FABER. DIETRO I TESTI DI FABRIZIO DE ANDRE’

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Copertina posteriore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

….La prima versione del brano risale al 1963, ispirata ad un canto di George Brassens dal titolo “Le moribond” (Il moribondo) e con musiche di Elvio Monti. Fu in seguito riproposto, nel 1966, all’interno dell’album “Volume III”. In formato 45 giri, invece, venne abbinato al brano “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”. Attraverso questa canzone De André rovescia le situazioni tipiche e ce le fa vedere da una prospettiva inusuale. In effetti, tra le righe di questa canzone, Faber, attraverso la figura del moribondo, si prende “la briga e di certo il gusto”1 di mettere a nudo l’ipocrisia di vari personaggi sociali. Partendo dall’ironia ed approdando al sarcasmo più sottile, lascia ai vari personaggi che circondano il letto del morente una particolare eredità: la bomba2.

Il primo tipo sociale ad essere colpito è il protettore. A lui che vive da parassita, “sopra la rendita di una puttana”3, il moribondo lascia in eredità “un impiego da ragioniere”4. Con il suo tagliente sarcasmo, il moribondo colpisce il protettore e non le battone. Perché? La risposta è tutta nella morale deandreiana. Come si evincerà dall’analisi di testi come “Via del campo” e “Bocca di rosa”, Faber non condanna mai un modello sociale per mancanza di decoro, ma esclusivamente per disonestà o disumanità. Disonesto e condannabile è il tipo sociale del protettore che approfitta della prostituta, non la prostituta stessa.
Diversa è invece l’eredità che il moribondo vuol lasciare a Bianca Maria (donna menefreghista, spudorata ed indecente). A lei il moribondo riserva “un attestato di benemerenza”5. In questo caso il tipo sociale non viene colpito direttamente ma usato per criticare l’ipocrisia della maschera di cui molti si coprono per apparire buoni, puri e onesti. L’attestato di benemerenza avrebbe certamente spianato la strada a Bianca Maria in un’ottica matrimoniale, ma avrebbe causato due grossi danni: nascosto la vera essenza della donna e reso “felice” ma “cornuto” chi ci sarebbe “caduto”6.
Successivamente, all’apice dell’incontinenza, il moribondo si rivolge alla morte. A lei chiede di lasciargli “il tempo di terminare il […] testamento”7. Un verso in cui si concentra il bisogno dell’uomo di vuotare il sacco, di liberarsi dal peso dei giudizi e delle critiche fino ad allora trattenute. Il soggetto è in quella fase della vita in cui si sente lontano dalle costrizioni sociali e riesce ad esprimere ciò che pensa, in una parola: libero. Non è un caso che la libertà coincida con quell’attimo che precede la morte8.
Dopo il dialogo con la morte, l’irriverente moribondo si rivolge al tipo sociale del lavoratore, più precisamente al becchino. Meritevole di riflessione è il sarcasmo o l’elogio (a seconda dell’interpretazione) racchiuso nelle parole “mi onoro nel consegnarle la vanga d’oro”9 in cui probabilmente vi è la critica all’ipocrisia e alla futilità di un premio (la vanga d’oro) per l’affezione ad un lavoro compiuto malvolentieri. D’altro canto, cambiando totalmente interpretazione, si potrebbe leggere in questi versi l’elogio sincero del moribondo al becchino. Il premio della vanga, sarebbe in questo caso, un premio ad un lavoratore che compie una mansione molto spesso considerata poco nobile. Al letto del moribondo c’è anche una “vecchia contessa”10, un tipo sociale reazionario e superstizioso, come si evince prima dal titolo di contessa e poi dalla passione per i “numeri al lotto”11. Qui il moribondo sceglie di smontare l’aurea di purezza e nobiltà che circonda il personaggio mettendo in crisi, simbolicamente, l’intera casta dei nobili. Come detto precedentemente, in questa triste e sarcastica canzone, De André riserva anche spazio all’amore. Il pensiero vola allora alla donna amata e che a sua volta lo ha amato. A lei il moribondo canta i versi più dolci e sinceri12. Tuttavia, l’uomo rivive anche i momenti della sua vita sentimentale più bui. Così alla figura della donna amata oppone, a distanza d’un verso, la “cortigiana che non si dà a tutti”13. Quest’ ultima, col suo atteggiamento schivo, altezzoso ed austero, si è autocondannata ad una vita obbligata all’angolo di una chiesa, ridotta a vendere figure di Santi e di Gesù Cristo. Alla donna il moribondo non lascia in eredità nient’altro che il proprio sfogo. Avviandosi alla conclusione, il moribondo incupisce il suo speciale testamento riservandosi tristi riflessioni esistenziali. Ciò che rende particolarmente triste il protagonista è la consapevolezza che nessuno si soffermerà sulla sua vita condotta, incessantemente, alla ricerca di una verità che però non ha mai trovato. Tuttavia, l’uomo “fuggendo la pietà”14 morirà – sebbene senza alcuna verità da offrire – privo di sassolini nella scarpa, con la soddisfazione di essere stato libero almeno per un momento. Nella strofa finale c’è spazio anche per l’eredità da lasciare a tutti gli altri “fratelli dell’altra sponda”15 (il riferimento è ai vivi, a coloro che sono sul sicuro argine della vita). Sebbene in maniera cruda, consegna ai vivi una indiscutibile ed oggettiva verità: la solitudine. Il moribondo si addentra in una profonda riflessione ed inizia a ricordare tutti coloro che lo hanno accompagnato nel viaggio della vita. In particolare ricorda coloro con i quali ha condiviso le battaglie, gli amori, le idee e le passioni. Tuttavia, il ricordo non distoglie il moribondo dalla riflessione sulla solitudine ed improvvisamente compare, sfumando tragicamente il finale, un amaro avvertimento: “questo ricordo non vi consoli, quando si muore si muore soli”…

