiede territori a Serro di S.Erberto e Pietra della Gaveta amministrati per suo conto da Nicola Petrozzino. C’è da dire che non compare però l’arcivescovo, ma il Primicerio della Chiesa Metropolitana Don Giambattista dell’Aquila, un Sacerdote, Don Antonio Jasilli con casa a Muro, che funge da Arcidiacono della Chiesa Metropolitana, e un l’Arciprete Don Bonaventura Costantino di Pescopagano che abita a Il Muro e un Canonico, Don Dionisio Farese, in quanto “Procuratore Mensale fa la rivela” della Reverendissima Mensa Metropolitana per i territori posseduti dalla Mensa a Terra della Preta e per alcuni censi.
In numero di otto sono i suoi canonici mensali: il Canonico Don Antonio Conti di Castello Novo, il Canonico Don Cesare Gervasi di Calitri, il Canonico Don Dionisio Farese di Conza, il Canonico Don Erberto Natale di Sant’Andrea, il Canonico Don Francesco Rinaldi di Calitri, il Canonico Don Giulio Miele di Pescopagano possiede casa propria con casaleni diruti a Sopra La Strada di San Michele, il Canonico Don Lorenzo Ceres di Caposele possiede casa propria a La Ripa di Sopra, il Canonico Don Pietro Turri. A dire messa sono però i quattro preti: il Sacerdote Don Angelo Fiore, il Sacerdote Don Giovanni Turri che abita in casa propria avanti l’Arcivescovado, il Sacerdote Don Giriaco Silvestro, il Sacerdote Don Erbert’Antonio Ferraro possiede casa propria a La Strada che va a Santo Giovanni con altra casa e territori allo Serro dello Caruso e Cucomella.

8. La Congregazione dei Morti e il Pio Monte dell’Ospedale

Si distingueva dalle Cappelle per essere una Congregazione di fratelli fatta di laici che sottoscrivevano elemosine e lasciti al fine di sotterrare i morti, ma anche per organizzare festeggiamenti per i vivi in onore dei santi, quella denominata Congregazione Laica delli Morti. Retta da un prefetto, e quindi con un proprio statuto, secondo le disposizioni della casa madre nazionale (o anche in maniera autonoma), sebbene non si sappia dove si riunisse, questa congregazione era poverissima, specificandosi che viveva di elemosine, ma fatigando non poco. In genere le congregazioni nascono per seppellire i morti del popolino, al contrario dei benestanti che vengono seppelliti nelle cappelle private costruite dalle famiglie più agiate che vi riuniscono i defunti del parentato. C’era anche un monte laicale privato, il Pio Monte e Spedale, propriamente inteso come ricovero di pellegrini, che viveva di rendite provenienti da fertili territori che andavano dall’Isca del Molino alla Strada di Andretta e alla Taverna di Ciccio Gallo.

Povera nelle rendite era la Cappella di Santa Maria della Scala, così nominata non per essere stata costruita in un luogo rupestre, ma per la presenza di un’unica tela votiva dedicata alla Madonna della Scala. Il culto alla Madonna della Scala, spesso unito a S.Sofia e S.Caterina d’Alessandria, è anch’esso basiliano, cioè originato da un’abbazia di monaci di genere graecorum, ossia di origine greca, come la chiesa e il convento edificati a Palomonte (Sa), dove dal 1043 era venerata l’icona della Madonna della Scala, culto che fu rinnovato anche a Contursi (Sa), generalmente rappresentata dalla madonna col vestito rosso e il mantello blu seduta in trono col bambino e volgarizzata in Madonna di Costantinopoli. In ogni caso anche questa Cappella era un beneficio privato della famiglia Fiore, dopo che l’originario altare, sito nella vecchia Cattedrale, era già stato rimosso nel 1682 dall’Arcivescovo Gaetano Caracciolo Conzana. Poco si conosce della Cappella di Santa Maria della Caggia (Caccia?) se non che possedesse discreti territori da Ofanto ai Valloni, ma incassa numerosi censi e la decima del grano.

