Scartoffie Beneventane 8. Fra Valle Beneventana Papalina e Principato Ultra

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CON DOCUMENTI INEDITI TRASCRITTI A MANO DAGLI ARCHIVIDI STATO, CITAZIONI E NOTE COMMENTATE

1. Alfredo Zazo, Benevento e la sua Provincia, da: “Studio per la valorizzazione agricola, lo sviluppo industriale e turistico della provincia di Benevento” a cura del Comune, Provincia, Camera Commercio e Ente per il Turismo di Benevento – Istituto di Rilevazioni Statistiche e di ricerca economica del Prof. Fausto Pitignani – Roma. ABETE – Roma, 1968. Capitolo Benevento Pontificia.
2. Don Alfonso de Guevara, sesto conte di Potenza, maritò sua figlia Beatrice ad Enrico di Loffredo, marchese di S. Agata e di Trevico, è così la città, che costituiva la dote nuziale, passò ai Loffredo che già vi erano stati signori in epoca normanna, prima dei Sanseverino. L’antico castello di cui oggi non resta che una sbocconcellata torre, fu da don Carlo Loffredo, figlio di Beatrice Guevara e di Enrico, trasformato in monastero.
3. Dal sito: http://www.sardimpex.com/varia/gransiniscalchi.htm. I Gran Siniscalchi del Regno di Sicilia e Napoli. Il Gran Siniscalco era la settima carica del Regno di Sicilia (poi di Napoli). Il suo ufficio aveva come compito quello di provvedere ai bisogni primari della corte (come ad esempio il vettovagliamento). Divenne ereditario nella famiglia de Guevara.

I Gran Siniscalchi del Regno di Sicilia e Napoli

Nome Anno di creazione
Riccardo del Conte Drogone

Regno di Ruggero II
Ugolino di Tocco 1195
Ruggero di Sangineto Conte di Corigliano 1269
Giovanni d’Appia (Jean d’Appie) 1292
Carlo della Leonessa 1302
Goffredo de Milliaco (Geoffroy de Milly) 1304
Ugo del Balzo Conte di Soleto 1308 e anni 1310/1311
Leone Regio
Regno di Roberto I
Roberto de Cabani Conte di Eboli 1345
Nicola Acciaioli Conte di Melfi 1348 e 1360
Cristoforo di Costanzo 1352
Angelo Acciaioli Conte di Melfi 1365
Marsilio da Carrara 1382
Salvatore Capece Zurlo

Regno di Ladislao I ante 1404
Gabriele Orsini Duca di Venosa 1409
Artuso Pappacoda 1410
Giovanni Scotto intruso, creato da Luigi

II Duca d’Angiò 1415 ca.

Pietro d’Andrea Conte di Troia 1415 ca.
Sergianni Caracciolo Duca di Venosa 1418
Enrico d’Anna 1425
Francesco d’Aquino Conte di Loreto 1438
Francesco Capece Zurlo Conte di Nocera 1442
Inigo de Guevara Marchese di Vasto 1444
Pietro de Guevara Marchese di Vasto 1470
Etienne de Vec Signore di Beaucaire 1501
Carlo de Guevara Conte di Potenza 1535
Alfonso de Guevara Conte di Potenza

Regno di Carlo V
Alfonso II de Guevara Conte di Potenza

Regno di Filippo II
Inigo I de Guevara Duca di Bovino 27-7-1584
Giovanni II de Guevara Duca di Bovino 1602
Carlo Antonio de Guevara Duca di Bovino 1631
Giovanni III de Guevara Duca di Bovino 1674
Carlo Antonio II de Guevara Duca di Bovino 1704
Inigo II de Guevara Duca di Bovino 1708
Giovanni Maria de Guevara Duca di Bovino 1748
Prospero Guevara Suardo Duca di Bovino 1778
Carlo Guevara Suardo Duca di Bovino 1799

