1. Giacomo Della Morte, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, pubblicata a cura di Paolo Garzilli, dalla Stamperia Reale, Napoli 1845.
2. Ivi. Cfr. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255. Cfr. Agostino Cesaretti, Istoria del Principato di Piombino, T.I, Stamperia della Rosa, Firenze 1788, Ristampa a cura della Arnaldo Forni Editore, Vol.93, pag.93 e pag.102 e pag.46. Nel 1513, D. Batistina cognata della Principessa e sorella di Jacopo, sposò Ottaviano Pallavicino e la Comunità di Piombino gli regalò 300 scudi d’oro. Nel 1552 il nuovo Principe di Salerno assaltò Piombino.
3.Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857, pag.266.
4. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870, pag. 46-pag.51. V. Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana,cap.XXII del libro III. Una lettera di questa signora si legge tra le Lettere di molte valorose donne stampate in Vinegia presso Gabriele Giolito de Ferrari al 1549: e nella Biblioteca Nazionale di Napoli si conservano parecchie lettere autografe indiritte da questa principessa a Geronimo Seripando.
5. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675, pag.3.
6. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v. Così: “includendo la fidelissima città de Napoli, & le provincie de Calabria citra, & ultra [Cosenza,] de Principato Citra[,] Terra de Otranto, & Terra de Bari [Puglia], quali ne fatta gratia concedere ad Napolitani, & regnicoli originarii & oriundi & ancora providerli de li septe officij del Regno, o de la majore parte de epsi.
Et restarrà in suo arbitrio de disponere ad chi volera de tutti officii che vacaranno in la Provintia de Principato Ultra [,] de Apruzo Citra, & Ultra [Sulmona,] Capitenata[,] Puglia & in lo Contato de Molise.
Et similmente farrà gratia concedere ad Neapolitani, & regnicoli originarii & oriundi tutte prelature & beneficii spectante ad collatione seu presentatione de V.Catholica Majestate in le preditte provincie de Terra de Lavore inclusa etiam la fidelissima cità de Napoli, & le provintie de Calabria Citra e Ultra [Civitate Cusentia,]de Principato, Citra[,] Terra de Otranto e Terra de Buri, reservandose quilli che vacaranno in le dicte provintie de Principato Ultra de Apruzo Citra & Ultra [Sulmona,] Capitanata, Puglia, & in lo Contato de Molise.
7. Benevento e la provincia sono offuscate dall’incalzare del nemico francese che occupa la Valle Beneventana e crea a nuovo punto di riferimento Atripalda. L’8 marzo del 1501, i documenti di Serra, si registrano alla quarta indizione di Atripalda, quando Nardo Ripa de Avellino, rettore di San Nicola di Castro Serra, loca un territorio demaniale della Chiesa. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v. Nel 1536 da Napoli, diretta all’Imperatore Carlo V e madre Giovanna la Pazza, arrivarono i capitoli dei cittadini nobili e magnati di Napoli e di Principi, Duchi, Conti e Baroni riuniti in parlamento generale.
8. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 102v.
9. Summonte, cit.
10. Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 2 vol., Roma 1982, Edizioni di storia e letteratura, pag.83; Cfr. ASNA, Signific., I, 2. “Nel detto Regio f.14 t è registrata significatoria di d.5709.3.97 spedita per la camera a 13 agosto 1510 contro l’Ill.mo don Ferdinando Sanseverino, principe di Salerno, suo padre per l’intrate feudali dell’infrascritte città e terre. Principato Citra: Salerno, Sanseverino, Agropoli, castello dell’Abbate, Laurino, Diano, Sala, Atena, Polla, Marsico, Basilicata…Ivi; Ferorelli, cit.
11. L.Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892.
12. G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939. Appendice, Doc. N.27.
13. C.Colafemmina, P.Corsi, G.Di Benedetto (a cura di), La presenza ebraica in Puglia fonti documentarie e bibliografiche, Bari 1982. Archivio di Stato di Bari, Sezione A.S.Trani, Atti notarili, Notaio Carissimo de Adiutorio.
14. Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, Histoire des Français, 1807.
15. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
16. www.fucecchionline.com
17. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
18. G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939. Scrisse: “Mel de Belloinfante sacerdote ebraico, Giuseppe de Eleazer, Angelo Ziego, Daniel Ziego, Sabajus di Angelo de Trani ebrei dichiarano nella curia episcopale di Bitonto pretendono dovere esigere e conseguire dagli ebrei di qualsivogliano terre e città e luoghi conferentisi alle Mundine di S. Leone di Bitonto una gabella di grana 18 per ogni oncia di loro negozii e cose mencantili di qualunque sorte e maniera con grave pregiudizio dei privilegi alla detta Badia di S. Leone di Bitonto che esso nel detto nome e proprie spese dovesse andare a Roma e supplicare il Pontefice che detti ebrei non potessero più essere vessati sulla detta gabella dalla detta Vescovile Curia e tale causa spedisse in forma di Breve. Promettono dare al detto abate D. 16 se farà liberare con una definitiva sentenza essi e tutti gli altri ebrei dalla gravezza di tale gabella”.
19. A.Bascetta, Giovanna IV, II parte, ABE Napoli 2023.
20. V. Vitale, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, Vecchi, Bari 1912.
21. Giuseppe Rovani, Manfredo Pallavicino o I Francesi e gli Sforzeschi, Carlo Barbini Editore, 1877.
22. P.Verri, Di Francesco I Re di Francia e il suo governo nel Ducato di Milano, Cap.XXII, “Storia di Milano” – Continuazione di Pietro Custodi, Vol.II, Ed. Sansoni, Firenze, 1963. Brantome lo considerò trop sévère et mal propre pour un tel gouvernement aggiungendo che il n’y estoit bon. Gaillard disse che fu ben lontano dalla clemenza della madre. Forse fu esattamente come il suo Re dalla “cattiva indole”.
23. Raffaele Inganni, Origini e vicende dellaCappella Espiatoria Francesea Zivido, presso Melegnano (1515-1606), Milano 1639, Stabilimento Tipografico Ditta Giacomo Agnelli, nell’orfanotrofio Maschile, Milano 1889.
24. Giuseppe Gerosa Brichetto, La Battaglia di Marignano, uomini e tempi delle calate dei francesi sul ducato di Milano, Milano, 1965. La Contessa, a dire di Brantome, era “une très belle et honeste dame que le Roy aimoit, et fasoit son Mary cocu”. A quei bei tempi d’oro, scrive Gerosa Brichetto, “l’adulterio con un Re o con un principe di sangue reale non era una macchia, ma un ornamento di famiglia, per cui anche le donne oneste potevano sacrificarvisi come grazioso gesto di devozione alla corona. Così non l’intese quel tal marito tradito, che a detta di alcuni storici volendo vendicarsi dell’oltraggio patito, prese il “mal franzese”, ne contagiò la moglie, la quale a sua volta ignara lo trasmise al Re Francesco I che ne soffrì ben bene tutta la vita e pare anche che fu causa della sua morte prematura”.