Description

1. L’UOMO
1.1 Il testamento
1.2 Il pescatore
1.3 Anime salve

2. LA PROTESTA
2.1 Don Raffaè
2.2 La canzone del maggio
2.3 Il bombarolo
2.4 Al ballo mascherato
2.5 Il testamento di Tito
2.6 La guerra di Piero

3. L’AMORE
3.1 Andrea
3.2 Bocca di rosa
3.3 La ballata dell’amore cieco
3.4 Franziska
3.5 Dolcenera

4. GLI ULTIMI

4.1 Fiume Sand Creek
4.2 Quello che non ho
4.3 Via del campo

Ringraziamenti
Sitografia e Bibliografia
Note

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

“Era solo una rubrica”. Tante volte, davanti alle nostre scartoffie e ai nostri caffè, ci siamo ripetuti questa frase pensando a come era nato questo progetto, da dove era partito e dove sarebbe potuto arrivare.
Circa un anno fa, uniti dalla comune passione per le canzoni di De André, abbiamo iniziato a curare una rubrica online sui testi del cantautore genovese spinti solo dalla volontà di interrogare, da un nuovo punto di vista, alcuni fatti storici, alcune leggende e alcuni temi di ieri e di oggi.
Certo, passare da un blog ad un libro in carta ed inchiostro è stato un lavoro davvero impegnativo per ovvi motivi di stile, organizzazione e ricerca.
Tuttavia, la volontà di imprimere indelebilmente la nostra idea su carta, ha soppiantato la paura di sbagliare, la preoccupazione di fallire, la vergogna di esporsi.
Oggi siamo convinti che lavorare giorno e notte alla ricerca delle fonti, alla rifinitura dei contenuti, alla pulizia del prodotto, sia stata davvero la scelta migliore oltre che una meravigliosa avventura.
Esplorare la realtà, la società, la storia, la letteratura e la filosofia, utilizzando come filo rosso le canzoni, è stata un’esperienza che ci ha ripagato di tutti i sacrifici fatti.
Nel lavoro preliminare alla stesura del volume, ci è sembrato davvero di viaggiare insieme a tutti quei personaggi, quelle melodie, quelle frasi, quelle emozioni che Faber ha saputo regalare alla storia della musica italiana. L’avventura di una rubrica online del sabato mattina è durata circa sei mesi; ad un certo punto ci siamo accorti che un blog non era il posto giusto per un lavoro del genere. Da qui, inizialmente, l’idea di chiudere i battenti, perché non tutto dura per sempre, perché era giusto così. Poi, qualcuno, per evitare che tutto il lavoro si smarrisse nella marea di scritti digitali, ci ha suggerito di revisionare i lavori già scritti, arricchirli e adattarli ad un volume. Ecco come è nato questo libro: dal bocciolo di un blog irrigato con dedizione, un fiore sbocciato tra paure e difficoltà.
