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LA MONTAGNA DEI FEUDI DEI CARACCIOLO DI TOCCO SI STACCA DA BENEVENTO
Giovan Vincenzo non aveva saldato tutti il suo debito, di 17.600 ducati, quando morte lo colse, a 32 anni, nel 1560, a cui provvide, in nome e parte, lo zio Annibale Caracciolo, mentre i figli ed eredi vennero affidati a Lucrezia Pignatelli la quale provvide anche alla compravendita di alcuni beni per recuperare moneta liquida e saldare ogni sospeso. Ella stessa decise la divisione dei beni fra i figli maschi appena Marcello venne convocato al parlamento generale del Regno il 17 novembre 1568, Ottavio compì 18 anni e Orazio 16, escludendo dalla divisione le figlie femmine, Laura e suor Feliciana, e la figliastra del defunto, Andreana Carafa.
Patrimonio nel quale compaiono come feudi antichi Casalbore e Torre Pagliara coi suoi Casali, ma non v’è traccia degli altri feudi. Neppure di San Pietro in Delicato, denunciato da Lucrezia Pignatelli per la morte del marito, in nome del figlio Marcello, forse perchè venduto nel mentre col patto di ricompra, in pertinenza della Montagna di Montefusco, sito tra i Casali di Chianca, Toccanisi, Pagliara e Bagnara che appartenne prima a Bernardina del Tufo, e, successivamente, nel 1549, al figlio Federico Rascia di Salerno il quale, annualmente, percepiva la somma di un ducato da ogni vassallo, cioè venti ducati in tutto. Inoltre ognuno di essi doveva prestare una giornata di lavoro, valutata un carlino, pari ad altri due ducati annui.
Fra quei beni compare anche la casa di Napoli, sita a Capuana, che fu riedificata da Marcello con sue proprie entrate.
I Caracciolo stavano per perdere anche i feudi di Bagnara e Montedorso rivendicati quale dal monastero delle monache di San Pietro e quale dall’arcivescovo di Benevento fin dal 1519, allorquando, l’Università di Sant’Angelo a Cupolo, dichiaratasi appartenente all’arcivescovo di Benevento e alle monache di San Pietro [in Delicato di Chianche], si oppose con successo al pagamento della quota a suo carico del donativo, imposto in occasione del maritaggio della Regina del Portogallo, sorella della Cattolica Marestà. Poco dopo, nel 1523, pur ribadendo che il casale di Montedorso apparteneva alla sede apostolica e quelli di Bagnara e San Marco ai Monti allo stesso monastero, l’Università di Benevento si limitò a supplicare la Sommaria di mantenerli immuni dai pagamenti fiscali, così come per consuetudine.
Dopo l’invasione di Lautrec furono tributati sia S.Angelo che i due feudi dei Caracciolo e più tardi, nel 1562, temendo la sottrazione da parte del regio fisco, i consoli di Benevento, ribadirono l’appartenenza alla sede apostolica dei casali di Bagnara, Montedorso, San Marco ai Monti e una parte di S.Angelo a Cupolo. Lite che riesplose nel 1565 quando fu ingiunto a Marcello Caracciolo a comparire nel foro ecclesiastico di Roma, pena la scomunica, e abbandonare Montedorso in mani beneventane, anatema che già aveva colpito il padre portandolo alla morte il 9 ottobre del 1554, al punto che la santa sede fece disseppellire i suoi resti.
Nè bastò il memoriale di Marcello del 1567, portando a ragione che le suore del monastero di San Pietro fin dal 1540 dichiaravano di non voler pagare l’introduzione dell’imposizione di sale, olio e aceto sostenendo che era sito nella zona franca beneventana, usurpando esse di fatto il feudo di Bagnara, quando un secolo prima accusavano il barone di Montefredane di depredarle dei frutti di Bagnara quando il casale si trovava nella Montagna di Montefuscoli, facendo il gioco del Governatore di Benevento. E fu propro grazie alle Donne Monache che Bagnara passò fra i beni dello Stato della Chiesa insieme a quelle quattro casupole di Montedorso, facendo finire il ‘Caso Caracciolo’ a Madrid. Nel 1571, scrive Cocozza, sarà il Vicerè Pedro Afan de Rivera (1559-1571) a tratteggiare a Filippo II gli sviluppi e lo stato del conflitto giurisdizionale in riferimento alla questione di Montedorso, che senza alcuna riserva veniva posto dentro lo Territorio di Benevento.
E così, mentre perdeva Bagnara e Montedorso, Marcello diveniva Marchese di Casalbore nel 1569 grazie al contentino di Filippo II, il quale, in contemplazione del matrimonio, si adoperò per fargli rimettere anche la scomunica, ricevendo in dono dalla madre anche le entrate annue di Montefusco, compresa la Bagliva, appartenuta ai Caracciolo fin dai tempi dell’avo Pippo e quelle comprate dalla genitrice da Pesco a Torre Pagliara, ricomponendo in gran parte il patrimonio appartenuto alla casata comprando, per mano della moglie, Costanza Caracciolo, il Casale di Toccanisi e parte di Torrioni, anch’essi ai margini dell’enclave beneventana.
Acquistati infatti a suo tempo da Pippo Caracciolo nel 1433, Toccanisi e parte di Torrioni furono ereditati dal figlio primogenito Berardo e quindi con successive sistemazioni familiari attribuiti ai fratelli: prima a Nicola e poi Carlo. Da questi passarono al figlio Giovan Tommaso, al quale, nel 1498, successe il fratello Camillo e, nel 1557, al figlio Fabio, che li ebbe in dono, insieme con il feudo di Tocco in Abruzzo Citra, in occasione del suo matrimonio con Diana, figlia di Geronimo Lambertini.
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