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La nascita di Corrado, erede dei due regni
«Essendosi finalmente determinato l’Imperatore conferirsi in Gerusalemme, anche per assistere ai suoi interessi su quel Regno, parte da Napoli, correndo l’anno 1228 con la moglie Jolanta, e perviene in questa città di Andria. La Imperatrice trovavasi incinta da sette in otto mesi; e per qualche molestia da lei sofferta nel viaggio, qui repentinamente sorpresa dai dolori del parto, rende al figlio la luce».
La notte fra il 25 e il 26 aprile del 1228 nacque un bellissimo bambino al quale fu posto nome Corrado, unico figlio maschio di questo matrimonio dopo la morte prematura di Margherita. Per Federico II era l’erede designato, benché il rapporto con la sua Reginella sia stato molto contrastato e segnato dall’allontanamento volontario da quella che in realtà era poco più di una bambina, diventando madre per la seconda volta a 17 anni.
Ma Isabella seppe svolgere il suo ruolo di sposa prescelta e diede al mondo l’agognato erede, dopo la morte della prima creatura.
Gli fu posto il nome di Corrado perché sarebbe stato il successore del Regno d’Italia, nonché il titolare del reame di Gerusalemme, rifacendosi i titoli sia a Corrado Re d’Italia che a Corrado Alamarico. Nè mancherà il padre Federico di assumere egli stesso questo titolo nel 1229, in occasione della sesta crociata.
Corrado vivrà in curia per 7 anni, prima di lasciare l’Italia, mentre la madre non giungerà che a pochi giorni dal parto. «alla presenza di molti notabili del Regno, che erano stati convocati dall’imperatore per partecipare a una curia generale a Barletta. Il suo corpo venne sepolto nella cattedrale di Andria».
Purtroppo, proprio per la conseguenza del parto di Corrado. Non erano trascorsi che meno di dieci giorni, allorquando la giovane Regina spirò. Erano presenti alcuni familiari, la corte, già a Barletta per partecipare alla Curia generale indetta dall’Imperatore. Ne seguirono gli strazianti funerali di quel corpo così gracile che venne tumulato nella cattedrale. Andria sarà una città a cui Corrado sarà sempre legato, destinata a confermarsi nella storia vicaria del reame che diede i natali al nuovo Re.
«Federico restò molto penetrato da questo colpo acerbo; e tutta risentì l’amarezza dell’infortunio. Intanto percorrendo per queste strade il grido festoso della popolazione andriese all’arrivo di questa coppia imperiale, ad un tratto si arresta, e di quello invece scappa la voce del dolore. Tutti quesgli apparati, che ripetevano l’eco della letizia, si videro all’istante scambiati in luttuose gramaglie. Il gemito dei cittadini si afforza; e tutta la città è nella mestizia. L’Imperatore in posizione sì trista dividendo il suo cuore alle lagrime, ed alle tenerezze per figlio, ordinò che la fredda spoglia dell’oggetto dei suoi amori ricevesse tomba onorata nella Chiesa maggiore di essa Città; e tutto venne pomposamente eseguito. Egli ricevé caro questo tributo di lagrime degli andriesi, per altro non ingiustamente versate sull’avvezzito fiore di una giovane Imperatrice. Il comun lutto venne in parte rattemperato dalla presenza del neonato; il quale fu qui battezzato, e prese nel sagro fonte il nome di Corrado; che poi, come vedremo, successe ai domini del padre.
Correva allora la stagion ridente di primavera; poiché l’arrivo fu nel mese di marzo. Volendo l’afflitto Imperatore divagarsi, portossi a soggiornare nel Castello del Monte; e quivi per qualche tempo si divertì con la ciaccia. Ma giunto il mese di agosto, egli si condusse in Barletta, e lì convocò un solenne parlamento; e provvedendo alla successione del Regno, e dell’Impero, nel caso che fosse morto nella guerra, che andava ad intraprendere nella Soria a pro della Religione, insituì suo erede, e successore Arrigo come primogenito natogli da Costanza; in in sua mancanza il secondogenito Corrado, natogli in Andria dalla defunta Jolanta».