25. “Se Odetto fece questo”, scriveva Vettori, “o permesse con volontà del Re o no, io non ardirei scrivere, perché Francesco affermava non ne avere inteso cosa alcuna et io non posso, né debbo, né voglio non prestare fede alle parole di un tanto Re. Vennono dunque Federigo e Francesco Maria con detto essercito in Ferrarese, e quivi, con qualche favore del Duca, passorono il Po et erono già in Romagna quando a Roma se ne ebbe notizia vera”. Francesco Vettori, Scritti storici e politici, a cura di Enrico Niccolini, Giuseppe Laterza & figli tipografi Editori Librai, Bari 1972.
26. P. Verri, Di Francesco I Re di Francia e il suo governo nel Ducato di Milano, Cap.XXII, “Storia di Milano” – Continuazione di Pietro Custodi, Vol.II, Ed. Sansoni, Firenze, 1963. Brantome lo considerò trop sévère et mal propre pour un tel gouvernement aggiungendo che il n’y estoit bon. Gaillard disse che fu ben lontano dalla clemenza della madre. Forse fu esattamente come il suo Re dalla “cattiva indole”.
27. Gabriella Cenicola, Giovanna la pazza: il regno della follia o la follia del regno?, da: www.letterariamente.it.
28. K. Hillebrand K, Un enigma della storia.
29. G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939.
30. Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XII.
31. Leggenda di Vico Equense (Na)
32. Leggenda di Atrani (Sa)
33. ASV, Sigilli Staccati 1, Sigillo a due facce. Si tratta di un sigillo pendente mediante fettuccia di seta gialla e rossa, di cera rossa, rotondo, da mm. 115 in uno stato di conservazione definito buono, con qualità dell’impressione buona.
34. Fulvio Colombo, Regesti del Codicle Diplomatico Istriano, Vol.V. Archivio Diplomatico di Trieste.
35. Ivi.
36. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi.
37. Ivi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo…”.
38. P. Verri, Di Francesco I Re di Francia e il suo governo nel Ducato di Milano, Cap.XXII, “Storia di Milano” – Continuazione di Pietro Custodi, Vol.II, Ed. Sansoni, Firenze, 1963.
39. asav, Notai di Avellino, I Versamento, notaio Gabriele de Soricello di Montefusco, B.5798, anno 1538.
40. ASAV, Notai di Avellino, Notaio Donato Danza di Montefusco, Busta 7708, fascio 230, f.87, anno 1592.
41. Sabato Cuttrera, Atti di Notai Sanniti, ABE 2023.
42. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
43. Sabato Cuttrera, Atti di Notai Sanniti, ABE 2023.
44. Bascetta, Torrioni nel 1742, Abedizioni 2003.
45. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007.
46. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769,pagg.422-425.
47. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007.
48. Ibidem.
49. V. Apice nel 1753, Abedizioni, cit.
50. AA.VV., Apice nel 1753, Abedizioni, cit. Si comincia dal Capitulum primum de ordine faciendo et tenendo ad ordinandum offitiales Apitij. V. AA.VV, 4.Principato Ultra, Apice nel 1753, VIII Catasti Onciari del Regno di Napoli, Arturo Bascetta Edizioni, 2004, pag.138. Cfr. Sabato Cuttrera, Atti di Notai Sanniti, ABE 2023.
51. A.Bascetta, Salerno nel 1755. Il Catasto Onciario, ABEdizioni, Avellino 2006.
52. ASNA, Quinternioni, Vol. 16 del 1495, foll. 288-289. A ultimo de jugno 1529 al spectabile conte Guidone Ferramosca conte de Migliano olim Gubornatore dela provintia de Capitanata ducati tricento cinquanta correnti. Si tratta dei soldi che Ettore Ferramosca tenea sopra li pagamenti fiscali dela terra de Civitella per se soy heredi et successuri in perpetuum in compenso dele Castello de Camino, Roccha de Vandre, et Miglionico quali foro restituiti ali patroni in virtu dela capitulacione della Cesarea de immortal memoria con lo Re de Franza, per anni cinque mesi undici che non li foro pagati, computando dal ultimo de decembro 1515 che fo morto lo spettabile Hector Ferramosca, per tucti li XXII de decembro 1520, perché dal dicto di avanti soli have exapti et havuti, et so quilli ducati 350 che per ordine del magnifico Luyse ram olim Reg. la R. Generale Thesaureria li sono stati pagati per lo quondam magnifico Loyse” nel luglio del 1526. La data dell’ultimo di dicembre è quella in cui incomincia il pagamento (la morte di Ettore è nell’anno 1515) perché i pagamenti si facevano dalla tesoreria per terze, cioè in aprile, agosto e dicembre. Cfr. Minieri-riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel regno di Napoli, Napoli 1844. Questi afferma d’essersi posta sulla tomba di Ettore questa iscrizione: Inter et antiquas clades, interque recai tea, Quas, Capua, insignes enumerare potes, Immatura Ubi mora Hectoris infima non est, Hector, qui phrygio non minor Hectore erat. Optassct mediis tamen iìle occumbere in armis, Inque acie extremum Victor olire diem. Non ita in ignaro fatis concedere lecto; Tristius hoc i/li sic pcriisse fuit. Tamque din, Volturile, tuum lugehis alumnum, In more raeruleas dum cumulatila aquas.
53. A.Bascetta, Salerno, cit. L’Abbazia di S.Maria de Giudaica, così detta per indicare l’ubicazione nel quartiere, appartenne in antico a Giacomo de Abundancia, Abate di S.Maria de Giudaica dal 1296 al 1309, successo (1216) al chierico e abate Giacomo Cavaselice.
Nel 1613 era il chierico Manganario a vantare patronato della Cappellania di S.Lucia, quindi con diritto di presentare il Cappellano, che, dal 1643, risulta anche beneficio ora dell’Arcivescovo di Salerno, ora dell’Abate di Cava.
Con la presenza della statua di S.Lucia in questa o in una chiesa diruta vicinissima, comparve S.Lucia, forse dopo aver inglobato la Cappella di Santa Maria de Mare, già di parziale patronato della famiglia Ioncatella dal 1072.