Nell’adattamento ad una versione cartacea, per evitare di scadere nella superficialità, nell’incompletezza e nell’imperfezione, ci è sembrato inevitabile fare un lavoro più che certosino di rifinitura, pulizia e ricerca. Durante questo processo abbiamo deciso di raggruppare i brani analizzati in categorie. In effetti, è molto difficile far rientrare i testi di De André in una determinata categoria poiché spesso le canzoni di Faber riescono a coinvolgere una pluralità di tematiche nel giro di qualche verso. Tuttavia, la nostra divisione è nata dal bisogno di ordinare un corpus abbastanza vario di testi e così, secondo le nostre impressioni, abbiamo collocato ogni singolo brano all’interno della propria categoria, a seconda del tema predominante. Come si vedrà, la prima sezione è intitolata L’uomo. In questa categoria abbiamo pensato di dar conto al lato profondamente umano di Faber, quel lato sensibile che si sarebbe ben presto unito alla figura dell’artista, del poeta e del cantautore. Abbiamo raccolto, in questa sezione, i brani che ci sono sembrati più adatti a rappresentare l’umanità intesa come “sentire ed essere umano”.
La seconda parte, La protesta, racchiude quei brani che, a nostro avviso, rappresentano una reazione (violenta come quella del Bombarolo o psicologica come quella del soldato Piero) ai luoghi comuni, ai miti e alle ingiustizie: ora la politica, ora la religione. Si trovano, perciò, in questa seconda parte quelle canzoni in cui Faber invita ad assumere un punto di vista diverso da quello predominante.
Dopo la protesta, abbiamo inserito una sezione dedicata al tema amoroso, perché anche di questo De André ha saputo parlare e cantare bene. Le canzoni inserite nella categoria L’amore ci raccontano storie immaginate, relazioni pericolose, gelosie, passione e dolore spesso uniti a fatti e vicende storiche.
Infine, spazio alle canzoni dedicate agli emarginati, coloro che comunemente vengono definiti Gli Ultimi. Nei loro confronti il cantautore è stato sempre solidale e comprensivo. De André ha cercato di indossare gli occhiali dei meno fortunati provando a guardare il mondo dal loro medesimo punto di vista. Era più che doveroso, dunque, dedicare una sezione a tutti quelli che non hanno avuto forza, modo o spazio di cantare la propria sfortuna da soli.
In conclusione una precisazione è doverosa: il volume non pretende di essere un’antologia, ma il tentativo di raccontarvi come noi abbiamo interiorizzato la morale deandreiana. Per dirla come Faber, noi non abbiamo “[…] nessuna verità in cui credere, […] nessuna certezza in tasca” e “va già molto bene” se riusciremo a “regalarvi qualche emozione”.
Considerate, perciò, questo volume non un punto di arrivo ma un punto di partenza, non un vangelo ma un diario, non una antologia ma un tentativo di restituirvi le emozioni nascoste in canzoni di cui conosciamo, ancora oggi, i ritornelli a memoria.
Buona lettura

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Martino

Editore

ABE Napoli

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Editorial Review

 

 

 

 

 

 

 

 

