10. Don Giovanni da Procida nel 1282: L’anima nera dei Vespri Siciliani

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il mito della scuola medica salernitana

1.

i cossa di salerno, signori di procida

— Giovanni Cossa di Procida, nato a Salerno
— Clemenza e Pandolfina, le due mogli
— Le simpatie per la corte del Re d’Aragona
— Carlo I su Napoli già dal 1266
— Fedeltà e tradimento a Carlo I su Palermo
— Fuga in Aragona e ascesa di Costanza

2.

i tre comandanti del re d’aragona

— La piccola donna che nacque Regina: Costanza
— Il primo consigliere della Regina d’Aragona
— Da mastro di Salerno a prorex di Sicilia
— Con Laùria e Corrado: i comandanti
— Le alchimie siciliane di Don Giovanni

3.

l’uomo che rivoltò la sicilia

— La leggenda del sobillatore che fece da solo
— Il «rubellamento della Sicilia»
— La Sicilia grida all’indipendenza: il Vespro
— Pietro riconosciuto liberatore della Sicilia
— A Bizanzio per chiedere aiuti pro Regina
— Il Re affila l’armata per la vendetta
— Via i Francesi da Palermo e Messina: la rivolta

5.

il ritorno sul trono di manfredi

— Palermo giura per Costanza: la fedeltà
— La Regina va a prendersi il reame: il ritorno
— Napoli solleva i baroni delusi: la ritorsione
— Ischia diventa l’isola di Beatrice di Svevia
— Re Carlo II d’Angiò, lo Zoppo, erede del reame

6.

l’artefice dei vespri del 1282

— L’anima nera che fece sobillare la Sicilia
— La vendetta del messere tradito dal Re
— La morte del Re: la vedovanza fra due eredi
— I Siciliani coronano Federico III: l’ultima festa
— Procida e Costanza dal Papa: la morte a Roma
— Il mito del medico, i documenti postumi sul Porto

note bibliografiche
bibliografia aggiuntiva

Description

IL PARTIGIANO SVEVO: da angelo a traditore angioino – aragonese del Regno di Sicilia