Santa Maria de Ruganova, altra chiesa presso Torre Santa Lucia. Già nel 1297, però, nasce la confusione con un’altra S.Maria. Questo stesso Abate svolgeva infatti funzione di presbitero (1297), diciamo di arciprete, in un’altra chiesa delle vicinanze: S.Maria de Ruganova, nata con la costruzione della nuova strada, lungo la via nuova del quartiere, dal 1186, quando i de Bivo ne cedono il parziale patronato all’Abate di Cava, e per questo, nel 1293, verrà chiamata anche S.Maria de Ruga Nova, la cui cura fu per qualche motivo affidata o usurpata dal vicino Abate dell’Abbazia di S.Maria de Mare à Giudaica e confusa dagli storiografi.
Un documento del 31 dicembre 1336 cita la Taverna del postribolo cittadino sita vicino alla chiesa di S.Maria de Ruganova (che si diceva essere così antica da non conoscersi il nome del fondatore) e alla Torre della città detta di S.Lucia, dove ancora erano nel 1692.
Per quel che riguarda San Salvatore de Fundaco c’è un po’ di confusione, volendola identificare con quella nominata nel 1268 vicino agli archi e detta in Giudaica, in cui, dopo il 1513, si sarebbe trasferita la Confraternita dell’Oratorio di S.Salvatore di Drapperia alla Dogana vecchia in direzione della Dogana nuova. Secondo alcuni il passaggio dalla Dogana vecchia alla Dogana nuova era già avvenuto nel 1400, visto che nel 1423 era stata ampliata per volere di Pacilio de Turdo o Surdo, nobile del Seggio di Portanova.
54. A.Bascetta, Juana la Pazza, Giovanna di Castiglia e d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2008.
55. K. Hillebrand, Un enigma della storia, Sellerio, 1986; Sabina Marchesi, Giovanna La Pazza, da: www.thrillermagazine.it/rubriche/1421. Così scrive: “Vittima della ragion di Stato e di una estrema fragilità di carattere, Giovanna di Castiglia, sposa di Filippo di Borgogna, madre di Carlo V, figlia di Isabella di Castiglia, la Santa Guerriera, e di Ferdinando d’Aragona, lascia questo mondo come figlia di Re, madre di Re e Regina essa stessa, lanciando ai posteri un monito estremo. Io sono una delle due o tre regine sovrane del mondo; ma il solo fatto che sono figlia di re e di regina sarebbe dovuto bastare perché non fossi maltrattata”.
56. A.Bascetta, Juana la Pazza, cit. A sostenerlo furono soprattutto i parenti delle Fiandre. Carlo, infatti, della cultura spagnola conosceva poco in quanto tutta la sua educazione era ammantata dalla cultura fiamminga del Ducato delle Fiandre, dov’era cresciuto sotto la zia e il padre Filippo, fin da quando ne aveva ereditato il possesso da Maria Bianca, morta all’età di venticinque anni a causa di una caduta da cavallo.
Nelle Fiandre aveva quindi trascorso l’infanzia e l’adolescenza, aggiungendo alla sua istruzione solo il francese in quanto non fu mai molto amante degli studi, preferendo le arti cavalleresche e la caccia. Affiancato dal consigliere Erasmo da Rotterdam, questi, in una lettera inviata a Tommaso Moro, si era però dimostrato alquanto perplesso circa le sue effettive capacità intellettuali. Ma ora era divenuto il padrone assoluto di buona parte del mondo conosciuto, sebbene dal punto di vista dinastico fu Giovanna la regina titolare fino alla morte (1555).
Nonostante la scarsa documentazione in merito giova tramandare che nel 1521 Carlo dovette abbandonare la Spagna in rivoluzione. Padilla, capo dei comuneros che si erano impadroniti del potere, si schierò contro il marchese di Deina che molestava la Regina e, impadronendosi del castello-prigione di Tordesillas, prima di ogni altra azione, la liberò chiedendo alla sua mente annebbiata un cenno di consenso per la riconquista del trono. Lo fece piegando un ginocchio davanti alla sovrana, in atto dell’antico omaggio, facendo tornare alla realtà la sventurata smemorata.
Per Giovanna fu come svegliarsi da un lungo sonno e, come per miracolo, le tornò la lucidità mentale che le permise di annuire benevolmente col capo. La Regina ascoltò con apparente accondiscendenza i discorsi dei suoi sudditi, ma fallì ogni tentativo di indurla all’azione e di ottenere da lei solo una firma, quanto bastava ad annunciare al mondo che fosse sana di mente e permettere ai comuneros di riprendersi tutti i Regni in nome del testamento materno. Da qui le assidue visite di Carlo, sempre timoroso che Giovanna potesse rinsavire e operare a suo danno. Ecco perchè, per mantenersi buono il popolo, più che ricondurre a sè la madre, preferì richiamare gli ebrei cacciati dal Regno di Napoli (1520). Ma sebbene l’ordine regio, i francescani, guidati da Fra’ Francesco dell’Agnelina continuarono ad additarli nonostante il Vicerè gli ordinasse di tacere inzuriandolo assai, affinchè non predicasse contra zudei. Fra’ Francesco otterrà poi (1521) che portassero almeno il barete zale, il berretto giallo, come a Venezia (G. Summo, Gli ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari 1939).
In fondo era ebrea perfino la nonna paterna della Regina, Giovanna Enríquez, a cui ella molto assomigliava. Chissà se pure l’ava era stata così gelosa del marito, rasentando la pazzia e sfigurando i visi di donzelle e schiave more. (Giancarlo von Nacher Malvaioli, Cristoforo Colombo, Cap.XII).
Non per questo non è provabile una venuta della Regina Giovanna a Napoli, regno in sua potestà fino a prova contraria, avendo la reggenza indiretta dei suoi Stati, il che giustificherebbe le frequenti visite dell’Imperatore alla madre.
Tre anni prima, quindi anche scevro da probabili inquinamenti post-rivolta, cioè del 27 febbraio 1519, è il diploma emanato a Trieste con cui si faceva divieto di balli per la morte dell’Imperatore Massimiliano. Il 30 giugno, da Barcellona, Carlo si diceva già “V”, mentre, il 16 luglio, in una medesima lettera, con l’intestazione Giovanna e Carlo Re delle Spagne e delle due Sicilie. Alla morte del padre, la Regina riprese quindi le redini del governo, ma per tre anni, comparendo in alcuni documenti solo il nome di Giovanna. Sul finire dell’amministrazione, il suo nome viene associato a quello del figlio, fino a scomparire del tutto quando compare solo Carlo Re delle Spagne e delle due Sicilie. (ASV, Sigilli Staccati 1, Sigillo a due facce. Si tratta di un sigillo pendente mediante fettuccia di seta gialla e rossa, di cera rossa, rotondo, da mm. 115 in uno stato di conservazione definito buono, con qualità dell’impressione buona; Fulvio Colombo, Regesti del Codicle Diplomatico Istriano, Vol.V. Archivio Diplomatico di Trieste; Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo…”; La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552)
57. Alfredo Maria Santoro, prime Indagini di scavo nel Castello di Mercato San Severino (Salerno), da: archeologiamedievale.unisi.it. Scrive Santoro: Gli esemplari del periodo aragonese sono tre: un grano di Giovanna la Pazza e Carlo d’Austria emesso a Napoli (1516-1519) e due “cavalli” di Ferdinando I emessi a Napoli e nella zecca dell’Aquila fra il 1472 ed il 1488. Le restanti monete sono relative al settore Nucleo Abitato: un denaro gherardino emesso dall’atelier napoletano fra il 1299 e il 1309 da Carlo II d’Angiò e un denaro di Federico II coniato a Brindisi nel 1249.