4. Napoletani alla corte di Carlo VIII – Nuovi documenti francesi sull’impresa di Carlo VIII. In: Archivio storico per le province napoletane, Nuova Serie, 1938. La notizia che Le roy Ferrande a retenu des prisonniers le fils du prince de Salerne et le fils du prince de Roussane et le conte de Cousse è in una lettera di un soldato francese (21 febbraio 1495). L’episodio della distruzione di Apice è in Alfredo Zazo, Benevento e la sua Provincia, da: “Studio per la valorizzazione agricola, lo sviluppo industriale e turistico della provincia di Benevento” a cura del Comune, Provincia, Camera Commercio e Ente per il Turismo di Benevento – Istituto di Rilevazioni Statistiche e di ricerca economica del Prof. Fausto Pitignani – Roma. ABETE – Roma, 1968. Capitolo Benevento Pontificia.
5. O.Mastrojanni, Sommario degli atti della Cancelleria di Carlo VIII a Napoli. In: Archivio Storico per le Province Napoletane, Vol. XX, anno 1895.
6.Giuseppe De Rienzo, Notizie storiche sulla Miracolosa effigie di Maria SS. della Consolazione, precedute da un saggio istorico sulla terra di Paterno, Napoli 1821.
7. O.Mastrojanni, Sommario degli atti della Cancelleria di Carlo VIII a Napoli. In: Archivio Storico per le Province Napoletane, Vol. XX, anno 1895.
8. V. Storia di S.Giovanni Rotondi (Fg). Non è chiaro quando e perchè nacquero ufficialmente i Principati Ulteriore e Citeriore (Montefusco e Salerno), trasformatisi in Principato Ultra e Citra. In ogni caso la Capitanata resisterà ancora sotto Carlo di Borbone ma avrà inizio con Montaguto (cfr. www.onciari.net.), oggi ultimo paese della provincia di Avellino in direzione di Foggia.
Franco Vercillo, Grimaldi: riti e tradizioni religiose, brevi cenni storici del paese. Sul Vicerè delle Calabrie, il Vercillo trascrive uno scritto “compilato da Notar Giovane Yacoe di Filippo di Grimaldo nello anno 1671 copiato da verbo ad verbum, solo ha variato alcune date di anni che per errore de’ copisti erano falsificate, ed altre poche parole, nelle quali si era preso abbaglio, o dalla Autore, o da copisti”.
Egli riporta che “E così il Regno di Napoli passò agli Aragonesi. Questi bensì venuti dal Regno avevano prima di questo anno occupati molti luoghi per mezzo di valorosi Capitani del Re Alfonso; del quale un Capitano Antonio Ventimiglia e Conte e Centeglia creato suo vicerè nelle Calabrie, avea ridotto alla obbedienza del re di Aragona la Città di Cosenza, e suoi Casali, fra quali Grimaldo ancora, perché questo Ventimiglia era in Cosenza a 15 Maggio 1441”.
9. Da www.cittadicapua.it
10. Can. Francesco D’Elia, Origini e vicende dalla chiesa e del comune di Sannicola, Tipografia “La Sociale”, Gallipoli 1913 (Ristampa anastatica Edizioni Salentina, Galatina 1987).
11. G.Coniglio, I vicerè spagnoli di Napoli, Napoli, Fiorentino 1967.
12. Napoletani alla corte di Carlo VIII – Nuovi documenti francesi sull’impresa di Carlo VIII. In: Archivio storico per le province napoletane, Nuova Serie, 1938.
13. Bartolomeo Ravenna, Memorie istoriche della città di Gallipoli, Napoli 1836 (Ristampa anastatica Forni ed. 1984), Cap.IV. Il patto scritto di Consalvo fu chiaro. Al primo articolo si concedeva a tutti i cittadini l’indulto generale “per tutti i delitti commessi nella presente guerra”, al secondo “che tutte le grazie contenute nè privilegi, patenti, capitali, lettere e scritture di Gallipoli restassero confirmate, al pari degli usi e statuti” e, al terzo, “che fossero rifatti ai Gallipolitani tutti i danni ricevuti in quella guerra”. Consalvo sottolieò come i pugliesi fossero liberi dagli Aragonesi o da chiuque straniero vantasse soldi (7°) in quanto non potevano essere molestati “dai creditori forestieri per lo spazio di 3 anni” e che (12°) “li Baroni sieno costretti et obbligati restituire alli cittadini Gallipolitani tutti li loro beni cosi mobili come stabili, che si trovassero nelli loro luoghi”, così (14°) “li beni degli Ebrei cittadini sieno restituiti dai detentori, che indebitamente l’hanno occupati”, concludendo (15°) “che sieno confirmati nelli loro uffici cosi li Dohaneri, come Giudici, Notari, et tutte l’altre persone privilegiate”.
14.Da www.cittadicapua.it. Un Anonimo autore racconta che la sera dopo aver vinto la prima sfida, il Gran Capitano Consalvo da Cordova, diede banchetto all’Osteria di Veleno o alla Cantina del Sole, nel basso di un Palazzo confiscato divenuto quartier generale di Don Diego, ammettendo al tavolo anche i cavalieri francesi fatti prigionieri.
La Motte non mancò di far ricadere le colpe della guerra sulla codardìa degli Italiani, difesi da Inigo Lopez y Ayala, il quale li avrebbe lanciati in disfida, forse su suggerimento di Consalvo per ingraziarsi la simpatia degli Spagnoli o per misurare le forze. Prospero e Fabrizio Colonna la raccolsero suggerendo di chiamare il Capitano di ventura Ettore Fieramosca da Capua per formare una compagine fra i combattenti più coraggiosi. Nel gennaio del 1502, i Francesi gli avevano sequestrato la rendita della gabella nuova di Capua ed i feudi di Rocca d’Evandro e di Camino. Questi avrebbe accettato volentieri un combattimento essendo già al servizio di Prospero e Fabrizio Colonna, e mostrato il suo valore, in aprile, nella battaglia di Cerignola, al fianco di Andrea da Capua. A combattere i 13 cavalieri Francesi sarebbero stati altrettanti 13 valorosi scelti nelle compagnie dei Colonna: Il Fieramosca, Giovanni Capoccio, Giovanni Bracalone, Ettore Giovenale, Marco Casellaro, Mariano Abignente, Romanello da Forlì, Ludovico Abenavolo, Francesco Salamoni, Guglielmo Albimonte, Miale da Troia, Riccio da Parma e Fanfulla da Lodi.
Ne è testimone lo scambio di lettere tra Fieramosca e il Cavaliere Monsieur de La Motte, per programmare il combattimento con scrupolo e puntiglio, stabilendo la somma di 100 corone a fronte del riscatto dei prigionieri e prendendo parte al duello contro gli undici cavalieri estratti a sorte sul campo. Dopo qualche giorno i Francesi si presentarono sotto le mura di Barletta e sfidano gli avversari: ne escono alcune compagnie di fanti rafforzati dai cavalli dei Colonna, fra i quali vi è anche il Fieramosca: gli avversari lasciano sul campo parecchie vittime ed alcuni prigionieri con il La Motta.
15. Da: www.disfidadibarletta.net, Carmen Palmiotta. I vincitori furono tutti armati Cavalieri da Consalvo di Cordoba, uscito rafforzato e pronto a scontrarsi in altre battaglie coi Francesi, come quella di Cerignola, seguito da una battaglia navale favorevole che permise di far giungere viveri a Barletta, mentre la Repubblica di San Marco inviava armi e vestiario.
Il 23 febbraio Consalvo, con la tecnica dell’agguato, attaccò Ruvo e, dopo 4 ore di bombardamenti, prese la città portando con sè a Barletta 150 lance e 800 fanti, ed altre 50 lance giunte in soccorso.
I Francesi sembravano non reggere il colpo dovendo inviare altre 50 lance in Calabria per difendere il porto di Reggio dallo sbarco di altri Spagnoli, il cui esercito integrò 2000 Lanzichenecchi mandati dell’Imperatore Massimiliano (1459-1519), succeduto a Federico III d’Asburgo (1415-1493) per pareggiare i conti.
Le cose non andarono diversamente in Calabria, dove i Francesi di Monsignor d’Aubigny, stabilito presidio a Gioja Tauro, vennero a battaglia in Seminara.
Re Ferdinando mosse dalla Sicilia in aiuto del luogotenente inviandogli il capitano genovese Puerto Carrero, cognato di Consalvo, il quale morirà dopo lo sbarco a Reggio. Petrace si diresse verso Gioja nella speranza di cogliere di sorpresa il drappello spagnolo che vi si dirigeva e da dove poi egli, sosteneva, avrebbe potuto condurre vittoriosamente la battaglia perchè il territorio era pianeggiante.
Il 14 aprile 1503 gli Spagnoli mossero verso Gioja facendo scappare il nemico.
16.Da www.cittadicapua.it. Nell’oltrepassare il fiume Consalvo fece riempire d’acqua le otri, per affrontare la calura, cercando ristoro anche nelle ferule presenti in gran numero dove, facendosi scorgere dalle spie del nemico. Avvisato il D’Armagnac dell’esercito in marcia sulla strada di Canosa, i Francesi allarmarono i picchieri svizzeri pronti ad affrontare il nemico in campo aperto, con le lunghe picche di sei metri usate a due mani per essere utilizzate fra le prime file dell’esercito per abbattere la cavalleria.
Un serpentone di 7000 uomini in di guerra a cui andavano in contro i Francesi, partitisi da Canosa in direzione di Cerignola seguendo il tratto dell’Ofanto.
Prospero e Fabrizio Colonna, rispettivamente braccio armato e guida di Consalvo, scelsero di schierare l’esercito, fra i vigneti sui colli di Cerignola, nascondendo un fossato a mo’ di trincea. I Francesi anticiparono l’arrivo a colpi di cannone e spingarda poco prima del tramonto, decidendo di attaccare la fanteria con la tattica dell’arma bianca, mentre gli Spagnoli, puntarono sul fuoco diretto di fanteria, cavalleria e archibugieri.
L’avanguardia francese s’apre un varco fra le artiglierie che si fronteggiano a salve, stoppata però dal fossato e dalla susseguente scarica degli archibugieri della seconda fila. Trovando difficoltà a raggirare l’ostacolo nel buio, D’Armagnac venne colpito a morte, mentre avanzavano a quadrato le picche svizzere. Trovarono anch’esse il passo sbarrato dal fossato. Gli Spagnoli si spostarono verso i lati lasciando il passo ai Lanzichenecchi, lasciando che la cavalleria spagnola varcasse il passo stabilito del fossato per l’annientamento finale quando anche Consalvo, con le sue 400 lance, attacca da fianco e i fanti, organizzati dai ginetti, stringono dall’altro fianco. A terra, nel complesso, vi furono migliaia di caduti in quella zona che verrà chiamata Tomba dei Galli, là dove verrà eretta la chiesa del Padreterno intitolata a S.Maria delle Grazie. Sarà possibile contarli solo all’alba quando Consalvo ne ordinò la sepoltura.
17. Pietro P. Vissicchio, GIOJA TAURO, Vicende storiche cittadine da Metauros ad oggi, Edizioni -Club Ausonia . Il 2 dicembre 1515 Consalvo moriva e (non avendo avuto figli maschi) gli successe la figlia Elena nell’eredità dei feudi di Gioja, Terranova, San Giorgio e Pollistrine.
18. Questo l’elenco dei Vicerè di Napoli
Luogotenenza dei Francesi:
1. Luigi D’Armagnac, Duca di Nemours (1502-1503);
– Luogotenenza degli Spagnoli:
1. Consalvo di Cordova, Duca di Calabria (1501-1507);
2. Giovanni d’Aragona, Conte di Ripacorsa (1507-1508);
3. Alberto Ramon, Conte di Cardona (1508-1522);
4. Carlo di Lannoy, Signore di Maingoval (1522);
5. Andrea Carafa, Conte di S.Severina (1524);
6. Hugo de Moncada (1527-1528);
7. Filiberto di Chalon, Principe d’Orange (1528-3.8.1530);
8. Cardinale Pompeo Colonna (1530-1532);
9. Pedro de Toledo, Marchese di Villafranca (1532-1553);
10. Cardinale Pedro Pacheco, luogotenente delegato pontificio (1553);
11. Bernardo de Mendoza (1555);
12. Fernando Alvarez de Toledo, Duca d’Alba (1556-1558);
13. Federico de Toledo, Duca d’Alba (1558).
19. Biblioteca Comunale “Renato Fucini” di Empoli (Fi), Catalogo delle edizioni del Cinquecento. Paolo Giovio, La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il gran capitano / scritta per mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera & tradotta per m. Lodovico Domenichi. – In Fiorenza : appresso Lorenzo Torrentino, impressor ducale, del mese di novembre 1552.
20. Da: www.comune.polistena.rc.it Francesco Bellati, Serie de’ governatori di Milano dall’anno 1535 al 1776 con istoriche annotazioni (Ferrante Gonzaga), GR Malatesta, Milano 1776. Cesare de Negri, Le gratie d’amore di Cesare de Negri milanese detto Il Trombone, maestro di ballare, Milano 1602/1604. Trattato Primo, Dove si contengono i nomi de più famosi Ballarini che fiorirono al tempo dell’Autore, i luoghi è grandi personaggi, dove,& dinanzi à quali ha l’Auttore Ballato, Cap.II, Luoghi e gran personaggi, dove, e dinanzi à quali hà l’auttore ballato. Egli così scrive: “La prima volta ch’io entrassi giamai à ballare in luogo degno di memoria fù alla presenza dell’Illustrissimo Signor Cardinale di Trento, dapoi dell’Eccellentissimo Signor Duca d’Alva, & dell’Eccellentissimo Signor Don Giovanni di Figaroa, mentre che erano questi Prencipi al governo di Milano, è per non far confusione de’nomi, spiegherò ad uno ad uno questi gran personaggi. Hò ballato alla presenza dell’Eccellentissimo Signor Duca di Sessa mio Signore, & padrone”.
21. Da www.cittadicapua.it
22. Da: www.geocities.com, N.Garofalo, La Grande Napoli. Il 14 maggio del 1507, partiti per Madrid, relegò il Gran Capitano a Granada, dove morì il 2 dicembre del 1515.
23. G.Caniglia, M.Pagliarone, T.Martorella, Bomba e dintorni – Itinerari storico-naturalistici in provincia di Chieti, Marino Solfanelli Editore.
24. L’investitura della Contea di Matera l’aveva avuta il 1 ottobre 1497 Re Ferdinando II, detto Ferrandino, figlio di Alfonso II e succeduto a Ferdinando I, l’investitura della Contea della Città regia di Matera. Tramontano, indebitato fino al collo, raggiungerà il suo scopo solo quando il Re andrà via col Vicerè, “convincendo” il nuovo luogotenente, arrivando a chiedere 24.000 ducati per saldare il debito che aveva con il catalano Paolo Tolosa. qualche anno dopo, stanchi delle gabelle, i materani lo uccisero in un agguato (1514) dietro il Palazzo. Fu denudato e colpito con le alabarde sottratte ai suoi stessi uomini con l’infamante accusa di aver ripristinato lo jus primae noctis.Per ripristinare l’ordine fu mandato a Matera il Commissario regio Giovanni Villani, il quale fece impiccare quattro giovani, altri si riscattarono per 2.000 ducati. Villani si trovò di fronte una situazione così ingarbugliata che trovò spunto per scrivere la famosa commedia “Il Conte di Matera”. L’amministrazione comunale fu accusata di aver promosso la sommossa e invitata ad un’ammenda di 10.000 ducati, annullata su richiesta del sindaco Berlingerio De Zaffaris, il quale, il 22 giugno del 1515, spedì il notaio Franciscum Groia dal Re Ferdinando d’Aragona ottenendo l’agognato indulto generale.
25. S.Loffredo, Storia della città di Barletta, Vol.II, Trani 1893, p. 520.
26.ASNA, Inventario n.16, Regia Camera della Sommaria, Spoglio delle Significatorie ei Relevi (Apice), Pag.11, tergo, libro I, Principato Ultra, Apice.
27. Notar Giacomo, Cronaca di Napoli, Stamperia Reale, Napoli 1845. G. Cioffari e M. Schiralli, Il libro rosso della Università di Trani, Levante, Bari 1995. Vedasi il doc. N.26: “Item se supplica ad esso ill.mo es.or che li judei non possano astrengere li citadini et homini de quella et farli satisfare quello devono conseguire per li pigni hanno restituiti in li jorni proximi passati per spacio de cinque anni non obstante qualsevoglia promissione facta a dicti judei per li predicti, etiam medio juramento firmata: et questo circa la sorte ma che la usura li sia remessa. Placet ill.mo D.mo Pro Regi concedere dilationem eo modo et forma in debitis dictorum judeorum pro ut in precedenti capitulo continetur et quod interim durante dilatione non teneantur ad usuras”. Cfr. E. Pindinelli, Appunti e spunti sulla antica fontana di Gallipoli.
28. M.Sanudo, Diarii, III, Venezia 1902, pp. 886, 1439, 1474.
29. R. Cotroneo, Gli ebrei della giudecca di Reggio Calabria, in “Rivista storica calabrese”, XI, Sez. III, Novembre / Dicembre 1903.
30. D.Andreotti, Privilegi et capitoli della città dei Cosenza, II, Napoli 1869.
31. F.P.Volpe, Esposizione di talune iscrizioni esistenti in Matera e delle vicende degli ebrei nel nostro reame, Napoli 1844, p. 26.
32. Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, IV. In Ferorelli: “Da poj la pubblicacione de la regia pragmatica et expulsione de li judei del presente Regno remasto in la cità de Napoli con mogliere figliuoli cognata et fameglia conguidatico et salvi conducto facto per lo ill.mo don Rajmundo de Cardona vicerè et lo cuntenente generale”, ottenne con salvacondotto del 30 giugno 1512 per “li multi servicii” prestati e che “de continuo presta a la Regia Corte et per certi altri respecti” di potere con tutti i parenti e famigliari “stare in la presente cità de Napoli et Regno senza incorrere in pena alcuna et gaudere li privilegii et prerogative che gaudavano li iudei de quisto Regno in tempo de li rettori de casa de Aragona et andar fora del Regno, tornare et stare”.
33. L.Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892.
34. G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939. Appendice doc., Doc. N.27.
35. V. Vitale, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, Vecchi, Bari 1912.
36. C.Colafemmina, P.Corsi, G.Di Benedetto (a cura di), La presenza ebraica in Puglia fonti documentarie e bibliografiche, Bari 1982. Archivio di Stato di Bari, Sezione A.S.Trani, Atti notarili, Notaio Carissimo de Adiutorio.
37. Summo, cit.: “Mel de Belloinfante sacerdote ebraico, Giuseppe de Eleazer, Angelo Ziego, Daniel Ziego, Sabajus di Angelo de Trani ebrei dichiarano nella curia episcopale di Bitonto pretendono dovere esigere e conseguire dagli ebrei di qualsivogliano terre e città e luoghi conferentisi alle Mundine di S. Leone di Bitonto una gabella di grana 18 per ogni oncia di loro negozii e cose mencantili di qualunque sorte e maniera con grave pregiudizio dei privilegi alla detta Badia di S. Leone di Bitonto che esso nel detto nome e proprie spese dovesse andare a Roma e supplicare il Pontefice che detti ebrei non potessero più essere vessati sulla detta gabella dalla detta Vescovile Curia e tale causa spedisse in forma di Breve. Promettono dare al detto abate D. 16 se farà liberare con una definitiva sentenza essi e tutti gli altri ebrei dalla gravezza di tale gabella”.
38. N.Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, Torino 1915.
39. La presenza ebraica in Puglia, cit. Doc. N.43. Gli ebrei della giudecca di Bari nominano Vitale di maestro Iosep, abitante in Giovinazzo, loro procuratore con l’incarico di recarsi a Napoli e lì insieme con Samuel Habravanel e i proti della giudecca di Napoli, negoziare con il Vicerè o con il Regio Collaterale Consiglio le condizioni per la loro permanenza nel Regno di Napoli.
40. Ferorelli, cit.
41. Volpe, cit.
42. Da: www.ofmcappuccininapoli.it/mainconv2.htm, V. Apice: Nell’Archidiocesi di Benevento. Il luogo fu preso l’anno 1535 dal P. Ludovico da Fossombrone, allora Vicario generale dell’Ordine. La chiesa fu dedicata a Sant’ Antonio da Padova, di cui v’è una prodigiosa immagine dipinta su legno. Fu devastato dal sisma del 5 giugno 1688 nella vigilia di Pentecoste e ricostruito daccapo. I nostri frati lasciarono questo luogo il 1866 per la legge di soppressione. Vi ritornarono dopo 72 anni, il 27 dicembre 1938, per l’opera del tenace podestà di Apice il dott. Ettore Perriello e del Provinciale P. Gennaro da Pozzuoli. Di nuovo gravemente danneggiato dal sisma del 21/22 agosto 1962, è stato abbattuto perché pericolante e ricostruito daccapo. La chiesa, dedicata a Sant’Antonio e meta di pellegrinaggi del vasto circondario, ha resistito abbastanza bene al sisma del 1962 ed anche a quello ultimo del novembre 1980. La Fraternità offre a singoli o a gruppi per qualche giorno, o solamente per poche ore, la possibilità di vivere una esperienza spirituale nella quiete del convento. Indirizzo: Convento FF. Cappuccini. Santuario Sant’Antonio 82021 – APICE (BN). Tel. 0824/92.00.52. V.anche la voce “Approfondisci”, Apice – 1535:
Tra il fiume Calore e una cresta di alberi sempreverdi e fruttiferi, nel 1535 Innico di Guevara – feudatario zonale – volle impiantare un convento di Cappuccini, il terzo nella storia della Provincia, dopo Napoli e Rotondi. Il terreno, appartenente all’Abate Giovanni De Vita, fu acquistato coi soldi del feudatario, forse per devozione verso Sant’Antonio da Padova, al quale fu dedicata la chiesa, mentre il convento sembra sia stato edificato col concorso popolare. Un’antica tradizione attesta che il fondatore dell’Ordine Francescano – il Santo di Assisi – passò per Apice, vi operò almeno un miracolo, e vi lasciò un ricordo indelebile, poiché fu costruito sul posto un convento a lui dedicato, e andato distrutto – forse da qualche terremoto – prima che vi giungessero i Cappuccini.