Federico II ora aveva altro a cui pensare, se non di adagiare la corona di Gerusalemme sul capo.
Il 29 settembre l’Imperatore fu scomunicato. «Federico scosso dal fulmine cerca giustiifcarsi, inviandogli in Roma in sua difesa gli arcivescovi di Reggio, di Bari, e Rinaldo Duca di Spoleto col conte Arrigo di Malta: ma fermo il pontefice nella sua determinazione gli risponde col ripetergli la scomunica nel giorno 11 novembre. Caduto allora egli in forte corruccio con la S.Sede, chiuse toalmente le orecchie alle sue voci; e ad onta che la censura gli venisse replicata la terza volta, ostinandosi nelle sue contumelie, si vide per conseguenza quel tristo quadro in questo emisfero, che con punti di compassione marchiano le istorie. Rimetto il leggitore alla storia del Regno, se ama conoscere quel lugubre spettacolo cagionato dalle due fazioni guelfa e ghibellina. Taluni opinarono essere apparse nel 1240 originare da Guelfo e da Ghibelin fratelli Alemanni in occasione delle discordie di Gregorio col nosro Federico. Ma propriamente come vuole il Muratori, vennero questi nomi di opposti partiti dalle gare continue della casa dei Duchi, ed Imperatori di Svevia, discendenti per parte di donne dalla casa Ghibellina, con la casa degli Estensi di Germania, discendenti anche per via di donne dagli antichi Guelfi. Quindi Federico come figlio di Arrigo VI di sangue Ghibellino, perché della linea di Filippo Duca di Svevia, era di origine Ghibellina. Onde a loro esempio avvenne, che quei popoli dichiarati a favore della S.Sede appellavansi Guelfi, e quelli a favore dell’Imperatore Ghibellini».73
Dopo avere così disposte le cose, conferitosi in Brindisi, di lì s’imbarcò per la Palestina nel giorno 11 agosto dello stesso anno 1229. Si dice che appena mise piede in Terrasanta si autoproclamò sovrano per via del titolo che apparteneva alla giovane erede. Isabella era sua moglie e lui diventava Re di Gerusalemme.
L’imperatore partì per l’Oriente per ripristinare i suoi diritti di sovrano del Regno di Cipro, ancor prima che gli fosse riconosciuto il titolo di Re di Gerusalemme in Siria. Ma è possibile che sia giunto a Gerusalemme come reggente per la minorità del figlio Corrado, la cui madre, erede del Regno, era appena morta.
Il suo status di imperatore così come i suoi diritti alla corona di Gerusalemme non necessitavano un ricorso alle corti di giustizia latine. Per Filippo da Novara, i signori di Siria, gli resero omaggio appena giunto ad Acri, senza richiedere una riunione della corte. A suo dire le leggi dell’Impero fissavano l’età di 25 anni anche per Cipro, in virtù della sovranità riconosciuta all’Imperatore e il re non poteva essere incoronato senza l’autorizzazione di Amaury de Lusignan, tantomeno l’incoronazione poteva avvenire per delega di uno dei suoi rappresentanti. Ma Filippo di Novara lascia nell’ombra l’età dell’Incoronazione di Gerusalemme, perché una regola fissa non sembra essere esistita. Baldovino III, per esempio, dopo la reggenza di sua madre, fu incoronato a 21 anni.
Il Libro al Re menziona l’età minima di 12 anni per l’incoronazione, mentre per la maggiore età era intorno ai 15 anni.
«Federico II, giunto l’anno 1229 in Palestina, entrò in Gerusalemme, e ne prese possesso il 17 marzo in virtù di un trattato fatto con Meledino, o Malek-Kamel, sultano di Egitto. Ma nel maggio susseguente egli se ne tornò in Europa, lasciando a governatore del paese Riccardo Felingher, di lui maresciallo. Questa fu una sciagura per la Palestina, giusta Sanuto, che accagiona quest’ ufficiale di aver seminata la discordia tra i baroni e colmata la misura di quel male che il suo padrone aveva cominciato a fare a Terra-Santa».