58. Lucia Maria Bertino, Monete e zecche medievali dal X al XV Secolo attestate in Luni e in centri liguri della sua diocesi. Ella scrive: Degno di nota, anche se riferito al periodo immediatamente successivo al Medioevo, un grano di Giovanna la Pazza e Carlo d’Austria (1516/1519) della zecca di Napoli avente nel D/ la leggenda LETICIA POPVLI attorno alle iniziali I-C accostate da grossi punti e sormontate da corona reale e nel R/IVSTVS REX attorno a croce potenziata accantonata in ogni quarto da globetto (BERTINO L.M. 1986). Questa moneta può testimoniare approdi di navi mercantili di Napoli per scambi commerciali o più probabilmente di navi militari per incursioni nel territorio di Porto Venere. Infatti, un ventennio prima, come risulta da un privilegio del Senato Genovese del 1494 concesso agli abitanti di Porto Venere, il borgo e il suo territorio erano stati devastati ed incendiati dalla flotta di Alfonso II d’Aragona re di Napoli (1494/1495).
59. A.Bascetta, Joanna la Pazza, cit. Sono le monete del governo di Giovanna, risalita ufficialmente sul trono di Barcellona dal 1516 al 1519, perché in quei tre anni, in realtà, le Corti di Castiglia convocate a Valladolid, pur accettandone l’imperio, non legittimarono Carlo in quanto i comuneros si opponevano alla incoronazione di un Asburgo. Solo nel 1518, quando Carlo decise di sottomettersi spostandosi in Aragonia e Catalogna, gli vennero riconosciuti trono e governo, ottenendo l’omaggio delle Corti in Saragozza e Barcellona. Cioé quando il Reuccio prese il posto della madre dopo il giuramento e nello stesso frangente, a Francoforte, venne indicato come erede del Sacro Romano Impero, scalzando il pretendente Re di Francia, Francesco I, finendo incoronato ad Aquisgrana nel 1520. La madre Giovanna fu quindi nuovamente rinchiusa, tenendola ben lontana dall’amministrazione dei suoi stati. Restò comunque l’ultima Regina de facto fino all’ascesa del figlio (1519), il quale, da V Imperatore, portò il titolo di Imperatrice alla futura moglie Regina Isabella del Portogallo sposata nel 1526.
60. Summonte, cit., pag.21 e segg.
61. Benedetto Croce, Aneddoti di varia letteratura, Vol.I, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli 1942, Cap.22, Isabella Villamarino, pag.268.
62. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870, pag.51. V. manoscritto dell’opera Vita di donna Giovanna d’Aragona duchessa di Palliano di Filonico Alicarnasco, ossia Costantino Castriota.
63. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi, cit.
64. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi, cit.
65. Summonte, cit., pag. 36 e segg.
66. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b.6028, anno Notai ignoti, anno 1548, pag.85. Antonino Groppolo et Mayoro, 26 giugno 1548, Terre Sanctj Severini Principatibus pro giudice Hardo Antonio Fuscoli. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b.6028, anno Notai ignoti, anno 1548, pag.83. 1548 in foro Terra Sancti Severini principatus pro juduce Mario Mercualdo per donazione di Nicola Antoni..nj alla moglie magnifica Vittoria Villane. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b.6028, anno Notai ignoti, anno 1548, pag.79, 16 giugno 1548 fra Casali Platee Galdi pro rinermiarum Terre Santi Severini et pro fu quondam aula superiore existente in hispizio domorum dy Magnifici Nicolaj Amj presso strada pubblica Paduani et Mola.
67. Archivio di Stato di Avellino (d’ora in avanti chiamato ASAV), Notai di Avellino, I Versamento, b.5845, Notai ignoti, anno 1506, apud fora giudic. Pastorano Sanctj Severini, busta notaio Ambrogium de Vivo di Santo Severino. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b.5845, Notai ignoti, anno 1507, Apud fora casali Pandula. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b.5845, Notai ignoti. Nel fascio il notaio attesta il nuovo rogito scritto sub anno a nativitatis dominj 1510 (comincia il 25 dicembre). “regnante ….catolici?… Ferdinando de Aragonia dei grazia rege haragonum et utriusque Sicilia, citra et ultra farum. Regno vero ej hujus regni sicilia citra farum anno octavo feliciter amen. Dominici quoque in dicta Terra Sancti Severini. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b.5845, Notai ignoti. Nel secondo faldone della busta 5845 è sempre Ambrogio de Vivo che scrive. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b.5847, Notai ignoti, anno 1530, notaio Geronimo de Vivo de Santo Severino, Regno di Carlo V da 15 anni, dal 1515. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b. 5846, anno 1518-29, Geronimo de Vivo, apud Terra Prata, Terra Prato alias Prata…. Poi Terre Serini e poi Santi Severini. ASAV, Notai di Avellino, I Versamento, b. 5846…anno 1516.. (leggibilissimo). Apud forum Serini. Nos Ambrosino de Vivo di Santo Severino judex ad contractus et litteram Jeronimus di Vivo de eadem Terra Sancti Severini publicis in Regno Sicilie.
Sull’altro fascicolo, v. busta 5846, anno 1516, apud forum Serini, anno 1516-26, del notaio Ambrogio, segue fascio della Busta 5847, riferito all’anno 1530, del notaio Geronimo.
68. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.17-28.
69. Summonte, cit., pag. 230 e segg.; Summonte, cit., pag. 56 e segg.
70. Paolo Paruta, Historia Vinetiana, Eredi di Tomaso Giunti e Francesco Baba, Venezia 1645, pag.266.
71. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.17-28.
72. Summonte, cit., pag. 56 e segg.
73. Paolo Paruta, Historia Vinetiana, Eredi di Tomaso Giunti e Francesco Baba, Venezia 1645, pag.266-269.
74. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg.17-32.
75. AA.VV. Vendette da Papa, 1519-1556, ABEdizioni, Avellino 2006.
76. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
77. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.32 e segg.
78. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
79. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.32 e segg.
80. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266 e segg.
81. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.36.
82. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
83. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
84. Summonte, cit., pag.230 e segg.
85. M.G.C. Saraceni, I Fatti d’arme famosi, II parte, Damian Zenaro, Venezia 1600, pag.616 e segg. Fatto d’Arme navale tra il Conte Filippo Doria, e Don Ugo di Moncada, negli anni 1528, del Signore, a Salerno.
86. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pag.36-37.
87. Roberto delle Donne, Regis servitium nostra mercatura. Culture e linguagi della fislalità nella Napoli aragonese, In: Linguaggi e pratiche del potere. Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, a cura di Giovanna Petti Balbi e Giovanni Vitolo. Centro interuniversitario per la storia delle città campane nel medioevo. Quaderni (4).Laveglia editore, Salerno 2007, dal sito internet: www.fedoa.unina.it/1125. Nota 28. Cfr. G.Battista Aiello, Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, Napoli 1845, vol1. Nella tribuna saranno collocati i “sepolcri di Isabella di Chiaromonte moglie di Ferrante I d’Aragona e di Pietro d’Aragona fratello di re Alfonso, morto nell’assedio di Napoli del 1459 e qui poi trasportato da Castel nuovo e tumulato nel 1444. L’iscrizione è la seguente: OSSIBVS ET MEMORI AE ISABELLAE CLARIMONTIAE / NEAP. REGINAE FERDINANDI PRIMI CONIVGIS / ET PETRI ARAGONEI PRINCIPIS STRENVI / REGIS ALFONSI SENIORIS FRATER / QVI NI MORS EI ILLVSTREM V1TAE CVRSVM INTERRVPISSET / FRATERNAM GLORIAM FACILE ADAEQVASSET / OH FATVM! QVOT BONA PARVVLO SAXOCONDVNTVR. Quivi anche riposa la spoglia di Cristoforo di Costanzo gran siniscalco di Giovanna I, morto nel 1367; e qui Beatrice figliuola di Ferrante I e d’Isabella, rimasa vedova di Mattia re d’Ungheria, leggendovisi l’epigrafe: BEATRIX ARAGONEA PANNONIAE REGINA / FERDINANDI PRIMI NEAP. REGIS FILIA / DE SACRO HOC COLLEGIO OPT. MERITA / HIC SITA EST / HAEC RELIGIONE ET MVNIFICENTIA SE IPSAM VICIT.
88. S. Degli Arienti, op.cit.
91.Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
92. Da: https://www.nartea.com/guida-on-line/san-pietro-martire/
«Ritornati sul corso Umberto I lo si percorre verso piazza Bovio incontrando a sinistra nella piazza Ruggero Bonghi la facciata della chiesa di San Pietro Martire. Carlo II d’Angiò, volendo donare ai frati Predicatori domenicani, a cui già nel 1231 era stata affidata l’antica chiesa di San Michele a Morfisa, una nuova “basilica”, diede incarico di far costruire la Chiesa ed il Convento dedicati a San Pietro Martire, i cui lavori ebbero inizio nel 1294….».
93. S. Degli Arienti, op.cit.
96. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
97. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storia medievale.net /pre-testi/ippolita.htm. Matrimonio ed eclissi.
98. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
99. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
100. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170.
101. Vipera, Chror. sub Uldarico, pag.90.
102. Ivi.
103. Il 20 agosto 1482 Re Ferdinando nominò Niccolò Allegro a rettore di Benevento, città rimasta in Regno dal 1463, anno in cui, appoggiando le rivolte popolari, fu strappata alla Chiesa insieme a Salerno. Nell’atto compaiono molti civium e habitatorem beneventanorum che chiesero ed ottennero gli statuti comunali ad capitulandum.
104. Valerio dalla Vipera, notajo e sindaco beneventano, fece pubblicare il privilegio. Ma quello fu l’ultimo anno di sovranità del Re, in quanto, il 21 agosto, vi fu la celebre vittoria dei papalini sul Duca Alfonso d’Aragona “presso S.Pieto in Formis, che perciò fu detto Campomorto, dalle genti inviategli contro del Papa, comandate da Girolamo Riario, e da Roberto Malatesta”.
105. I beneventani e gli abitanti di Terracina furono assolti dal delitto di ribellione con bolla papale del 7 gennaio 1483. Il 25 gennaio il pontefice ne dichiarò governatore e castellano Corrado Marcellino, cittadino romano già vescovo di Terracina. Sotto Papa Eugenio Benevento chiederà la separazione del potere politico dalle mani dei Rettori papalini e questi separar separatim facere castellanum a Rettore, seu vicerettore. 21. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769.
106. Civitate Tocco sede vescovile non va confusa con l’Oppido, cioè il Castrum Tocco dipendente direttamente dal papa di Avignone come Castrum Tocci, mentre la precedente Civitate distrutta dal terremoto del 1348 viene dichiarata suffraganea di Benevento. Già papa Stefano X l’avrebbe indicata come dipendenza di Montecassino nel 1058.
107. E’ poi annoverata fra le città suffraganee dal Vipera (Chror. sub Uldarico, pag.90). E qui sarebe l’inghippo perché la vecchia Tocco descritta nel documento non è collocata nella Valle di Vitulano, nella Varvense che non è lo Stretto di Barba (la Varva nel 1800 risulta essere casale di Ceppaloni, ma già nel 1700 era frazione di Chianchetelle, ai piedi di Torrioni, sul finire del vallone San Martino di Terranova Fossaceca all’incontro col fiume Sabato e di fronte Pietrastornina).
108. Leggendo l’opera “Descrizione dei viaggi compiuti dal Santorino stesso fra 1485 e il 1487, in qualità di cancellarius et scriba del Patriarca di Aquileia (che era arcivescovo di Benevento) nei territori facenti parte dei suoi possedimenti” si capisce che qualcosa non quadra. Infatti, lo scrittore ecclesiastico Paolo Santonino, nel suo viaggio del 1456 descritto nel libro Itinerari dice: quae dicitur Tocco in Valle Varvense, malamente tradotta in Valle Vitulana, ad solum usque deducta defunctorum descriptum non recepi. Vitulano diviene Terra con tre parrocchiali, una delle quali è arcipretura, benchè l’arciprete risieda in Tacciano e dicesi arciprete di tutta la Valle di Vitulano che consta di 36 casali (stranezza del numero uguale ai 36 casali che la memoria popolare diceva possedere sicuramente Pietrastornina, antico feudo delle due torri, che è sita a monte dello Stretto di Barba). Anche Meomartini disse Tocco in Valle di Vitulano.
109. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r – 225 v.