Di nessun peso rilevante erano le rendite della Cappella di Santa Margherita, beneficio della famiglia Farese, sebbene possedesse il lascito di una casa alla Porta di Conza e di un paio di casaleni.
Beneficio della famiglia Vecchio di Gaeta, la Cappella di Santo Cataldo e San Berardino, era amministrata dal Primicerio della Chiesa Metropolitana, Giovanbattista dell’Aquila, suo procuratore, possedendo alcuni territori fra Monte dell’Ospedale e alla Seta.

Description

Alcuni abitanti del Catasto più ricchi di Conza i Magnifici omnibus descritti nel catasto

Salta subito agli occhi che nella Conza di metà settecento quelli che comandavano erano una decina. Si chiamano Magnifici e sono i Magnifici omnibus, gli uomini più in vista coinvolti nelle cariche pubbliche. E’ addirittura Gentiluomo Magnifico Antonio Picciottolo figlio di Donato, di 35 anni, che abita in casa propria avanti il forno e possiede vigna sopra la Cappella del Carmine con territori al Piano di S.Vito. C’è da dire che più erano ricchi, come voleva la legge, e meno pagavano tasse, cioè proprio verso lo zero, a meno che non avessero anche un’industria. I Picciuottolo sembrano proprio ricchi di famiglia, anche nel caso del Magnifico Giuseppe Picciottolo che abita in casa propria all’Arcivescovado e possiede casa anch’egli al Forno. Sono imparentati con l’avvocato della città,il Professo in Legge Magnifico Giriaco dell’Aquila con casa propria alla Strada di Santo Michele con cantina da tener vino, casa avanti il Forno e casa vicino il Forno. Vive con la moglie Magnifica Antonia Picciottolo.
Quasi nulla anche per il notaio della città, Notar Magnifico Francesco Antonio Stentalis, proveniente dalla Terra dell’Oliveto (Citra). E’ chiaro se il capofamiglia possiede il ritolo di Magnifico, Magnifici sono tutti i membri della famiglia: la moglie Magnifica Angiola Picciottolo, il Magnifico figlio Lucio ora alla scuola di 6 anni, il figlio Magnifico Gaetano, anche se come la figlia piccola di 2 anni, sempre Magnifica è Ursula, e perfino l’infante Magnifico Francesco Paulo. A lui deve essere legato lo scribente Magnifico Nicola Benevento con casa propria a la Congregazione dei morti, come Magnifico è il fratello Matteo di 24 anni sposato con Dianora Picciottolo. Da ‘scrivente’ potrebbe essere anche la persona che ha redatto il Catasto. Proveniente da fuori, ma divenuto cittadino, è anche il Magnifico Giuseppe Benevento di Teora che abita in casa propria alla Strada di Santo Michele e possiede territori a Le Cortiglie, il Vallone di Merdarulo e li Favali. Vive con la Magnifica moglie Orsola Cianci e i Magnifici figli: Giovanna, Donato di 10 anni che va a scuola, lo scolaro Alessandro di 4 anni, il Magnifico figliastro sperduto Francesco di 22 anni. Nel caso dei Petrozzino assistiamo ad un escamotage, forse per pagare meno tasse, visto che è Magnifico il fratello Nicola, ma la famiglia è intestata al massaro di campo Guglielmo Petrozzino che abita in casa propria alla Strada che va alla Cattedrale e possiede oltre a territori, ben 100 pecore e altri animali. Vive poi da sola l’univa vedova della città, la Vedova Laura Petrozzino in casa propria a lo Muro. Come in ogni città e paese, anche a Conza, v’era un Regio Giudice ai contratti Magnifico, come nel caso di Giacomo Bellino, che curava i contratti con i braccianti, sebbene, in genere, non sono molto ricchi. Abita in casa propria a Santa Sofia e possiede territori a Serra della Scrofa, Terra bianca, le Coste dell’Abbate e riscuote varie esigenze, oltre a possedere numerosi animali. Anche un ricco muratore è Magnifico, si tratta di Gianbattista Fiore in casa propria a S.Angelo à Portella, possessore anche un paio di case e cantine alla via che saglie alla Città e una casa con forno. Vive civilmente il Magnifico Lorenzo Moscati, seguito dal letterato Magnifico Michele Vitolo ma in casa affitto a San Pangrazio con grotta. Infine, Vive del suo il Magnifico Venanzio Farese con casa propria a Porta della Città e territori a Piano della Battaglia, l’Isca dell’Arbusti, lo Pisciolo, la Chirica, la Cappella di San Felice.
