DON FERRANTE E LA CAMPAGNA D’AFRICA DEL 1535. Principe di Salerno e Conte di Sarno alla conquista di Tunisi sotto Carlo V

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Da Cetara a Tunisi le conquiste di Salerno e Sarno sotto Carlo V

 

Il Viceré iniziò le riforme (dando il via all’espulsione degli ebrei), proprio come quelle a cui diede vita Papa Paolo IV riformatore a cui seguì, nel 1555, la decisione dell’imperatore di dividere tutto fra i figli: il trono a Ferdinando, la Spagna e Napoli a Filippo II. Cfr. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769,pagg.422-425. Opere primarie in Napoli furono il nuovo Palazzo Reale dell’architetto Domenico Fontana, il Palazzo degli Studi (attuale Museo Archeologico Nazionale), i rinascimentali palazzi Orsini, Marigliano, Corigliano, la completa trasformazione della Certosa di S.Martino, il barocco Palazzo Donn’Anna, la chiesa del Gesù Nuovo ricavata dal Palazzo rinascimentale dei Sanseverino e decine di nuove chiese barocche nate dalle ceneri di precedenti edifici. “Le trasformazioni urbanistiche dell’età vicereale consistettero in un ampliamento della città soprattutto verso occidente, il che richiese nuove mura la cui costruzione, iniziata nel 1533, continuò oltre il 1547.
Del programma del vicerè Pedro de Toledo fece parte il tracciamento della via che porta il suo nome, l’edificazione degli adiacenti “quartieri spagnoli”, insediamento a scacchiera, destinato all’alloggiamento delle truppe vicereali. Furono inoltre previsti la ristrutturazione del porto e dei sistemi idrico e fognario. Altro importante fenomeno fu il sorgere, a dispetto del divieto imposto dalle prammatiche reali del 1566, di una serie di borghi extramurari: S. Antonio Abate e Loreto ad Est, i Vergini a Nord, l’Avvocata a Nord-Ovest e Chiaia a Sud-Ovest”. Don Pedro, morirà a Firenze il 2 febbraio 1553 e sarà sepolto in quel Duomo, senza poter riuscire a vedere per l’ultima volta il monumentale sepolcro fatto costruire nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli in piazza del Castello.

Fra i suoi uomini migliori vi fu sicuramente Giangiacomo d’Acaya, esperto in architettura e matematica, al quale “vengono riconosciute brillanti intuizioni di tattica militare, grande esperienza in problemi balistici e di strategia equestre e approfondite conoscenze della nuova tecnica delle fortificazioni bastionate che si andavano sempre più sviluppando con i progressi della artiglieria, dopo l’invenzione della polvere da sparo”.
L’opportunità per affermarsi definitivamente Giangiacomo la colse nel 1528 quando i francesi erano penetrati nel Salento. Si oppose all’invasione con 500 mercenari albanesi alla guida del Marchese Castriota, unitamente ad altri signori locali, offrendo “uomini, cavalli e spada”. La sua vittoria fu così eclatante che Carlo V volle incontrarlo a Napoli, lasciando incompiuto il viaggio sotto l’arco trionfale di Lecce, perchè aveva saputo del suo efficace metodo di fortificazione. Il fiore all’occhiello era proprio nel suo feudo di Segine, dove aveva sviluppato una nuova tecnica difensiva contro i Turchi, mettendo in pratica gli studi sulle fortificazioni e divenendo Ingegnere Generale del Regno. Peccato che finirà i suoi giorni da prigioniero, proprio nelle segrete del Castello di Lecce che egli stesso aveva costruito. T. Megale, Sic per te superis gens inimica ruat. L’ingresso trionfale di Carlo V a Napoli (1535), Atti del Convegno Carlo V Napoli e il Mediterraneo, Archivio Storico per le Province Napoletane, Napoli 2001; www.regionecampania.org. L’architetto Francesco Grimaldi rifece le chiese di S.Paolo Maggiore, dei SS.Apostoli, S.Maria degli Angeli a Pizzofalcone, seguito da Cosimo Fanzago (chiesa dell’Ascensione a Chiaia, S. Maria degli Angeli alle Croci, di S. Ferdinando, S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone, di S. Giorgio Maggiore, di S. Giuseppe delle scalze a Pontecorvo, di S. Teresa a Chiaia), da Arcangelo Guglielmelli (S.Giuseppe dei Ruffi e la Biblioteca dei Gerolomini) e da Frà Nuvolo (chiesa di S.Maria di Costantinopoli, di S.Maria della Sanità e di S. Sebastiano). Per una biografia del Vicerè, cfr. www.geocities.com, Nicola Garofalo, La Grande Napoli. Toledo aveva trasformato la vecchia Segine in una fortezza inespugnabile, con baluardi, fossati e un nuovo castello ribattezzato col suo nome in Acaya, a lavori ultimati, nel 1536, quando il Vicerè gli affidò la fortificazione costiera (1537) insieme ad Alarcon Marchese della Valle Siciliana e Melfi, nonché Capitano Generale del Regno. Ai due era stato affidato il compito di ispezionare, unitamente al Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, i castelli di Napoli, Aversa, Capua, Nola, Pozzuoli, Baia, Ischia e Capri. Per Ferrari Carlo V riteneva Giangiacomo “uomo di alto ingegno, e valore, e per buonissimo architetto”, elevandolo, come scrive Don Vittorio de Prioli ad “ingegnere generale del Regno di Napoli e già in Napoli stessa si vedono le sue fortificazioni e per tutte le marine di questo regno”.Acaya, insieme ad Escrivà e Menga, realizzò le nuove mura di Castro, Barletta, Copertino, Mola, Galatina, Molfetta, Parabita e Gallipoli, dove si vede una sala ennagonale, come quella del castello di Acaya, giungendo a Lecce nel 1539, divenuto nuovo capoluogo, redigedo un apposito progetto per la nuova fortezza, affidando l’esecuzione dei lavori a Guarino Renzo, e (1548) per l’Ospedale dello Spirito Santo e l’Arco Trionfale di Porta Napoli. Ma i suoi impegni furono soprattutto per Castel S.Elmo a Napoli, Sorrento, Capua e Cosenza e alla muraglia di Crotone, su indicazioni del Vicerè che lo utilizzò fino alla morte, quando si ritirò nel suo feudo di Acaya si ritira, attorniato dai nobili locali, dal Governatore Loffredo e dai figli, due dei quali, Francesco Maria ed Isabella, vengono spediti rispettivamente nel monastero delle chiariste e nel convento di francescani di Lecce, mentre, proprio ad Acaya edifica per gli osservanti il monastero di S. Maria degli Angeli ai quali finisce poi per cedere anche il suo palazzo di Lecce, finito indebitato per una fideiussione messa (1570) a favore dell’esattore doganale di Puglia e Basilicata delle imposte sugli oli e sui saponi, portandolo, per la gravosa insolvenza, perfino prigioniero nelle segrete del Castello di Lecce che egli stesso aveva realizzato e dove sarebbe morto. V. Mario Mangione, da: www.acquaricadilecce.it.