Giovanni di Procida (Salerno, 1210 – Roma, 1298) nacque a Salerno, erede della famiglia nobiliare dei da Procida, signori dell’isola omonima dal XII al XIV secolo. Egli fu terzo col nome di Giovanni III «da Procida», perché figlio primogenito di Giovanni II Cossa da Procida e Clemenza Logoteta.
Il presunto cognome Cossa, assegnato da alcuni storici a Giovanni, lo si ricava da un manoscritto del XVI secolo che fu posseduto dal bibliofilo Camillo Minieri-Riccio, il quale, ebbe fra le mani una Cronachetta, che inizia dalla vittoria riportata da Carlo I d’Angiò sopra Corradino e termina alla morte di Re Roberto.
Così la Cronachetta: — Al tempo di detto Rè Carlo primo la Isola de Sicilia se gli ribellò el chiamorno per Signore Rè Petri de Aragonia.
Madonna Costanza che era figliuola di Re Manfredo per difetto el colpa de Maestro Janni Salvacossa di Procida.
Da qui è parso poi a tutti che i da Procida fossero un ramo dei Cossa originato da Salvo Cossa, antica e potente famiglia di Ischia, arrivata a gran potere ai tempi degli Angioini.1
Secondo altri, Don Giovanni, sarebbe cresciuto a Palazzo Fruscione di Salerno, città del Principato dove divenne medico della Scuola Salernitana, diplomatico e uomo politico legato alla dinastia sveva degli Hohenstaufen, restando un familiares di Manfredi.
Qui scrisse anche «un famoso compendio di medicina la utilissima practica brevis, di cui parlano in termini encomiastici altri medici suoi contemporanei in alcuni loro scritti, ma che fino ad ora si ritiene perduto, a meno che, come dice il De Renzi, non sia stato attribuito ad altro autore. Nella pratica sono nominati anche alcuni tra i suoi più noti rimedi, alcuni dei quali adottati per lo stesso imperatore. Da quando entrò a corte (intorno al 1240), non si staccò quasi mai dalla famiglia imperiale, e seguì il sovrano nelle campagne militari nel nord Italia. Era presso Federico anche a Castelfiorentino assistendolo come medico e uomo di fiducia e ciò è testimoniato dalla firma che, assieme ad altri notabili, appose sul testamento del sovrano due giorni prima che Federico morisse», sebbene «altri medici dello studio di Salerno che risultano essere stati presso la corte, contesterebbe la tesi di David Abulafia che sostiene che Federico II non avesse in gran conto i medici della Scuola Salernitana e che si circondasse di medici di altra provenienza». Fu comunque tra i consiglieri dello Svevo, da cui si vide affidare l’educazione del giovane Manfredi, il quale, dopo l’esperienza a corte, dove era noto per la «fama di medico riputato», lo volle spesso al suo fianco.2
Alcuni autori affermavano che Clemenza, figlia di Andrea Logoteta, fosse in realtà la prima moglie di Giovanni. Ma per De Renzi sostenne la tesi che fosse la madre poiché, «in base alle date riportate da un documento, Clemenza doveva aver sposato il padre del Nostro, pure di nome Giovanni. Attualmente, però, si è tornati alla prima tesi». Scrive Astrid Filangieri che «era imparentato con Andrea Logoteta Gran Protonotaro e con i Manganario, altra nobile famiglia. Appartenendo a famiglie in vista e potenti è scontato che abbia respirato fin da giovane la politica e le lotte che, contrapponendo le fazioni guelfe a quelle ghibelline, agitavano quel periodo storico. Favorito dalla disponibilità dei mezzi, Giovanni studiò medicina e quindi tutte le arti liberali (logica, filosofia, matematica, grammatica), che all’epoca concorrevano alla formazione di un medico. La sua fama doveva essere notevole e la sua fede verso l’Imperatore comprovata se Federico II lo volle come suo medico di corte. Il medico salernitano dovette dimostrarsi ben degno di tale stima e fiducia se gli furono in seguito donati altri feudi quali quello di Tramonti e di Caiano (Caggiano). Altro importante titolo di cui il medico onorava vantarsi fu la baronia di Postiglione, che era appartenuta ai parenti di sua moglie Pandolfina o Landolfina della nobile famiglia longobarda dei Fasanella, tristemente noti per aver partecipato alla congiura di Capaccio».3
Dopo la morte dell’Imperatore passò dall’essere «medico a uomo politico, strenuo difensore della causa ghibellina e, dopo la morte di Corrado, fautore di Manfredi come re del regno di Sicilia. Fu proprio il suo attaccamento a Manfredi, di cui forse era stato anche precettore, che fece ricadere sul salernitano l’accusa di aver avvelenato, d’accordo con Manfredi, sia Federico II e poi Corrado IV per sgombrare al suo protetto la strada per il trono. Ma erano accuse di parte guelfa e neppure ben congegnate: nel caso di Corrado non fu Giovanni il medico che lo assistette (ma anch’egli salernitano), e non sarebbe stata mortale la soluzione eventualmente somministratagli. Manfredi gli affidò alte cariche se molti documenti di competenza del Gran Cancelliere o del Protonotaro portavano la firma del da Procida. In quel periodo assai si produsse come consigliere e ambasciatore per creare un clima favorevole allo Svevo, ma, oltre che fine diplomatico, non mancò di perseguire iniziative atte a favorire l’economia del regno: un esempio è l’istituzione (o l’istituzionalizzazione), della fiera di Salerno e l’ampliamento del porto che si premurò di presentare e sostenere all’attenzione del re. La fiera di San Matteo era la più grande fiera dell’Italia meridionale ed era opportuno riaprire ed allargare gli scambi commerciali che nel precedente periodo si erano arenati in una stasi ed un irrigidimento degli schemi, mentre nel Mediterraneo si profilavano altre potenze mercantili e si affermavano nuove piazze per lo scambio di merci. Se le fiere erano canale vitale dell’economia, quella di Salerno è stata definita autentico strumento di politica economica. E proprio per favorire ed ampliare il mercato meridionale l’anno successivo (’60), si approvò anche l’ampliamento del porto salernitano. …

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Editorial Review

L’uomo più potente del Duecento Napoletano Pugliese e Siciliano

 

 