110. Giovanni di Fiore, Della Calabria illustrata, vol.3, cit.
111. Monte, cit. Cfr. A.Bascetta, Quattrocento Napoletano, ABE, Napoli 2011.
112. Antonello Coniger, cit.
113. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.152.
114. Filippo di Commines, Delle memorie, cit.
115. Filippo di Commines, Delle memorie, cit.
116. Ivi.
117. Cap.II, cit., pag.225.
118. Antonello Coniger, cit.
119. Angelo Tafuri, Opere, cit.
120. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.153 e segg.
121. Giuseppe Coniglio, I vicere spagnoli di Napoli, Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1967, pagg.11-16.
122. Giuseppe Coniglio, I vicere spagnoli di Napoli, Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1967, pagg.11-16.
123. Bascetta, Juana, cit.
124. Bascetta, Juana, cit.
125.Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
126. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. “La Biblioteca del Principe di Tarsia è superba: la sua scuderia è magnificamente dipinta e decorata, prova che l’intenzione del signore non era quella d’onorare le Muse. La Biblioteca del Principe di Tarsia era non solo ricca di opera, ma le pareti e gli scaffali, di fregi ed oro. Una sala fornita di molti strumenti matematici, un’altra di ritratti d’uomini dotti, nazionali e stranieri. Sulle porte, in caratteri d’oro, si leggeva il seguente distico di G. B. Vico: Heic Jovis e cerehro quae in coelo est nata Minerva / Digna Jove in terris aurea tecta colit. La Regina ha raccolto, da qualche anno a questa parte, una Biblioteca di opere tedesche per suo uso; Fuger, pittore di Vienna, l’ha dipinta con molto gusto. Erano, su per giù, queste le condizioni e la fisonomia sociale del Regno fino ai tempi di Carlo III, salvo, s’intende, quelle differenze proprie delle provincie cagionate dalla maggior o minor prevalenza del feudatario, del cattivo amministratore, e della maggiore minore lontananza dalla Capitale, ove era accentrato il potere il quale, per mancanza di sollecite comunicazioni, di frequenti scambi, non poteva infondere un’azione rapida e concorde in tutte le membra del Reame”).
127. R.Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Napoli, 1977, vol. II, p.73; Francesco Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale, Volume 2, 1998.
128. Notargiacomo; cfr. Scandone.
129. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, Duchessa di Calabria, nelle corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Milano. Una enclave lombarda alla corte aragonese di Napoli (1465-1488), pagg. 125-141, Mélanges de la Casa de Velázquez, 45-2, 2015. Cfr. Antonio Cicinello a Francesco Sforza, Napoli 19.II.1465, ASM, Sforzesco, Napoli, 214, cc. 204-206. In: Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
130. Da: Il Quotidiano di Salerno. Articolo: Isabella Villamarina, la Principessa del Rinascimento, di Giovanni Lovito.
131. Ivi.
132. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.214; ivi, pag.X e segg. V. nota.
133. Summonte, cit., pag.232 e segg.; Summonte, cit., pag.65 e segg.
134. Summonte, cit., pag.84 e segg. Il primo moto insurrezionale del Sud, fomentato dall’idea di libertà lanciata dai Francesi, era stato quello dei fratelli Imperatore (1523), fallito nell’intento di togliere la Sicilia alla Spagna per consegnarla a Marcantonio Colonna. Soffocata la congiura, coi capi mandati alla tortura, le acque del Mare Inferiore si erano calmate per dieci anni, prima di alimentarsi nuovamente all’arrivo di Lautrec nel Regno di Napoli. Fallita la spedizione francese, durò a lungo la vendetta degli Spagnoli contro chi si era schierato a favore del nemico. Il conte Enrico di Venafro venne accerchiato nel suo castello da 300 cavalieri. Condotto a Napoli, sarà decapitato nel 1528. Il popolo abruzzese dell’Aquilano, stanco delle continue vessazioni giungerà alla rivolta (1528), soffocata (1529) dal Vicerè d’Orange, accampatosi presso Fossa con un esercito di 2.500 Lanzichenecchi. Arresasi, la città di Ocre, dovette sottostare al Tallione, ossia all’obbligo di dover pagare 120.000 ducati. Subì l’impoverimento proprio dai saccheggi contro cui si era ribellata non essendo in grado di pagare il riscatto, costretta a ricorrere al prestito di ricchi mercanti, tra cui Francesco Incuria ed Angelo Sauro, sfruttatori di molte popolazioni aquilane. A seguito della “invasione et occupatione del regno da Francesi” si era inasprito anche il rapporto con gli Ebrei, i quali, non avendo più il tempo necessario per il dialogo, “foro perseguitati et sachigiati et andaro dispersi che non posseano stare securi né fare loro industrie”; Summonte, cit., pag.84 e segg. Il Vicerè Don Pedro da Toledo arriverà ad emanare un editto (1533) per stabilire l’espulsione entro sei mesi per chi non si convertiva; in caso contrario comandava di emigrare a “maschuli et femine, piccholi et grandi, non exceptuandone alcuno”, minacciando di farli diventare schiavi con la confisca dei beni mobili ed immobili. Città e sudditi del Regno, che avevano necessità degli usurai ebrei per far fronte ai debiti contratti per il riscatto, non mancarono di protestare per difenderli, asserendo che dal 1520 essi campavano più “modestamente et subvenuto li populi in loro necessità”, grazie ad un primo compromesso, quando la delegazione delle giudecche pugliesi insieme ai proti della giudecca di Napoli, capitanata da Don Samuele Habravanel e dal procuratore Vitale di Maestro Iosep della giudecca di Giovinazzo, sottopose una proposta di accordo al Regio Collaterale Consiglio ai fini della permanenza nel Regno. www.comunediocre.it. Ocre stessa nel 1530 deve pagare a Francesco Incuria 1.600 ducati. Oltre alle conseguenze economiche appena descritte all’Aquila viene tolta la giurisdizione dei castelli del contado che vengono infeudati, e quello di Ocre viene concesso dal 1529 al 1554 per 250 scudi all’alfiere del Marchese del Guasto, Domingo Lopez d’Azpeitia; Summonte, cit., pag.84 e segg. Nel 1534 il viceré di Napoli don Pedro di Toledo conferma, per 20.000 ducati, la vendita del feudo concesso dal principe d’Orange, al barone d’Ocre Lopez d’Azpeitia dandogliene il possesso dei castelli, degli uomini, delle case, delle vigne, delle terre coltivate ed incolte, dei boschi, dei pascoli, dei forni, dei macelli, della caccia, delle acque, dei mulini, dei passaggi, dei pedaggi, delle fide, dell’imposizione di gabelle e dell’amministrazione della giustizia nelle cause di prima e seconda istanza; N.Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, Torino 1915; La presenza ebraica in Puglia, cit. Doc. N.43. Gli ebrei della giudecca di Bari nominano Vitale di maestro Iosep, abitante in Giovinazzo, loro procuratore con l’incarico di recarsi a Napoli e lì insieme con Samuel Habravanel e i proti della giudecca di Napoli, negoziare con il Vicerè o con il Regio Collaterale Consiglio le condizioni per la loro permanenza nel Regno di Napoli; Summonte, cit., pag.84 e segg.