Risolto nel 1588 il ricorso dei parenti dell’Abate circa la legalità della comprovendita del terreno, nel 1650 si ritenne opportuno circondarlo di mura, a protezione dei 10 frati ivi dimoranti. Nonostante il terribile terremoto della vigilia di pentecoste del 1688, che apportò rilevanti danni alla struttura conventuale, i Frati restarono a custodire il santuario fino alla soppressione napoleonica, all’inizio dell’Ottocento. Nel 1809 i militari presero il posto dei Religiosi. Dopo oltre un secolo, falliti alcuni tentativi precedenti, i Cappuccini tornarono ad Apice il 27 dicembre 1938. Pochi anni dopo – nel 1962 – una scossa tellurica rese inabitabile la struttura conventuale. E così la scossa del 1981. Ma la tenacia dei Frati, la devozione popolare e il concorso economico dello Stato ne hanno consentito la ricostruzione per il bene delle anime.
Sotto il coro riposa dal 1571 un devoto chierico di nome Fra Bernardino, nativo di Sessa Aurunca, il quale, morendo, vide una processione di Frati seguita da San Francesco, che portava tra le mani un libro, su cui era scritto il suo nome. Agli astanti, il Santo disse: “In pace in idipsum dormiam et requiescam” (in lui dormirò e riposerò in pace).
43. Don Domenico lo fece erigere su un suo terreno facendovi ricoverare i Padri Francescani Riformati con la concessione della Santa Sede nel 1712. Qui resistono la Cisterna centrale e il Porticato sottostante gli ambienti superiori che affacciano nel Chiostro francescano. Da vedere il bellissimo coro settecentesco e la cantoria in legno dorato opera di artisti locali. Fu completata nel 1790, invece, la Chiesa del Convento di Sant’Antonio, all’ingresso del paese, con la facciata in stile barocco, che conserva tele e arredi liturgici. All’interno sono ancora visibili alcune cappelle votive, anche un coro ligneo del 1700, un pulpito intagliato del 1800 e varie statue lignere, fra cui quelle raffiguranti San Francesco di Paola. In questo Convento fu sepolto Federico Cassitto l’11 settembre 1837.
44. V. CDV, cit. Sulla nuova San Giovanni a Marcopio fondata in territorio di San Giorgio la Montagna solo dopo la distruzione di San Giovanni a Marcopio di Apice nel 1347 V. notizie in merito alla Pianta di San Gennaro di Terranova del 1718 presso la Biblioteca Nazionale di Loreto di Mercogliano (Scaffale 1273, Busta 559, Fascicolo 3).
45. V. Cronaca Franciscanorum, cit. Rao di Balbano, fedele alla causa imperiale, la sostenne sempre, godendo della fiducia di Federico II, il quale spesso si recava dalla sua abituale residenza di Melfi, a cacciare nelle terre di Balvano. Giustiziere nel 1227-28, accorse prontamente nel 1229 presso Montecassino per fronteggiare le truppe guelfe, che si accingevano ad invadere il regno dopo la rottura dei rapporti tra Gregorio IX e Federico II sul problema della crociata. Il 28 aprile 1240 Rao di Balbano è ricordato come morto senza eredi in una lettera di Federico II. Si estinse così il secondo ramo della famiglia feudale dei Balbano.
46. Ivi
47. V. Pacichelli, cit.
48. Ivi.
49. LXIX, DE CONVENTIBUS ORDINIS EREM. S. P. AUGUSTINI AB ANNO 1450 USQUE AD AN. 1500. Da: www.cassiciaco.it/ita/001ago/Agostiniani/storia/storici/crusenio/crusenio_69.htm, “Conventus Apicis (di Apez) in dioecesi Beneventana, et Principatu ulteriori tit. S. Joannis an. 1465 spectabat ad Congregationem S. Joannis de Carbonara”.
50. Ivi.
51. Da www.cittadicapua.it. Ettore Fieramosca morì nel gennaio del 1515 a Valladolid.
52. P.Verri, Di Francesco I Re di Francia e il suo governo nel Ducato di Milano, Cap.XXII, “Storia di Milano” – Continuazione di Pietro Custodi, Vol.II, Ed. Sansoni, Firenze, 1963. Brantome lo considerò trop sévère et mal propre pour un tel gouvernement aggiungendo che il n’y estoit bon. Gaillard disse che fu ben lontano dalla clemenza della madre. Forse fu esattamente come il suo Re dalla “cattiva indole”.
53. Giuseppe Gerosa Brichetto, La Battaglia di Marignano, uomini e tempi delle calate dei francesi sul ducato di Milano, Milano, 1965. La Contessa, a dire di Brantome, era “une très belle et honeste dame que le Roy aimoit, et fasoit son Mary cocu”. A quei bei tempi d’oro, scrive Gerosa Brichetto, “l’adulterio con un Re o con un principe di sangue reale non era una macchia, ma un ornamento di famiglia, per cui anche le donne oneste potevano sacrificarvisi come grazioso gesto di devozione alla corona. Così non l’intese quel tal marito tradito, che a detta di alcuni storici volendo vendicarsi dell’oltraggio patito, prese il “mal franzese”, ne contagiò la moglie, la quale a sua volta ignara lo trasmise al Re Francesco I che ne soffrì ben bene tutta la vita e pare anche che fu causa della sua morte prematura”.
54. Raffaele Inganni, Origini e vicende dellaCappella Espiatoria Francesea Zivido, presso Melegnano (1515-1606), Milano 1639, Stabilimento Tipografico Ditta Giacomo Agnelli, nell’orfanotrofio Maschile, Milano 1889.
55. “Se Odetto fece questo”, scriveva Vettori, “o permesse con volontà del Re o no, io non ardirei scrivere, perché Francesco affermava non ne avere inteso cosa alcuna et io non posso, né debbo, né voglio non prestare fede alle parole di un tanto Re. Vennono dunque Federigo e Francesco Maria con detto essercito in Ferrarese, e quivi, con qualche favore del Duca, passorono il Po et erono già in Romagna quando a Roma se ne ebbe notizia vera”. Francesco Vettori, Scritti storici e politici, a cura di Enrico Niccolini, Giuseppe Laterza & figli tipografi Editori Librai, Bari 1972.
56. P. Verri, Di Francesco I Re di Francia e il suo governo nel Ducato di Milano, Cap.XXII, “Storia di Milano” – Continuazione di Pietro Custodi, Vol.II, Ed. Sansoni, Firenze, 1963. Brantome lo considerò trop sévère et mal propre pour un tel gouvernement aggiungendo che il n’y estoit bon. Gaillard disse che fu ben lontano dalla clemenza della madre. Forse fu esattamente come il suo Re dalla “cattiva indole”.
57. F.Belotti – G.L.Margheriti, Come un colpo di bombarda distrusse la torre. In: Corsera, 7 luglio 2003.
58. Da: www.arenzanotracieloemare.it. Il castello della Bicocca di Arenzano è tra Lodi e Milano. Qui, i Francesi agli ordini di Odetto de Foix, Visconte di Lautrec, Governatore di Lombardia per Francesco I, subirono una terribile sconfitta il 22 Aprile 1522 da parte degli Imperiali (Spagnoli, Tedeschi, Italiani) guidati da Prospero Colonna.
59. Ocre (Aq). www.comunediocre.it. Dal 1520 in poi tutto l’aquilano viene sconvolto dagli scontri tra gli eserciti di Carlo V e Francesco I. I vari eserciti di passaggio saccheggiano la città ed il contado.
60. Leonardo Santoro, Dei successi del sacco di Roma e guerra del Regno di Napoli sotto Lautrech, Napoli 1858. Questi fa soprattutto la cronaca degli avvenimenti di Caserta, come ricordato al sito www.regionecampania.org/comuni/settori/notizieStoriche: “Andrea Matteo Acquaviva si era reso protagonista anche di fatti politici di rilievo. In particolare, in contrasto con il fratello Belisario schierato con gli Spagnoli, viene ricordata la sua posizione a favore dei Francesi nelle contese tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII. Seppur sconfitto, Andrea Matteo si schierò, contro Carlo V, nuovamente con i Francesi di Francesco I, che, guidati dal Lautrec (1528), misero in atto un fallito tentativo di impadronirsi della città. Un’importante testimonianza al riguardo è costituita dalla cronaca di Leonardo Santoro, che era stato incaricato dal conte di consegnare le chiavi della città al Lautrec. A Santoro si deve anche una descrizione della città, che risulta cinta da doppie mura, dotata di quaranta torri, un grande Castello con dieci torri e l’imponente torrione voluto da Federico II con un ponte levatoio di accesso. Con la nuova sconfitta di Andrea Matteo, che morì l’anno successivo, gli Acquaviva persero Caserta. La famiglia vi rientrò in possesso per via traversa giacché il nipote di Andrea Matteo, Giulio Antonio, aveva sposato Anna Gambacorta, ultima erede dei Della Ratta cui il feudo fu rivenduto nel 1533 per concessione di Don Pedro de Toledo”.
61. L.Santoro, Dei successi, cit. Sulla Diocesi di Montefusco V. Inguarez, Mattei Ceroselli, Sell., Rationes decimarum Italiae – Campania, pag.322). Su Venticano V. l’opuscolo di Addonizio e Montevergine Sagro del Mastrullo: Il Casale di Venticano, abbandonato il feudo naturale di San Martino, rinasce nel 1300 intorno alla nuova S.Maria sita dove oggi sorge la chiesa parrocchiale. Fra i pochi che nel corso degli anni si sono ricordati di citare l’antica abbazia di S.Maria in Venticano v’è il sacerdote Pasquale Addonizio che, nel 1925, pubblicò l’opuscolo: “Origine storica di Campanariello, memoriale della proprietà e rendite della Chiesa Badiale di S.Maria di Venticano” stampato in Materdomini dalla tipografia “S.Gerardo Majella”. Giunta nelle mani di Montevergine l’allora abate Guglielmo IV vi edificò un monastero con la grande chiesa di S.Maria dove fece dipingerà la Beata Vergine fra S.Benedetto e S.Guglielmo, mentre fece apporre lo stemma della signoria verginiana nella trave della chiesa e dell’osteria dove si esigeva il passo, come si legge in uno scritto (Monte Vergine Sagro, Napoli 1663). A quanto si è appreso dalle fonti verginiane, però, sulle notizie della distruzione e riedificazione di Venticano intorno ad una nuova chiesa, l’Addonizio si sarebbe rifatto al Mastrullo, che a sua volta avrebbe attinto cenni dal Giustiniani (Dizionario del Regno di Napoli, V, IV, pag.202). Così scrive il Mastrullo: “Pervenuto, che fu detto Casale di Venticano, sotto il dominio dell’Abbate di Monte Vergine, che fu dell’hora, era Guglielmo IV, subito si ritornò à riedificare dalli medesimi vassalli, ch’erano fuggiti per le guerr in diversi luoghi, & erano ritornati per goder li privilegi di Monte Vergine. Quindi dall’abbate Guglielmo, per mostrar il Dominio, & il possesso del suo Monasterio di Monte Vergine, esiggersi il passo, fè porrer l’Arme della Religione in quella Casa, ò Hosteria, dalla quale si esiggeva; e dell’Arme fin à giorni nostri, vi sono state vite attaccate in quella medesima Casa, ò Hosteria della quale al presente si esigge. In mezzo di detto Casale, l’Abbate Guglielmo, vi fabbricò un Monasterio per li monaci, & una chiesa grande, sotto il titolo di S.Maria, nlla cui porta fè porrere l’Arme della Religione, come si son viste, e nella cone della B.Vergine ì fè dipingere San Benedetto da una parte, e San Guglielmo dall’altra, conforme anche al presente si vedono in detta chiesa. Il Monasterio poi, sempre fu governato sotto il titolo di Abbadia”.
62. V. AA.VV., Apice: il Castello, i Feudi, le Chiese, Abedizioni 2005. Note capitolo Sesto.
