LA COMETA DEI PRESAGI DEL 1504

Consalvo, da Governatore di Napoli, ferito dalla morte della Regina Isabella di Spagna, avvenuta a Medina di Campo il 26 novembre 1504, non s’aspettava il peggio, avendo combattuto in ogni caso per il suo Re. Nè la dipartita della Regina turbò più di tanto l’unificazione della Spagna in quanto, l’eredità della Corona di Castiglia, spettante a Giovanna di Castiglia, andò al marito Filippo II d’Austria detto Il Bello (1478-1506), come da programmi di Ferrante. Alleanza rafforzata dal matrimonio del fratello Giovanni con Margherita, sorella di Filippo II. Un patto con l’Austria aveva rafforzato l’unificazione delle Spagne dando vita de jure al Regno di Spagna che comprendeva, oltre quello di Sicilia, anche il Regno di Napoli, di cui sarebbe divenuto Re lo stesso Ferrante (benchè solo per un anno) con il titolo di Fernando III di Napoli. L’abile Sovrano, quando morì Il Bello (1506), nonostante la sua età, completò il quadro delle alleanze risposandosi con madame Germana di Foix, antichissima casa dei Conti Fusi di Guascogna, figlia della sorella di Luigi XII, facendo pace anche con il Re di Francia.
Luigi XII di Valois consegnò Napoli nelle mani spagnole di Ferdinando Il Cattolico assumendosi la grave responsabilità di aver posto fine all’unità del Regno di Napoli. La Pace di Blois (1504) aveva declassato ufficialmente il Regno, entrato a far parte dei domìni spagnoli (1504-1707), allontanando le mire della Francia che otteneva l’assegnazione dell’intero Ducato di Milano e si accontentava della restituzione dei feudi sequestrati ai cavalieri francesi che li possedevano prima della guerra. Fra essi erano i Sanseverino Principi di Bisignano e quelli di Salerno, Traiano Caracciolo, Onorato Gaetano ed Ettore Fieramosca, il quale dovette restituire i suoi Stati: Rocca d’Evandro e Camino al Monforte, la Contea di Miglionico al Principe di Bisignano Bernardino da Sanseverino. Indispettito e sentitosi tradito, il valoroso, non accetterà di scambiarli con la Signoria di Civitella del Tronto negli Abruzzi, subendo poi dal Re l’umiliazione del carcere, da cui uscì ricevendo 600 ducati a titolo di compensazione per i beni perduti e la possibilità di vendere Camigliano per necessità.
Alle nozze regali intervennero i nobili di tutta l’Europa, a cominciare dai Catalani che invitarono Filippo di Fiandra, figlio di Massimiliano d’Austria, a prendere ufficialmente possesso del Regno di Castiglia, bistrattato dagli Spagnoli per la sua povertà. Giunto in Biscaglia, Filippo, sbarcò a Colone, là dove cominciava la punta estrema della Spagna, dove si diceva fossero le Colonne d’Ercole. E qui venne a riceverlo il suocero, a sua volta fresco sposo, riservandogli grandi onori da parte di tutti i Signori di Spagna, corrompendo così il suo animo. Ma il maggiore corruttore fu Don Giovanni Manovello, già ambasciatore di Fiandra e mediatore nell’incontro del giovane e del vecchio che non parlavano la stessa lingua.
Da qui l’adorazione per quello che si intravedeva essere il Sovrano d’Europa, piuttosto che per un sole al tramonto, come Il Cattolico, intorno al quale rimase più di ogni altro Don Federico di Toledo Duca d’Alva. Atteggiamenti che lasciavano pensieroso il vecchio Re che scelse di raggiungere Napoli come viaggio di nozze con Germana di Foix. Ma il Re partiva da Barcellona con venti galee per meglio conoscere gli umori dei baroni per scoprire la verità senza ascoltare una sola campana, lasciando a terra il fidato Toledo. Preferì per compagnia Don Bernardo di Roias Marchese di Denia unitamente ai cavalieri di Spagna.
Non vedeva l’ora soprattutto di incontare il Gran Capitano Consalvo, il quale, in suo nome, aveva preso ufficialmente possesso della metropoli il 14 gennaio 1504 divenendone Prorex o Luogotenente del Re, anzi Governatore di Napoli, più che primo Vicerè.
