Sancia di Maiorca. La Beata Chiara dei Fraticelli (vol.2)

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Lo strano testamento

Nel suo testamento del 16 gennaio 1343, Re Roberto, onde assicurare la gestione del Regno fino alla maggiore età di Giovanna I indicata dal diritto romano in venticinque anni, istituì un consiglio di reggenza presieduto da Sancia.
Esso era formato dalla Regina, dal vicecancelliere del Regno Filippo de Cabassole vescovo di Cavaillon, da Filippo di Sangineto conte di Altofiume, dal siniscalco di Provenza, dall’ammiraglio Goffredo di Marzano conte di Squillace, e, secondo alcuni, anche dal figliastro Carlo d’Artus conte di Sant’Agata e Monteodorisio siniscalco regio.
Il testamento del Re, volontariamente, ebbe quindi ad escludere dall’amministrazione momentanea del Regno, la linea dei Principi di Taranto e dei Duchi di Durazzo, sempre più avversi a queste nozze.32
Quando Petrarca arrivò a Napoli, nel settembre del 1343, da ambasciatore di papa Clemente VI, vide il reame come «una nave che stava per affondare», senza che nessuno sapesse nelle mani di chi fosse finita. Qua e là si vedeva gironzolare un certo Fra’ Roberto de Mileto, ometto grasso, vestito di stracci, spesso appoggiato a un bastone e con un copricapo che gli faceva da cappello, tale da sembrare un essere abietto: «un orribile animale a tre zampe».
Sancia, per fedeltà a Roberto, sposò la causa della nipote per un anno intero, mettendosi anche contro le altre fazioni familiari. Ma presto si rese ella stessa conto della inefficacia del Consiglio di Reggenza che costrinse il Papa, in veste di Sovrintendente, a imporre il dominio diretto, inviando un suo legato, quale fu il cardinale Aimery de Châtelus.

Description

LA VEDOVA CHE DIVENTA SANTA:
L’INVASIONE DEI FRANCESCANI SPAGNOLI, LA MAGIA POPOLARE

Sancia, un anno dopo la morte del marito, non avendo figliuoli a dire del Villani, si commise nel monistero di S.Piero a Castello, che ella aveva fatto fare.40
Nella Cronaca di Sessa, città dell’episcopio di S.Giovanni, si dice che pochi giorni dopo la morte del Re Andrea, la Regina prese anche i voti.
Così il cronista: — Anno eoque de mense Januarii die 21 Domina nostra Regina Sancia renunciavit mundum, et intravit monasterium s.Crucis sub regula, et possessione pauperum seminarum s.Clara, in quo monasterio asperam vitam duxit, et tunc venit Neapolim minister generalis ordinis s.Francisci, de consensu summi pontificis, et dictam Dominam habitu s.Clara induit, et intus dictum monasterium ipasm consecravit.41
E due anni dopo, nell’agosto del 1345, morì anche «nostra Regina Sancia soror Regis Majorica, e uxor Regis Roberti obdormivit in Domino», precisandosi che avesse costruito e dotato di beni le due chiese napoletane delle clarisse.
Così il cronista: — Qua multa bona in vita sua fecerat, pauperibus omnia bona sua largiendo, duas nobilissimas Ecclesias in Civitate Neapolis construxit, e multis divitiis easq. dotavit, videlicet Eccleasiam s.Clare finiendo dimisit in manibus Abatissa dicti monasterii uncias XVI a/m e quod dictam pecuniam dispensaret secundum totam in suus manibus habuit, et pro suis negotiis liberavit sepulchrum, cujus Regina est in monasterio prefato s.Crucis.42
Il 28 gennaio 1345 aveva fine la vita di questa ricca e sfarzosa sovrana, dopo due anni di clausura in S.Croce. Fu questa Sancia di Maiorca, regina senza figli, a donare la sua vita a Dio e i suoi beni ai fraticelli poveri di San Francesco.
Così Villani: — La misera Regina Sancia, vedova di Roberto, non potendo sostituirsi ai baroni, inascoltata, si ritirò in un monastero, e morì forse per il dolore.43
Dice il Cronista Suessano che il corpo fu seppellito sopra l’altare maggiore della Chiesa di Santa Croce, dove si scolpì una frase nel marmo. L’epitaffio consegnava la «santa sorella» alla storia, ancor prima che fosse riconosciuta come Beata Chiara.
Queste le ultime parole a lei dedicate: — Hic jacet summa humilitate exemplum corpus venerabilis memoria Santa sororis Clara Sancia Regina Jerusalem, e Sicilia.44
Sancia moriva consapevole di aver vissuto in odore di santità, tanto è vero che si compì ciò che ella aveva desiderato. Ma non fu così per la Corte, non essendo riuscita ad imporre ai reali le ultime volontà del marito che aveva lasciato scritto di consegnare il Regno di Napoli al figlio di Caroberto perché l’eredità spettava agli Ungheresi. Mai decisione fu così saggia ed equilibrata, per il mancato rispetto della quale saranno uccisi i rispettivi sovrani, Giovanna ed Andrea, Re Carlo III, i principi ereditari Luigi d’Ungheria e Luigi d’Angiò, e una miriade di baroni, riducendo Napoli alla semplice dignità di Signoria.
La Chiesa era stufa dei Re. Ora voleva solo rifondare gli antichi principati normanni, riuniti in un solo grande Ducato del Papa, con sede nella Vicaria della res pubblica di Nova Capua. Il reame si sarebbe distribuito in quattro grandi province soggette al Nova Civitate Dei: Aversa, Nocera, Ariano, Lecce.
Dovrà faticare non poco Re Ladislao per riconquistare l’intero reame, diviso in quattro parti, riunito poco prima di essere avvelenato. Giusto in tempo per farlo ereditare dalla bella Giovanna II di Nova, già Regina di Puglia nel Palazzo capuano del papa. La ziastra, accorsa dall’antica reggia di Accola — «H» — prese possesso di Urbe Napoli e unì questo titolo a quello che già possedeva, fondendo finalmente tutti i troni, Trinacria compresa.45
Giovannella subentrò definitivamente al ramo dei Durazzo, discendenti ribelli della famiglia reale, nessuno dei quali, in quel secolo, si era spento di morte naturale.46
Il tempo delle vocazioni, della «Beata Sança» e dei fraticelli, poteva dirsi sepolto. Cominciava l’era delle feste a Palazzo, con giocolieri e negromanti…