135.Privilegii et capitoli, cit. Geronimo de Albertini è regio auditore provinciale di Capitanata e Comitato Molisio nel 1530. Nel 1535 il Marchese del Vasto è Principe di Salerno e Bisignano con Pedro de Toledo Viceré del Regno, Duca Dalve Conte di Benevento ed altri, Marchese del Vasto, Principe di Molfetta, Principe di Melfi, Duca di Gravina, Duca de la Tripalda, con “Sindaci delle provintie città & Terre demaniali, riuniti in San Lorenzo per il parlamento generale del Viceregno. Fra gli elettori da presentarsi in parlamento l’imperatore Carlo dové vistare anche una sentenza emessa dalla magna curia di cui faceva parte anche il milite consigliere regio Giacomo Antonio Cesarino di Civitate Nola e il magistro giustiziario Giovanni de Pascali e Martolomeo Maxus Vid e consigliere anch’egli davanti alla magna curia napoletana, sotto Alfonso d’Aganona de Piccolomini magister justizia, dux Amalfi e Marchio Capistrano e Celano nel 1338 e Comes Regio Cola. che sottoscrive l’atto.
136. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007. Il Viceré iniziò le riforme (dando il via all’espulsione degli ebrei), proprio come quelle a cui diede vita Papa Paolo IV riformatore a cui seguì, nel 1555, la decisione dell’imperatore di dividere tutto fra i figli: il trono a Ferdinando, la Spagna e Napoli a Filippo II. Cfr. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769,pagg.422-425. Opere primarie in Napoli furono il nuovo Palazzo Reale dell’architetto Domenico Fontana, il Palazzo degli Studi (attuale Museo Archeologico Nazionale), i rinascimentali palazzi Orsini, Marigliano, Corigliano, la completa trasformazione della Certosa di S.Martino, il barocco Palazzo Donn’Anna, la chiesa del Gesù Nuovo ricavata dal Palazzo rinascimentale dei Sanseverino e decine di nuove chiese barocche nate dalle ceneri di precedenti edifici. “Le trasformazioni urbanistiche dell’età vicereale consistettero in un ampliamento della città soprattutto verso occidente, il che richiese nuove mura la cui costruzione, iniziata nel 1533, continuò oltre il 1547.
Del programma del vicerè Pedro de Toledo fece parte il tracciamento della via che porta il suo nome, l’edificazione degli adiacenti “quartieri spagnoli”, insediamento a scacchiera, destinato all’alloggiamento delle truppe vicereali. Furono inoltre previsti la ristrutturazione del porto e dei sistemi idrico e fognario. Altro importante fenomeno fu il sorgere, a dispetto del divieto imposto dalle prammatiche reali del 1566, di una serie di borghi extramurari: S. Antonio Abate e Loreto ad Est, i Vergini a Nord, l’Avvocata a Nord-Ovest e Chiaia a Sud-Ovest”. Don Pedro, morirà a Firenze il 2 febbraio 1553 e sarà sepolto in quel Duomo, senza poter riuscire a vedere per l’ultima volta il monumentale sepolcro fatto costruire nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli in piazza del Castello.
Fra i suoi uomini migliori vi fu sicuramente Giangiacomo d’Acaya, esperto in architettura e matematica, al quale “vengono riconosciute brillanti intuizioni di tattica militare, grande esperienza in problemi balistici e di strategia equestre e approfondite conoscenze della nuova tecnica delle fortificazioni bastionate che si andavano sempre più sviluppando con i progressi della artiglieria, dopo l’invenzione della polvere da sparo”.
L’opportunità per affermarsi definitivamente Giangiacomo la colse nel 1528 quando i francesi erano penetrati nel Salento. Si oppose all’invasione con 500 mercenari albanesi alla guida del Marchese Castriota, unitamente ad altri signori locali, offrendo “uomini, cavalli e spada”. La sua vittoria fu così eclatante che Carlo V volle incontrarlo a Napoli, lasciando incompiuto il viaggio sotto l’arco trionfale di Lecce, perchè aveva saputo del suo efficace metodo di fortificazione. Il fiore all’occhiello era proprio nel suo feudo di Segine, dove aveva sviluppato una nuova tecnica difensiva contro i Turchi, mettendo in pratica gli studi sulle fortificazioni e divenendo Ingegnere Generale del Regno. Peccato che finirà i suoi giorni da prigioniero, proprio nelle segrete del Castello di Lecce che egli stesso aveva costruito. T. Megale, Sic per te superis gens inimica ruat. L’ingresso trionfale di Carlo V a Napoli (1535), Atti del Convegno Carlo V Napoli e il Mediterraneo, Archivio Storico per le Province Napoletane, Napoli 2001; www.regionecampania.org. L’architetto Francesco Grimaldi rifece le chiese di S.Paolo Maggiore, dei SS.Apostoli, S.Maria degli Angeli a Pizzofalcone, seguito da Cosimo Fanzago (chiesa dell’Ascensione a Chiaia, S. Maria degli Angeli alle Croci, di S. Ferdinando, S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone, di S. Giorgio Maggiore, di S. Giuseppe delle scalze a Pontecorvo, di S. Teresa a Chiaia), da Arcangelo Guglielmelli (S.Giuseppe dei Ruffi e la Biblioteca dei Gerolomini) e da Frà Nuvolo (chiesa di S.Maria di Costantinopoli, di S.Maria della Sanità e di S. Sebastiano). Per una biografia del Vicerè, cfr. www.geocities.com, Nicola Garofalo, La Grande Napoli. Toledo aveva trasformato la vecchia Segine in una fortezza inespugnabile, con baluardi, fossati e un nuovo castello ribattezzato col suo nome in Acaya, a lavori ultimati, nel 1536, quando il Vicerè gli affidò la fortificazione costiera (1537) insieme ad Alarcon Marchese della Valle Siciliana e Melfi, nonché Capitano Generale del Regno. Ai due era stato affidato il compito di ispezionare, unitamente al Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, i castelli di Napoli, Aversa, Capua, Nola, Pozzuoli, Baia, Ischia e Capri. Per Ferrari Carlo V riteneva Giangiacomo “uomo di alto ingegno, e valore, e per buonissimo architetto”, elevandolo, come scrive Don Vittorio de Prioli ad “ingegnere generale del Regno di Napoli e già in Napoli stessa si vedono le sue fortificazioni e per tutte le marine di questo regno”.Acaya, insieme ad Escrivà e Menga, realizzò le nuove mura di Castro, Barletta, Copertino, Mola, Galatina, Molfetta, Parabita e Gallipoli, dove si vede una sala ennagonale, come quella del castello di Acaya, giungendo a Lecce nel 1539, divenuto nuovo capoluogo, redigedo un apposito progetto per la nuova fortezza, affidando l’esecuzione dei lavori a Guarino Renzo, e (1548) per l’Ospedale dello Spirito Santo e l’Arco Trionfale di Porta Napoli. Ma i suoi impegni furono soprattutto per Castel S.Elmo a Napoli, Sorrento, Capua e Cosenza e alla muraglia di Crotone, su indicazioni del Vicerè che lo utilizzò fino alla morte, quando si ritirò nel suo feudo di Acaya si ritira, attorniato dai nobili locali, dal Governatore Loffredo e dai figli, due dei quali, Francesco Maria ed Isabella, vengono spediti rispettivamente nel monastero delle chiariste e nel convento di francescani di Lecce, mentre, proprio ad Acaya edifica per gli osservanti il monastero di S. Maria degli Angeli ai quali finisce poi per cedere anche il suo palazzo di Lecce, finito indebitato per una fideiussione messa (1570) a favore dell’esattore doganale di Puglia e Basilicata delle imposte sugli oli e sui saponi, portandolo, per la gravosa insolvenza, perfino prigioniero nelle segrete del Castello di Lecce che egli stesso aveva realizzato e dove sarebbe morto. V. Mario Mangione, da: www.acquaricadilecce.it.
137. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg. 47-53.
138. Summonte, cit., pag.145 e pag.90 e segg.
139. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571, pagg.53-54.
140. Alfonso Ulloa, Vita del valorosissimo e Gran Capitano Don Ferrante Gonzaga, pag.70.
141. A.F. Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.XI e segg.
142. Antonio Doria, Cit., pagg. 58-59.
143. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
144. Antonio Doria, Cit., pagg.58-59.
145. Summonte, cit., pag.232 e segg.; erorelli, cit.; Summonte, cit., pag.98 e segg.
146. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
147. Così comincia uno dei due sonetti di Torquato Tasso. A.F.Seghezzi, Delle lettere di Bernardo Tasso, Padova 1733, pag.XI e segg.
148. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
149. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
150. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289, nota xxxv- Entrata di Carlo V in Napoli; suo trattenimento e partenza. Per la sua tirannia, i capi avversari, avevano deciso l’esilio volontario e, alleandosi coi Francesi sotto la guida di Piero Strozzi, finirono decapitati dopo aver avuto la peggio a Montemurlo (1537). Dispotismo che lo sporcò di sangue per tutta la vita, sebbene la sua crudeltà fu sempre rivolta a danno dei ricchi fiorentini e non contro il popolo. Si legò all’Imperatore Carlo, indi al figlio Filippo II e alla figlia Margherita, vedova del Duca Alessandro, che non sposò per l’esosa richiesta di portarle in dote buona parte del patrimonio.
Sposò, invece, la bella spagnola-napoletana, Eleonora Alvarez de Toledo, nella chiesa fiorentina di San Lorenzo, dopo averla incontrata la prima volta nella villa di Poggio a Caiano, vicino Prato.
Eleonora fu condotta a Firenze direttamente da Don Pedro Alvarez de Toledo, che venne alloggiato nel convento di Santa Maria Novella, da allora in poi chiamato Cappellone degli Spagnoli in suo onore.
Grazie a questo matrimonio il Duca fiorentino entrò in possesso di enormi ricchezze napoletane e si garantì l’amicizia politica del suocero, Viceré dal 1532 al 1553, divenendo uno dei più fidati luogotenenti dell’Imperatore. Cosimo ed Eleonora, più volte ritratti da Angelo Bronzino, furono una coppia esemplare, senza che lui si stancasse mai di lei.
Il Gran Duca di Toscana aveva questo motto: — Cum pudore laeta facunditas!
Ebbero undici figli, due dei quali, Giovanni e Garsia, moriranno di malaria con la madre (1562), dopo un avventato viaggio nella Maremma dove era in corso una corposa opera di bonifica.
151. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
152. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
153. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
154. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
155. Summonte, cit., pag.90 e segg.
156. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
157. Antonio Doria, Cit., pag.68
158. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
159. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870, pag.51. Le paorle di Mario di Leo sono nel secondo canto dell’Amor Prigioniero. La Principessa Isabella mori dell’età di circa 53 anni in Ispagna nell’ottobre del 1559. Tralasciando gli encomi di molti altri scrittori contemporanei, Volpicella cita Geronimo Borgia nel poemetto latino sull’incendio presso l’Averno del 1538 il quale così cantava: Una atei lux hujus et inelyla saxus gloria faminei, domina qua dulce Salernum se iaetat, felix gaudet qua coniuge princeps Ausoniae procerum, muliebris ut illa decori insignis forma, pietate, pudore, Minervae Arlibus.
160. Bernardo Tasso, Le lettere, Giovanni Griffio, Venezia 1591, pag.53.
161. Tommaso Aurelio de Felici, Leggende e tradizioni patrie, Tipografia di G.Ranucci, Napoli 1859, pag.289 e segg.
162. Summonte, cit., pag.145 e pag.90 e segg.
163. William Negro, I senza fissa dimora nella storia, pag.12. Da: Piazza Grande, anno II, N.2. Bologna marzo 2005. Era una schiavitù di fatto visto che il “proprietario” s’impegnava a mettere il condannato a pane e acqua e poteva utilizzarlo per qualunque lavoro e per tutto il tempo che ritenesse opportuno. Aveva inoltre il diritto di punirlo con la frusta, di incatenarlo e di prestarlo ad altri per le fatiche. Il primo tentativo di fuga veniva punito con la schiavitù perpetua, il secondo con la morte. L’ordinanza non risparmiava neppure i figli dei vagabondi che dovevano lavorare come apprendisti e non avevano diritto ad alcuna retribuzione; ogni tentativo di fuga comportava il passaggio del ragazzo alla condizione di servo, sino alla fine dell’apprendistato. L’atto inglese del 1547 mostra con la massima evidenza la presenza del problema del vagabondaggio, il disprezzo e l’odio del potere nei confronti dei vagabondi, la paura che essi suscitavano.
164. L’espressione è di Benedetto Croce.
165. AA.VV., Vendette da Papa, ABE 2006
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