63. Cfr. L.Santoro, Dei successi, cit. Cfr. Leonardo Santoro, La spedizione di Lautrec nel regno di Napoli, Pubblicazione della Società di Storia Patria per la Puglia, Congedo Edizioni, Galatina 1972.
64. L.Santoro, Dei successi, cit.
65. L.Santoro, Dei successi, cit.
66. L.Santoro, Dei successi, cit.
67. L.Santoro, Dei successi, cit.
68. L.Santoro, Dei successi, cit.
69. L.Santoro, Dei successi, cit.
70. Giuseppe Caniglia, Marilena Pagliarone, Teresa Martorella, Bomba e dintorni – Itinerari storico-naturalistici in provincia di Chieti, Marino Solfanelli Editore. Cfr. Alfredo Zazo, Benevento e la sua Provincia, da: “Studio per la valorizzazione agricola, lo sviluppo industriale e turistico della provincia di Benevento” a cura del Comune, Provincia, Camera Commercio e Ente per il Turismo di Benevento – Istituto di Rilevazioni Statistiche e di ricerca economica del Prof. Fausto Pitignani – Roma. ABETE – Roma, 1968. Capitolo Benevento Pontificia. Su Ocre (Aq) V. www.comunediocre.it. Ocre stessa nel 1530 deve pagare a Francesco Incuria 1.600 ducati. Oltre alle conseguenze economiche appena descritte all’Aquila viene tolta la giurisdizione dei castelli del contado che vengono infeudati, e quello di Ocre viene concesso dal 1529 al 1554 per 250 scudi all’alfiere del Marchese del Guasto, Domingo Lopez d’Azpeitia. Nel 1534 il viceré di Napoli don Pedro di Toledo conferma, per 20.000 ducati, la vendita del feudo concesso dal principe d’Orange, al barone d’Ocre Lopez d’Azpeitia dandogliene il possesso dei castelli, degli uomini, delle case, delle vigne, delle terre coltivate ed incolte, dei boschi, dei pascoli, dei forni, dei macelli, della caccia, delle acque, dei mulini, dei passaggi, dei pedaggi, delle fide, dell’imposizione di gabelle e dell’amministrazione della giustizia nelle cause di prima e seconda istanza.
71. Da “p.be”, in: http://www.itis.mn.it/gonzaga/files/gonzaga/9_gonzaga/ferrante.html: “Nato il 28 gennaio 1507, Ferrante era il terzogenito di Francesco II e di Isabella d’Este. Per lui il futuro, secondo consuetudine, era quello della carriera militare, e per prendere maggiore confidenza con l’arte di Marte venne inviato alla corte di Spagna, entrando, seppur giovanissimo (era sedicenne), al servizio di Carlo V. E al grande imperatore Ferrante rimase fedele per tutta la vita.
Numerosissime e felici le sue imprese militari. Tornato dalla Spagna nel 1526 a capo di cento uomini d’armi, partecipò nel maggio 1527 al sacco di Roma al comando di un contingente dell’esercito imperiale. Fu in quella circostanza che venne nominato sostituto del conestabile Carlo di Borbone, ferito a morte durante l’assalto alla città. Si prodigò inoltre per salvare la madre Isabella d’Este che in quei giorni era a Roma, coadiuvato in questo dagli altri Gonzaga presenti nell’esercito imperiale: Alessandro di Novellara e Luigi detto Rodomonte. Partecipò successivamente alla difesa di Napoli dall’assedio del Lautrec e comandò l’esercito imperiale in Toscana ottenendo la resa di Firenze. Per questo fu nominato da Clemente VII governatore di Benevento.
Al séguito di Carlo V combatté contro i turchi a capo di 3.000 cavalieri.
Titoli e terre acquisite
Per le sue gesta ricevette dall’imperatore il titolo di duca d’Ariano e le corrispondenti terre di Ariano Irpino. L’anno successivo fu creato cavaliere dell’ordine del Toson d’oro, primo tra tutti i Gonzaga.
Si sposò nel 1534 con Isabella di Capua, figlia di Andrea, duca di Termoli, ricevendo in dote il principato di Molfetta e numerose signorie tra Puglia e Molise.
Assurto al grandato di Spagna e diventato capitano generale, Ferrante nel 1535 venne nominato da Carlo V anche viceré di Sicilia, altissima carica che tenne per undici anni consecutivi. Nello stesso anno partecipò alla spedizione di Algeri, dove si distinse per i fatti della Goletta e di Tunisi. In Algeri ritornò nel 1538, dopo altre vicende e una spedizione navale contro i Turchi. Ferrante fu tutore del duca minorenne Francesco III, abilissimo nell’organizzare lo Stato e capace nei consigli alla duchessa vedova insieme al cardinale Ercole, contutore.
Il 3 ottobre 1539 acquistò da Ludovica Torelli, ultima di quella famiglia, la contea di Guastalla per 22.280 scudi e l’imperatore immediatamente decretò lo scorporo di quel feudo dallo “Stato di Milano”. Ebbe così origine la linea dei Gonzaga di Guastalla, che fu l’ultima (ad eccezion fatta per quella di Vescovato, tuttora esistente) a spegnersi, alla metà del Settecento.
Alla morte del marchese di Vasto gli fu affidato il governo del ducato di Milano, che assunse solo nel 1546 in quanto impegnato nelle Fiandre. Nel 1547 venne ucciso Pier Luigi Farnese e Ferrante fu ingiustamente accusato di aver preso parte all’accaduto: una commissione nulla trovò a sua colpa e il 10 giugno 1555 l’imperatore con suo autografo ne sancì l’innocenza.
La morte
Ferrante rimase profondamente amareggiato dall’accaduto. Aveva rinunciato al governo di Milano nel 1554 e, dopo la sentenza imperiale, decise di ritirarsi a vita privata. Accettò comunque di servire Filippo II, dopo l’abdicazione di Carlo V. Nell’agosto del 1557 partecipò alla battaglia di San Quintino e morì poco dopo, il 15 novembre, a Bruxelles, vittima delle fatiche della guerra e dei postumi di una caduta da cavallo. Il suo corpo, fu trasportato a Mantova e ora riposa nella sagrestia della cattedrale. Ferrante ebbe numerosi figli legittimi e una figlia naturale. Il primogenito Cesare, marito di Camilla Borromeo, sorella di San Carlo, fu il capostipite della linea genealogica di Guastalla; due, Francesco e Gianvincenzo, divennero cardinali”.
72. ASNA, Inventario n.16, Regia Camera della Sommaria, Spoglio delle Significatorie ei Relevi (Apice), Pag.81, tergo, libro V, foglio 52, Principato Ultra, Apice.
73. Da: www.geocities.com, Nicola Garofalo, La Grande Napoli.
74. Da: www.regionecampania.org. L’architetto Francesco Grimaldi rifece le chiese di S.Paolo Maggiore, dei SS.Apostoli, S.Maria degli Angeli a Pizzofalcone, seguito da Cosimo Fanzago (chiesa dell’Ascensione a Chiaia, S. Maria degli Angeli alle Croci, di S. Ferdinando, S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone, di S. Giorgio Maggiore, di S. Giuseppe delle scalze a Pontecorvo, di S. Teresa a Chiaia), da Arcangelo Guglielmelli (S.Giuseppe dei Ruffi e la Biblioteca dei Gerolomini) e da Frà Nuvolo (chiesa di S.Maria di Costantinopoli, di S.Maria della Sanità e di S. Sebastiano).
75. A.Sansi, Storia di Spoleto, Vol. II, Storia del Comune di Spoleto dal secolo XII al XVII, parte II, Capitolo XXIV. La stessa cosa accadde nel 1553 per il passaggio dell’esercito alemanno che, “richiamato da Siena a Napoli, il 18 giugno era a Torgiano”. Anche stavolta “furono mandati commissari in più parti a spiarne il cammino, a procurare di sviarlo dal paese, e ad apparecchiare armi e ogni altra cosa che potesse occorrere. L’esercito passò per altri luoghi, e Ascanio della Cornia che tenne la via per le vicinanze di Todi e Acquasparta, per riguardo alla città non fece la via d’Arrone, ma quella delle Marmore, o almeno così disse di voler fare”.
76. L.Pastor, Storia dei Papi, Trad. Mercati, Roma, Desclée, 1912-22. O. Panvinio, Vita del Sommo pontefice Paolo IV. Venezia, 1562. G.M. Monti, Papa Paolo IV, profilo. Tipi Istituto Maschile, Benevento, 1926. La vita di Paolo IV (1476-1559) si estese dagli anni in cui il Rinascimento trionfava in tutto il suo splendore, agli anni in cui esso cedette alla Reazione Cattolica. Nei suoi 83 anni di vita egli fu contemporaneo con le più grandi figure del Cinquecento, in un crogiuolo di fatti, episodi e lotte che fissarono per secoli i destini d’Italia e d’Europa nel campo politico e religioso.
Appartenente al ramo beneventano della famiglia Carafa, nato a Sant’Angelo a Scala e vissuto tra la provincia e Napoli , come solevano fare le famiglie dei feudatari del tempo, a 14 anni egli fuggì nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli per prendere l’abito manastico, ma viene ricondotto a casa dal padre. A 18 anni, vinta l’opposizione familiare, prese l’abito di chierico; a 26 anni venne nominato Cameriere Pontificio dedicandosi unicamente allo studio, alla preghiera e alle opere di carità.
Già nominato vescovo di Chieti sotto Giulio II, a 29 anni, cominciò a far riflettere quando, da diplomatico, aveva rifiutato la nomina di Legato Pontificio del Viceregno sotto Ferdinando il Cattolico, accettando invece quella sotto Leone X, di Legato di Enrico VIII, convincendolo a concludere la pace del 1514 tra Francia e Inghilterra.
Era poi sembrata ragionevole la nomina (1516) a Consigliere e Vice Cappellano Maggiore Regio del Rè spagnolo Carlo I, poi Imperatore Carlo V, partendo per la Spagna, restandovi fino al 1520 e stringendo rapporti di amicizia con altri prelati favorevoli ad una Riforma che partisse dal seno stesso della Chiesa, proprio mentre Luterò affiggeva le 95 tesi sulla porta della Cattedrale di Wittenberg e iniziava quel movimento che doveva portare in pochi anni allo Scisma luterano.
Si racconta che, un giorno, nella Cappella Reale, un ufficiale pregò il Carafa di attendere Sua Maestà per cominciare la messa e che egli, con molta decisione, rispose dicendo: “In questi sacri abiti rappresento la persona di Cristo e perciò sarebbe cosa indegna l’aspettare”.
Dalla Spagna ritornò a Roma ristabilendo la confraternita dei Bianchi che assisteva i condannati a morte. Fu allora che per la prima volta intervenne direttamente contro il protestantesimo, prendendo parte alla compilazione della bolla Exurge Domine di Leone X del giugno 1520, con cui venivano condannate definitivamente le eresie del monaco ribelle. Nella sua missione riformatrice si dedicò in particolar modo all’Oratorio del Divino Amore che ebbe la più alta espressione quando, insieme con Gaetano da Thiene, fondò l’Ordine dei Chierici regolari e, fino ad allora alto prelato, divenne Teatino. La causa principale è da ricercarsi nell’impellente bisogno di riformare il clero secondo i canoni apostolici e sotto i tre voti di castità, ubbidienza e povertà.