Dopo i ricchi ‘fannulloni’ vengono quelli che lavorano di più. Si tratta dei massari di campo, titolari di masserie private. Sono in quattro, quelli che svolgono questo lavoro in maniera remunerativa, perchè quattro, evidentemente, sono le masserie dei Farese, Petrozzino, Rosa e Turri.
E’ proprio Turri a dichiarare di più. Il massaro di campo Stefano Turri che abita in casa Sopra l’Arcivescovato e possiede territori a la Taverna di Ciccio Gallo, Valle della Corneta, Sopra il Carmine, Vallone della Maddalena, S.Erberto, molti animali e altri tenimenti (138 once).
Un suo omonimo però si dichiara solo pastore, cioè Domenico Turri che abita alla Strada che va al Muro. Lo segue il massaro di campo Benegno Farese che abita in casa propria con tutti i suoi fratelli e possiede territori a l’Arbusti, sotto Ronza, Piano di Battaglia, la Seliciara, la Fontana di Basciano, la Lenza, e case a Ripa e vari animali. Ha un fratello pastore, Giacomo; un fratello lavoratore, Marco; un fratello prattico in Chirurgia; un fratello custode dei bovi, Giuseppe (93 once). Così veniamo a sapere che c’è anche un praticante medico chirurgo. Ma anche il massaro di campo Guglielmo Petrozzino non se la passa male con casa propria alla Strada che va alla Cattedrale e possiede territori a le Petrare, Piano d’Auriglia, Boscariello ed oltre che 100 pecore e altri animali. E’ quello che vive con il fratello Magnifico Nicola, civile (96 once). Idem per il massaro di campo Giovanni Rosa che abita in casa propria alla Strada della Ripa e riscuote numerose esigenze (120 once).
Dichiarano meno della metà dei precedenti, alcuni massari di campo che però non appaiono benestanti, quali il massaro di campo Francesco Zanga alla Strada della Ripa e possiede case alla Strada della Giudea, S.Angelo a Portella, Ripa Soprana, il massaro di campo Giovanni Pietro di Arace con casa a San Michele, il massaro di campo Marco Coluccio, il massaro di campo Nicola d’Angeliis, il massaro di campo Pietro di Mattia, il massaro di campo Nicola Farese, come c’ anche il massaro Nicola Conti che, per risparmiare sulle tasse, abita in casa del fratello Canonico. Dopo la casta dei massari, segue quella a loro molto vicina, dei campesi, diremmo dei massari senza masseria, forse in affitto, o solo dei pastori possessori di bestiame. Si tratta del campese Francesco di Roberto con casa comune propria a Lo Muro e possiede territori a lo Muro, lo Torrone, Cretaccio e Canalecchia (70 once). E del campese Leonardo Cantarella che abita in casa propria a la Ripa Sottana e possiede casella per i bovi, cantina per il vino e vari territori e animali. Il possesso dei bovi è un fatto di ricchezza perchè venivano utilizzati in affitto per la lavorazione dei campi con pagamento a giornate lavorative. Questo tipo ha anche un figlio giudice ai contratti dei braccianti, che si chiama Natale (88 once), che si distingue dal giurato Domenico Galella, forse inteso come guardia giurata, cioè guardia muncipale. Oltre ai campesi più agiati vi sono ovviamente degli altri campesi, come Giandonato Petrozzino, Francesco di Roberto, Francesco Fuina, Antonio Barbieri, Andrea Nicolosa, o Angelo di Giuseppe, ma la sua minore qualità della vita la si vede dal fatto che abita in casa sottana a Santo Nicola, il campese Donato Petrozzino di S.Angiolo a Portella, il campese Francesco Fiore e il campese Francesco Chiancone e il custode di pecore Bartolomeo Gaudioso, il custode di pecore Giriaco Menutolo, e custode di pecore benestante è Gaetano Ulino, visto che abita in casa affitto alla Piazza seu Fornace Vecchia, come sembra distinguersi il bracciale Nicola Vacca con propria alla Giudea e alla Piazza, come c’è anche il custode dei bovi Tommaso Mannaro.
Dopo di loro segue il secondo muratore che non è Magnifico, ma è benestante lo stesso. Si tratta del muratore mastro Giovanni Carluccio che abita in casa propria con casa a l’Arcivescovado e a S.Angelo à Portella, e possiede un comprensorio alla Strada che va al Muro, un casaleno avanti la Chiesa Arcivescovile e territori a S.Leone, Sotto il Carmine, Sotto il Cimitero, Valle di S.Lorenzo, il Piano del Tesoro, Piano di S.Maria, lo Vecchiotto e altri, oltre a numerosi animali. Dichiara 71 once.