Description

IL PRINCIPE DI SANSEVERINO

E IL CONTE DI SARNO NELLA PRESA DI TUNISI

 

indice

L’ORFANELLO AFFIDATO AL CONTE DI CAPACCIO

— L’abbandono della madre, uno zio per tutore
— Don Ferrantino con la figlia del padrino a 9 anni
— Signoria per Ferrante, Provincia per Fieramosca
— Padrone di mezzo Principato fin da piccolo
— I Salernitani traslocano alla Giudecca di S.Lucia
— A Salerno il Principino, al reame il Reuccio Carlo V
— Guelfi e ghibellini durante l’interregno spagnolo

capitolo 2
LA BATTAGLIA DI CETARA DEL 1528

— L’invasione francese e l’assedio in Costiera
— La flotta “Andrea D’Oria” getta l’ancora a Cetara
— La Battaglia del 28 maggio a Capo d’Orso

capitolo 3
L’INCORONAZIONE DI BOLOGNA

— Napoli invasa dai Francesi, uccisi dalla lebbra
— Il Viceré Principe d’Orange perseguita i ribelli
— Le Terre dei ribelli date ai Gonzaga: i Ducati
— Il Parlamento invia Ferrante all’incoronazione
— Governatore nel Principato e poeta a Sorrento
— Un nemico in casa: il Viceré Pedro da Toledo

capitolo 4
L’AFRICA E IL RITORNO CON L’IMPERATORE

— I contrasti con Toledo padre-padrone antisemita
— Saccheggi dei Barbari a Cetraro, Costa e Sperlonga
— Via Barbarossa da Tunisi, muore il Conte di Sarno
— L’Imperatore torna e visita i feudi dei Sanseverino
— Carlo V ospite di Ferrante corteggia la Principessa