Fu grande lo stupore della Roma del Rinascimento, abituata agli splendori e ai fasti dei prelati di curia, e poi la meraviglia, quando il 24 giugno 1524 fu emanato il breve con cui accettava la rinuncia del Carafa ai due Vescovati e riconosceva i Teatini. Non mancarono derisioni e sospetti, ma la loro carità, esercitatasi specialmente in occasione della peste del 1525, vinse gli ostacoli e fece loro guadagnare la più grande considerazione.
Il sacco di Roma pose fine all’attività dei 14 Teatini che, scampati ai tedeschi di Carlo V, si rifugiarono a Venezia.
77.G.M. Monti, Papa Paolo IV, profilo. Tipi Istituto Maschile, Benevento, 1926.
78.G.M. Monti, Papa Paolo IV, profilo. Tipi Istituto Maschile, Benevento, 1926.
79. ASNA, Inventario n.16, Regia Camera della Sommaria, Spoglio delle Significatorie ei Relevi (Apice), Pag.130, tergo, libro V, foglio 62, Principato Ultra, Apice.
80. Questo l’albero genealogico principale della Casata de Guevara, titolari del feudo di Apice. Il segno “=” significa “sposa”. Le lettere dell’alfabeto indicato la discendenza da padre in figlio. A è il padre di B, B il padre di C, etc. La lettera piccola in parentesi [ a), b), etc.], indica la prima, poi la seconda moglie.
Pedro Vélez de Guevara Signore di Onate sposa Costanza, figlia di Sancho Fernandez de Tovar e di Teresa de Toledo (+ dopo il marito).
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A1. Inico (Inigo) (+ per le ferite riportate in uno scontro presso Troia 1462, sepolto nel monastero degli Zoccolanti di Ariano), venne in Italia al servizio militare di Alfonso V d’Aragona nel 1442 e si distinse come uno dei suoi migliori generali durante la conquista del Regno di Napoli; 1° Marchese del Vasto, Conte di Potenza, Conte di Ariano e Conte di Apice, Signore di Vignole, Anto, Aliano, Alianello, Montecalvo, Casalbore, Francolo, Monteleone, Campagna e Ginestra investito il 20-8-1444, Gran Siniscalco del Regno di Napoli (ereditario) dal 1444, Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro insignito dal Duca di Borgogna nel 1451 (Brevetto n.49); nel suo testamento dona al nipote Guevara le terre di Savignano, Greci, casale di Ferraria, Buonalbergo e Arpaia. = Covella Sanseverino, figlia di Ruggero 4° Conte di Tricarico e 1° Duca di San Marco e di Cubella Ruffo dei Conti di Montalto (+ ante 1462)
B1. Pietro (+ 1487), 2° Marchese del Vasto, Conte di Ariano, Conte di Apice, Signore di Vignole, Anto, Aliano, Alianello, Montecalvo, Casalbore, Francolo, Monteleone, Campagna e Ginestra e Gran Siniscalco del Regno di Napoli dal 1462; partecipò alla Congiura dei Baroni e subì di conseguenza la confisca dei feudi. = Andria 21-7-1471 Isotta Ginevra del Balzo 2° Principessa di Altamura, figlia di Pirro 4° Duca d’Andria e 1° Principe d’Altamura e di Maria Donata Orsini del Balzo dei Duchi di Venosa (* 1460 ca. + 1530, sepolta a Napoli nella chiesa di Santa Chiara)
C1. Francesca (+ uccisa con il marito, 1487) = (dote: 18.000 ducati) Giovan Paolo del Balzo dei Duchi di Nardò (v.)
C2. Eleonora = 1492 Luigi di Lussemburgo Principe d’Altamura e Duca d’Andria (investito il 15-5-1495), Conte di Ligny (+ 31-12-1503).
C3. Covella = Giovan Vincenzo Carafa 2° Conte di Airola
B2. Antonio, 2° Conte di Potenza dal 1462. = Laura Gaetani dell’Aquila, figlia di Baldassarre 1° Conte di Traetto e di Antonella Caracciolo del Sole dei Duchi di Venosa
C1. Giovanni (+ post 1518), 3° Conte di Potenza, Gran Siniscalco del Regno di Napoli dal 1487, condottiero al servizio del Re d’Aragona e dell’Imperatore Carlo V. = Altobella di Capua, figlia di Fabrizio dei Conti d’Altavilla e di Lucrezia Caldora
D1. Antonio (+ morto a 20 anni in un tentativo di difendere il padre nel corso di una rissa col Marchese del Vasto a Napoli).
D2. Carlo, 4° Conte di Potenza e Gran Siniscalco del Regno di Napoli. = Porzia de’ Tolomei, figlia di Alfonso Barone di Racle e di Maria del Balzo erede del feudo di Grumo
E1. Alfonso, 5° Conte di Potenza e Gran Siniscalco del Regno di Napoli. a) = Donna Beatrice d’Avalos d’Aquino d’Aragona, figlia di Don Alfonso 1° Principe di Francavilla e Marchese di Pescara e del Vasto e di Maria d’Aragona dei Duchi di Montalto (+ di parto 1558) b) = Donna Beatrice de Lannoy, figlia di Don Filippo 2° Principe di Sulmona e di Isabella Colonna dei Duchi di Traetto
F1. (ex 1°) Diana = Alfonso d’Ayerbe d’Aragona 3° Conte di Simeri
F2. (ex 2°) Alfonso II (* Potenza 1562 + ivi 1584), 6° Conte di Potenza e Gran Siniscalco del Regno di Napoli.= Venosa 1579 Donna Isabella Gesualdo, figlia di Don Fabrizio II 2° Principe di Venosa e di Gerolama Borromeo dei Conti di Arona (* Venosa 1564 + Saponara 1612)
G1. Porzia, 7° Contessa di Potenza alla morte del padre. = Don Filippo II de Lannoy 5° Principe di Sulmona
G2. Beatrice (+ 22-10-1634), 9° Contessa di Potenza alla morte del nipote Orazio de Lannoy. a) = Enrico Loffredo 2° Marchese di Sant’Agata e Patrizio Napoletano b) = Nobile Pietro Minadois
F3. (ex 2°) Porzia
E2. Francesco, capitanò la milizia che era sotto il comando del Gran Siniscalco di Napoli.
E3. Antonio
E4. Maria = Giovanni Brunforte dei Conti di Bisceglie
E5. Teresa = Giovanni Tommaso Carafa Signore di Valenzano, Patrizio Napoletano
D3. Maria (+ post 17-7-1507) = Nicola Carafa Signore di Pascarola e Patrizio Napoletano
C2. Francesco, monaco benedettino.
C3. Inigo, Conte d’Apice investito il 22-1-1515. = (forse seconda moglie) 1523 Letizia Carafa, figlia di Sigismondo 1° Conte di Montecalvo e di Francesca Orsini dei Conti di Nola
D1. Ferrante = Giovanna Piccolomini d’Aragona
D2. Giovanna a) = Giovanni di Capua b) = Alfonso Torelli 2° Signore di Rignano (v.)
B3. Giovanna = Matteo Coppola, Patrizio Napoletano (v.)
A2. Ferrante (Ferran) (+ in età avanzata, Napoli 1481), Conte di Belcastro, Barone di Cropani, Barbaro e Zagarise investito nel 1467; Cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino. fu al servizio militare del Re Alfonso V d’Aragona e si distinse come protettore di letterati e artisti.
A3. Alfonso, Conte d’Archi, Cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino.
A4. Giovanni (+ post 1461)= Maria Gesualdo
B1. Guevara (+ post 1478), Signore di Arpaia investito dal Re di Napoli il 30-3-1461, Signore di Savignano, Greci, Ferraria, Buonalbergo dal 1462 per dono dello zio Inico, investito del feudo detto delli Marruni, Signore di San Bartolomeo in Gualdo, Basilico e Foiano; Cameriere e Maggiordomo del Re di Napoli nel 1454, governatore del castello di Torre del Greco nel 1457 con provvisione di 696 ducati annui (confermato nel 1458), Governatore della Valle Beneventana e Cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino.= Margherita della Leonessa (forse figlia o sorella di Alfonso Conte di Montesarchio)
C1. Inigo, Signore di Buonalbergo e Arpaia.= Caterina Gesualdo, figlia di Antonello Gesualdo e di Delizia della Marra (v.)
D1. Giovanni, Signore di Buonalbergo e Arpaia, Camerario e Maggiordomo di Alfonso II e Ferdinando II Re di Napoli.= ……….
E1. Inigo II, Signore di Buonalbergo e Arpaia.= …………..
F1. Alfonso (+ 27-4-1536), Signore di Buonalbergo e Arpaia a cui rinuncia a favore del figlio (Regio Assenso 14-12-1528).= Giovanna, figlia di Antonio de Centelles dei Marchesi di Cotrone e Conti di Catanzaro, Patrizio Napoletano
G1. Inigo III (+ 13-9-1553), Signore di Arpaia e Buonalbergo dal 1528, che vende al genero Matteo Comite con Regio Assenso del 2-9-1546.= Ramondetta Saraceno, figlia di Sigismondo Signore di Torella, Patrizio Napoletano, e di Ippolita Carafa
H1. Ippolita, portò in dote al marito il feudo d’Arpaia con l’obbligo di pagare 10.000 ducati al cognato Matteo Comite e altri 2.000 a G.F. Carafa; Signora di Arpaia e di parte di Buonalbergo (Rilevio 22-12-1553), vende Arpaia allo zio Francesco nel 1577.= Goffredo Palagano, Patrizio Napoletano
H2. Giovanna= Matteo Comite Signore di Aquara, Pisticci, Sanza, Ruvo, Morigerale e Sicli, Patrizio Napoletano (vende ancora Arpaia per la somma di 25.000 ducati e Regio Assenso dell’11-3-1550).
H3. Costanza= (dote di 20.000 ducati) Marco Antonio Palagano, Patrizio Napoletano
H4. Anna= Ettore Brayda dei Conti di Carife, Marchese di Rapolla
H5. Isabella= Giovanni Girolamo del Tufo 2° Marchese di Lavello
G2. Girolamo
G3. Luigi
G4. Berardino
G5. Ferdinando o Ferrante, con la moglie fece erigere una sepoltura nella cappella di San Tommaso nella chiesa di San Domenico a Napoli.= Aurelia d’Aquino, figlia di Ladislao 1° Marchese di Corato e di Feliciana Carafa dei Conti di Ruvo
H1. Felice= ……… Crispano, Patrizio Napoletano
G6. Francesco, Signore d’Arpaia dal 1577 feudo che compra dalla nipote Ippolita de Guevara per la somma di 22.200 ducati, Governatore a vita d’Ischia.= 1525 Aurelia, figlia di Giovanni Andrea Caracciolo, Patrizio Napoletano, e di Andreanna di Caivano dei Signori di Misuraca (+ post 1558)
H1. Inigo
H2. Alfonso
H3. Giovanni (+ 1600), 1° Marchese d’Arpaia dal 7-8-1591. a) = 5-4-1562 Margherita Bucca d’Aragona, figlia di Giacomo Barone di Pizzone e di Isabella Guindazzo b) = Porzia Maria, figlia di Gabriele Campanaro Adorno, Patrizio Genovese, e di Chiara Pinelli (* 1560 + 1585) c) = post 1585 Vittoria, figlia di Gabriele Campanaro Adorno, Patrizio Genovese, e di Chiara Pinelli (* 1563 + 1625)
I1. (ex 1°) Francesco (+ 1624), 2° Marchese d’Arpaia dal 1600 (Rilevio, 1600), vende Arpaia per debiti con patto di ricompera al Principe di Roccella per la somma di 40.300 ducati con Regio Assenso dato a Madrid il 15-7-1601 (esecutivo Napoli ultimo di maggio 1603).= Giulia d’Aiello, nobildonna di Salerno
J1. Giovanni (+ infante ante 1624).
I2. (ex 1°) Aurelia= Gian Giacomo Marchese, Patrizio Napoletano
I3. (ex 3°) Inigo
I4. (ex 3°) Pietro, Chierico Regolare Teatino, Vescovo di Teano.
I5. (ex 3°) Ferrante
I6. (ex 3°) Alfonso, 3° Marchese d’Arpaia dal 1624, feudo con il casale di Paolisi che vende al Duca di Maddaloni con Regio Assenso: Madrid 29-12-1624 (esecutivo: Napoli 28-5-1625) per la somma di 65.000 ducati. Si fece monaco vivente la moglie nel monastero di San Domenico a Napoli.= 17-12-1613 Donna Costanza David, figlia di Don Giovanni Battista 1° Duca di Castelluccio e di Diana d’Avalos dei Baroni di Ceppaloni (* Napoli 29-2-1596 + ivi 16-8-1624).
J1. Antonio (+ infante).
J2. Teresa (+ infante).
I7. (ex 3°) Beatrice (+ 16-8-1634)= 27-5-1601 Luigi Sanchez de Luna Signore di Ailano
I8. (ex 3°) Livia = Pietro Paolo dell’AlimenaH4. Beatrice a) = Giacomo Bucca d’Aragona Barone di Pizzone b) = Cesare Pignatelli, Patrizio Napoletano