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Editorial Review

LA REGINA CHE FECE RIUNIRE LE RELIQUIE DI SAN LUIGI DEI FRANCESI

 

La Regina Sancia, pur seguire il fratello Filippo, si avvicinò troppo ai postulati, chiamati anche pauperisti e spiritisti. Fu il motivo principale per cui la corte andò via via svuotandosi di dame e artisti, di poeti d’amore e di incontri prerinascimentali, per fare largo a teologi e monaci nichilisti.
La Regina di Napoli si ritrovò addirittura ad accogliere alcuni dei fratelli spirituali perseguitati. Si tratta di Francescani che fuggivano dalla Francia meridionale o dal nord Italia. «In questi tempi dell’anno 1313, s’estese grandemente per l'Italia, e per la Francia, e Germania la setta delli Flagellanti heretici, così detti dall’atto del flagellarsi che efficevano, hebbe origine tal setta in Italia, nell’anno 1272, benché Martino Sandero, e Giorgio Edero scrivano, che sorta fusse nell’anno 1350».1
Nella causa impiantata dalla Chiesa contro fra’ Michele de Cesena, la Regina arrivò a sostenere la tesi del povero predicatore, perché a suo dire faceva emergere il significato originale del voto fatto da s.Francesco, e quindi sull'applicazione pratica e l'esperienza della povertà evangelica. Quella che andava dritto in contrasto con la magna pomposità della corte ecclesiastica. Avendo quindi sposato le tesi espresse da Umbertino da Casale e da altri scrittori spirituali, fu il papa in persona a scendere in campo per ammonire tutti di ospitare eretici e scismatici a corte e di essere vicini alla dottrina della Compagnia dei fraticelli. Accompagnato suo marito a Marsiglia, il 22 maggio 1319, davanti alle reliquie di Luigi d'Angiò, ormai in odore di santità, Sancia prenderà a corte suo fratello piccolo, il primo ad entrare fra i Francescani e a scoprire questo mondo mistico che rapirà del tutto la Regina di Napoli. Anzi, alla notizia della canonizzazione del corpo di San Ludovico, la famiglia reale uscì vittoriosa dall’iter religioso, propagandando gratuitamente le attività e il potere della casa regnante non solo al Sud, ma in tutta Europa.

L’8 novembre del 1319, i reali, il siniscalco con 30 militi e 96 scudieri, 10 medici con 12 ciambellani, 10 cappellani e 9 chierici, 2 giuristi e molti notai e cortigiani si imbarcarono su 25 galee.
Smontarono a Marsiglia per recarsi nella chiesa dei frati Minori in occasione della traslazione del corpo s.Ludovico di Tolosa collocato nella nuova sepoltura, sotto l'altare maggiore del coro, in una cassa d'argento. Essa veniva aperta e chiusa solo per ordine dei reali di Sicilia, che curarono anche l’arredo sacro della cappella, su autorizzazione scritta in occasione della visita di personalità.
Una cappella preziosa che negli anni aumentò il suo tesoro, almeno fino al 1331, quando su una galera diretta a Marsiglia fu caricato lo scrigno rosso e verde corazzato donato da s.Brigida (che soggiornò a Palazzo nel 1367, e poi tra il 1371 e il 1373), ad una monaca di S.Croce di Palazzo, a sua volta ricevutolo da Sancia. Esso conteneva numerosi oggetti, fra cui due ampolle smaltate di zecchino con lo stemma del regno d'Ungheria, un calice d'oro con patena impreziosita da zaffiri, perle e altre pietre, un calice di cristallo con base d'argento, una brocca d'argento dorato. Il tutto doveva servire per le celebrazioni da tenersi nella cappella di s.Ludovico.
Così s.Brigitta di Sveza: — Clara nomine, in monasterio monialìum ad Sanctam Crucem et dìxìt ad eam: Habeo, ìnquìt, reliquias de capillis matris Dei, datas michi per reginam Sanciam, quas nunc tibi dabo, quia michi inspiratori est diuinitus, vt tibi eas committam.2
Lo scrigno con l’altrettanto prezioso contenuto furono però rubati. Il 15 giugno Sancia diede ordine allo stratigoto di Salerno di avviare un'accurata indagine con la ricompensa di 10 once d'oro per chi avesse fornito notizie utili.