Note Bibliografiche

1. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
2. Agostino Cesaretti, Istoria del Principato di Piombino, T.I, Stamperia della Rosa, Firenze 1788, Ristampa a cura della Arnaldo Forni Editore, Vol.93, pag.93 e pag.102 e pag.46. Nel 1513, D. Batistina cognata della Principessa e sorella di Jacopo, sposò Ottaviano Pallavicino e la Comunità di Piombino gli regalò 300 scudi d’oro. Nel 1552 il nuovo Principe di Salerno assaltò Piombino.
3.Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857, pag.266.
4. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870, pag. 46-pag.51. V. Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana,cap.XXII del libro III. Una lettera di questa signora si legge tra le Lettere di molte valorose donne stampate in Vinegia presso Gabriele Giolito de Ferrari al 1549: e nella Biblioteca Nazionale di Napoli si conservano parecchie lettere autografe indiritte da questa principessa a Geronimo Seripando.
5. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675, pag.3.
6. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v. Così: “includendo la fidelissima città de Napoli, & le provincie de Calabria citra, & ultra [Cosenza,] de Principato Citra[,] Terra de Otranto, & Terra de Bari [Puglia], quali ne fatta gratia concedere ad Napolitani, & regnicoli originarii & oriundi & ancora providerli de li septe officij del Regno, o de la majore parte de epsi.
Et restarrà in suo arbitrio de disponere ad chi volera de tutti officii che vacaranno in la Provintia de Principato Ultra [,] de Apruzo Citra, & Ultra [Sulmona,] Capitenata[,] Puglia & in lo Contato de Molise.
Et similmente farrà gratia concedere ad Neapolitani, & regnicoli originarii & oriundi tutte prelature & beneficii spectante ad collatione seu presentatione de V.Catholica Majestate in le preditte provincie de Terra de Lavore inclusa etiam la fidelissima cità de Napoli, & le provintie de Calabria Citra e Ultra [Civitate Cusentia,]de Principato, Citra[,] Terra de Otranto e Terra de Buri, reservandose quilli che vacaranno in le dicte provintie de Principato Ultra de Apruzo Citra & Ultra [Sulmona,] Capitanata, Puglia, & in lo Contato de Molise.
7. Benevento e la provincia sono offuscate dall’incalzare del nemico francese che occupa la Valle Beneventana e crea a nuovo punto di riferimento Atripalda. L’8 marzo del 1501, i documenti di Serra, si registrano alla quarta indizione di Atripalda, quando Nardo Ripa de Avellino, rettore di San Nicola di Castro Serra, loca un territorio demaniale della Chiesa. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v. Nel 1536 da Napoli, diretta all’Imperatore Carlo V e madre Giovanna la Pazza, arrivarono i capitoli dei cittadini nobili e magnati di Napoli e di Principi, Duchi, Conti e Baroni riuniti in parlamento generale.
8. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v.
9. Summonte, cit.
10. Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 2 vol., Roma 1982, Edizioni di storia e letteratura, pag.83; Cfr. ASNA, Signific., I, 2. “Nel detto Regio f.14 t è registrata significatoria di d.5709.3.97 spedita per la camera a 13 agosto 1510 contro l’Ill.mo don Ferdinando Sanseverino, principe di Salerno, suo padre per l’intrate feudali dell’infrascritte città e terre. Principato Citra: Salerno, Sanseverino, Agropoli, castello dell’Abbate, Laurino, Diano, Sala, Atena, Polla, Marsico, Basilicata…Ivi; Ferorelli, cit.
11. A.Bascetta, Salerno nel 1755. Il Catasto Onciario, ABEdizioni, Avellino 2006.
12. ASNA, Quinternioni, Vol. 16 del 1495, foll. 288-289. A ultimo de jugno 1529 al spectabile conte Guidone Ferramosca conte de Migliano olim Gubornatore dela provintia de Capitanata ducati tricento cinquanta correnti. Si tratta dei soldi che Ettore Ferramosca tenea sopra li pagamenti fiscali dela terra de Civitella per se soy heredi et successuri in perpetuum in compenso dele Castello de Camino, Roccha de Vandre, et Miglionico quali foro restituiti ali patroni in virtu dela capitulacione della Cesarea de immortal memoria con lo Re de Franza, per anni cinque mesi undici che non li foro pagati, computando dal ultimo de decembro 1515 che fo morto lo spettabile Hector Ferramosca, per tucti li XXII de decembro 1520, perché dal dicto di avanti soli have exapti et havuti, et so quilli ducati 350 che per ordine del magnifico Luyse ram olim Reg. la R. Generale Thesaureria li sono stati pagati per lo quondam magnifico Loyse” nel luglio del 1526. La data dell’ultimo di dicembre è quella in cui incomincia il pagamento (la morte di Ettore è nell’anno 1515) perché i pagamenti si facevano dalla tesoreria per terze, cioè in aprile, agosto e dicembre. Cfr. Minieri-riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel regno di Napoli, Napoli 1844. Questi afferma d’essersi posta sulla tomba di Ettore questa iscrizione: Inter et antiquas clades, interque recai tea, Quas, Capua, insignes enumerare potes, Immatura Ubi mora Hectoris infima non est, Hector, qui phrygio non minor Hectore erat. Optassct mediis tamen iìle occumbere in armis, Inque acie extremum Victor olire diem. Non ita in ignaro fatis concedere lecto; Tristius hoc i/li sic pcriisse fuit. Tamque din, Volturile, tuum lugehis alumnum, In more raeruleas dum cumulatila aquas.