G7. Diego
G8. Giovanni (+ 1556), Vescovo di Sant’Agata dal 1523.
G9. Caterina = Giovanni Luigi Saraceno Signore di Torella e Patrizio Napoletano
F2. Ferdinando
F3. Giovanni
C2. Giovanni (+ 1535), Signore di Savignano, Greci e Ferraria a cui rinuncia in favore del figlio primogenito per successione anticipata nel 1524; compra i feudi di Orsara, Montellare e Bosco dell’Acquara dai Cavaniglia con istromento datato: Napoli 29-12-1524; Patrizio Napoletano aggregato al Seggio di Nido. = Lucia Tomacelli
D1. Guevara (+ 21-10-1550), Signore di Savignano, Greci e Ferraria dal 1524, Signore di Orsara, Monte
Proisio e Montellare dal 1535, Patrizio Napoletano.= 1524 Delfina Loffredo, figlia di Francesco Signore di Trevico, Patrizio Napoletano, e di una Caracciolo (+ 24-9-1572)
E1. Beatrice = (dote: 10.000 ducati) 10-7-1549 Francesco d’Aquino Signore di Rocca Bascerana
E2. Don Giovanni I (+ 10-1-1582), Signore di Savignano, Greci, Ferraria, Orsara, Monte Proisio e Montellare dal 1550 e Patrizio Napoletano, compra il feudo di Bovino nel 1564 dal fisco per la somma di 38.000 ducati, nello stesso anno compra anche Castelluccio dei Sauri dai Mormile; 1° Duca di Bovino con Diploma del 10-2-1575; Vicerè della Calabria.= 1557 Isabella Frangipani della Tolfa, figlia di Giovanni Signore di Serino e di Francesca Carafa
F1. Don Inigo I (+ post 1602), 2° Duca di Bovino, Signore di Castelluccio dei Sauri, Savignano,Greci, Ferraria, Orsara, Monte Proisio, Montellare dal 1582 e Patrizio Napoletano, Gran Siniscalco ereditario del Regno di Napoli dal 27-7-1584. Si fece gesuita nel 1602 rinunciando alla successione.= 20-10-1583 Donna Porzia Carafa, figlia di Don Antonio 1° Duca d’Andria e di Andreana Carafa dei Signori di Rodi (+ 5-10-1600)
G1. Don Giovanni II (+ cade all’assedio di Pavia 30-1-1631, sepolto in San Domenico Maggiore a Napoli), 3° Duca di Bovino, Signore di Savignano, Greci, Ferraria, Orsara, Castelluccio dei Sauri, Montellare, Patrizio Napoletano e Gran Siniscalco del Regno di Napoli alla rinuncia del padre; Capitano di cavalleria spagnola, partecipò alle guerre in Piemonte. = 1605 Donna Giulia Boncompagni, figlia di Don Giacomo 1° Duca di Sora e Arce e di Costanza Sforza dei Conti di Santa Fiora (* Isola di Liri 1586 + Bovino 4-4-1622)
H1. Un figlio nato morto.
H2. Un figlio nato morto.
H3. Don Inigo (* 13-2-1609 + infante), Patrizio Napoletano.
H4. Don Giuseppe (* 2-?-1610 + infante), Patrizio Napoletano.
H5. Donna Maria Francesca (* Bovino 27-2-1611 + infante).
H6. Donna Isabella (* Bovino 26-10-1611 + infante).
H7. Donna Costanza (+ 15-11-1675)
= 22-12-1632 Don Marzio Pignatelli 2° Principe di Minervino
H8. Donna Anna (* Bovino 14-4-1614 + 14-3-1689)
= Don Andrea d’Avalos d’Aquino d’Aragona 4° Principe di Montesarchio
H9. Donna Beatrice (* 4-3-1616 + infante).
H10. Don Alfonso (* 10-1616 + infante), Patrizio Napoletano.
H11. Donna Agnese (* Bovino 1617 + infante).
H12. Don Carlo Antonio (* Bovino 17-11-1618 + 16-2-1674), 4° Duca di Bovino, Signore di Savignano, Greci, Ferraria, Orsara, Castelluccio dei Sauri, Montellare, Patrizio Napoletano e Gran Siniscalco del Regno di Napoli; Capitano di cavalleriaspagnola.= Napoli 1635 Principessa Donna Placidia Cybo Malaspina, figlia del Principe Don Carlo I Principe sovrano di Massa e Duca di Carrara e di Brigida Spinola dei Marchesi di Calice (* Genova 15-8-1614 + Napoli 11-3-1683)
I1. Donna Giulia (* 1637 + ?), monaca.
I2. Don Giovanni III (* 5-3-1638 + 22-3-1704), 5° Duca di Bovino, Signore di Savignano, Greci, Ferraria, Orsara, Castelluccio dei Sauri, Panni, Montellare, Patrizio Napoletano e Gran Siniscalco del Regno di Napoli; eresse Torre Guevara in Capitanata. a) = 13-6-1669 Donna Sveva d’Avalos d’Aquino d’Aragona, figlia di Don Andrea 4° Principe di Montesarchio e di Donna Anna de Guevara dei Duchi di Bovino (* 24-6-1645 + ?) b) = (contratto: 10-10) 1672 Donna Vittoria Caracciolo, figlia di Don Gerolamo Maria 1° Principe di Campagna, 2° Duca di San Giorgio e Marchese di Torrecuso (* Torrecuso 14-9-1649 + Napoli 10-12-1725)
J1. (ex 2°) Don Carlo Antonio II (* 6-4-1675 + 28-2-1708), 6° Duca di Bovino, Signore di Savignano, Greci, Ferraria, Orsara, Castelluccio dei Sauri, Montellare, Patrizio Napoletano e Gran Siniscalco del Regno di Napoli; creato 1° Conte di Savignano dal 1698 (Diploma datato: Madrid 16-3-1700).
K1. (Naturale) Placidia (* 19-9-1704 + ?), monaca dal 1721.
J2. (ex 2°) Donna Placidia (* 15-12-1676 + ?), monaca nel monastero della SS. Trinità a Napoli dal 1696.
J3. (ex 2°) Donna Giulia (* 8-8-1678 + ?).
J4. (ex 2°) Don Inigo II (* 23-11-1679 + 5-11-1748), 7° Duca di Bovino, 2°Conte di Savignano, Signore di Greci, Ferraria, Orsara, Castelluccio dei Sauri, Panni, Montellare, Patrizio Napoletano e Gran Siniscalco del Regno di Napoli; Presidente della Commissione del Regio Teatro San Carlo di Napoli.= 25-6-1708 Donna Eleonora de Cardenas, figlia del Principe Don Carlo II 8° Marchese di Laino e 8° Conte d’Acerra e di Donna Francesca Spinelli dei Principi di Scalea (* Barra 10-7-1684 + di parto 18-3-1718)
K1. Donna Vittoria (* 6-4-1709 + 5-6-17…), monaca nel monastero della SS.Trinità a Napoli.
K2. Donna Maria Francesca (* Bovino 29-6-1710 + 4-3-1795)= Bovino 30-6-1726 Don Ettore Carafa 11° Duca d’Andria
K3. Don Giovanni Maria (* Bovino 29-2-1712 + 22-7-1775), 8° Duca di Bovino, 3° Conte di Savignano, Signore di Greci, Ferraria, Orsara, Castelluccio dei Sauri, Panni, Montellare, Patrizio Napoletano e Gran Siniscalco del Regno di Napoli.= 11-5-1732 Donna Anna Maria Suardo 4° Duchessa di Castel Airola, figlia ed erede di Don Gennaro Duca ereditario di Castel Airola, Patrizio Napoletano, e di Donna Cornelia Caracciolo dei Duchi di Castelluccio(+ Napoli 23-11-1788).
L1. Donna Maria Eleonora (* Bovino 23-1-1734 + 15-9-1797), monaca nel monastero di Santa Maria Donna Regina a Napoli dal 1750.
L2. Don Prospero Guevara Suardo (* Bovino 4-6-1735 + 28-4-1799),9° Duca di Bovino, 5° Duca di Castel Airola, 4° Conte di Savignano,Signore di Greci, Ferraria, Orsara, Castelluccio dei Sauri, Panni, Montellare, Patrizio Napoletano e Gran Siniscalco del Regno di Napoli; Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro e Gentiluomo di Camera del Re di Napoli e Sicilia.= Napoli 16-12-1771 Donna Anna Cattaneo della Volta, figlia di Don Francesco 4° Principe di San Nicandro, Duca di Casalmaggiore,Duca di Termoli e Conte di Anversa e della Principessa Donna Marianna Boncompagni Ludovisi dei Principi di Piombino (+ 8-4- 1817).
M1. Don Giovanni (* Napoli 1-3-1773 + infante), Patrizio Napoletano.
M2. Donna Marianna (* Napoli 3-4-1774 + 12-3-1857)
= 10-2-1793 Don Fabio Albertini 6° Principe di Cimitile (v.)
M3. Don Francesco (* Napoli 2-1775 + infante), Patrizio Napoletano.
M4. Don Pasquale (* Napoli 24-12-1775 + infante), Patrizio
Napoletano.
M5. Donna Maria Giovanna (* Napoli 6-4-1778 + ?).
M6. Donna Maria Teresa (* Napoli 25-5-1779 + 6-12-1843), monaca nel monastero di Santa Maria Donna Albina in Napoli dal 1802.
M7. Don Carlo (* Napoli 8-1780 + 12-6-1858), 10° Duca di Bovino, 6° Duca di Castel Airola, 5° Conte di Savignano e Patrizio Napoletano (tutti gli altri titoli sparirono con l’eversione dei feudi,la carica di Gran Siniscalco fu abolita); Gentiluomo di Camera del Re delle Due Sicilie, Tenente Colonnello nel 1819, Cavaliere
dell’Ordine di San Giorgio della Riunione dal 1819.= 30-4-1798 Donna Maria Maddalena Serra, figlia del Marchese Giovanni Battista, Patrizio Genovese, e di Donna Maria Antonia Oliva Grimaldi 7° Principessa di Gerace (+ 23-11-1836)
N1. Donna Maria Anna (* 2-8-1800 + 14-6-1801).
N2. Donna Maria Antonia (* 24-8-1801 + 11-2-1870).
N3. Donna Maria Teresa (* 13-2 e + 17-7-1804).
N4. Donna Maria Luisa (* 7-10-1806 + 9-9-1807).
N5. Donna Maria Giovanna (* 28-2 e + 10-3-1808).
N6. Donna Maria Caterina (* 10-1-1811 + 28-10-1812).
N7. Don Prospero (* 19-8 e + 3-9-1814), Patrizio Napoletano.
N8. Donna Maria Giuseppa (* 16-11-1817 + 6-2-1843).
N9. Don Giovanni Battista (* Napoli 18-4-1819 + ivi 5-2-1882), 11° Duca di Bovino, 7° Duca di Castel Airola e 6° Conte di Savignano dal 1858, Patrizio Napoletano; Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, Presidente del Consiglio Provinciale della Capitanata nel 1860, Senatore del Regno d’Italia dal 1862, Presidente della Commissione contro il brigantaggio nel 1863.= Napoli 29-9-1838 Donna Carolina Filangieri 8° Principessa di Satriano e 3° Duchessa di Taormina dal 1892, figlia del 1° Principe Don Carlo e di Donna Agata Moncada dei Principi di Paternò (* Napoli 31-1-1821 + ivi 2-2-1895)
O1. Don Carlo (* Napoli 15-10-1839 + Riviera di Chiaia 18-4-1896), 12° Duca di Bovino, 8° Duca di CastelAirola, 7° Conte di Savignano (ebbe questo titolo per successione anticipata) dal 1882, 9° Principe di Satriano e 4° Duca di Taormina dal 1895, e Patrizio Napoletano.
O2. Don Prospero (* Napoli 28-4-1841 + ivi 19…..), 13° Duca di Bovino, 9° Duca di Castel Airola, 10° Principe di Satriano, 6° Duca di Taormina, 8° Conte di Savignano e Patrizio Napoletano (titoli riconosciuti nel 1914, con il predicato di Greci, Castelluccio, Ferraria, Orsara, Panni e Montellare); Deputato del Parlamento eletto nel 1870,1874 e 1880.
O3. Don Camillo (* 14-6-1842 + 17-3-1847), Patrizio Napoletano.
O4. Don Gaetano (* 3-5-1844 + 2-6-1889), Patrizio Napoletano.
O5. Donna Maddalena (* Napoli 28-7-1846 + ivi 5-2-1897) = 30-9-1871 Luigi de Riseis Barone di Crecchio
O6. Don Inigo (* 6-10-1848 + ?), 14° Duca di Bovino, 10° Duca di Castel Airola, 11° Principe di Satriano, 7° Duca di Taormina, 9° Conte di Savignano e Patrizio Napoletano.
O7. Don Ferdinando (* 12-1-1850 + 23-6-1852), Patrizio Napoletano.
O8. Don Cesare (* 23-4-1851 + 9-5-1852), Patrizio Napoletano.
O9. Donna Maria Gregoria (* 30-6-1854 + 31-1-1857).
O10. Donna Rosa Maria Teresa (* 18-11-1855 + 13-1-1892)= 8-1-1883 Don Luigi Statella dei Principi di Cassaro(* Napoli 28-11-1854 + 25-10-1936).
O11. Donna Maria (* Napoli 10-2-1867 + Roma 10-11-1931)a) = Napoli 18-2-1888 Don Giuseppe di SangroConte di Buccino b) = Pozzuoli 4-4-1899 Cavaliere Giulio Lecca Ducagini (* Napoli 6-5-1859 + 9-3-1927), che assume il cognome Guevara Suardo e viene creato Duca con Regio Decreto del 2-8-1914.