Dettagli

EAN

9788872970829

ISBN

8872970822

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

 Herbert Middlesex, arcivescovo inglese a Conza (1178-1184)

 

Nel suo Il Regno del Sole, John Julius Norwich, dice che durante il Regno di Guglielmo II vi fu un inglese, Umberto di Middlesex ad essere investito del titolo di arcivescovo di Conza. In realtà l’inglese è Herbert del Middlesex, come ricorda il Roccaro, nel rammentare anche Romualdo II Guarna ad arcivescovo di Salerno.
In ogni caso, cambiato il Re, dal Malo al Buono, sposo della figlia di Enrico II d’Inghilterra, nel 1178, un Erberto andò alla sua corte di Palermo.
Secondo alcuni Erberto andò a Palermo per ottenere l’assenso regio all’edificazione dell’Episcopio di S.Maria di Conza, altri, dando tutto per già avvenuto, si riferiscono alla costruzione della chiesa di S.Maria Maggiore in Auletta; oppure solo perchè facente parte del Consiglio regio, la corte di cui si circondava il Re. Questo perchè il suo predecessore, Guglielmo Il Malo, nel 1156, si era accordato col papa a Benevento sul modo di nominare i vescovi feudatari: i chierici di ogni singola Cattedrale eleggevano il nome segreto e, anzichè il popolo, sarebbe stato il Re a ratificarlo con il regio assenso dopo essersi assicurato che non fosse un traditore; ne seguiva la consacrazione del papa (o la sua indicazione in caso di più nomi) che, nel caso si fosse trattato di metropolìa, avrebbe fornito anche il pallio.
In ogni caso chi andò a Palermo fu un’alta personalità ecclesiastica, ma il semplice vescovo, non il capo di una metropolìa, ma uno dei vari appartenenti alla Provincia Conzana, sebbene affermò il diritto al mantenimento dell’ordinamento ecclesiastico, come si evince dal vasto epistolario, e partecipò al Concilio Lateranense III del marzo 1179 indetto da Alessandro III, dopo l’accordo di Venezia fra papa e Imperatore (1177) sul nuovo ruolo della Chiesa, che aprì le porte al successore Innocenzo III.
E’ come se avessimo un consiglio di vescovi che si dicono in Provincia Compsana per definire sempre l’arcidiocesi appartenuta all’arcivescovo di Salerno in quanto, di quel consiglio, fanno parte solo vescovi.
Infatti, a dire del Mansi, del Sacrorum Conciliorum della Provinciae Compsanae, facevano parte e vi parteciparono i vescovi di Conza, S.Angelo dei Lombardi, Bisaccia, Lacedonia, Monteverde e Satriano. Quindi nessun arcivescovo, ma solo vescovi uguali fra loro: Herbertus compsanus episcopus, Johannes sancti Angeli de Lombardis episcopus, Richardus Bisaciensis episcopus, Angelus Laquedonensis episcopus, Nicolaus Montis Viridi episcopus, Petrus Satrianensis episcopus.
Sebbene egli parli di una provincia ecclesiastica, resta il fatto che la metropolìa ancora non fosse stata attuata, visto che lo stesso Erberto viene definito vescovo, restando Conza sempre soggetta all’arcivescovo di Salerno. Ciò non toglie nulla alla sua idea di dare autonomia agli ecclesiastici distaccandoli dalla politica, come quando intese richiamare i sacerdoti che accondiscendevano troppo a Ruggiero di Laviano, forse più in nome dell’indipendenza temporale che di quella religiosa.
Di sicuro questo Erberto fu un primo vescovo “eletto”, come trascritto in un documento, nonostante che la sua nazionalità potrebbe essere sempre diversa, secondo quanto si leggeva dalle tavole episcopali della Cattedrale di Conza citate nel Martirologio dei Santi del 1500, dove l’estensore lo faceva nascere a Licopens in Suetia di Hispana natione.
Le sue reliquie furono rinvenute nella stessa Cattedrale della città, dove sarebbe morto nel 1184 a causa di un violento terremoto, sebbene, secondo l’Anonimo Cassinese della Cronaca, nel 1184, a perire fu un vescovo chiamato Rufo.