13. A.Bascetta, Salerno, cit. L’Abbazia di S.Maria de Giudaica, così detta per indicare l’ubicazione nel quartiere, appartenne in antico a Giacomo de Abundancia, Abate di S.Maria de Giudaica dal 1296 al 1309, successo (1216) al chierico e abate Giacomo Cavaselice.
Nel 1613 era il chierico Manganario a vantare patronato della Cappellania di S.Lucia, quindi con diritto di presentare il Cappellano, che, dal 1643, risulta anche beneficio ora dell’Arcivescovo di Salerno, ora dell’Abate di Cava.
Con la presenza della statua di S.Lucia in questa o in una chiesa diruta vicinissima, comparve S.Lucia, forse dopo aver inglobato la Cappella di Santa Maria de Mare, già di parziale patronato della famiglia Ioncatella dal 1072.
Santa Maria de Ruganova, altra chiesa presso Torre Santa Lucia. Già nel 1297, però, nasce la confusione con un’altra S.Maria. Questo stesso Abate svolgeva infatti funzione di presbitero (1297), diciamo di arciprete, in un’altra chiesa delle vicinanze: S.Maria de Ruganova, nata con la costruzione della nuova strada, lungo la via nuova del quartiere, dal 1186, quando i de Bivo ne cedono il parziale patronato all’Abate di Cava, e per questo, nel 1293, verrà chiamata anche S.Maria de Ruga Nova, la cui cura fu per qualche motivo affidata o usurpata dal vicino Abate dell’Abbazia di S.Maria de Mare à Giudaica e confusa dagli storiografi.
Un documento del 31 dicembre 1336 cita la Taverna del postribolo cittadino sita vicino alla chiesa di S.Maria de Ruganova (che si diceva essere così antica da non conoscersi il nome del fondatore) e alla Torre della città detta di S.Lucia, dove ancora erano nel 1692.
Per quel che riguarda San Salvatore de Fundaco c’è un po’ di confusione, volendola identificare con quella nominata nel 1268 vicino agli archi e detta in Giudaica, in cui, dopo il 1513, si sarebbe trasferita la Confraternita dell’Oratorio di S.Salvatore di Drapperia alla Dogana vecchia in direzione della Dogana nuova. Secondo alcuni il passaggio dalla Dogana vecchia alla Dogana nuova era già avvenuto nel 1400, visto che nel 1423 era stata ampliata per volere di Pacilio de Turdo o Surdo, nobile del Seggio di Portanova.
14. A.Bascetta, Juana la Pazza, Giovanna di Castiglia e d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2008.
15. K. Hillebrand, Un enigma della storia, Sellerio, 1986; Sabina Marchesi, Giovanna La Pazza, da: www.thrillermagazine.it/rubriche/1421. Così scrive: “Vittima della ragion di Stato e di una estrema fragilità di carattere, Giovanna di Castiglia, sposa di Filippo di Borgogna, madre di Carlo V, figlia di Isabella di Castiglia, la Santa Guerriera, e di Ferdinando d’Aragona, lascia questo mondo come figlia di Re, madre di Re e Regina essa stessa, lanciando ai posteri un monito estremo. Io sono una delle due o tre regine sovrane del mondo; ma il solo fatto che sono figlia di re e di regina sarebbe dovuto bastare perché non fossi maltrattata”.
16. A.Bascetta, Juana la Pazza, cit. A sostenerlo furono soprattutto i parenti delle Fiandre. Carlo, infatti, della cultura spagnola conosceva poco in quanto tutta la sua educazione era ammantata dalla cultura fiamminga del Ducato delle Fiandre, dov’era cresciuto sotto la zia e il padre Filippo, fin da quando ne aveva ereditato il possesso da Maria Bianca, morta all’età di venticinque anni a causa di una caduta da cavallo.
Nelle Fiandre aveva quindi trascorso l’infanzia e l’adolescenza, aggiungendo alla sua istruzione solo il francese in quanto non fu mai molto amante degli studi, preferendo le arti cavalleresche e la caccia. Affiancato dal consigliere Erasmo da Rotterdam, questi, in una lettera inviata a Tommaso Moro, si era però dimostrato alquanto perplesso circa le sue effettive capacità intellettuali. Ma ora era divenuto il padrone assoluto di buona parte del mondo conosciuto, sebbene dal punto di vista dinastico fu Giovanna la regina titolare fino alla morte (1555).
Nonostante la scarsa documentazione in merito giova tramandare che nel 1521 Carlo dovette abbandonare la Spagna in rivoluzione. Padilla, capo dei comuneros che si erano impadroniti del potere, si schierò contro il marchese di Deina che molestava la Regina e, impadronendosi del castello-prigione di Tordesillas, prima di ogni altra azione, la liberò chiedendo alla sua mente annebbiata un cenno di consenso per la riconquista del trono. Lo fece piegando un ginocchio davanti alla sovrana, in atto dell’antico omaggio, facendo tornare alla realtà la sventurata smemorata.
Per Giovanna fu come svegliarsi da un lungo sonno e, come per miracolo, le tornò la lucidità mentale che le permise di annuire benevolmente col capo. La Regina ascoltò con apparente accondiscendenza i discorsi dei suoi sudditi, ma fallì ogni tentativo di indurla all’azione e di ottenere da lei solo una firma, quanto bastava ad annunciare al mondo che fosse sana di mente e permettere ai comuneros di riprendersi tutti i Regni in nome del testamento materno. Da qui le assidue visite di Carlo, sempre timoroso che Giovanna potesse rinsavire e operare a suo danno. Ecco perchè, per mantenersi buono il popolo, più che ricondurre a sè la madre, preferì richiamare gli ebrei cacciati dal Regno di Napoli (1520). Ma sebbene l’ordine regio, i francescani, guidati da Fra’ Francesco dell’Agnelina continuarono ad additarli nonostante il Vicerè gli ordinasse di tacere inzuriandolo assai, affinchè non predicasse contra zudei. Fra’ Francesco otterrà poi (1521) che portassero almeno il barete zale, il berretto giallo, come a Venezia (G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939).