Description

I FRANCESI CACCIANO GLI ARAGONESI, S’APPROPRIANO DELLE CALABRIE E SI INSEDIANO VERSO APICE, FRA SABATO E CALORE

Gli Aragonesi avevano annesso il Regno di Sicilia a quello angioino di Napoli nel 1442, grazie a volorosi capitani giunti al loro seguito dalla Spagna. Fra essi vi erano i fidati Don Pedro e Don Indico de Guevara, padre e figlio, i quali strapparono agli Angioini molti feudi importanti, come Potenza, Ariano, Montecalvo e Apice.
Qui ancora non si era spenta l’eco della distruzione subita dopo “l’assassinio di Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna I d’Angiò, e l’arrivo in Benevento e nel Regno del fratello del defunto re, Ludovico, la cui presenza non mancò di apportare danni alla Città e alla Provincia: un quartiere di Benevento fu incendiato e il 7 settembre 1348, Apice, assediata dalle forze del secondo marito di Giovanni, Luigi di Taranto, venne saccheggiata e data alle fiamme, mentre dal canto loro gli Ungheresi saccheggiavano Arpaia nella loro marcia verso Napoli”.
La liberazione dagli Angioini appariva davvero attesa dopo anni di usurpazioni e vessazioni. “Benevento che in questo periodo (1378) si era mostrata ostile al legittimo pontefice Urbano VI, fu governata da funzionari angioini che non mancarono di fare le loro vendette contro gli avversari dell’antipapa ed espulsero l’arcivescovo Ugone Guidardi. Con le lotte che poi imperverseranno fra i pretendenti al trono di Sicilia, durazzeschi e angioini, non senza gravi ripercussioni nella città pontificia, con l’avvicendarsi di instabili governi e domini, con la distruzione di beni e l’anemia degli esili, si chiude in Benevento il XIV secolo e con esso la florida vita economica di un cinquantennio. Nella Provincia assistiamo all’esodo di abitanti per sfuggire non solo ai pericoli delle guerre, ma anche alle gravezze fiscali: terre divenute vacue e incolte, decadenza di feudi, malaria e desolazione un po’ dovunque. Telese vide discendere la sua popolazione, che aveva raggiunto circa trecento famiglie, a soli sedici abitanti, propter intemperiem aeris… et pestes alias subsecutas”.
Con l’avvento aragonese, Apice, appartenente al Distretto di Ariano. Da San Giorgio verso la Montagna di Montefusco vi erano invece i feudi del Distretto di Avellino ricadenti nel Principato Ultra, fra cui Morroni, Bonito e Melito, ex suffeudi della Contea di Apice.
In realtà, i de Guevara, erano nella zona già prima della data ufficiale dell’insediamento aragonese in Napoli del 1442, impegnati ad annettere i feudi angioini al futuro regno aragonese. Don Pedro Vélez de Guevara, Signore di Onate, il quale sposa Costanza, figlia di Sancho Fernandez de Tovar e di Teresa de Toledo, era ad asserragliare proprio il castello di Apice già nel 1435, risultando il Capitano militare più potente di quest’area distrettuale.
Al de Guevara, però, il feudo di Apice fu donato ufficialmente da Alfonso I d’Aragona solo negli anni a venire, dopo, evidentemente, la salita al trono del 1442. A Don Pedro de Guevara seguì Inico, il quale morì per le ferite riportate in uno scontro vicino Troia (1462) e fu sepolto nel monastero degli Zoccolanti di Ariano. Apice ed Ariano erano feudi consolidati della nobile famiglia spagnola che li abitava da decenni.
Nella sostanza Pedro ed Inigo erano venuti in Italia al servizio militare di Alfonso V d’Aragona, già dal 1438, distinguendosi subito come migliori Capitani generali per la conquista del Regno di Napoli.
In particolare, Inigo, ebbe per certo il titolo di Primo Marchese del Vasto, Conte di Potenza, Conte di Ariano e Conte di Apice, Signore di Vignole, Anto, Aliano, Alianello, Montecalvo, Casalbore, Francolo, Monteleone, Campagna e Ginestra per investitura del 20 agosto 1444, seguito nello stesso anno dal più impotante titolo ereditario di Gran Siniscalco del Regno di Napoli, divenendo Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro insignito dal Duca di Borgogna nel 1451 con brevetto n.49.
Ad Inigo de Guevara, I Marchese del Vasto e Potenza, sposo di Covella o Cubella Sanseverino, seguirà nei feudi dell’arianese il figlio Pietro II de Guevara (+1487), definito II Marchese del Vasto, Conte di Ariano, Conte di Apice, Signore di Vignole, Anto, Aliano, Alianello, Montecalvo, Casalbore, Francolo, Monteleone, Campagna e Ginestra e Gran Siniscalco del Regno di Napoli dal 1462.
A Don Indico (o Innigo) seguirono invece nei feudi del potentino Don Antonio e quindi Don Giovanni che, quale terzo Conte di Potenza, partecipò dalla parte degli Aragonesi alle guerre contro Carlo VIII e Luigi XII, fino a Don Alfoso, la figlia del quale sposerà un Loffredo Marchese di S.Agata e Trevico.
Re Alfonso I d’Aragona aveva dunque donato il feudo di Apice ai nobili de Guevara, i quali ebbero, fra gli altri, proprio i titoli di Conte di Ariano e Conte di Apice, fino alla Congiura dei Baroni, quando gli vennero ritirati i feudi.
Ciò non accadde dunque con il padre di Indico, Pietro I, ma con il figlio, cioè Pietro II Guevara il quale partecipò alla Congiura dei Baroni e gli vennero confiscati i feudi.
Fu Pietro quindi il traditore che, nel 1452, perse anche il feudo di Vibo Valentia, conquistato da Inigo de Guevara Conte di Ariano e Apice e Gran Siniscalco del Regno.
Il Gran Siniscalco era la settima carica del Regno di Napoli. Il suo ufficio aveva come compito quello di provvedere ai bisogni primari della Corte Regia, come ad esempio il vettovagliamento. Divenne ereditario proprio dopo l’investitura ad Inigo de Guevara che lo portò in successione, di padre in figlio, ad ogni membro della famiglia.
Tale incarico, già nato ai tempi di Riccardo del Conte Drogone, sotto il Regno di Ruggero II, indi ad Ugolino di Tocco che l’ebbe nel 1195. A partire dunque dal 1444, fu di Inigo de Guevara, Marchese di Vasto e Conte di Apice, a cui seguirono Pietro de Guevara (1470), Etienne de Vec Signore di Beaucaire (1501), Carlo de Guevara Conte di Potenza (1535), Alfonso de Guevara, passato con gli Austriaci nel Regno di Carlo V e a tutti gli altri discendenti, fino a Carlo Guevara Suardo Duca di Bovino, quando arrivarono i Francesi nel 1799.3
Il sogno dei Catalani d’Aragona, ai quali andava il merito di aver annesso al Regno di Sicilia quello angioino di Napoli (1442), s’infranse poco dopo la scoperta dell’America (1492), per il tradimento continuato proprio del Gran Siniscalco de Guerava, Conte di Apice, a cui apparteneva la settima massima carica del Regno. Carica che mantennero, proprio in virtù del tradimento, con il sopraggiungere di Re Carlo VIII di Francia.

Occupata Benevento nel 1440, la città, a dire di Zazo, aveva ottenuto da Eugenio IV il vicariato. Col successore di Alfonso sul trono di Napoli, Ferrante I d’Aragona, scoppiata l’altra guerra contro il pretendente Giovanni d’Angiò, in Benevento, continuarono le provocazioni dei fautori angioini. Anzi, alcune di esse, si erano mutate in vere lotte civili con fazioni della Rosa rossa e della Rosa bianca, della Parte di sopra e di bascio: “Il 13 agosto 1482, una congiura favoriva, sia pure per breve tempo, la capitolazione della Città nelle mani di Ferrante che non mancò di concedere ai cittadini privilegi e grazie. La ribellione della città dell’Aquila (1485), incitata per convulso spirito di conquista da Innocenzo VIII, e le sue trame con i baroni del Regno, trascinarono il Pontefice a una sconsigliata guerra contro Ferrante, che pur si ripercosse nella Città e nella sua provincia. Non vi era più pace nell’Italia meridionale”.
Alla morte di Ferdinando I d’Aragona detto Ferrante (1431-1494), Re dal 1458, gli successe (1494) il figlio Alfonso II, il quale, essendo stato l’artefice della repressione per la Congiura dei Baroni, non riscosse alcun consenso, ancor meno verso il Conte de Guevara di Apice che s’alleò con in Principe Sanseverino di Salerno per una nuova ribellione dopo la confisca dei feudi.
Il Principe di Salerno Antonello Sanseverino fu il primo a convincere Carlo VIII di Francia che fosse giunto il momento di agire. Oltrepassato lo Stato Pontificio, Carlo giunse alle porte di Napoli (1494) con 3.600 fanti, 10.000 arcieri e 1.000 artiglieri seguiti da 140 cannoni. Gennaio non era ancora entrato quando Alfonso II abdicò (1495) lasciando le sorti del regno nelle mani del fratello Ferdinando II detto Ferrandino (1467-1496), scappato ad Ischia al solo rumore dei cannoni, il quale non mancherà di vendicarsi imprigionando i figli del Principe di Salerno e di Rossano e il Conte Gesualdo di Conza. Con l’aiuto del traditore aragonese, il Gran Siniscalco de Guevara, nel 1492, seguendo la tradizione, fu Carlo VIII in persona ad entrare nel Castello di Apice, recandosi poi a pregare nella chiesa della Madonna della Neve di Morroni. In realtà la visita potrebbe essere avvenuta in un secondo momento (forse la figura di Carlo VIII si confonde con quella di Carlo III). Di certo Apice venne distrutta dai filofrancesi dal Principe di Salerno, Antonello Sanseverino, deciso ad abbattere quelle mure appartenute a de Guevara e confiscategli da Ferrante.
“L’avvento al trono di Carlo VIII (1483) aveva infatti dato nuovo impulso alle pretese francesi sul Regno. Il 3 settembre 1494 quel re varcava il confine franco-savoiardo; il 31 dicembre giungeva a Roma e di là moveva su Napoli che gli aprì le porte. Alfonso II d’Aragona abdicò al trono e il figlio Ferrandino passo ben presto alla vittoriosa riscossa durante la quale egli disperse in Benevento la fazione favorevole ai Francesi. E questa, ingrossate le schiere di uno dei fautori di Carlo VIII, Antonello Sanseverino Principe di Salerno, assalì e devastò Apice; gravi danni alle sue fabbriche di cuoio ebbe poi a soffrire Guardia Sanframondi. Morto precocemente Ferrandino e successo a lui lo zio Federico, questi non mancò, concedendo esenzioni fiscali, di venire incontro al desolato paese impoverito di abitanti per numerosi fuggiaschi. Danni ebbero pure Morcone e Cusano Mutri dove esistevano fabbriche di pannilana e così Cerretto Sannita che aveva esperti tintori fin dal periodo romano, come si rileva da un’iscrizione del tempo”.
In ogni caso, il 22 febbraio, Carlo VIII entrò in Napoli dove fece più rumore il diffondersi del morbo portato dagli invasori che l’assedio. Castelnuovo cadde il 7 marzo 1495, quasi tutto il Regno cedette nella metà di maggio alla volontà dei Francesi e alle ambizioni del Principe di Salerno, spalleggiato dallo spodestato Conte di Apice.

In quello stesso 7 marzo, dunque, Carlo VIII si nominò Re di Napoli, acclamato dalla nobiltà, affidando a Gilbert Bourbon de Montpensier la liberazione delle Calabrie. I baroni, però, speranzosi di poter riottenere tutti i feudi e titoli posseduti ai tempi degli Angioni, restarono presto insoddistaffi. Il Duca di Melfi Troiano Caracciolo addirittura pensò di poter incamerare quelli che erano stati dello zio già il 19 maggio, con una supplica per dimostrare come sui antecessores juste et rationabiliter tenuerint et possiderint Comitatum Avellini cum infrascriptis terris castris et juribus, et dum essent in pacifica possessione dicti Comitatus et aliis, sciorinando l’intera lista dei feudi, da Ascoli a Nola. Restituzione che non avvenne, a meno di Melfi e dei feudi paterni, favorendo chi aveva subito la prigione, come i Gesualdo, con riconferme avvenute quello stesso 23 maggio, seguite dalla legge del 7 giugno per la nomina di un Capitano del popolo nel governo della città.
Fumosità iniziali seguite anche dalla nomina a Vicerè delle Calabrie di Gilbert Bourbon de Montpensier che però non continuarono ad ingannare proprio le province che si erano ribellate a Ferrante…

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Editorial Review

Abbozzo dell'indice del testo

 

INDICE
I.
i gran siniscalchi del beneventano

— Arrivano gli Aragonesi: Innigo de Guevara
— Spagnoli e Francesi cacciano gli Aragonesi
— Bourbon de Montpensier Vicerè delle Calabrie
— Ferrandino appoggiato da Consalvo Cordova
— Federico I d’Aragona erede spodestato dal cugino
— Ferdinando I di Spagna s’accorda coi Francesi
— Scontro su confini e i dazi della Dogana atripaldese
— Scontro fra luogotenenti: D’Armagnac e Cordova
— Disfida a Barletta: Salernitani fermati in Calabria
— Cordova: da Signore di Montefusco a Prorex

II.
scontri fra benevento e atripalda
— I Luogotenenti dopo un anno col Cattolico
— L’ex regina Giovanna dà Apice a Don Innico
— L’antisemitismo dei Cattolici: scontri sull’usura
— Innigo impone Antoniani, Olivetani e Agostiniani

III.
vicerè contro la valle beneventana
— I disordini rianimano i Francesi
— Lautrec è Governatore: da Milano a Benevento
— Il fifone vendicativo che invase il Sud di Carlo V
— La conquista di Napoli e del Principato Ultra
— Cadono Basilicata, Calabria e Terra di Lavoro
— La peste di Napoli che uccise Lautrec
— I filo-Spagnoli rifondano i Casali di Apice a M.Fusco
— Vendetta spagnola e papa: Carlo è imperatore
IV.
nel vicereame coi gonzaga di mantova
— Il Duca libera Apice e Ariano e torna a Milano
— Nel ventennio del Vicerè Don Pedro de Toledo
— I moti di Micone e la Riforma della Chiesa
— Castità, ubbidienza e povertà: la regola del Carafa
— Si sfalda il Ducato di Ariano e Apice
— Morte del Re di Francia golpe dei Sanseverino
— Papa Carafa, inquisitore antiaustriaco
— Carlo V abdica pro Filippo: è scontro col Papa
— Filippo II invade il Vaticano e ha l’investitura
— Pace di Cateau-Cambresis e morte di Paolo IV

Note Bibliografiche