...A riportare a galla un nome di così tale importanza come quello di Giovanni da Procida fu lo storico Salvatore de Renzi, al quale, a suo stesso dire, dobbiamo la «premura nel ricercare ogni più piccola memoria relativa a Giovanni mi faccia meritare la indulgenza dei dotti, in grazia della importanza storica di questo medico illustre».
Così lo storico: — Io ho riportato un gran numero di nuovi documenti da me scoverti, ai quali vanno congiunti altri ottenuti posteriormente. Essi sono oltremodo utili a rettificare un gran numero di fatti storici, e veggo con piacere che ne ha non ha guari fatto uso il signor E. Rubieri di Firenze in una giustificazione di Giovanni da lui scritta.
Per quel che riguarda questi ultimi documenti, confrontandoli, si riscontra che Giovanni era ancora vivente il 20 Dicembre 1290. Lo stesso Giovanni, «il quale nel precedente Diploma era portato vivo nel di 20 dicembre 1298, era già morto nel di 23 gennajo 1299, laonde la sua morte dove’ avvenire o negli ultimi giorni di dicembre 1298 o nei primi giorni di gennajo del 1299».
Ulteriori notizie e documenti furono rinvenuti sulla «espropriazione dei beni di Giovanni e sulla loro restituzione al figlio, specie in merito a certi diritti doganali e su un fondaco. Resta inteso che non risponde al vero il fatto che «la restituzione dei beni di Giovanni fu fatta in premio di un tradimento. Noi abbiam riportati i documenti che smentiscono questa ingiuriosa imputazione. Ne mancavano due altri che si sapeva esser conservati nella Biblioteca secreta Vaticana, e però non solo inediti, ma sconosciuti».
Non resta che capire se anche il cognome presunto di Giovanni, come riportato in un manoscritto della Cronachetta del XVI secolo, acquistato da Camilo Minjeri-Riccio, fu quello ereditato dal maestro Janni Salvacossa di Procida. Dice De Rienzo che «parrebbe da ciò che la famiglia de Procida sia un ramo dei Cossa o Salvacossa, antica e potente in Ischia, ed arrivata a gran potere nei tempi degli Angioini. Ma noi non possiamo affermarlo sulle labili basi di questa Cronachetta, molto più che facilmente si può spiegare l'errore: imperocchè sappiamo per documenti, anche da me riportati, che Marino Cossa o Salvacossa d'Ischia comprò Procida da Atinulfo di Procida nel dì 21 Marzo del 1340. Ora uno scrittore poco avveduto scrivendo quella cronaca anche sotto il Regno di Giovanna I, vedendo l'isola di Procida in potere della famiglia Salvacossa, poteva ben credere che Giovanni fusse appartenuto a quella famiglia». Nel «pregevole manoscritto, sebbene del secolo XVII», circolato col titolo di Nutamentu ex fasciculis Regiae, vi si trovano molte notizie.
Altri 14 documenti riguardano la inquisitio facta in Procida, come da «indictionis super bonis Domini Johannis de Procida proditoris, qui dominium dictae Terrae habebat, ubi jura distincta dictae Terrae, et etiam alia bona quae dictus Johannes tenebat in Aversa, Villa Casalucis et Tullani», nonché in Terra Amalfi e «in Monte Corbino, que simul cum aliis bonis suis sitis in Salerno», quest’ultima revocata dall’arcivescovo salernitano.
La riporta il Camera, facendo riferimento a un istrumento notarile dell’agosto 1303, «regnante dom. nostro Karolo secundo, nel quale parlandosi de beni di un tal Filippo Caniati siti in Montecorvino, nel lungo detto Laurito, si assegoano per confini ab occidente fines rerum quoniam domini Johannis de Proceda, a meridie finis rerum predie i quondam domini Johannis el aliorum».
Singolare è il diploma rilasciato da Re Manfredi a Don Giovanni per la costruzione del Porto a cura della amministrazione comunale di Salerno nel 1259, quando non lui ma Gualtiero de Ocra era cancelliere del Regno di Gerusalemme e Sicilia nel Castello imperiale di Lucera.
Così De Renzi: — Manfredus Dei gratia Rex Sicilie. Notuin est quam Reges et Principes debitum honoris applicant, litulum laudis accumulant, et exemplum sue magnificant dignitatis, dum Civitates incolunt, et urbes insigniunt honoribus congruis, el privilegiis postulantes: er iis quidem Civium adaugetur devotio, fitque fidelium grata subiectio, et subditorum ad obsequia promptior efficitur gratitudo, propterea notum fieri volumus per presens privilegium ulversis presentibus et futaris quod cum per Johannem de Procida dilectum socium familiarem ac fidelem nostrum pro parte sua, et universitatis Salerni nostrorom fidelium...109
Insomma questo maestro di corte, quale fu Giovani da Procida, appare più il segretario del Palazzo di Capua, la terza carica, che un medico, capitale dove si trovava pochi giorni prima della morte del sovrano nel 1266.
Seguirono negli anni altri autori che dissertarono sulle citazioni dei cronisti riferite alle pillole dei famosi quattro medici salernitani che si rifanno al medico Riccardo, i quali avrebbero seguito un protocollo, parlando ora di una cosa, ora delle malattie del fegato, citando la dottrina di Giovanni Plateario, studiata dagli specialisti, essendo «fuori ogni dubbio che le undici opere manoscritte che trovansi pelle biblioteche attribuite ad un medico Riccardo sono tutte scritte secondo le conosciute dottrine salernitane, e gli autori che vi si trovano citati son tutti salernitani, eccetto gli antichi, e raramente qualche arabo».
Da qui l’interesse sulla presunta professione di medico di Don Giovanni, i quali «se non lo dimostrano Salernitano, almeno fan credere che abbia appreso medicina da maestri salernitani». Per cui sarebbe girata «la formola delle pillole del maestro Bartolomeo, la quale somiglia molto a quella delle pillole artetiche dei quattro maestri. Il che mostra che salvo alcune leggiere modifiche queste pillole si trovano in tutti gli scrittori antichi salernitani, e che esse erano proprie della Scuola, e di un uso comune nella pratica di quei tempi».