Il Cattolico, in pochi giorni, passò le più belle riviere di Francia e Genova, sbarcando a Portofino dove ebbe la rallegrante notizia della morte del venticinquenne Filippo, suo genero, assalito da un “crudelissimo male” durante un banchetto “all’uso di Fiandra”. Mostrandosi ufficialmente addolorato per la figlia e i nipoti, specie Carlo di sette anni, e, il Re, “coperta a bruno la Capitana, nel principio del Governo” toccò le coste del Regno, accompagnato, il 13 settembre da “una cometa pallida”, interpretata come una minaccia per la Fiandra.1
A Napoli lo attendeva il suo Prorex.
Note Bibliografiche Capitolo VII
1. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
2. Agostino Cesaretti, Istoria del Principato di Piombino, T.I, Stamperia della Rosa, Firenze 1788, Ristampa a cura della Arnaldo Forni Editore, Vol.93, pag.93 e pag.102 e pag.46. Nel 1513, D. Batistina cognata della Principessa e sorella di Jacopo, sposò Ottaviano Pallavicino e la Comunità di Piombino gli regalò 300 scudi d’oro. Nel 1552 il nuovo Principe di Salerno assaltò Piombino.
3.Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857, pag.266.
4. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870, pag. 46-pag.51. V. Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana,cap.XXII del libro III. Una lettera di questa signora si legge tra le Lettere di molte valorose donne stampate in Vinegia presso Gabriele Giolito de Ferrari al 1549: e nella Biblioteca Nazionale di Napoli si conservano parecchie lettere autografe indiritte da questa principessa a Geronimo Seripando.
5. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675, pag.3.
6. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v. Così: “includendo la fidelissima città de Napoli, & le provincie de Calabria citra, & ultra [Cosenza,] de Principato Citra[,] Terra de Otranto, & Terra de Bari [Puglia], quali ne fatta gratia concedere ad Napolitani, & regnicoli originarii & oriundi & ancora providerli de li septe officij del Regno, o de la majore parte de epsi.
Et restarrà in suo arbitrio de disponere ad chi volera de tutti officii che vacaranno in la Provintia de Principato Ultra [,] de Apruzo Citra, & Ultra [Sulmona,] Capitenata[,] Puglia & in lo Contato de Molise.
Et similmente farrà gratia concedere ad Neapolitani, & regnicoli originarii & oriundi tutte prelature & beneficii spectante ad collatione seu presentatione de V.Catholica Majestate in le preditte provincie de Terra de Lavore inclusa etiam la fidelissima cità de Napoli, & le provintie de Calabria Citra e Ultra [Civitate Cusentia,]de Principato, Citra[,] Terra de Otranto e Terra de Buri, reservandose quilli che vacaranno in le dicte provintie de Principato Ultra de Apruzo Citra & Ultra [Sulmona,] Capitanata, Puglia, & in lo Contato de Molise.
7. Benevento e la provincia sono offuscate dall’incalzare del nemico francese che occupa la Valle Beneventana e crea a nuovo punto di riferimento Atripalda. L’8 marzo del 1501, i documenti di Serra, si registrano alla quarta indizione di Atripalda, quando Nardo Ripa de Avellino, rettore di San Nicola di Castro Serra, loca un territorio demaniale della Chiesa. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v. Nel 1536 da Napoli, diretta all’Imperatore Carlo V e madre Giovanna la Pazza, arrivarono i capitoli dei cittadini nobili e magnati di Napoli e di Principi, Duchi, Conti e Baroni riuniti in parlamento generale.
8. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v.
9. Summonte, cit.
10. Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 2 vol., Roma 1982, Edizioni di storia e letteratura, pag.83; Cfr. ASNA, Signific., I, 2. “Nel detto Regio f.14 t è registrata significatoria di d.5709.3.97 spedita per la camera a 13 agosto 1510 contro l’Ill.mo don Ferdinando Sanseverino, principe di Salerno, suo padre per l’intrate feudali dell’infrascritte città e terre. Principato Citra: Salerno, Sanseverino, Agropoli, castello dell’Abbate, Laurino, Diano, Sala, Atena, Polla, Marsico, Basilicata…Ivi; Ferorelli, cit.