.......Siamo nel settembre 1996, esce l’album “Anime Salve” (scritto a quattro mani con Ivano Fossati) e “Dolcenera” è la quarta traccia. Partendo dal solo titolo si possono ipotizzare le prime interpretazioni. Il termine “dolce” ci rimanda ad una storia d’amore, ma subito dopo l’aggettivo “nera” ci induce a pensare ad un amore privo di lieto fine, ad una storia infausta. Tuttavia, Dolcenera costituisce anche un’assonanza con un nome reale: Polcevera, uno dei torrenti che si trova nelle valli attorno a Genova e che il 9 ottobre 1970 straripò insieme ai torrenti Leira, Fereggiano e Bisagno, causando un totale di 44 morti in quella che è ricordata come l’alluvione peggiore nella storia di Genova141. Un titolo simbolico che intreccia due storie, una d’amore ed una di cronaca; una matrioska tematica in cui una storia si svolge dentro l’altra e, come vedremo, l’una rimanda all’altra.
Partendo dal livello interpretativo più superficiale, si deve tener presente l’evento alluvionale cui fa riferimento la canzone. Tuttavia, a questo primo livello interpretativo si vanno ad aggiungere almeno altre due tematiche: l’intreccio amore-morte142 e il parallelo morte-tirannia.143 La vera grandezza di questa canzone, più che nella metaforica ricchezza tematica, risiede nella poetica capacità di unire tutti i filoni semantici. Infatti sia la passione, sia la morte, sia il tiranno, non sono presentati come tre protagonisti distinti ma uniti in una sola persona, in un solo protagonista, in un solo sentimento.
Il brano si apre con un refrain iniziale evocativo, un vero e proprio coro drammatico.144 Lo scopo di questo controcanto è quello di catapultare sin da subito l’ascoltatore in un clima assolutamente tragico. Il coro di voci genovesi avvisa in maniera cruda e precisa: l’acqua è dannata, nera come la disgrazia e come la morte.
Successivamente le redini della narrazione passano a De André che, tra i versi della prima strofa, presenta la figura di una donna: la moglie di Anselmo aprendo, senza volerlo, un problema esegetico non indifferente e che ancora oggi non riesce a conciliare gli amanti e i critici delle sue canzoni. Chi è la moglie di Anselmo?145
Ad ogni modo, la donna ha un appuntamento con un altro uomo, l’amante. Ormai arrivata all’appuntamento, la moglie di Anselmo non può tornare indietro, nonostante l’alluvione; l’amante è totalmente accecato dalla passione e dal desiderio e non potrebbe resistere alla sua assenza. La passione carnale dell’uomo inizia a sfidare le leggi crudeli della natura e la lotta ha inizio, tra case inondate e ponti che crollano.146
Sullo sfondo, si snoda il parallelo tra la donna e l’acqua. Così come l’adultera vuol soddisfare la propria voglia d’amore, l’acqua, incurante di ogni cosa, sfoga se stessa e sogna di arrivare al mare. A rafforzare il parallelo tra passione e natura c’è anche l’elemento della passione per eccellenza: il letto (presentato con la sineddoche del lenzuolo)147. Ma il letto della passione è al contempo letto di morte. L’introduzione del termine “lotta” che ci fa pensare ad una lotta per la sopravvivenza ingaggiata dalla donna per sopravvivere all’alluvione, risulta essere metafora di un’altra lotta, quella “scivolosa”148 figlia del desiderio sessuale che si sta consumando mentre i due stanno per essere travolti. L’acqua ormai viene giù dai “soffitti”149 ma, ignaro di tutto, l’eros prosegue nella sua realizzazione. In una chiara allusione erotica, Faber ci consegna l’immagine di quest’acqua “che stringe i fianchi”150, passionalmente e mortalmente.
Dopo una lunga battaglia, ad alluvione terminata, torna la calma. La vita si risveglia. I due amanti emergono dall’acqua morti. Nella più grande ed ultima dimostrazione, l’amore dei due ha trovato la “certezza di aversi”151; un sacrificio finale che ha lasciato le vittime con la convinzione dell’ Omnia Vincit Amor.
Galleggia, tra i resti delle abitazioni e della città, un amore dal “mancato finale”152; un amore così vero, così forte e così bello da sembrarci irreale, da poterci “ingannare”153.