In fondo era ebrea perfino la nonna paterna della Regina, Giovanna Enríquez, a cui ella molto assomigliava. Chissà se pure l’ava era stata così gelosa del marito, rasentando la pazzia e sfigurando i visi di donzelle e schiave more. (Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XII).
Non per questo non è provabile una venuta della Regina Giovanna a Napoli, regno in sua potestà fino a prova contraria, avendo la reggenza indiretta dei suoi Stati, il che giustificherebbe le frequenti visite dell’Imperatore alla madre.
Tre anni prima, quindi anche scevro da probabili inquinamenti post-rivolta, cioè del 27 febbraio 1519, è il diploma emanato a Trieste con cui si faceva divieto di balli per la morte dell’Imperatore Massimiliano. Il 30 giugno, da Barcellona, Carlo si diceva già “V”, mentre, il 16 luglio, in una medesima lettera, con l’intestazione Giovanna e Carlo Re delle Spagne e delle due Sicilie. Alla morte del padre, la Regina riprese quindi le redini del governo, ma per tre anni, comparendo in alcuni documenti solo il nome di Giovanna. Sul finire dell’amministrazione, il suo nome viene associato a quello del figlio, fino a scomparire del tutto quando compare solo Carlo Re delle Spagne e delle due Sicilie. (ASV, Sigilli Staccati 1, Sigillo a due facce. Si tratta di un sigillo pendente mediante fettuccia di seta gialla e rossa, di cera rossa, rotondo, da mm. 115 in uno stato di conservazione definito buono, con qualità dell’impressione buona; Fulvio Colombo, Regesti del Codicle Diplomatico Istriano, Vol.V. Archivio Diplomatico di Trieste; Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo…”; La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552)
17. Alfredo Maria Santoro, prime Indagini di scavo nel Castello di Mercato San Severino (Salerno), da: archeologiamedievale.unisi.it. Scrive Santoro: Gli esemplari del periodo aragonese sono tre: un grano di Giovanna la Pazza e Carlo d’Austria emesso a Napoli (1516-1519) e due “cavalli” di Ferdinando I emessi a Napoli e nella zecca dell’Aquila fra il 1472 ed il 1488. Le restanti monete sono relative al settore Nucleo Abitato: un denaro gherardino emesso dall’atelier napoletano fra il 1299 e il 1309 da Carlo II d’Angiò e un denaro di Federico II coniato a Brindisi nel 1249.
18. Lucia Maria Bertino, Monete e zecche medievali dal X al XV Secolo attestate in Luni e in centri liguri della sua diocesi. Ella scrive: Degno di nota, anche se riferito al periodo immediatamente successivo al Medioevo, un grano di Giovanna la Pazza e Carlo d’Austria (1516/1519) della zecca di Napoli avente nel D/ la leggenda LETICIA POPVLI attorno alle iniziali I-C accostate da grossi punti e sormontate da corona reale e nel R/IVSTVS REX attorno a croce potenziata accantonata in ogni quarto da globetto (BERTINO L.M. 1986). Questa moneta può testimoniare approdi di navi mercantili di Napoli per scambi commerciali o più probabilmente di navi militari per incursioni nel territorio di Porto Venere. Infatti, un ventennio prima, come risulta da un privilegio del Senato Genovese del 1494 concesso agli abitanti di Porto Venere, il borgo e il suo territorio erano stati devastati ed incendiati dalla flotta di Alfonso II d’Aragona re di Napoli (1494/1495).
19. A.Bascetta, Joanna la Pazza, cit. Sono le monete del governo di Giovanna, risalita ufficialmente sul trono di Barcellona dal 1516 al 1519, perché in quei tre anni, in realtà, le Corti di Castiglia convocate a Valladolid, pur accettandone l’imperio, non legittimarono Carlo in quanto i comuneros si opponevano alla incoronazione di un Asburgo. Solo nel 1518, quando Carlo decise di sottomettersi spostandosi in Aragonia e Catalogna, gli vennero riconosciuti trono e governo, ottenendo l’omaggio delle Corti in Saragozza e Barcellona. Cioé quando il Reuccio prese il posto della madre dopo il giuramento e nello stesso frangente, a Francoforte, venne indicato come erede del Sacro Romano Impero, scalzando il pretendente Re di Francia, Francesco I, finendo incoronato ad Aquisgrana nel 1520. La madre Giovanna fu quindi nuovamente rinchiusa, tenendola ben lontana dall’amministrazione dei suoi stati. Restò comunque l’ultima Regina de facto fino all’ascesa del figlio (1519), il quale, da V Imperatore, portò il titolo di Imperatrice alla futura moglie Regina Isabella del Portogallo sposata nel 1526.
20. Summonte, cit., pag.21 e segg.
21. Benedetto Croce, Aneddoti di varia letteratura, Vol.I, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli 1942, Cap.22, Isabella Villamarino, pag.268.
22. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870, pag.51. V. manoscritto dell’opera Vita di donna Giovanna d’Aragona duchessa di Palliano di Filonico Alicarnasco, ossia Costantino Castriota.
23. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi, cit.
24. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi, cit.
25. Summonte, cit., pag. 36 e segg.
26. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.17-28.
27. Summonte, cit., pag. 230 e segg.; Summonte, cit., pag. 56 e segg.
28. Paolo Paruta, Historia Vinetiana, Eredi di Tomaso Giunti e Francesco Baba, Venezia 1645, pag.266.
29. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.17-28.
30. Summonte, cit., pag. 56 e segg.
31. Paolo Paruta, Historia Vinetiana, Eredi di Tomaso Giunti e Francesco Baba, Venezia 1645, pag.266-269.
32. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg.17-32.
33. AA.VV. Vendette da Papa, 1519-1556, ABEdizioni, Avellino 2006.
34. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
35. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.32 e segg.
36. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
37. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.32 e segg.
38. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266 e segg.
39. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.36.
40. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
41. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
42. Summonte, cit., pag.230 e segg.
43. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
44. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.36-37.
45. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.32 e segg.
46. Velázquez de Castillo, Libro primero del esforzado caballero Don Clarián de Landanís, hijo del noble rey Lantedón de Suecia; Angelo Borzelli, Successi tragici et amorosi di Silvio et Ascanio Corona. Casella, Napoli 1908.
47. Summonte, cit., pag.62 e segg.
48. Velázquez de Castillo, Libro primero del esforzado caballero Don Clarián de Landanís, hijo del noble rey Lantedón de Suecia; Angelo Borzelli, Successi tragici et amorosi di Silvio et Ascanio Corona. Casella, Napoli 1908; F.Belotti – Gian Luca Margheriti, Come un colpo di bombarda distrusse la torre. In: Corriere della Sera, 7 luglio 2003; Antonino Cosco, Andrea Carafa, Conte di Santa Severina (I tre giorni del Mastrogiurato), Rubbettino Editore, Santa Severina 2000; Antonino Cosco, Angelo De Luca, L’eroico e sfortunato Capitano del Popolo che difese Santa Severina dal Conte Andrea Carafa durante gli assedi del 1506 e del 1514, Rubbettino Editore; Castelli di Calabria, Luglio 2006, “Il Castello sull’Acropoli, di Pier Paolo De Salvo; V. Siberene. Da www.laprovinciakr.it; Archivio Vescovile di Crotone, Reintegrazione del feudo e dei beni di Andrea Carafa fatta dal giudice F. Jasio, 1520; www.arenzanotracieloemare.it; Vita e Opere di Giovanni de’ Medici, detto Giovanni delle Bande Nere di Riccardo Rizzante, da: www.portadiferro.it; Leonardo Santoro da Caserta, Dei successi del sacco di Roma e guerra del Regno di Napoli sotto Lautrek, Napoli 1858; Leonardo Santoro da Caserta, Dei successi del sacco di Roma e guerra del Regno di Napoli sotto Lautrek, Napoli 1858.
49. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
50. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.32.
51. Summonte, cit., pag.67 e segg.
52. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.32 e segg.
53. N. Badaloni, Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, Napoli, vol. V, T.1 pp.641\689.
54. N. Badaloni, Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, Napoli, vol. V, T.1 pp.641\689.
55. Summonte, cit., pag.65 e segg.
56. Summonte, cit., pag.232 e segg.
57. Summonte, cit., pag.232 e segg.
58. N.Badaloni, Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, Napoli, vol. V, T.1 pp.641\689.
59. Summonte, cit., pag.232 e segg.
60. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.32 e segg.
61. Summonte, cit.,pag.145 e segg.; Summonte, cit., pag.232 e segg.
62. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.32 e segg.
63. Deputazione napoletana di storia patria, Archivio storico per le province napoletane, Società napoletana di storia patria, Vol.3, Napoli, pag.540. Nelle cedole di tesoreria.
64. G.A.Valvassorio detto Guadagnino, Quarte Rime, Venezia 1550. In: A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.X e segg.
65. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.X e segg. (Elegia a Girolamo Molino, Libro II, Degli Amori).
66. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557.
67. Pierantonio Serassi, Vita di Torquato Tasso, Pagliarini, Roma 1785, pag.13; A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.X e segg.
68. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.214; ivi, pag.X e segg. V. nota.
69. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.412. In altra lettera successiva (1539) aggiungerà: – Il Sig. Prencipe mio Signore, già sono nove anni, per rimunerare i miei servizi, e per usare della solita sua liberalità, mi donò dugento ducati di entrata perpetua; e perché la donazione è di robe feudali; la quale, per non aver egli figliuoli, senza licenza, e consenso del Re, non è valida, così io, come molti altri servidori abbiamo domandato più volte questo assenso; nè mai l’abbiamo potuto ottenere da Sua Maestà; forse per chiudere la strada alla liberalità di quel Signore il quale troppo veloce correva a questi uffici.
70. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pagg.14-18. Tasso insomma, da segretario del Principe, ebbe una vita felice, anche perché, sposando Porzia dei Rossi, incamerò una dote di 5.000 ducati e 1.500 di vitalizio come investitura sopra la sua vita. Porzia, “di non ordinaria bellezza, e di molte virtù a maraviglia dotata, fu da lui amata grandemente”, dichiarando spesso di essere per tale motivo un uomo fortunato. Da Porzia avrà Cornelia e Torquato, partorito proprio a Sorrento, dove Tasso restò per diversi anni dopo le peripezie al seguito di Ferrante. Il Principe vorrà poi finalmente tenerlo lontano dai tumulti e dalle discordie politiche per farlo lavorare in pace. I 100 ducati annui di paga gli permisero di scrivere il famoso poema Amadigi, di materia amorosa (come le stanze pubblicate da Poliziano e Bembo) pur rappresentando un soggetto eroico in rima, ad imitazione dell’Ariosto, come promesso al Principe; Bernardo Tasso, Le lettere, Giovanni Griffio, Venezia 1591, pag.53.
71. Summonte, cit., pag.232 e segg.; Summonte, cit., pag.65 e segg.
72. Summonte, cit., pag.84 e segg.
74. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007.
75. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg. 47-53.
76. Summonte, cit., pag.145 e pag.90 e segg.
77. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg.53-54.
78. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.70.
79. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.XI e segg.
80. Antonio Doria, Cit., pagg. 58-59.
81. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
82. Antonio Doria, Cit., pagg.58-59.
83. Summonte, cit., pag.232 e segg.; erorelli, cit.; Summonte, cit., pag.98 e segg.
84. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
85. Così comincia uno dei due sonetti di Torquato Tasso. A.F.Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.XI e segg.
86. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
87. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
88. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289, nota xxxv- Entrata di Carlo V in Napoli; suo trattenimento e partenza. Per la sua tirannia, i capi avversari, avevano deciso l’esilio volontario e, alleandosi coi Francesi sotto la guida di Piero Strozzi, finirono decapitati dopo aver avuto la peggio a Montemurlo (1537). Dispotismo che lo sporcò di sangue per tutta la vita, sebbene la sua crudeltà fu sempre rivolta a danno dei ricchi fiorentini e non contro il popolo. Si legò all’Imperatore Carlo, indi al figlio Filippo II e alla figlia Margherita, vedova del Duca Alessandro, che non sposò per l’esosa richiesta di portarle in dote buona parte del patrimonio.
Sposò, invece, la bella spagnola-napoletana, Eleonora Alvarez de Toledo, nella chiesa fiorentina di San Lorenzo, dopo averla incontrata la prima volta nella villa di Poggio a Caiano, vicino Prato.
Eleonora fu condotta a Firenze direttamente da Don Pedro Alvarez de Toledo, che venne alloggiato nel convento di Santa Maria Novella, da allora in poi chiamato Cappellone degli Spagnoli in suo onore.
Grazie a questo matrimonio il Duca fiorentino entrò in possesso di enormi ricchezze napoletane e si garantì l’amicizia politica del suocero, Viceré dal 1532 al 1553, divenendo uno dei più fidati luogotenenti dell’Imperatore. Cosimo ed Eleonora, più volte ritratti da Angelo Bronzino, furono una coppia esemplare, senza che lui si stancasse mai di lei.
Il Gran Duca di Toscana aveva questo motto: — Cum pudore laeta facunditas!
Ebbero undici figli, due dei quali, Giovanni e Garsia, moriranno di malaria con la madre (1562), dopo un avventato viaggio nella Maremma dove era in corso una corposa opera di bonifica.
89. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
90. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
91. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
92. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
93. Summonte, cit., pag.90 e segg.
94. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
95. Antonio Doria, Cit., pag.68
96. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
97. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870, pag.51. Le paorle di Mario di Leo sono nel secondo canto dell’Amor Prigioniero. La Principessa Isabella mori dell’età di circa 53 anni in Ispagna nell’ottobre del 1559. Tralasciando gli encomi di molti altri scrittori contemporanei, Volpicella cita Geronimo Borgia nel poemetto latino sull’incendio presso l’Averno del 1538 il quale così cantava: Una atei lux hujus et inelyla saxus gloria faminei, domina qua dulce Salernum se iaetat, felix gaudet qua coniuge princeps Ausoniae procerum, muliebris ut illa decori insignis forma, pietate, pudore, Minervae Arlibus.
98. Bernardo Tasso, Le lettere, Giovanni Griffio, Venezia 1591, pag.53.
99. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
100. Summonte, cit., pag.145 e pag.90 e segg.