Per la pace in Oriente risolse la questione senza necessità della sesta crociata parlando direttamente col sultano d’Egitto Malik al Kamil, mandando su tutte le furie il pontefice. Tornato in Puglia avrebbe abbandonato l’idea del Regno di Andria, per continuare a scippare terre all’ex Marchesato. Fu quando fece crollare l’ultimo muro di Urbe S.Maria a San Giovanni in Lamis che potrà far nascere finalmente l’agognata capitale di Civitate Fiorentina.
Prima però risolse un conto rimasto in sospeso con l’ex suocero. Papa Gregorio IX chiamò Giovanni e lo invitò a capeggiare l’esercito delle truppe pontificie per disturbare la quiete nel Principato di Puglia, arrivando a occupare le terre dell’Imperatore già in sua assenza, dopo aver fomentato la maggior parte dei suoi baroni.
Federico II, rientrato in tutta fretta da Gerusalemme, ricostituì le sue legioni in tempi ristretti e, ripartendo da Capua, disperse le milizie pontificie, costringendo Giovanni nel continuare quella folle impresa che lui stesso aveva generato.
La carriera di Re Giovanni era finita. Non restò che rivolgersi alla schiera del partito costantinoplitano che mal aveva digerito la sudditanza a Gerusalemme.
Ecco perché, chiamato dai baroni dell’impero latino di Costantinopoli, per offrirgli la corona di reggente in cambio della mano della sua seconda figlia per Baldovino di Courtenay, al quale avrebbe promesso anche la successione, corse senza esitazione.
Entrato in Costantinopoli e stabilitosi nel Palazzo reale dal 1235, Giovanni, benché gli fosero rimaste poche truppe, riuscì a respingere i nemici che assediavano quella metropoli, a cominciare da Giovanni III Vatatze, imperatore di Nicea, e Ivan Asen II di Bulgaria.
In quegli anni, oltre l’impero latino, c’erano anche quelli di Nicea e di Bulgaria, il despotato d’Epiro e l’impero di Trebisonda.
Fu la sua ultima prodezza d’armi, per la quale i cronisti latini lo paragonarono a Ettore, Orlando e ai Maccabei, raggiungendo gli ottant’anni, prima di morire in gloria, ma senza più il lusso che aveva ereditato. Giovanni di Brienne morirà il 23 marzo 1237.
Quando tornò, ostacolato da tutti, riuscì a sbarcare fra gli onori della sola Andria che gli inviò 5 giovanni intellettuali e partì alla occupazione della Benevento papalina, perché Andria fedele, affezionata fino al midollo delle ossa, sempre pronta per alzarsi e vivere felice, senza più alcun peso, perché disse Federico II:
Andria fidelis, nostris affixa medullis abist,
quod Federicus sit tui muneris iners.
Andria vale felix omnisque gravamis expers.
E’ questa la frase incisa sull’arco della Porta di S.Andrea che la tradizione porta all’anno 1230. Conoscendo egli bene la storia della prima fondazione dell’urbe attribuita alla stella di Diomede generando Andria come una sorella, impartì ai beneventani la lezione e, ponendo loro al confronto la fedeltà degli andriesi, richiamò all’ubbidienza tutte le altre città, più coll’arte e con l’ingegno che con le armi.
«Partitosi adunque lo’mperatore tutto gioioso, lasciando loro pieni di gratie, & privileggi, andava rinfacciando alle altre Città, ch’al suo Imperio si mostravano ritrose, & commendando la gratitudine de gli Andriesi; & così diede volta a Benevento Città di Terra di lavoro, & per inganni, & per forza la prese, & sacheggiandola fè disfare tutte le muraglie, che la circondavano, & ivi nomava à lode la volontaria offerta de gli Andriesi con questi due Distichi, dicendo:
Andria tua Soror multo te prudentius egit
Quæ venit ad nos cum nostra Poemata legit:
Propterea incolumis permansit, inultaque Nobis
Quod ubi non erit multis implicita globis.78rifarsi una vita…
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