Alla morte di Guglielmo Il Buono, nel 1189, furono in tre a pretendere il trono del Regno di Sicilia: il figliastro Tancredi o fratellastro Principe Tancredi Conte di Lecce; Riccardo Cuor di Leone fratello della Regina vedova Giovanna Plantageneta; Enrico di Svevia pro Costanza figlia del fu Re Ruggero II.
Papa Clemente pagò il silenzio degli Inglesi, concesse privilegi a destra e a manca e incoronò Re Tancredi nel gennaio del 1189, facendogli sposare Sibilla di Medania, sorella di Riccardo d’Aquino (1171-1197) Conte d’Acerra e Signore di Nusco, Montella e Cassano.
Gli uomini di quest’ultimo Casale Cassani erano stati già confermati nel 1184 in donazione a S.Giovanni in Gualdo, mentre il feudo di Serra del Casale era assoggettato al Castellione.
Il Conte Ruggiero de Medania non lasciò figli e gli successe un probabile fratello Guglielmo de Medania, ai tempi di Re Guglielmo Il Buono seduto a Palermo. Figlio di Guglielmo di Medania dovette essere Riccardo de Medania di Aquino che, nell’agosto 1184, con atto pubblico, confermava i beni della Chiesa badiale nella città di Nusco, nel Castello di Montella e nel Casale di Cassano. Del Castellionem di Cassano non si parlò più nel 1184, quando gli uomini delle terre di Cassano della Chiesa di San Giovanni de Gualdo (Serino?) furono donati a Cava.
Cioè nell’anno in cui i Medania assoggettarono il feudo del Casale di Cassano a Castelli Montelle per una cinquantina di anni, fino cioè all’arrivo degli Svevi che, a loro volta, lo sottometteranno, Montelle compresa, al Castello Imperiale di Giffoni.
Riccardo Medania di Aquino era fratello della prossima Regina Sibilla di Medania.
Sorella di Riccardo Medania di Acerra era infatti la Regina Sibilla Medania di Acerra (1153-1205) che sposò Re Tancredi (1189-1194), nel nome del quale respinse, nel 1190, l’esercito svevo giunto fino ad Ariano.
L’anno dopo sfidò addirittura l’Imperatore Enrico VI di Svevia fino alla morte di Tancredi (1194).
Deciso a mantenere il potere prese a sottomettere i baroni ribelli che non volevano riconoscere Tancredi, Riccardo d’Acerra fu spietato, specie con Ruggero D’Andria, pronipote di Drogone, preso a tradimento ad Ascoli, dove lo uccise...