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Editorial Review

Il primo moto insurrezionale del Sud, fomentato dall’idea di libertà lanciata dai Francesi, era stato quello dei fratelli Imperatore (1523), fallito nell’intento di togliere la Sicilia alla Spagna per consegnarla a Marcantonio Colonna. Soffocata la congiura, coi capi mandati alla tortura, le acque del Mare Inferiore si erano calmate per dieci anni, prima di alimentarsi nuovamente all’arrivo di Lautrec nel Regno di Napoli. Fallita la spedizione francese, durò a lungo la vendetta degli Spagnoli contro chi si era schierato a favore del nemico. Il conte Enrico di Venafro venne accerchiato nel suo castello da 300 cavalieri. Condotto a Napoli, sarà decapitato nel 1528. Il popolo abruzzese dell’Aquilano, stanco delle continue vessazioni giungerà alla rivolta (1528), soffocata (1529) dal Vicerè d’Orange, accampatosi presso Fossa con un esercito di 2.500 Lanzichenecchi. Arresasi, la città di Ocre, dovette sottostare al Tallione, ossia all’obbligo di dover pagare 120.000 ducati. Subì l’impoverimento proprio dai saccheggi contro cui si era ribellata non essendo in grado di pagare il riscatto, costretta a ricorrere al prestito di ricchi mercanti, tra cui Francesco Incuria ed Angelo Sauro, sfruttatori di molte popolazioni aquilane. A seguito della “invasione et occupatione del regno da Francesi” si era inasprito anche il rapporto con gli Ebrei, i quali, non avendo più il tempo necessario per il dialogo, “foro perseguitati et sachigiati et andaro dispersi che non posseano stare securi né fare loro industrie”; Summonte, cit., pag.84 e segg. Il Vicerè Don Pedro da Toledo arriverà ad emanare un editto (1533) per stabilire l’espulsione entro sei mesi per chi non si convertiva; in caso contrario comandava di emigrare a “maschuli et femine, piccholi et grandi, non exceptuandone alcuno”, minacciando di farli diventare schiavi con la confisca dei beni mobili ed immobili. Città e sudditi del Regno, che avevano necessità degli usurai ebrei per far fronte ai debiti contratti per il riscatto, non mancarono di protestare per difenderli, asserendo che dal 1520 essi campavano più “modestamente et subvenuto li populi in loro necessità”, grazie ad un primo compromesso, quando la delegazione delle giudecche pugliesi insieme ai proti della giudecca di Napoli, capitanata da Don Samuele Habravanel e dal procuratore Vitale di Maestro Iosep della giudecca di Giovinazzo, sottopose una proposta di accordo al Regio Collaterale Consiglio ai fini della permanenza nel Regno. www.comunediocre.it. Ocre stessa nel 1530 deve pagare a Francesco Incuria 1.600 ducati. Oltre alle conseguenze economiche appena descritte all’Aquila viene tolta la giurisdizione dei castelli del contado che vengono infeudati, e quello di Ocre viene concesso dal 1529 al 1554 per 250 scudi all’alfiere del Marchese del Guasto, Domingo Lopez d’Azpeitia; Summonte, cit., pag.84 e segg. Nel 1534 il viceré di Napoli don Pedro di Toledo conferma, per 20.000 ducati, la vendita del feudo concesso dal principe d’Orange, al barone d’Ocre Lopez d’Azpeitia dandogliene il possesso dei castelli, degli uomini, delle case, delle vigne, delle terre coltivate ed incolte, dei boschi, dei pascoli, dei forni, dei macelli, della caccia, delle acque, dei mulini, dei passaggi, dei pedaggi, delle fide, dell’imposizione di gabelle e dell’amministrazione della giustizia nelle cause di prima e seconda istanza; N.Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, Torino 1915; La presenza ebraica in Puglia, cit. Doc. N.43. Gli ebrei della giudecca di Bari nominano Vitale di maestro Iosep, abitante in Giovinazzo, loro procuratore con l’incarico di recarsi a Napoli e lì insieme con Samuel Habravanel e i proti della giudecca di Napoli, negoziare con il Vicerè o con il Regio Collaterale Consiglio le condizioni per la loro permanenza nel Regno di Napoli; Summonte, cit., pag.84 e segg.
73.Privilegii et capitoli, cit. Geronimo de Albertini è regio auditore provinciale di Capitanata e Comitato Molisio nel 1530. Nel 1535 il Marchese del Vasto è Principe di Salerno e Bisignano con Pedro de Toledo Viceré del Regno, Duca Dalve Conte di Benevento ed altri, Marchese del Vasto, Principe di Molfetta, Principe di Melfi, Duca di Gravina, Duca de la Tripalda, con “Sindaci delle provintie città & Terre demaniali, riuniti in San Lorenzo per il parlamento generale del Viceregno. Fra gli elettori da presentarsi in parlamento l’imperatore Carlo dové vistare anche una sentenza emessa dalla magna curia di cui faceva parte anche il milite consigliere regio Giacomo Antonio Cesarino di Civitate Nola e il magistro giustiziario Giovanni de Pascali e Martolomeo Maxus Vid e consigliere anch’egli davanti alla magna curia napoletana, sotto Alfonso d’Aganona de Piccolomini magister justizia, dux Amalfi e Marchio Capistrano e Celano nel 1338 e Comes Regio Cola. che sottoscrive l’atto.