11. A.Bascetta, Salerno nel 1755. Il Catasto Onciario, ABEdizioni, Avellino 2006.
12. ASNA, Quinternioni, Vol. 16 del 1495, foll. 288-289. A ultimo de jugno 1529 al spectabile conte Guidone Ferramosca conte de Migliano olim Gubornatore dela provintia de Capitanata ducati tricento cinquanta correnti. Si tratta dei soldi che Ettore Ferramosca tenea sopra li pagamenti fiscali dela terra de Civitella per se soy heredi et successuri in perpetuum in compenso dele Castello de Camino, Roccha de Vandre, et Miglionico quali foro restituiti ali patroni in virtu dela capitulacione della Cesarea de immortal memoria con lo Re de Franza, per anni cinque mesi undici che non li foro pagati, computando dal ultimo de decembro 1515 che fo morto lo spettabile Hector Ferramosca, per tucti li XXII de decembro 1520, perché dal dicto di avanti soli have exapti et havuti, et so quilli ducati 350 che per ordine del magnifico Luyse ram olim Reg. la R. Generale Thesaureria li sono stati pagati per lo quondam magnifico Loyse” nel luglio del 1526. La data dell’ultimo di dicembre è quella in cui incomincia il pagamento (la morte di Ettore è nell’anno 1515) perché i pagamenti si facevano dalla tesoreria per terze, cioè in aprile, agosto e dicembre. Cfr. Minieri-riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel regno di Napoli, Napoli 1844. Questi afferma d’essersi posta sulla tomba di Ettore questa iscrizione: Inter et antiquas clades, interque recai tea, Quas, Capua, insignes enumerare potes, Immatura Ubi mora Hectoris infima non est, Hector, qui phrygio non minor Hectore erat. Optassct mediis tamen iìle occumbere in armis, Inque acie extremum Victor olire diem. Non ita in ignaro fatis concedere lecto; Tristius hoc i/li sic pcriisse fuit. Tamque din, Volturile, tuum lugehis alumnum, In more raeruleas dum cumulatila aquas.
13. A.Bascetta, Salerno, cit. L’Abbazia di S.Maria de Giudaica, così detta per indicare l’ubicazione nel quartiere, appartenne in antico a Giacomo de Abundancia, Abate di S.Maria de Giudaica dal 1296 al 1309, successo (1216) al chierico e abate Giacomo Cavaselice.
Nel 1613 era il chierico Manganario a vantare patronato della Cappellania di S.Lucia, quindi con diritto di presentare il Cappellano, che, dal 1643, risulta anche beneficio ora dell’Arcivescovo di Salerno, ora dell’Abate di Cava.
Con la presenza della statua di S.Lucia in questa o in una chiesa diruta vicinissima, comparve S.Lucia, forse dopo aver inglobato la Cappella di Santa Maria de Mare, già di parziale patronato della famiglia Ioncatella dal 1072.
Santa Maria de Ruganova, altra chiesa presso Torre Santa Lucia. Già nel 1297, però, nasce la confusione con un’altra S.Maria. Questo stesso Abate svolgeva infatti funzione di presbitero (1297), diciamo di arciprete, in un’altra chiesa delle vicinanze: S.Maria de Ruganova, nata con la costruzione della nuova strada, lungo la via nuova del quartiere, dal 1186, quando i de Bivo ne cedono il parziale patronato all’Abate di Cava, e per questo, nel 1293, verrà chiamata anche S.Maria de Ruga Nova, la cui cura fu per qualche motivo affidata o usurpata dal vicino Abate dell’Abbazia di S.Maria de Mare à Giudaica e confusa dagli storiografi.
Un documento del 31 dicembre 1336 cita la Taverna del postribolo cittadino sita vicino alla chiesa di S.Maria de Ruganova (che si diceva essere così antica da non conoscersi il nome del fondatore) e alla Torre della città detta di S.Lucia, dove ancora erano nel 1692.
Per quel che riguarda San Salvatore de Fundaco c’è un po’ di confusione, volendola identificare con quella nominata nel 1268 vicino agli archi e detta in Giudaica, in cui, dopo il 1513, si sarebbe trasferita la Confraternita dell’Oratorio di S.Salvatore di Drapperia alla Dogana vecchia in direzione della Dogana nuova. Secondo alcuni il passaggio dalla Dogana vecchia alla Dogana nuova era già avvenuto nel 1400, visto che nel 1423 era stata ampliata per volere di Pacilio de Turdo o Surdo, nobile del Seggio di Portanova.
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